INVITO ALLA LETTURA

QUALE SCIENZA PER QUALE UOMO? La sfida della biopolitica
Presentazione del libro a cura della Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II (Ed. Cantagalli). Partecipano: Alfredo Mantovano, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno; S. Ecc. Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro.
A seguire:
LE CINQUE PROVE DELL’ESISTENZA DELL’UOMO. Alla radice della bioetica e della biopolitica
Presentazione del libro di Carlo Casini, Deputato al Parlamento Europeo e Presidente del Movimento per la vita (Ed. San Paolo). Partecipa l’Autore.
Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

 

CAMILLO FORNASIERI:
Buonasera, un caro benvenuto a tutti voi. Iniziamo questo secondo momento di presentazione di libri che, proposti dal Meeting di Rimini, riguardano due tematiche simili nel campo della bioetica, della biopolitica, del rapporto tra scienza e concezione della vita, con le ricadute applicative, operative, sociali e culturali sulla vita personale e del paese.
La prima proposta è della casa editrice Cantagalli, da sempre attenta ai dibattiti che toccano la concezione antropologica della nostra società: si tratta del libro della Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero della Chiesa. La Fondazione Giovanni Paolo II è un esempio di quelle strutture, di quegli istituti che sono nati negli ultimi vent’anni sotto la spinta di Giovanni Paolo II, nella certezza che fosse necessario ripercorrere e ritrovare i punti fermi, i motivi ideali, i criteri sociali e culturali che creano una convivenza. La Chiesa e il magistero hanno notato questa grande debolezza, questa dissolvenza che vediamo in tanti interventi, in tante prese di posizione e anche nel dibattito legislativo riguardo alle politiche familiari, alla nascita della persona, al finis vitae. Il libro che presentiamo si intitola: Quale scienza per quale uomo? La sfida della biopolitica. Abbiamo con noi due importanti ospiti. Presento prima Sua Eccellenza Monsignor Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, che salutiamo. Il secondo ospite è Alfredo Mantovano, Senatore, Sottosegretario agli Interni del nostro paese, che salutiamo, contenti di incontrarlo e di averlo tra noi. Personalmente stimo moltissimo l’equilibrio e la precisione, la capacità divulgativa dei suoi interventi in questa materia.
Quale scienza per quale uomo? Il punto di vista che viene raccolto in questo libro di Cantagalli correda sostanzialmente due grandi convegni, svolti dall’Istituto Giovanni Paolo II, a cui hanno partecipato eminenti scienziati, giuristi e teologi. Ne cito solo alcuni: Sergio Belardinelli, che era qui l’altro giorno, Simona Beretta, Francesco Botturi, Luigi Campiglio, anche lui ospite qui al Meeting, Mario Gargantini, Assuntina Morresi, Massimo Serretti, Carlo Soave, ecc.
Luigi Negri ha animato e generato questi momenti che favoriscono moltissimo la comprensione di che cosa sia questo territorio nel quale la scienza si è avventurata, come qui si dice spesso, non tenendo conto dell’oggetto, l’uomo, che è un soggetto, qualcosa di unico, di irripetibile, di totalmente diverso nel campo della natura. Ha dunque voluto guardare i due lati, quello della scienza, che spesso viene definita come tecnoscienza in senso riduttivo. Come dire, una scienza che dovrebbe guardare all’aspetto conoscitivo e quindi mantenere un metodo aperto e corretto, si piega invece alla tecnologia. Il termine biopolitica potrebbe essere inteso in senso negativo, cioè la politica che si interessa di ciò che è oggetto della cultura; ma nello stesso tempo è una frontiera di cui la politica deve occuparsi, perché si interseca con la giurisprudenza e con il diritto. Anche in questo campo del diritto, vediamo quante interpretazioni vi siano, quante difficoltà, a volte, di comprendere i termini della questione.
Mantovano è magistrato per origine, cultura e lavoro. Adesso naturalmente è in aspettativa per il suo impegno politico, ma il diritto è il risvolto di un’esperienza di popolo, qualcosa scritto a capocchia da qualcuno che però fa parte di una storia, di uno stratificarsi nel tempo. Chiediamo a lui un primo intervento sul fronte socio-politico di queste tematiche che ci aiuti a comprendere qual è il cammino che ci aspetta in questo tempo e quali sono le frontiere ancora aperte.

ALFREDO MANTOVANO:
Grazie a tutti voi per l’invito, un saluto alle personalità presenti, in particolare a Sua Eminenza e ai Vescovi che sono in questa sala, al Presidente Carlo Casini e a tutti coloro che sono qui. Il libro, curato dalla Fondazione Giovanni Paolo II, con l’introduzione di Monsignor Negri, è molto utile, pieno di spunti interessanti. Ma per parlarne, vorrei riprendere il passaggio di un altro libro, che certamente è più conosciuto di quello che presentiamo, dal quale è stata tratta una serie di film che lo hanno fatto conoscere anche a chi non lo aveva letto in originale: è Il Signore degli Anelli. In un dialogo tra Eomer, che sta per affrontare insieme ai suoi compagni della Compagnia dell’anello la grande battaglia contro il male, contro Sauron, e Aragorn che è il condottiero, alla vigilia dello scontro decisivo, Eomer pone un quesito: come può un uomo, in tempi come questi, decidere quello che deve fare? È un quesito vecchio, Tolkien fa rispondere così ad Aragorn: “Come ha sempre fatto, il bene e il male sono immutati da sempre e il loro significato é il medesimo per gli elfi, per i nani, per gli uomini. Tocca a ciascuno di noi discernerlo”. Come ha sempre fatto: è la risposta del condottiero e richiama l’eternità della questione etica, la perpetua validità di principi in base ai quali dobbiamo affrontare le questioni nuove che sono poste dall’avanzare della tecnica e della scienza. Questi principi riguardano anzitutto la persona. Quando si richiamano elementi di realtà per cogliere l’identità della persona, per capire per esempio quando inizia e quando termina la vita, non può essere un fatto lasciato allo scambio di opinioni – e certe volte non si accetta neanche quello -, deve essere ancorato a dati oggettivi. Ecco, quando si richiamano elementi di realtà per affrontare temi relativi all’identità della persona, ci si imbatte in una serie di riflessi condizionati, di luoghi comuni.
