ISLAM OGGI TRA EDUCAZIONE E RAGIONE

Islam oggi tra educazione e ragione

Partecipano: Wael Farouq, Vicepresidente del Cairo Meeting, Docente presso l’Istituto di Lingua Araba all’Università Americana del Cairo; Abdel-Fattah Hassan, Docente di Letteratura Italiana alla Ain Shams University del Cairo; Robert Reilly, Senior Fellow for Strategic Communication at the American Foreign Policy Council. Introduce Roberto Fontolan, Direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

 

ISLAM OGGI TRA EDUCAZIONE E RAGIONE
Ore: 19.00 Sala A3

ROBERTO FONTOLAN:
Bene, buonasera. Uno dei grandi mali contemporanei è la tendenza a ridurre l’altro, l’altro uomo, l’altra cultura, un’altra fede, ad uno stereotipo, a uno schema già precostituito. Il Meeting ha sempre combattuto contro questa tendenza, contro questo nemico. Noi vogliamo incontrarci l’un l’altro, vogliamo conoscerci l’un l’altro, confrontarci l’uno con l’altro, imparare l’uno dall’altro. E’ in questo spirito che stasera affrontiamo un tema di grande importanza e di grande delicatezza. Per farlo, abbiamo raccolto tre personalità, due musulmani e un cristiano, per approfondire e conoscere meglio i sentieri, le strade dell’Islam, di questa grande religione, di questa grande confessione che raduna un quinto dell’umanità. Quali sono i percorsi, gli incroci culturali, qual è il dibattito che attraversa questo mondo, quale questione morale, quella che noi chiamiamo educazione, viene discussa oggi? Su queste basi, su questa maggiore conoscenza che stasera vogliamo ottenere, vogliamo conquistare, scoprire o riscoprire la possibilità di un dialogo vero, quello che poi ci illustrerà Wael Farouq, al quale non piace molto usare la parola dialogo, lo ha detto molte volte e mi rimprovera sempre perché lui vuole che si usi la parola incontro: gli dobbiamo dare atto che tante volte impara meglio di noi le cose. Su quali basi riprendere o apprendere le strade di un incontro vero, di un incontro profondo? Come quello che sta accadendo nel mondo arabo tocca la profondità, tocca in profondo la coscienza di questo mondo, la coscienza dell’Islam di oggi? Abbiamo convocato qui tre personalità che ci aiuteranno ad approfondire. Voglio introdurre i nostri tre relatori con questa citazione che è tratta dal Rischio Educativo di don Giussani, che uno dei nostri ospiti e amici ha tradotto in arabo. La citazione dice così: “La vera educazione deve essere un’educazione alla critica, deve diventare problema quello che ci hanno detto – cioè bisogna usare la ragione perché l’educazione alla critica implica l’uso della ragione -, se non diventa problema non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà dentro di sé irrazionalmente. In greco, questo rovistarci dentro si dice krinein, krisis, da cui deriva critica, la critica perciò consiste nel rendersi ragione delle cose”. Ci è sembrata una bellissima introduzione a questo nostro incontro. Ora vi presento i nostri relatori. Per primo, interverrà Abdel-Fattah Hassan, docente di Letteratura Italiana alla Ain Shams University del Cairo. Molti di voi lo conoscono già perché è uno dei grandi amici che abbiamo dall’altra parte del Mediterraneo: parla perfettamente italiano e il suo intervento sarà in italiano. Tra l’altro, ogni tanto, in questi giorni, passeggiando nei corridoi trovo persone che hanno imparato l’italiano attraverso l’insegnamento di questo professore. Prima dicevamo che è bello avere disseminato tanto nel mondo e poter ritrovare l’arabo colloquiale e l’arabo classico al Cairo, ed è bello ogni tanto trovare persone che hanno imparato qualcosa da noi. Bene, interverrà per secondo Robert Reilly che è Senior Fellow per la Comunicazione Strategica all’American Foreign Policy Council. Robert Reilly è un nuovo amico del Meeting, mi permetto già di definirlo così. E’ stato direttore della Voice of America, ha servito la Casa Bianca come assistente speciale del Presidente, dal 1983 al 1985; ha fatto moltissime cose che ora vi risparmio ed è un raffinato cultore di musica. Ha scritto un libro bellissimo che si intitola Surprised by beauty, sorpreso dalla bellezza. Però non è in questa veste che parlerà questa sera, come raffinato cultore della musica contemporanea, ma come studioso dell’Islam, in particolare di un certo periodo storico, di una certa evoluzione intellettuale dell’Islam. Su questo ha scritto un importante libro purtroppo non ancora tradotto in italiano, ma forse, da qui in avanti, potremmo aprire anche questa strada. Si intitola Closing of the muslim mind, cioè la chiusura della mente musulmana, ed evoca il titolo di un altro libro molto famoso. Però adesso mi fermo perché ci porterebbe troppo lontano, ma non prima di aver salutato il nostro grande amico professor Wael Farouq, Vicepresidente del Cairo Meeting, che ci aspetta ai primi di novembre al Cairo: Inshallah, possiamo dire. Molti di voi lo conoscono, lo hanno sentito parlare già nelle altre edizioni. Bene, allora prego subito il professor Abdel-Fattah Hassan di prendere la parola nel suo bellissimo italiano: la prego di rimanere seduto qui perché così controllo meglio i tempi. Grazie.