Vorrei iniziare soffermandomi su una rassegna dei più diffusi luoghi comuni, perché poi, sul merito delle singole questioni, rinvio alla lettura del libro, che non merita di essere riassunto in poche battute. A chi parla del rispetto del diritto naturale, dei principi per affrontare in modo particolare i temi della biopolitica, vengono formulate una serie di accuse che costituiscono i capi di imputazione di un decreto di rinvio a giudizio. L’accusa più frequente è: “Sei un integralista”, seguita da una variante che concorre: “Sei un confessionale”, cioè hai la pretesa totalitaria di stabilire delle regole a tavolino, di spacciarle per regole etiche e di imporle agli altri, hai nostalgia dello stato etico, poni a rischio la libertà dell’individuo, e così via. Queste sono le più diffuse.
Su alcune, francamente, è difficile impostare una risposta, perché a chi mi dice: “Sei un integralista”, io provo a chiedere: “Mi spieghi cosa significa?”. Se significa tentare – poi, riuscirci dipende dalla grazia di Dio e dalla nostra disponibilità ad accoglierla – di rispettare integralmente i principi relativi alla verità della persona, se questo, anche solo il tentativo, costituisce l’essere integralista, va bene, ammetto l’addebito, perché qui io do una interpretazione positiva e il mio interlocutore ne dà una negativa. Proviamo allora a considerare le altre imputazioni, non senza notare con una certa curiosità che, nell’ultimo anno in modo particolare, si è aggiunta una variante, perché coloro che respingono come illiberale ogni prospettiva di diritto naturale, si mostrano poi animati da una singolare ansia moralistica. Da un lato bollano come oppressivo il lavoro teso ad agganciarsi a parametri etici oggettivi, dall’altro pretendono di valutare l’azione politica di un Governo, di una maggioranza, sulla base dei comportamenti privati di singoli uomini politici, qualche volta anche di donne politiche. Da un lato, sostengono campagne per l’aborto di massa, a favore della selezione genetica degli embrioni, per l’eutanasia, dall’altra si ergono a censori della moralità individuale. Non è soltanto un paradosso, credo sia una presa in giro e quindi, come tale, un fatto intollerabile per ogni persona che abbia un minimo di buon senso.
Ora, tutti questi luoghi comuni partono da un presupposto altrettanto comune, quello di intendere la libertà come scissa dalla verità. Su questo aspetto il libro si sofferma. Riecheggia qui una espressione tanto sintetica quanto saggia di Giovanni Paolo II, il quale diceva: “La libertà ha bisogno di essere liberata”, e l’opera di liberazione della libertà deve cominciare dalla persona: questo è il filo conduttore del volume. Certo, nel mondo occidentale c’è una robusta corrente di pensiero che considera quello che noi chiamiamo diritto naturale, legge naturale, come qualcosa di molto opinabile, e vuole ancorare i valori della persona al concetto di libertà, per cui la libertà sarebbe giusta solo quando incontra come limite la libertà altrui. Come si dirime però il conflitto tra le due libertà che si confrontano, se manca un riferimento oggettivo? Il conflitto si dirime ricorrendo al giudice: non so se questa oggi sia la scelta più accettabile e soprattutto più di soddisfazione dal punto di vista della tutela dei diritti.
Affermare che esiste un diritto naturale che precede il diritto dello Stato, che precede l’affermazione del diritto da parte dei giudici, significa, come recita uno dei capi di imputazione, sostenere lo Stato etico? Io inviterei a non confondere due concetti che sono assolutamente diversi. Non confondiamo lo Stato etico, che è una cosa, con lo Stato che riconosce l’esistenza dell’etica, che è altra cosa. Le due nozioni non sono uguali. Lo Stato conforme a diritto naturale non è uno Stato etico, non è uno Stato assoluto, ma è uno Stato che conosce almeno due ordini di limiti, uno di carattere superiore dei diritti, che nessuna maggioranza, nessun giudice possono cancellare o violare, uno di carattere inferiore, le singole persone portatrici di questi diritti, le comunità, i corpi intermedi che devono essere rispettati fino in fondo.
Con la nascita dello Stato moderno, a partire da ciò che accade attorno alla Rivoluzione francese, gli Stati cercano di liberarsi di questi diritti, cercano di diventare assoluti, sciogliendosi sia dal limite superiore che dal limite inferiore. E proprio per liberarsi di questi limiti i consiglieri dei Principi inventano la categoria dello Stato etico, che non è lo Stato che rispetta l’etica ma lo Stato che si proclama unica fonte dell’etica. È una differenza non di poco conto. È Stato etico quello che, fondandosi sul potere dei giudici, pretende di uccidere Eluana, come ha fatto. E’ Stato etico quello che considera se stesso e le proprie leggi fonti di eticità, che non riconosce l’esistenza di un diritto naturale che nessun giudice potrebbe cancellare. Se vale il principio secondo cui lo dice la Cassazione quindi è morale, questo vuol dire che un potere dello Stato diventa fonte dell’etica. Al contrario, si schiera contro lo Stato etico chi ha sostenuto che Eluana non poteva e non doveva essere uccisa, non perché lo dicono i Vescovi, perché lo scrive Avvenire, ma perché cosi facendo si violava il principio “non uccidere”, che è il principio di una legge che viene prima dello Stato, in nome dell’assioma secondo cui può anche dirlo la Cassazione ma resta immorale, perché è sempre omicidio.
Noi siamo accusati di essere confessionali, ma in realtà io ribalto l’accusa: esiste un confessionalismo laico, anzi laicista, che è molto più pericoloso, perché si basa su presupposti ideologici fondati non sul rispetto della persona ma su ciò che viene deciso a tavolino. E si pone questo confessionalismo laicista perfino contro il consenso popolare: dicendo questo penso non soltanto a questioni come l’aborto o l’eutanasia – poi Carlo Casini sarà molto più approfondito sul punto -, penso alla questione della cosiddetta omofobia. Attraverso leggi e prassi presentate come di contrasto all’omofobia, in realtà si punta a proibire e a punire non discriminazioni, manifestazioni di odio per gli omosessuali, che nessuno auspica e ancor meno teorizza, ma la possibilità di affermare e magari di documentare anche scientificamente che l’omosessualità è una disarmonia rispetto alla visione naturale dell’uomo. È scandaloso dire una cosa del genere? Se anche in Italia fossero approvate norme come quella verso le quali spinge con forza l’Unione europea, che avrebbe mille altre cose di cui preoccuparsi – provasse a onorare Trattati con paesi extraeuropei in materia di immigrazione, sarebbe un minor peso per l’Italia, per esempio, e invece sta li a spingere sulla questione omofobia -, se diventassero norme generalizzate anche in Italia, diventerebbe illecito leggere in chiesa san Paolo, quando distingue l’amore secondo natura e l’amore contro natura, fantasie.
Una persona autorevolissima, con un curriculum che sfido chiunque ad averne uno uguale, come Rocco Buttiglione, non ha potuto diventare Commissario europeo perché ha osato dire che, secondo l’insegnamento della chiesa, l’omosessualità è un peccato, cioè un disordine morale, quindi non è una cosa campata in aria. Qualche settimana fa, una prestigiosa università americana ha licenziato un professore di Storia delle Religioni colpevole di avere prospettato oggettivamente e senza deprecarlo il pensiero cattolico sull’omosessualità, mentre, sempre poche settimane fa, un pastore protestante svedese è stato condannato in sede penale perché reo di avere letto in chiesa i testi biblici sull’omosessualità.
Allora, e per concludere, provo a giungere al nocciolo della questione. Credo che tutti ci rendiamo conto che negli ordinamenti occidentali esistono ormai due concezioni della democrazia. C’è una concezione della democrazia che vede nel voto un pragmatico e civile metodo per assumere decisioni su varie questioni della nostra vita quotidiana. Chi aderisce a questa concezione, la democrazia come metodo, non porta il cervello all’ammasso della maggioranza. Non è che tutto ciò che decide la maggioranza è buono perché ogni metodo ha dei limiti prestabiliti, semplicemente constata l’utilità del decidere a maggioranza nel rispetto di certi limiti. Ma c’è un’altra concezione della democrazia, una concezione della democrazia che potremmo definire elitaria, si potrebbe chiamare con maggior cognizione di causa giacobina, secondo la quale la democrazia non è un metodo ma è un risultato. Le élite sono legittimate ad interpretare la volontà popolare anche quando la volontà popolare ha detto qualcosa di diverso, perché loro hanno la ricetta per guidare il popolo verso i lidi che sono ritenuti i migliori per tutti. Questa concezione giacobina, elitaria, della democrazia oggi ha assunto la veste di democrazia giudiziaria: nel libro è detto molto sul punto, il popolo partecipa all’evoluzione positiva della società, non con il voto di tutti ma attraverso le minoranze più sensibili e più aperte che chiedono e ottengono dai giudici di realizzare la democrazia anche senza il consenso del popolo. Questo non accade soltanto in Italia. È esemplare la vicenda del matrimonio tra omosessuali negli Stati Uniti, i referendum dei singoli Stati lo bocciano, i giudici lo legittimano.
La Corte costituzionale italiana non è ancora arrivata a tanto, ma in una recente sentenza ha perentoriamente esortato il legislatore italiano a disciplinare le unioni gay, preannunciando propri futuri interventi se il Parlamento non si piegherà ai diktat della giurisprudenza. Questa funzione del magistrato non è più quella di esecutore della legge, di attuatore della volontà del Parlamento, questa concezione residua ancora in tanti magistrati che svolgono al meglio il loro lavoro per cui non è che sia morta, può riprendere ad essere diffusa, diciamo che non è più dominante, è ammalata. I giudici di oggi, nella parte più evoluta, progressista, giacobina – scegliete voi il termine più adatto -, non si propongono come esecutori della legge ma come esecutori del diritto, o meglio, di ciò che ai loro occhi appare essere il diritto. Oggi, nella magistratura, verrebbe da dire nelle magistrature, perché anche il Tar e il Consiglio di Stato non scherzano con certe pronunce, è prevalente la concezione secondo la quale i giudici, che sono i sacerdoti di questo nuovo dio laico, anzi laicista, plasmano la società in funzione di quell’etica che prima definivo di confessionalismo laicista.