ABDEL-FATTAH HASSAN:
La pace di Dio sia su di voi, sul gentilissimo uditorio. Innanzitutto, vorrei cogliere l’occasione per ringraziare vivamente gli organizzatori del Meeting, della fondazione Meeting, per avermi concesso questa occasione di essere presente in mezzo a voi per aumentare l’esperienza vissuta in un ambiente di amicizia, di rispetto reciproco, che ho cominciato in Egitto da studente universitario e da professore di lingua araba con i padri comboniani. Vi parlerò dell’argomento Islam oggi tra educazione e ragione, parleremo dell’ideale e della realtà, anche se c’è differenza tra la realtà e l’ideale. Innanzitutto, vi portiamo un grandissimo saluto dalla terra del Nilo, l’Egitto, che sta facendo i primi passi verso la seconda Repubblica: speriamo che sia un nuovo Egitto democratico, basato sulla Costituzione e sul rispetto dei diritti di tutti i cittadini, senza distinzione, un Egitto moderno e aperto. La parola ragione io l’ho guardata così: o la ragione ha un significato materiale, cioè guida allo sviluppo della scienza, del progresso, oppure è una cosa metaforica, morale, che guida alla moderatezza e alla logica del pensiero. Quindi, l’Islam vero, autentico, non contrasta la ragione né la possibilità di trarre vantaggi dalle scienze, tanto è vero che l’Islam come religione libera la mente degli uomini dalla cieca imitazione, dalle congetture inutili e dalle finzioni, perché la ragione umana è rimasta per un sacco di tempo prigioniera di leggende e di superstizioni. La religione islamica ha aiutato inoltre la gente a liberarsi dall’inclinazione a seguire ciecamente i genitori o gli antenati, cosa che per lungo tempo ha bloccato la ragione e le predicazioni dei profeti. L’Islam libera la mente dai condizionamenti dei capi e dei potenti, vieta di seguire i grandi personaggi, siano essi dirigenti politici o persone con una posizione sociale elevata. Lo stesso Libro Sacro, il Corano, disapprova che si seguano questi capi, questi dirigenti, senza riflettere, e riporta i dialoghi che avranno luogo nel giorno del giudizio finale fra quelli che seguono e coloro che sono stati seguiti in cui ciascuno di loro rigetterà la colpa sull’altro, nella Sura 33, versetti 67 e 68, nella Sura 2, versetti 166 167. Dio altissimo non ha creato la mente perché sia bloccata e venga limitata in modo che l’uomo non sia più in grado di riflettere e lasci che un altro lo faccia al posto suo: quindi, la religione islamica proibisce di uniformarsi alla massa senza ragionare. Il profeta Muhammad lo disse in un hadith: “Nessuno di voi sia privo di opinione dicendo: se gli uomini agiscono bene, agisco anch’io bene, e se agiscono male, agisco male anch’io, ma siate risoluti: se la gente agisce bene, allora seguite la gente nel bene, e se si comporta male, dovete evitare questo male”.
L’Islam promuove anche uno spirito critico e scientifico che si oppone ai luoghi comuni, alla superficialità, alla crudelità di coloro che accettano tutto senza alcuna analisi razionale. Perciò ritroviamo in numerosi versetti, come ad esempio la terza Sura, versetto 190, queste espressioni: “Non ragionate, dunque? Non riflettete, dunque?”. Il Corano esorta ad osservare ogni cosa, invita a meditare e a contemplare la creazione dei cieli e della terra, invita a meditare sulla creazione della creatura umana ed a studiare la storia dei popoli, al fine di trarne delle lezioni. L’Islam ha affidato alla ragione il compito di riflettere per giungere a due verità fondamentali: malgrado la fede in Dio faccia parte di un’inclinazione naturale e originale dentro di noi, è indispensabile servirsi della logica e della ragione, dialogando con i non credenti, per arrivare a due verità fondamentali. La ragione deve provare l’esistenza del Sommo Creatore, cioè di Dio l’altissimo, e l’esistenza delle profezie tramite lo studio e l’analisi dei diversi miracoli divini e delle prove chiare. L’Islam incita alla ricerca della scienza. E’ un obbligo, dal punto di vista della religione islamica, al di là del comportamento dei seguaci dell’Islam, adesso, domani o ieri, ricercare la scienza e trarne profitto, come disse il profeta Mohammed: la ricerca della conoscenza è un obbligo per ogni musulmano. Aldilà delle scienze religiose, che rappresentano un dovere individuale, ci sono ambiti della scienza nei quali la ricerca è un dovere collettivo che dà risultati proficui a tutta l’umanità. Tale ambito abbraccia tutto quello che c’è di utile nella vita umana, come la presenza di un esperto, oltre che nel campo religioso, in medicina, matematica, architettura: cioè, specialisti musulmani che facciano fronte ai bisogni della gente e della società. L’Islam perciò eleva il rango della scienza e dei sapienti, dice l’Altissimo: “…Dimmi, sono forse uguali quelli che sanno e quelli che non sanno?”, Sura 39, versetto 9. Questo versetto non è dedicato solamente alla scienza religiosa ma riguarda la scienza in generale, poiché è un paragone tra il sapiente e l’ignorante, tra colui che sa e chi non sa, tra la luce e l’oscurità (cfr. Sura 58, versetto 11). Tanti sono pure i detti del Profeta che fanno menzione dei meriti della scienza e degli scienziati. Posso affermare in piena certezza che l’Islam ha contribuito al raggiungimento di un livello impareggiabile nella considerazione e nell’applicazione della scienza, nella liberazione della ragione e nella costruzione della società su basi oggettive, elevando il rango della conoscenza e dei sapienti. Mi vengono in mente i tempi d’oro di Avicenna e di Averroè, conosciuti anche nel mondo occidentale. Tra scienza e religione non c’è contraddizione, non ci può essere contraddizione fra scienza e fede, fra la Rivelazione e la ragione: per le questioni storiche, dobbiamo verificare l’esattezza di ciò che viene tramandato. Sono orgoglioso di aver tradotto in arabo questo concetto nel libro di don Giussani, Il rischio educativo, perché una verifica.
E anche se sfogliamo il Libro Sacro, cioè il Corano, esso parla di embriologia, geologia, oceanologia, botanica, medicina, scienza generale. L’Islam è favorevole all’idea di prendere da ogni cosa quanto vi è di buono e utile, sia esso antico o moderno, che provenga dai musulmani o da altri. Il credente deve aggrapparsi alla saggezza da qualsiasi parte venga, cioè, ovunque la trovi la deve fare sua: ciò ha fatto sì che i musulmani, durante i secoli di sviluppo e prosperità, abbiano tratto profitto da ciò che c’era di migliore nelle altre nazioni, abbiano approfittato delle conoscenze altrui in medicina, in chimica, ecc., e tradotto pure le opere persiane, greche o indiane. Hanno sviluppato queste scienze, corretto gli errori, modificato ciò che doveva essere modificato, aggiunto alle conoscenze altrui le loro scoperte, le loro innovazioni, la loro creatività. L’epoca del decadentismo, dovuto fra l’altro all’occupazione straniera o alle tirannie, ha indotto al ristagno della scienza e del pensiero. C’è, secondo me, un distacco tra l’Islam come religione che incita alla ricerca scientifica, ad aprire gli orizzonti della ragione, da una parte, e la vita reale, o il comportamento reale dei musulmani. Se accade un’armonia, un incontro, tra il sistema, cioè la teoria, e l’applicazione, i risultati saranno ottimi e proficui.
Da musulmani, specialmente dopo la Primavera Araba e il tramonto dei regimi totalitari, che hanno avuto come conseguenza ripercussioni orribili come povertà, ignoranza e regresso nel nostro mondo, dobbiamo confessare, senza addolcire la pillola, che occorre scatenare la ragione affinché passi sopra l’inerzia e la ragione sviluppi una creatività per il bene e il progresso dell’umanità. Quando i nostri antenati hanno capito l’importanza di questa armonia, abbiamo visto cime intellettuali, arabe o non arabe, in Andalusìa come nel mondo arabo islamico di cultura poliedrica. Ho accennato poc’anzi ad alcuni di essi: è doveroso ribadire, infine, per il mondo islamico, specialmente dopo il tramonto delle tirannìe, la necessità di educare la ragione delle future generazioni. Spetta a noi la responsabilità, come intellettuali, come educatori, come professori universitari, come partiti, scuole, istituzioni di volontariato, di dare l’importanza decisiva all’educazione della ragione nelle future generazioni. Una questione di doppia importanza: da una parte, questa educazione della ragione nei nostri giovani induce all’ampliamento degli orizzonti, il che promuove lo spirito critico e la scienza, dall’altra parte, fa crescere il pensiero logico, la moderatezza, la tolleranza, l’amicizia fra la gente, perché, più la ragione è educata, meno è incline ai pregiudizi, ai malintesi e alla chiusura mentale.
Mi rivolgo a Dio l’Altissimo, perché ci dia la forza e la possibilità per essere all’altezza della sfida di educare alla ragione la mente delle giovani generazioni, perché noi educatori, intellettuali, èlite, politici, abbiamo una grossa responsabilità a tale riguardo: non saranno capaci di andare sulla luna – di sicuro per le spese delle navette spaziali -, per portare sulla terra l’ampolla con il senno di ciascuno, come fece Ludovico Ariosto con l’Orlando Furioso, se noi non saremo capaci di educarli alla ragione. Grazie per il gentile ascolto.