Perché prevale il confessionalismo laicista? Perché è quello che maggiormente esalta il ruolo del giudice, che riassume contemporaneamente i compiti di magistrato e sacerdote: magistero morale e magistero giuridico si unificano e vengono gestiti contestualmente. In più, il potere giudiziario si trova a costruire il diritto in simbiosi con una stampa altrettanto avanzata, progressiva, giacobina, e si salda questa parte della magistratura con questa parte dei media per cui giocano quasi a ping-pong, gli uni legittimano gli altri, gli uni avanzano perché i media li fanno avanzare e li elevano nella considerazione sociale, e gli altri capiscono di svolgere una funzione importante perché contribuiscono all’avanzata di coloro che adottano determinate decisioni. Le grandi svolte ideali, in questo modo, non sono determinate dall’esito delle elezioni ma dalle sentenze delle Corti, di quelle nazionali, di quelle europee. Arriviamo al punto che una Corte che non è un organismo dell’Unione europea in senso proprio, viene spacciata come tale: è in realtà un organismo molto opinabile, espressione del Consiglio d’Europa, però arriva al punto di dire ad uno Stato membro e sovrano se negli edifici pubblici ci debba stare o meno il crocefisso. Io credo che il Governo italiano abbia, come ha fatto, il sacrosanto diritto e dovere di pretendere che questo sconcio sia cancellato.
In questa ottica, c’è anche una diversa valutazione del voto popolare. In Italia ci sono stati negli ultimi decenni tre referendum: uno sul divorzio, uno sull’aborto e uno sulla fecondazione artificiale. Diciamo che, a partita ancora in corso, stiamo perdendo due a uno. La cosa che credo cada sotto gli occhi di tutti è che del referendum sul divorzio e del referendum sull’aborto si parla in termini sacrali, si tratta di leggi di cui non si può neanche ipotizzare da lontano che una virgola sia spostata di un centimetro, perché sono ancora intoccabili. La Costituzione si può cambiare, ci mancherebbe altro, ma la 194, e prima ancora la legge sul divorzio, neanche si può discuterne degli aspetti marginali. Poi però c’è stato il referendum del 2005 sulla fecondazione artificiale: lì, è vero che vale gol 1, però è stato uno di quei gol proprio da entrare nella classifica della Champions League. Beh, sono passati pochi mesi e la Corte costituzionale prima, poi la Corte di cassazione, ne hanno demolito i risultati alla faccia della volontà popolare. Quindi, la democrazia giudiziaria incide anche sull’esito del voto.
Allora, concludendo, il ritorno ad una sana prospettiva di diritto naturale, che fa da sfondo e da filo conduttore al volume curato dalla Fondazione Giovanni Paolo II, serve a fare chiarezza. Grazie alla sua dimensione antropologica, crea una base di autentica collaborazione fra credenti e non credenti. Grazie al suo aggancio alla realtà, evita derive che sono al tempo stesso relativistiche e moralistiche. Noi non stiamo facendo un discorso astratto, non lo fa questo libro, stiamo facendo un discorso di collegamento tra lo scopo e i mezzi. Se si ha ben chiaro lo scopo – stavo per dire tra i fini e i mezzi, ma di questi tempi si corre il rischio di qualche equivoco, meglio usare il termine scopo -, si trovano anche i mezzi. Vorrei ricordare questo episodio, e chiudo veramente, che veniva spesso raccontato da quel grande genetista che era Jerome Lejeune. Diceva che mezzo secolo fa, un dottore esecutore di aborti, negli Stati Uniti, ebbe un’idea. Decise di applicare alla sua attività, che era quella di boia di bambini, se vogliamo chiamare le cose con il loro nome – scusate non riesco a misurare le parole, anzi, l’ho misurata ma mi esce proprio così, boia di bambini, esecutore di aborti in fila – la scoperta di una molecola, la minopterina, che produce un effetto chimico, nel senso che inibisce il metabolismo dell’acido folico, cioè impedisce all’embrione di moltiplicarsi attraverso le proprie cellule e di crescere. In questo modo ha moltiplicato nel minor tempo gli effetti della sua azione. Non sempre gli è andata bene, dal suo punto di vista, nel senso che qualcuno è riuscito a nascere, ma è nato con terribili malformazioni del sistema nervoso centrale, spina bifida e così via. Trent’anni dopo, due medici di impostazione assolutamente differente scoprono che la stessa molecola, somministrata alla madre in dosi particolari e in presenza di rischi per il sistema nervoso centrale, riesce a curare in utero il rischio di malformazione.
Perché richiamo il rapporto fra mezzi e scopo? Perché, se il fine perseguito da quel medico abortista fosse stato la lotta contro la malattia e non la morte, probabilmente la profilassi della spina bifida, dell’idrocefalia e tante tragedie concrete sarebbero state sconfitte con tre decenni di anticipo e decine di migliaia di bambini in tutto il modo ne avrebbero tratto giovamento. Credo che se si ribalta, sulla base di una corretta adesione al diritto naturale e di un etico ristabilimento del rapporto fra scopo e mezzo, l’insieme della nostra vita, potremmo ottenere risultati di vita e non di morte, di salute e non di malattia, per tanti nostri confratelli, in quest’epoca così difficile.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie per la consueta chiarezza e forza interpretativa e corrispondenza con la realtà. Adesso, un intervento sulla ricerca delle radici culturali e spirituali che rendono ancora incerto questo riconoscimento del diritto naturale e questo metodo espressivo della società, che riconosce il valore nella persona e nella sua esperienza.

S. ECC. MONS. LUIGI NEGRI:
Grazie ad Alfredo perché la completezza e la pertinenza del suo intervento mi esimono da tanti altri discorsi. Voglio indicare i punti di interesse di questo volume, non solo per gli scienziati, per i filosofi, per i teologi, che pure attivamente e intelligentemente partecipano a questi seminari, ma per il popolo di Dio. La prima cosa che è evidente dalla impostazione del volume è che questa non è una battaglia facoltativa. Mi spiego? Non è che si possa salvare la fede e neanche il proprio cuore se non si arriva a percepire che quello che è in questione oggi è un pervasivo attacco all’esistenza stessa dell’uomo nella sua identità, nella sua intangibilità, nella sua libertà, nella sua dignità, nella responsabilità che egli ha di fronte a se stesso e di fronte alla realtà. Questa, secondo me, è una cosa di enorme importanza sul piano della concezione della fede e del metodo educativo alla fede. Quando ci siamo incontrati, non eravamo soltanto esperti che mettevano in comune i loro interessi, nella varietà delle impostazioni, dei metodi e degli obiettivi – perché le scienze hanno obiettivi e metodi diversi dalla teologia e dalla filosofia -, non era soltanto una messa in comune di abilità, era la messa in comune di una disponibilità a combattere per il senso vero della vita umana e per il senso vero della fede. Credo che questo sia importantissimo.
Io ho vissuto per più di cinquant’anni con monsignor Giussani, che aveva una formula che ritornava continuamente nei momenti di grandi scontri. Noi siamo passati attraverso tutti gli scontri per cui si poteva passare, anzi, qualche volta li abbiamo creati anche noi, un po’ di questi scontri. Ma Giussani diceva: “Non si può vivere senza sentire l’odore delle polveri e non si può non avere chiaro chi è il nemico”. Non è un interesse particolare, quello che ci muove. Quando leggerete questo libro, alcuni contributi vi corrisponderanno di più, per la vostra formazione e la vostra sensibilità, e altri di meno. Ma non è un centone di esperti, é uno strumento per la consapevolezza critica del mondo in cui viviamo, della fede che ci è stata data, della missione che ci è stata consegnata. Per questo sono contentissimo che sia uscito, perché è l’immagine di quello che avevo in mente quando è nata la Fondazione Giovanni Paolo II per la Dottrina Sociale: non la conservazione astratta del magistero, ma neanche uno svolgimento di problematiche che prescindesse dal magistero, qualcosa che facesse invece del magistero l’autentica ermeneutica dei problemi anche specifici. Su questo problema della biopolitica siamo all’inizio, ma possiamo dire che ci siamo riusciti. Quindi, è una battaglia non facoltativa. Se l’amore al proprio cuore o se l’amore alla propria fede non vede oggi messo gravemente in crisi il senso ed il destino dell’uomo da quello che va sotto il nome di biopolitica, la fede diventa un sentimentalismo spiritualistico e il mondo risulta dominato dalla mentalità anticristiana, contro la quale i cristiani sembra che non abbiano nulla da dire.
Detto questo, che per me è il contributo fondamentale, la seconda osservazione. Mi pare che questo volume individui con chiarezza la linea che conduce dai grandi totalitarismi del XIX e XX secolo a questa nuova forma di totalitarismo che non è meno grave, anzi, è molto più insidiosa perché molto più soft, ed è molto più corredata da presunzioni di carattere scientifico e di carattere giuridico. La lettura che questo testo fa della modernità è realmente esemplare, dai vari punti di vista da cui è stata condotta: quello filosofico, quello teologico, quello economico, quello addirittura della cultura popolare. Noi siamo all’inizio del III millennio, di fronte ad una terribile ripresa del totalitarismo, ma un totalitarismo che dichiaratamente, programmaticamente, non ha soltanto in mente di creare le condizioni sociopolitiche di una nuova umanità, ma ha il progetto di cambiare l’umanità nel seno di sua madre, il progetto di cambiare l’uomo, intervenendo a manipolarlo nelle fasi fondamentali della sua vita, dall’inizio alle malattie più gravi, alla consumazione della vita. Dall’antropologia moderna contemporanea, quella che dall’Illuminismo in poi ha governato tutti, le grandi ideologie e i grandi sistemi totalitari, viene questa estrema espressione che Benedetto XVI ci ha insegnato a chiamare tecnoscienza. È accaduto qualche cosa di inaudito: costruire un uomo senza relazioni, un uomo che non nasce più dalla relazione. La bioetica, la biopolitica sono entrate rovinosamente nella vita della persona e nella società, quando si è potuto far nascere un uomo, non secondo il procedimento naturale che implica una dipendenza, una relazione, ma secondo un procedimento di carattere “meccanico-scientifico”. Ecco dove sta il terrore della biopolitica: creare degli uomini che sono oggetto di manipolazioni e che assumono il volto che coloro che hanno in mano gli strumenti manipolativi possono realizzare.
Capite che non si può stare quieti di fronte a questo? E’ molto di più che il terrorismo marxista leninista, è molto di più che l’orrore del nazifascismo, perché è la distruzione della umanità. Invece dell’uomo che, come mi insegnava la mia antica professoressa di filosofia tomista, Sofia Vanni Rovighi, è il soggetto della ricerca filosofica, il soggetto della ricerca filosofica diventa l’uomo che mangia, beve, si veste. Se la biopolitica procede in questo intreccio rovinoso di magistratura, mentalità dominante e massoneria, cambia l’uomo nella sua struttura ultima: per questo interessa lo scienziato, il politico. Alfredo Mantovano ci ha testimoniato anche prima di oggi che cosa significhi, per un uomo politico cattolico, ma direi per un uomo politico realmente laico, non potersi disinteressare di questo, non poter vendere queste cose sull’altare di altri interessi o di altre prebende. Questa è la questione della società italiana di oggi, la questione della democrazia nel senso fondamentale, che se viene meno il soggetto umano, così come Dio l’ha pensato e la natura attuato, non ci sono più neanche le condizioni per parlare di una autentica società, e quindi di una democrazia.