ROBERT REILLY:
Grazie mille, prof. Fontolan, e grazie a Rimini. E’ davvero una gioia fantastica essere qui con voi e i miei colleghi musulmani, as-salām ‘alaykum. Volevo iniziare leggendo una preghiera in cui la persona che prega chiede la benedizione di Dio, chiede la grazia di una buona morte, chiede di vivere con Lui, di conoscerLo e di seguire il sentiero giusto. Purtroppo l’ho dimenticata in hotel, è scivolata fuori mentre cercavo di mettere ordine nel macello che vedete di fronte a me. Ma vorrei anche dirvi che volevo cominciare con questa poesia affinché voi poteste immediatamente apprezzare e capire che questa è una preghiera fatta da tutti i musulmani nei sette circoli della Ka’ba, in modo da chiarire subito che i musulmani cercano, inseguono la volontà di Dio e in quanto tali, ovviamente, meritano il nostro rispetto, sia che siamo cristiani o che apparteniamo a qualunque altra religione. Ma passiamo adesso agli eventi contemporanei. Inizio con la citazione di un famoso pensatore, un imprenditore egiziano che adesso ha fondato un partito politico. Ha detto: “Quello che è avvenuto in Tunisia e in Egitto, e quello che sta avvenendo in molti Paesi arabi, non può essere correttamente compreso se non attraverso la storia intellettuale delle società arabe degli ultimi 1400 anni”. Quindi, nei diciotto minuti che mi avanzano, parlerò dei 1400 anni perché, senza capire questo sviluppo, quello che è successo oggi non sarebbe comprensibile. Credo che la mia situazione peggiori per il fatto che cercherò di mettere tutto all’interno della cornice del discorso fatto da Benedetto XVI quando ha detto: “Io parlo della de-ellenizzazione”, ossia la perdita della ragione, la perdita della filosofia, la perdita del dono che ci hanno lasciato i greci. Questa era la parte principale, la parte inferiore si occupava dell’Islam e della de-ellenizzazione dell’Islam in quanto diagnosi.
Che cosa voleva dire quando parlava della de-ellenizzazione? Innanzitutto, che cosa è l’ellenizzazione? Dobbiamo tornare indietro di 2500 anni, all’antica Grecia, alla rivoluzione nel pensiero umano nel V/VI secolo a.C. A quei tempi, prevalse la nozione che l’universo è un insieme intelligibile e che noi siamo in grado di comprenderlo con la nostra ragione. Come può essere che la realtà esterna a noi, cioè l’universo, abbia un principio ordinatore al suo interno che la ragione non è in grado di comprendere? Questa parola viene utilizzata dai filosofi Eraclito e Parmenide, che dice che l’universo è intellegibile perché è il prodotto del pensiero, non della volontà ma del pensiero. L’universo era in primo luogo un pensiero, e c’è una saggezza aldilà di tutte le cose, che Eraclito e Parmenide chiamavamo lògos. E’ il lògos che rende il mondo intelligibile.
Il lògos, come sapete, è la parola greca che significa ragione. Una stimolazione della filosofia greca è quello che intendeva appunto il Papa quando parlava di ellenizzazione: l’ellenizzazione del mondo occidentale è conosciuta da tutti noi perché il cristianesimo è diventato ellenizzato, simulando il pensiero di Platone e Aristotele, al cui interno ha utilizzato i mezzi della filosofia greca per riconciliare ragione e fede. Cosa intendeva il Santo Padre quando ha parlato della de-ellenizzazione dell’Islam? Innanzitutto, cos’è l’ellenizzazione?
Quando l’Islam è nato, dalla penisola arabica ha conquistato l’impero persiano e grandi parti dell’impero bizantino. Qui ha incontrato, per la prima volta, nozioni filosofiche che erano sopravvissute dopo il mondo ellenico, che erano state assimilate ed erano presenti nella teologia e nella apologetica cristiana. A questo punto, si trovavano ad affrontare le seguenti domande per sviluppare la propria apologetica alla luce dell’idea della ragione, del rapporto fra la ragione e la sua rivelazione ed infine del rapporto tra la ragione e Dio. Per esempio: riusciremo a conoscere Dio attraverso la ragione? Qual è il rapporto tra la rivelazione di Dio e la nostra ragione? Come possiamo apprenderla attraverso la nostra ragione? Per rispondere a queste domande, nacque la prima scuola islamica di teologia, che era quella dei mu’taziliti: adesso vi spiego come vedevano le cose. Dio ha dato la ragione all’uomo come dono della sua grazia, attraverso la quale è possibile conoscerlo nell’ordine della sua creazione. Come può essere ciò? Perché l’ordine della creazione è di per sé razionale, quindi, attraverso la nostra mente, esaminando la creazione, è possibile giungere alla conoscenza di Dio.
Ma come si può fare? Abdul Al Jabal fu uno dei più grandi mu’taziliti a proporre delle prove. Al Jabal iniziò a dire che il primo dovere dell’uomo – non sembra proprio l’Islam che conoscete – è ragionare, non sottomettersi. Perché, disse Al Jabal, l’esistenza di Dio non è evidente di per sé, bisogna utilizzare la propria mente speculativa per riuscire ad arrivare all’idea di Dio. E come lo facciamo? Esaminando la creazione. Nella creazione vediamo che nulla ha una propria causa, si può avere una regressione infinita di cose, giungendo a una causa originaria, un causa non causata, una causa primaria. A questo punto l’uomo, attraverso la ragione speculativa, può arrivare alla conclusione che Dio esiste davvero, ma si pone un’ulteriore domanda: Dio ha mai parlato? Dio è mai entrato nella storia? Esiste una rivelazione? In realtà, ci sono varie rivelazioni in concorrenza: come facciamo noi a sapere che questa è la rivelazione vera, sincera? Ancora una volta, risponde la priorità della ragione. E’ attraverso la ragione e l’esame della rivelazione che si può testare la sua autenticità. La rivelazione è ragionevole? Questo non significa che non ci sia alcun mistero nella rivelazione, significa che nella rivelazione esistono degli elementi attraverso i quali si può giungere, attraverso la ragione, a capire se appaiono ragionevoli. C’è nulla nella rivelazione che ci chiede di negare la nostra ragione per poterla accettare? Abdul Al Jabal disse: “No, Dio non ti darebbe mai un motivo per conoscerlo attraverso l’ordine razionale della creazione e poi una rivelazione in cui ti chiede di negare la stessa ragione, perché Dio è allo stesso tempo la fonte e la sorgente della rivelazione e della tua ragione. Quindi, tutto ciò deve essere coerente”.
Esaminando il Corano, disse, per esempio, che vi si trovavano delle contraddizioni, se si prendevano nel loro significato letterale le parole di Dio.
Il Corano dice che Dio ha dei piedi, che Dio ha delle mani, che Dio siede sul trono. Ma come può essere? Sappiamo che Dio è puro spirito. Se noi prendiamo letteralmente queste parole, é irragionevole. Al Jabal disse: “Questo è il segnale che ci dice che sono metafore, quindi Dio ci porta con la ragione, in accordo con la ragione, a capire che si tratta di una metafora e non di qualcosa di letterale”. La scuola dei mu’taziliti, questi teologi razionali, divenne famosa come il popolo della razionalità e della giustizia. Quando si parla di giustizia, si intende quanto segue: Dio ha dato all’uomo, attraverso la sua ragione, il modo di capire il bene e il male, che cosa è giusto e che cosa è ingiusto. L’uomo, non il musulmano ma ogni uomo, tutte le persone, hanno questa capacità di giungere alla conoscenza morale: grazie a questo dono, sono obbligati a scegliere il bene visto che, se non sapessero come conoscere il bene, come potrebbe Dio obbligarli a sceglierlo? Quindi, prima Dio dà all’uomo l’abilità di ottenere la conoscenza morale e poi dà la libertà di sceglierla. Come potrebbe Dio ritenerti responsabile delle tue scelte se non fossi libero di scegliere? Quindi, sappiamo che la ragione può conoscere nella sfera morale e della libertà: questo insegnamento permeava così profondamente la società ai tempi del califfo Al Ma’mun, che era il più grande sostenitore del pensiero greco nella storia musulmana, che il libero arbitrio divenne una dottrina di Stato. Al Mamun fece un sogno in cui gli apparve Aristotele, a cui chiese: “Che cos’è il bene?”. Aristotele rispose che cosa è razionalmente il bene. Quindi, i teologi della scuola dei mu’taziliti promossero Al Ma’mun e Al-Kindi, il primo filosofo musulmano, i cui insegnamenti si riflettono perfettamente in quello che ha appena detto il professor Hassan per la ricerca della verità, indipendentemente da dove essa venga.
Adesso alcune note storiche su quanto fosse ellenizzato l’Islam nella prima metà del IX secolo. Vi leggerò la prefazione di un dibattito tenuto alla corte di Al Ma’mun tra un cristiano e uno dei cugini del califfo. Questo scambio prese una forma epistolare e il califfo Al Ma’mun fu così affascinato da questo scambio che chiese di leggere queste lettere di fronte a lui. Disse il musulmano al cristiano come condizione per intrattenere questo dialogo: “Porta tutti gli argomenti che desideri e dì tutto quello che vuoi, dì liberamente quello che pensi, adesso che sei sicuro e sei libero di dire tutto quello che vuoi. A un certo punto, ci sarà un arbitro che giudicherà imparzialmente tra di noi, un arbitro che tende solo alla verità e che è libero dalle forze della passione: questo arbitro sarà la ragione, attraverso la quale Dio ci rende responsabili delle nostre ricompense e delle nostre convinzioni, che mi permette di trattare con te giustamente e di darti sicurezza che io sono pronto ad accettare qualunque motivo la ragione dia a mio favore o contro di me”. Non è qualcosa di straordinario? Abdul Al Jabal spiegò il suo insegnamento con questa frase: “E’ obbligatorio seguire quello che è in accordo con la ragione”.
Quindi, la ragione è una norma morale, bisogna comportarsi ragionevolmente altrimenti si agisce contro Dio. Ecco il problema: contro i mu’taziliti crebbe una seconda scuola teologica, quella degli ashariti, che negavano ogni insegnamento della scuola dei mu’taziliti. Dio non è più razionalità e giustizia ma è puro arbitrio e potere assoluto, non è vincolato da nulla. Come osavano i mu’taziliti avere una concezione della giustizia per cui Dio sarebbe stato ritenuto responsabile? Abdul Al Jabal disse: “Dio punirà chi disobbedisce e ricompensà chi gli obbedisce. E se Dio ricompensasse chi disobbedisce e non chi obbedisce, sarebbe un tiranno”. Gli ashariti risposero: “Questo non vale per noi perché Dio può fare tutto quello che vuole, Dio può ricompensare chi disobbedisce, può punire chi gli obbedisce e non può essere contrastato per questo”. L’uomo, attraverso la sua ragione, non ha la capacità di distinguere il bene dal male perché la sua ragione è corrotta dall’interesse e, ancora più importante, perché non c’è nulla di buono o cattivo di per sé, ma solo in quanto lo decide Dio. In altre parole, l’assassinio è male di per sé? Dio proibisce l’assassinio perché è male? O è male perché è Lui che lo proibisce? La loro risposta è: “No, è male solo perché viene proibito da Lui. Poi però può cambiare idea e rendere l’assassinio rituale obbligatorio: e noi non abbiamo nulla da dire contro questo”. Nella loro idea di Dio, negavano qualsiasi tipo di causalità in natura, quindi non c’era nessuna causa che interessasse il mondo naturale. Non è il fuoco che brucia ma Dio che lo fa, il razzo non cade per la gravità ma é Dio che lo fa cadere, non esiste una sequenza intelligibile di causa-effetto in natura, dove c’è solo una causa primaria, Dio che agisce direttamente. Il risultato fu che la perdita di causa ed effetto nel mondo naturale rende la realtà inintellegibile. La diffusione della visione degli ashariti fu garantita da altri profeti, da altri studiosi: i califfi che seguirono ad Al Mamun cancellarono la scuola dei mu’taziliti a favore della scuola degli ashariti. Chiuse la Casa della saggezza, che aveva iniziato le traduzioni delle grandi opere greche. Il trionfo della scuola teologica degli ashariti nell’Islam sunnita la fece diventare la scuola teologica di maggioranza e questo influenzò principalmente la cultura araba islamica. E’ la causa della perdita di educazione, della degenerazione dell’educazione in memorizzazione: le leggi della scienza originale portarono al declino di cui ha sofferto in particolare il Medio Oriente, dopo essere stato la civiltà guida, in quegli anni, in quel periodo, in tutto il mondo.
Per parlare, come ha fatto il professor Hassan, dell’età d’oro dell’Islam, dobbiamo tornare al IX° secolo, al periodo in cui l’Islam venne ellenizzato. Ma devo passare brevemente alla rilevanza di quanto detto rispetto all’argomento di oggi. Tommaso d’Aquino, un buon italiano, vide un amico domenicano che gli disse: “Cosa dobbiamo fare con questi musulmani? Come ci dobbiamo rivolgere a loro?”. Tommaso d’Aquino rispose come segue: “Non potete affrontarli parlando della rivelazione perché non la accettano e non potete parlare della loro rivelazione perché noi non l’accettiamo. A questo punto, dovete trattarli come uomini naturali”. Che cosa voleva dire? Dovete fare appello alla loro ragione. E che cosa succede a questo punto, se nel mondo occidentale, che noi stessi abbiamo de-ellenizzato, accettando il relativismo morale e culturale che ha minato lo stato della ragione, che non consente più di conoscere la verità della realtà, affrontiamo la cultura islamica, che è stata poi de-ellenizzata per motivi diversi nel modo che ho appena descritto? Come riusciremo a parlarci tra noi, se siamo stati entrambi de-ellenizzati? E’ questa la saggezza profonda del discorso di Regensburg, che chiede una ri-ellenizzazione del mondo occidentale, quindi il ripristino della ragione e la ri-ellenizzazione dell’Islam. Una volta ho avuto la possibilità di chiedere a uno dei principali intellettuali musulmani in Euoropa, un siriano, uomo di grandissima cultura, saggezza ed erudizione: “Io ti darei risorse illimitate per dieci anni, come trasformare il mondo islamico?”. Lui si è fermato, ci ha pensato per un attimo, e poi ha detto “Lo ri-ellenizzerei”. E’ curioso, no? La stessa ricetta di Papa Benedetto XVI: e noi, che siamo ancora ellenizzati, possiamo intrattenere delle conversazioni profonde insieme.
Il titolo del mio libro è la La chiusura della mente islamica: è dedicato a quegli uomini e donne coraggiosi del mondo islamico che stanno lottando per riaprire la mente islamica. So che oggi sono con alcuni di loro. Dio vi benedica.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie a Robert Reilly per la vastità, la profondità e la sintesi con cui ci ha saputo raccontare e descrivere questi nodi così centrali, in un una tematica così affascinante come questa della ri-ellenizzazione. Ma non voglio togliere tempo a Wael Farouq, perché poi si arrabbia come me. Voglio cedere subito a lui la parola, si farà aiutare da alcune slide così sarà più semplice per tutti seguire l’itinerario del suo discorso. Prego.