Questo totalitarismo, ed è l’ultima osservazione, si evince con chiarezza da tanti contributi che sono vere e proprie testimonianze: io mi auguro che sappiate leggerle per quello che sono. Una serie di testimonianze importanti di ricercatori che, mentre mettono in comune i contenuti della loro ricerca, testimoniano che la loro ricerca non risponde soltanto al loro interesse particolare. La loro ricerca è dominata da una domanda, quella sul destino e sulla felicità dell’uomo, perché le scienze, nella loro diversità, hanno un’unione alla base che non è un’unità di tipo ideologico o organizzativo, hanno all’origine una unità che è la natura umana, il cuore umano. Per cui, nella varietà delle ricerche, è questa domanda che si approfondisce, è questa domanda che si comprende, è a questa domanda che si è tenuti a dare risposta. E di fronte a questa domanda non c’è nessun interesse particolare, non c’è nessun impegno. La cattiva scienza comincia quando, o non si pone il problema del senso del destino dell’uomo, o arrogantemente, presuntuosamente, si dice che tocca alla scienza, alla tecnica, rispondere in maniera esauriente al problema del senso, del destino dell’uomo. Non c’è nessun autentico scienziato che abbia preteso di rispondere al problema del senso ultimo della vita. Come diceva Giovanni Paolo II, “gli scienziati hanno il compito di risolvere il problema dei significati particolari”: ma il senso ultimo dell’esistenza trascende e anima qualsiasi ricerca.
Ma da ultimo, una testimonianza che secondo me dovrebbe favorire il senso del dove deve arrivare la nostra testimonianza di cristiani. Si tratta di Vasilij Grossman e di quello straordinario volume, Vita e destino, che don Giussani ci fece leggere, anche se il peso specifico dell’opera cartonata, nell’edizione della casa editrice Jaca Book, superava i 4 kg. Eminenza, poteva essere usata come un’arma impropria, se buttata contro uno che manifestava, lo stendeva sicuramente. Grossmann scrive che le celle e le torrette dei campi di concentramento si distruggono soltanto nell’esperienza di un uomo autentico e di un cristiano autentico. Ma un uomo autentico e un cristiano autentico non può dormire tranquillo senza una domanda di senso, perché la laicità è tenere aperta la domanda di senso e non escludere nessuna possibilità, come ci ha insegnato don Giussani, perché il senso ultimo della vita appare al limite come una domanda. Non si può non portare l’affezione al proprio cuore o l’affezione a Gesù Cristo senza impegnarsi in una battaglia dura contro chi cerca di manipolare l’uomo e renderlo diverso da come il Creatore, nel suo infinito progetto di misericordia, lo ha pensato, lo ha fatto nascere, l’ha redento, l’ha chiamato a partecipare ad una vita nuova che è la vita del Cristo morto e risorto. Di fronte a questa umanità vera, noi dobbiamo avere il coraggio di testimoniare con forza e con coraggio, perché l’ideologia è messa in crisi soltanto da una parola tanto antica quanto nuova, è la parola esperienza. E per noi il senso religioso e la fede sono gli elementi fondamentali della nostra esperienza umana e cristiana. Grazie.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie davvero anche a questo contributo che traccia il cammino di una responsabilità. Ringraziamo i nostri ospiti, Mantovano e monsignor Negri, e chiamo Carlo Casini per la sua testimonianza. Entriamo nel tema dell’esperienza, per due motivi: perché Carlo Casini, oltre ad essere il Presidente dello storico Movimento per la Vita italiano, membro dell’Accademia Pontificia per la Vita e anche del Comitato Nazionale di Bioetica, del gruppo di consiglieri per l’etica della Commissione europea, è un testimone, cioè è un uomo, un cristiano, un giurista, un magistrato che ha scelto di entrare in politica in un certo frangente della nostra storia italiana.
Due anni fa abbiamo presentato con lui il libro su Eluana, è stato un incontro molto bello. Lui ha voluto ripubblicare, la casa editrice San Paolo lo ha seguito anche per la grande diffusione che questo libro ha avuto, Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo. Vale a dire, ritornando a quel tema di Tommaso – le cinque prove dell’esistenza di Dio -, siamo oggi a richiederci l’evidenza, i motivi, le ragioni adeguate dell’esperienza umana: in cosa consiste, in cosa può essere riassumibile in termini sintetici. E lui lo ha fatto con questo titolo provocatorio, che non vuole essere semplicemente una definizione unica ma che si ricollega al tema di prima, del diritto naturale. C’è un diritto che nasce da una esperienza di sé, della natura umana, a cui è tempo di rieducarsi, a cui è tempo di ridare chiarezza, perché non è solamente definendo questo diritto naturale che la società di oggi può ritrovare questa evidenza.
Su questa evidenza si fa fatica, per mille motivi, per mille soggetti educatori che hanno espropriato gli elementi educativi naturali e più conformi, da quello della famiglia a quello dei corpi intermedi cui si accennava prima. E dunque, qui si inserisce il contributo di Carlo Casini, che non è solo una battaglia giuridica, politica, ma anche un contributo culturale. Ecco, vorrei che iniziassi a descrivere le tappe che ti hanno portato a questo sviluppo, a questo riassunto che tocca anche aspetti giuridici perché, come dicevo prima, il diritto è il risvolto di un’esperienza condivisa e vissuta in un paese. Casini si colloca con attualità, nonostante i tanti anni della sua battaglia, a questo crocevia che è ancora aperto. Grazie.