WAEL FAROUQ:
Non voglio dire, come un ospite, che sono contento di essere qui ma, come ha detto don Giussani, “La vita è qui e ora”: qui e ora sono con voi vivo, anche se parlerò in inglese.
Il titolo della mia presentazione è La razionalità della religione, l’irrazionalità della religiosità: non potrei pensare a una migliore introduzione dopo quello che il professor Hassan e il professor Reilly hanno appena detto.
La radice araba da cui viene la parola ragione compare 49 volte nel nobile Corano e tutte le volte, eccezione fatta per una, appare nella forma di un verbo coniugato al presente. Nella maggior parte dei casi, appare al plurale. Quando questa radice appare nei versi coranici, è sempre nel contesto di un invito ad impiegare la ragione per capire la natura e l’essere umano, per rapportarsi a Dio. Per esempio, nel Corano si dice: “In verità, simili alle peggiori bestie di fronte ad Allah sono costoro, sordi e muti, che non ragionano. Non hanno viaggiato essi per la terra? Non hanno cuori per capire e orecchi per sentire? In verità, non sono gli occhi ad essere ciechi ma sono ciechi i cuori che sono nei loro petti”. Il nome ragione non compare nel Corano, perché non è un concetto e nemmeno un’essenza, non è nemmeno una entità definibile perfetta e fissa. E’ un processo in divenire, un percorso, un’azione, un atto, una pratica, ed è espresso da un verbo al presente, perché quello che ci interessa, quello che ci preoccupa, è la sua realizzazione, ora, non nel passato oppure nel futuro. Inoltre, è coniugato al plurale perché è la lingua che abbiamo in comune tutti quanti, un elemento dell’unità che garantisce e protegge la pluralità. Nel contesto coranico, la ragione è un ponte che collega l’essere umano con la natura, l’essere umano con Dio e anche l’io con l’altro. Ecco perché, quando il verbo ha la negazione, è accompagnato da una metafora che indica una rottura di questo collegamento: sordità, mutismo, cecità. Dio Onnipotente dice: “Non mediteranno sul Corano o hanno forse catenacci sui cuori?”. Il verbo meditare è sinonimo di essere ragionevole, utilizzare la ragione. Un’azione senza la quale il cuore, dove risiede lo spirito, rimane prigioniero. Senza la ragione, l’essere umano non è libero ma, al contrario, prigioniero di pregiudizi, stereotipi, tradizioni già congelate, fisse, che impediscono la vita che, a sua volta, è l’incontro con Dio, le sue creature e gli altri. Nel contesto coranico, la ragione è un collegamento permanente, qui ed ora, con Dio e con gli altri. La ragione e la libertà sono un rinnovarsi della creazione, giorno dopo giorno, una pratica vissuta in una realtà che si rinnova e cambia continuamente.
Questa interpretazione della ragione nel contesto coranico é forse rifiutata da una gran parte dei musulmani, perché rompe i confini della metodologia di interpretazione seguita dagli antichi studiosi che fanno riferimento, per l’etimologia della parola ragione, al processo di legare le zampe del cammello in modo che non si possa muovere. Un riferimento religioso ed etico che suggerisce che il concetto derivi dal fatto di impedire al suo possessore di finire nei guai, in altre parole ne limita i movimenti. Per gli antichi imam, ragione è la mente che, una volta testimone della veridicità del Profeta, deve cessare di agire. D’altro canto, un detto del XIX secolo dice: “Un musulmano non deve prendere le proprie credenze o i fondamenti della propria pratica da nessuno se non dal libro di Dio e dalle Parole del suo profeta”, senza la mediazione di un progenitore o successore. Tuttavia, il grande Imam in persona, così come altri Imam riformisti, viene accusato di essere agente dell’Occidente infedele e di tentare di distruggere la religione dal suo interno.
Il Corano presenta la ragione come una garanzia, un’armonia dell’essere umano con la natura, il fedele e il suo Signore, l’io e l’altro. La realtà, tuttavia, presenta una tipologia diversa di armonia, la coesistenza armoniosa di contraddizioni tra la ragione e la realtà, tra l’io e l’altro. Qual è l’origine di questa contraddizione nell’Islam di oggi, tra la religione e la religiosità, i testi e le pratiche, la ragione e la libertà? Questa contraddizione è conseguenza di un fenomeno che esiste da tempo e che io chiamo “contraddizione coesistente”. Cosa intendo dire con questo? Intendo indicare uno stato in cui modernità e tradizione non si oppongano l’una all’altra ma siano piuttosto coinvolti in un’interazione il cui risultato sono forme di adattamento reciproco. Nel contesto di una cultura che non è moderna né tradizionale, l’era moderna ha stabilito un rapporto complesso con la propria eredità storica, dove ognuna delle due è riuscita ad adattarsi all’altra; e questo ha portato ad un processo del tutto complesso, in cui sia le culture moderne che quelle tradizionali sono state riformulate costantemente, rimodellate, dando luogo ad una falsa modernità e ad una falsa tradizione, rappresentate da stili di vita e opinioni pubbliche: una miscela di entrambe le cose, dove le contraddizioni coesistono in armonia.
La falsa modernità deturpa la tradizione tanto quanto deturpa le manifestazioni autentiche della modernità. La miglior prova di tutto questo è il rifiuto della dimensione razionale, in entrambe le situazioni. Questo porta alla coesistenza di elementi distorti della tradizione con elementi distorti della modernità. Il tutto si diffonde in una nuova miscela di entrambe le cose.
Potrei fare alcuni esempi, semplicemente per spiegare quello che intendo con questa miscela poco riuscita tra falsa razionalità, falsa modernità, falsa tradizione. Questi elementi si possono applicare alla moderna cultura araba, ma anche alla tradizione islamica. E’ una separazione tra mezzi e obiettivi, dove i mezzi diventano più importanti degli obiettivi. In tanti Paesi islamici, proprio in questi giorni, troviamo che per esempio che si applicano delle pene tipo il taglio delle mani o dei piedi e insieme sono molto importanti obiettivi tipo la tutela della ricchezza. Ci sono pene che vengono ritenute molto più importanti degli obiettivi per cui le pene sono state inizialmente istituite nell’Islam e nel Corano. E’ una sorta di legittimazione del passato rispetto al presente e succede sia per quanto riguarda l’era moderna che la tradizione.
Nessuno degli intellettuali musulmani, islamisti o liberali, si preoccupa del presente Nella maggior parte dei casi, tutti si preoccupa del passato, tornano continuamente al passato e cercano una qualche conferma nel passato, uno studioso in grado di giustificare l’attuale approccio alla realtà: il presente è sempre prigioniero e ha le mani legate al passato. La contraddizione tra forma e contenuto, poi, è una cosa che possiamo trovare in quella che viene definita l’islamizzazione dell’era moderna. Alcuni estremisti musulmani rifiutano ciò che è moderno, occidentale. Usano i cellulari ma se gli si dice: “Come fai a usare il cellulare, che è un prodotto dell’Occidente infedele?”, mettono versetti del Corano al posto della musica, così possono considerarlo un telefono cellulare islamico ed usarlo. Capite? Liberali e modernisti non differiscono molto, da questo punto di vista, perché abbiamo visto nel nostro Paese istituzioni liberali che per decenni hanno giustificato una tirannia oppure una dittatura: e siamo sempre testimoni della contraddizione che c’è tra forma e contenuti. Poi, c’è un quarto elemento di cui vorrei parlare: la rinuncia al pensiero. C’é una sorta di rinuncia al pensiero che viene lasciato all’elite. La società non pratica più la razionalità che viene lasciata alle èlite liberali che lavorano da mediatori tra l’Occidente e il mondo islamico, o all’élite islamista che lavora come mediatrice, diciamo tra il presente ed il passato, tra noi e gli antenati. E veniamo all’aspetto dell’esclusione, un punto molto interessante. Fondamentalisti e modernisti, alla pari, escludono il diverso. Gli estremisti respingono il dialogo, perché tutto quello che è altro è diverso. I modernisti respingono la propria identità in nome del dialogo con gli altri. Quindi, abbiamo queste due tipologie di esclusione. Il sesto punto di cui vorrei parlare si chiama, nel linguaggio di don Giussani, ideologia, identificazione con un’ideologia. Modernisti liberali e islamisti sono tutti improntati all’ideologia: entrambi non usano la ragione. Chi sostiene Marx, sostiene in realtà una teoria, e lo stesso fa il liberale e l’islamista. Il settimo elemento è la mancanza d’armonia, armonia con il tempo e il luogo e tra tempo e luogo.
Tutti gli intellettuali del mondo islamico si dividono tra due correnti: la prima è quella dei modernisti, dei più liberali, che vivono il momento attuale ma con il cuore e la mente appartengono all’Occidente, vivono adesso e ora, ma non qui. I fondamentalisti vivono invece qui, però il loro paradiso è nel passato, sono ancorati a un passato che vorrebbero ripetere: vivono qui ma non vivono ora, e questa è la netta separazione che c’è nel mondo islamico. L’unico modo per uscire da questa contraddizione è l’educazione. Senza l’educazione, una società continua solo a riciclare il passato, senza peraltro ottenere gli stessi risultati. Praticamente, vive il presente senza realizzare le proprie potenzialità, aspetta un futuro che, però, non contiene un luogo dove poter vivere. Il processo educativo non è semplicemente la trasmissione di valori, idee, credenze da una generazione all’altra. La radice della parola educazione, in arabo, significa aumentare, crescere e anche sviluppare. Quindi, la vera e propria educazione è il processo secondo cui si aggiungono e si sviluppano determinati valori, immergendoli in un nuovo contenuto umano. E questo avviene quando li si mette in pratica nella vita di tutti i giorni, in modo che diventino oggetto di riflessione e interazione. In questo senso, bisogna dire che conservare i valori, le tradizioni, non significa congelarli quanto piuttosto svilupparli e fare loro assumere nuove forme che danno espressione ad una nuova realtà. In questo modo, il rapporto col passato può diventare fruttuoso. Il passato deve essere proposto soltanto come una esperienza vissuta, una realtà vissuta. Questo è ciò che rende possibile l’approccio critico al passato, perché una critica costruttiva e fruttuosa non separa il sapere teorico astratto dalle esperienze vere e umane. Questo è l’unico tipo di critica capace di far rivivere valori e tradizioni, e potenziarli: i peggiori pericoli del processo educativo sono imitazione e inibizione della creatività. Infatti, che cosa è l’educazione, se non il processo secondo cui si risveglia alla curiosità, si risvegliano le domande, si stimola la ricerca, il sapere, si sviluppa la consapevolezza di una persona e la sua comprensione del mondo, consentendo a questa persona di assumere un atteggiamento positivo nei confronti di tutto ciò che la circonda? L’educazione non è nulla se non costruire la capacità di una persona di stabilire un rapporto fruttuoso con se stessa e con gli altri e con il mondo intero. Le tradizioni non sono fatte per essere conservate ma per essere vissute e vivere, per essere riprodotte in maniera creativa, come dice Goethe: “Ciò che hai ereditato dai padri, conquistalo ancora se veramente lo vuoi possedere”. L’educazione, quindi, non è la conservazione delle tradizioni, bensì un’interazione con le tradizioni in un processo di auto consapevolezza critica. In questo senso, le tradizioni si aggiungono ai valori di una nuova generazione che, praticandoli, vive l’esperienza della precedente. L’azione creativa consiste nel rapporto delle tradizioni con la realtà e l’altro, che forgia l’identità umana e compensa l’armonia persa tra l’ora e la storia, il qui e il suo circondario.
Ecco perché sviluppare la capacità di agire e di interagire dovrebbe rappresentare l’obiettivo più alto di qualsiasi processo educativo. Il processo educativo non è semplicemente un rituale che la società compie ad ogni nuova generazione, perché possa vivere una primavera eterna. E’ invece uno sviluppo, un processo che assomiglia alla crescita di un albero la cui chioma non si può ergere verso il cielo a meno che le radici non siano piantate in profondità nel terreno. Le riforme che non associano ragione, educazione e libertà, sono destinate a non avere successo. E qualsiasi forma di educazione non riesce a rappresentare un incontro se non è accompagnata da quello che dicevo: è questa la mia esperienza qui, al Meeting di Rimini, proprio un incontro. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
L’applauso è meritato ma lo interrompo perché il professor Hassan mi ha chiesto un minuto, non due, un minuto per un commento. Poi cederò l’ultima parola a Robert Reilly perché ha trovato quel foglio che tanto disperatamente cercava: adesso abbiamo la curiosità di sapere che cosa dice la preghiera. Prego, professor Hassan.

ABDEL-FATTAH HASSAN:
Grazie, signori. Ho cercato di essere breve nel mio intervento però ho un commento su ciò che ho sentito dal professor Reilly che, parlando del cuore, mi ha fatto ricordare che è una cosa uguale in tutti gli esseri umani, come dice don Giussani che ha parole sempre sagge. E quindi, parlando di al-Ma’mūn, il califfo abbaside, cioè della supremazia della ragione nell’epoca d’oro dei musulmani, ha usato la parola educazione che, come etimologia araba, significa “derivata da un’altura”, “colui che viene educato molto bene con saggezza come se fosse su un’altura che abbraccia tutti gli altri e che rispetta tutti gli altri”. Quando ho parlato di Lodovico che è andato sulla luna per rinsavire Orlando, volevo dire esattamente che, se non ci assumiamo la responsabilità di educare le prossime generazioni in base alla ragione, con tutti i significati, pagheremo un prezzo e non arriveremo a risultati proficui. Concludo dicendo che il gentilissimo uditorio non deve pensare che questo sia estremamente difficile, anzi, quando ho avuto questa educazione per mano dei dotti musulmani che hanno capito il contenuto vero e proprio dell’Islam, ho realizzato la mia religione mettendomi in contatto con gli altri e rispettandoli. Ho vissuto tutta l’esperienza di cui ha parlato il professor Wael. Abbiamo lavorato insieme con i Padri Comboniani per sette anni, in un ambiente di rispetto reciproco, di amore, amicizia e fratellanza umana. Quindi, secondo me, se cerchiamo di preparare questi educatori, il razionale vincerà per forza – ne sono sicuro – l’irrazionale. Non dobbiamo perdere mai la speranza, tanto è vero che, avendo dietro le spalle tante esperienze vissute, adesso la mia esperienza esce alla grande per la seconda volta dal Meeting di Rimini. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Nel frattempo, Robert Reilly mi segnalava che ha trovato quel famoso foglietto che cercava disperatamente. Ci aveva lasciato prima con la grande curiosità di questa preghiera. Adesso, quindi, lo prego di concludere il nostro incontro con questa preghiera che mi sembra anche un modo degno di concludere questa occasione, nella quale io personalmente ho imparato tanto. Credo che sia uno dei grandi successi del Meeting: quando noi impariamo qualcosa, il Meeting ha aggiunto qualcosa alla nostra umanità. Prego, Robert.