CARLO CASINI:
Sì, grazie. Questo libro ha avuto una doppia redazione. E’ diversa, questa seconda edizione, non è identica alla prima, c’è una rivisitazione, una integrazione. Ma le due edizioni rispondono a due esigenze parzialmente diverse. Come è stato detto, questo libro ha un titolo provocatorio. Ma è importante, perché oggi il problema non è dimostrare l’esistenza di Dio ma dimostrare l’esistenza dell’uomo come entità diversa da tutto il resto del creato, e soprattutto diversa dal mondo animale. Oggi si parla di diritti animali, e la questione del senso è quella che ci serve a distinguere l’uomo da tutto il resto del creato. Ma la prima redazione di questo saggio è stata provocata da qualcosa di quasi intimo. Sono decenni che il mio impegno è andato concentrandosi sempre di più, come tempo, come energie intellettuali, come passioni, sul tema della vita e della vita nascente, in particolare: mille e mille incontri. Oggi fa piacere ricordare in questa sede che l’edizione del primo Meeting, del 1980, iniziò proprio con una tavola rotonda cui io partecipai e il cui tema era il valore della vita umana. A un certo punto mi è capitato di domandarmi: ci sono nel mondo tante altre esigenze, credo: lo dice il Vangelo, il giudizio che sarà dato su di noi sarà sulla carità, “ero nudo e mi avete vestito, avevo fame e mi avete dato da mangiare”. È chiaro che noi dobbiamo spendere la nostra vita per renderla un dono per gli altri, ma io, di questa mia vita, ho fatto un dono per gli altri? Non sarà che questo crescente impegno, sempre più totalizzante, a servizio della vita nascente, è un errore? Non sarà per caso vero che ci troviamo soltanto di fronte a questo passaggio dal nulla all’esserci, di un grumo di cellule, come dicono tanti miei avversari?
E allora ho cercato, per tranquillizzarmi, di mettere in ordine razionale i mille e mille discorsi, in modo semplice, ripetibile, leggibile, ma scientificamente e razionalmente corretto. È nata la prima edizione di questo volume, che non adesso non sto a riassumere perché spero lo leggerete, si legge facilmente, si può leggere la sera prima di addormentarsi ma si può leggere anche come momento di approfondimento e di studio. Quali sono le cinque prove? La prova biologica, la prova psicologica, la prova giuridica, che significa diritto naturale e coerenza del diritto scritto al diritto naturale, cioè il principio di uguaglianza rapportato al tema della vita e il principio di precauzione, oggi tanto di moda riguardo all’inizio della vita. Poi la questione antropologica: qual è il senso del vivere umano? La questione testimoniale: ma è proprio vero, come vogliono farci credere, che solo noi, pochi e retrò, affermiamo il valore della vita umana? No, non è vero, e allora l’esame dei testi internazionali, delle Costituzioni, anche delle sentenze di cui nessuno parla. Io ne parlerò.
Dunque, le cinque prove dell’esistenza dell’uomo. C’è un’ultima prova che collega questa prima edizione del libro al Meeting, dove si parla di cuore. Io conclusi la redazione di questo libro in una notte passata in bianco. Dovevo concludere e consegnare il manoscritto (proprio manoscritto, non l’avevo fatto al computer) il dato giorno: non sono andato a dormire, ho concluso alle sette del mattino e, finalmente contento e soddisfatto di avere concluso l’opera, sono uscito a prendere un caffè e a comprare un giornale. Comprai La Repubblica, giornale certamente non amico ma che ho il dovere morale di leggere per poter rispondere. Ebbene, tornando nella mia cameretta di Roma, allora stavo in San Carlo, in via del Corso, aprii Repubblica e mi balzò agli occhi un’intera pagina in cui si faceva un’intervista al marito di una certa, a me ignota, Rita Fedrizzi, morta perché, avendo dei malesseri, va dal medico e lui le dice: guardi che lei è incinta, non lo sapeva? Però, le dice sempre il medico, c’è un problema, c’è anche un’altra piccola cosa cattiva che sta crescendo in lei, un tumore. Bisogna eliminare tutte e due, si può fare, sono ancora così piccoli. Rita dice no, mio figlio non lo posso uccidere, fa nascere il bambino e muore. Il marito, che noi del Movimento per la Vita abbiamo conosciuto, viene intervistato dal giornalista di Repubblica. Una domanda è questa: scusa, ma i medici non vi hanno suggerito l’aborto? Sì, certo, ce lo hanno detto e hanno insistito, ma mia moglie diceva che non lo poteva fare perché le sembrava di uccidere uno dei suoi due figli, che già erano grandicelli. L’articolo di Repubblica conclude, dicendo: ma allora faranno santa Rita come Gianna Beretta Molla? E il marito risponde: non è questione mia, so solo che tante donne abortiscono per molto meno e che dunque mia moglie è un esempio. Un modello che Repubblica non respinge ma accetta, ammira. Allora io sono venuto al Meeting di Rimini e ho visto la splendida mostra su santa Gianna Beretta Molla, una mamma eroica, messa sugli altari. Ce ne sono tante altre di donne che non sempre rischiano la morte ma molte difficoltà, sì, bene, nessuno dice che sono delle stupide, nessuno lo dice, nemmeno il mio amico Pannella: ma sarebbe la logica conseguenza dell’affermazione fondativa della cultura abortista, che ciò che nasce nel grembo materno non è un essere umano ma un grumo di cellule. Allora, se oggi dovessi riscrivere questo libro, invece che scrivere come appendice la prova di Rita, scriverei la prova del cuore.