ROBERT REILLY:
Vorrei ringraziare tantissimo il professor Fontolan per avermi concesso di terminare dove in realtà intendevo iniziare. Sapete qual è la grande scoperta della natura umana e il grande dono della ragione e della filosofia? Ci rivela l’idea della natura umana. Questo significa che il professor Fattah Hassan, Roberto Fontolan, Wael Farouq, e io e tutti voi, abbiamo delle anime che sono ordinate verso lo stesso bene. Questo è il significato di natura umana e questo bene, ognuno di noi a suo modo, conosciamo e sappiamo che questo bene è Dio. E adesso, la mia breve introduzione a questa preghiera. Volevo farvi una sorpresa e non dirvi la sua origine, ma voi sapete già che viene dal settimo circuito della Kabbalah. Eccola. “O Dio, ti chiedo la fedeltà perfetta, una sincera garanzia e un cuore o un tempo da ricordare, una buona condotta e un vero pentimento. Pentimento prima della morte, il riposo e la morte e il perdono e la grazia dopo la morte, la clemenza al risveglio, la vittoria in Paradiso e la fuga dal fuoco attraverso la tua grazia. Dio Onnipotente che perdoni, Signore, aumenta la mia conoscenza e uniscimi al bene”.
E’ strana no? Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Questo nostro incontro è ormai come un film di quelli che hanno più conclusioni, e ogni conclusione è un po’ sorprendente rispetto alla precedente. Nel frattempo Wael vuole aggiungere ancora una parola molto breve. Ti concediamo tutti ancora un minuto.

WAEL FAROUQ:
C’è un personaggio del folklore musulmano che si chiama Goha. Goha un giorno era per strada, cercava qualcosa. Spostava tutte le pietre. Alcuni passanti videro che stava cercando qualcosa e gli chiesero: “Possiamo aiutati? Cosa hai perso?”. Lui disse: “Ho perso la chiave della mia abitazione. E allora tutti si misero a cercare la chiave di casa insieme a Goha. Dopo moltissimo tempo, qualcuno si fermò e gli disse: “Dove ti è caduta la chiave?”. E lui: “Dentro la casa”. Gli chiesero: “Ma perché stiamo cercando per strada?”. E lui: “Perché la casa è scura e la strada invece è illuminata”. Questa è la storia di Goha, ed è una storia molto importante perché dobbiamo sempre essere consapevoli che la luce della nostra amicizia non sposterà la nostra attenzione dall’oscurità che ci circonda. Abbiamo una responsabilità e dobbiamo essere consapevoli di questa responsabilità. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Pronuncio effettivamente la parola “the end”, la parola fine a questo nostro bellissimo, affascinante e molto profondo incontro. Penso che avremo occasione, nei prossimi Meeting, di andare avanti su questo grande filone di interesse. Ringrazio i nostri magnifici relatori, vi auguro una buona serata.

Data

20 Agosto 2012

Ora

19:00

Edizione

2012

Luogo

Sala A3
Categoria
Incontri