La prova biologica, la prova psicologica, la prova giuridica, la prova antropologica, la prova testimoniale e la prova del cuore. Non starò ad illustrare le varie prove, le leggerete, spero, ma su un paio di aspetti mi pare importante e significativo soffermarsi. Uno l’ho già detto, è la prova del cuore. L’altro aspetto riguarda il rapporto tra quella che ho chiamato la prova antropologica e la prova psicologica. Voi sapete che oggi ci sono tante ricerche sull’inizio dell’universo, ormai sembra quasi universalmente accettata dagli scienziati la teoria del Big Bang, che colloca questo inizio a circa 13 miliardi e 800 milioni di anni fa e che immagina l’inizio dell’universo come un comparire dal nulla di un punto. Non sto a spiegare il perché e il per come si dice questa cosa. Bene, ma dicono gli scienziati che se noi riuscissimo a capire esattamente come è cominciato il mondo, sapremo molto di più sul significato e la nostra conoscenza dell’universo si amplierebbe. Bene, se l’universo non è un assurdo ma ha un senso, la spiegazione del senso è data dalla Creazione, che non è avvenuta 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, ma che avviene come passaggio dal nulla all’esserci, quindi, Creazione in atto di ogni bimbo che comincia, e comincia nelle dimensioni di un punto, unione del patrimonio ereditario del padre con quello della madre, in questo modo comincia. E allora, ecco che la contemplazione e la meditazione sulla meraviglia di questo punto che si sviluppa, di questo essere umano nuovo che comincia, che è un assoluta novità, che è il vero Big Bang della storia e che è garanzia del futuro, che è Creazione in atto, ci spiega anche il senso intero dell’esistenza umana, che riguarda noi tutti, riguarda il senso del vivere umano, il senso della storia.
E’ la seconda considerazione che vi propongo senza stare a illustrare le singole tesi del libro. La seconda edizione: perché mi sono accinto a chiedere alla San Paolo di ripubblicare in veste nuova, e anche con contenuti nuovi? Perché mi sono convinto che non è più una questione intimistica ma politica, collocata nel tempo e nella crisi odierna. Voglio dire che le aggressioni contro la vita umana non sono diminuite, ma sono andate crescendo e hanno assunto modalità nuove e più insidiose. Non c’è più l’aborto convenzionale chirurgico, oggi ci sono le pillole del giorno dopo, c’è la RU486, c’è la procreazione medicalmente assistita che mette nelle mani dei proprietari dei laboratori embrioni incontrollabilmente utilizzabili. C’è in questo momento un’aggressione contro l’obiezione di coscienza dei medici, che c’è sempre stata ma sta assumendo le formule e le modalità normative organizzate a livello generale dalle Regioni.
E come rispondere a tutto questo? Certo, si dovrebbe rispondere con le leggi, con una politica buona. Ma comunque non sarà possibile impedire la crescita della possibilità di sopprimere la vita umana in modo incontrollabile, privatizzato, perché le pillole si potranno sempre comprare ovunque, si potranno portare facilmente in Italia, avverrà quello che avviene per la droga. C’è un solo presidio che resisterà e che dobbiamo mettere in condizioni di resistere, c’è un solo vero e definitivo antidoto rispetto a queste nuove aggressioni contro la vita umana: è il riconoscimento che l’uomo è sempre uno, è la coscienza individuale della madre prima di tutto, del padre numero due, della famiglia numero tre, della società tutta intera numero quattro. La coscienza individuale ha bisogno di essere sorretta dalla coscienza collettiva, Gianna Beretta Molla e Rita Fedrizzi hanno appoggiato il loro impegno per la vita su un solo fatto. Contro tutto e contro tutti hanno detto: io, mio figlio non lo ammazzo. È la convinzione di questo dato primordiale del cuore. Ecco, voi sapete che noi del Movimento per la Vita abbiamo esperienze quotidiane di questo. Qui ci sono i collaborati dei vari Centri di Aiuto alla Vita: quante volte ci hanno detto che era un grumo di cellule! Me l’ha detto la vicina di casa, me l’ha detto la compagna di scuola, me l’ha detto l’amica di lavoro, me l’ha detto la psicologa e me l’ha detto il medico. E ora sono qui a piangere perché mi avete detto che era mio figlio. Se avessi saputo, non l’avrei fatto. Quante volte! Come si farà a far sì che la coscienza collettiva diventi sostegno del coraggio delle madri e dei padri? Come si farà a difendere l’obiezione di coscienza, se non diremo che è nobile, è giusto, questo rifiuto dei medici e dei farmacisti di collaborare all’uccisione di un essere umano, perché di un uomo si tratta, non di un grumo di cellule?
Allora, qual è il senso politico di questo libro, che troverete soprattutto nell’appendice? Il senso politico è questo: ci sono state epoche in cui si è detto (1857, sentenza della Corte Costituzionale degli Stati Uniti) che i neri, secondo le leggi civili, non erano persone: e la discriminazione sui neri è continuata nel tempo. Ci sono stati tempi in cui si è detto che gli schiavi non avevano personalità giuridica, non solo a Roma ma nel corso di tutta la storia: servus nullum caput habet, lo schiavo non è persona. Ma ancora alla fine del 1500, un giurista di chiara fama, che pochi conoscono – io lo conosco perché ho fatto Legge -, Voltenius, diceva: servus homo sed non persona, lo schiavo è un uomo ma non una persona. Homo enim naturae, persona iuris vocabulum: infatti la parola uomo si può usare in coerenza con ciò che è di natura, ma la parola persona è quella che conta per il diritto. Allora, come dare una risposta per affrontare i problemi bioetici alla radice? Scrivendo in modo solenne, autorevole, come è successo per l’affermazione della libertà degli schiavi, come è successo per l’affermazione della eguaglianza fra neri e bianchi, come sta succedendo, a parte gli inquinamenti femministi, nell’emancipazione delle donne, che, per il diritto, tutti gli esseri umani sono uguali, e quindi persone fin dal concepimento. Ci vuole molto, ma l’articolo 1 del nostro Codice Civile, che è l’ingresso a tutto l’ordinamento giuridico, dice che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita. No, dovremmo dire “dal concepimento”, perché esistono dei diritti che precedono la nascita: il diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica.

CAMILLO FORNASIERI:
Questo è un progetto di scrittura in atto?

CARLO CASINI:
Questo è un progetto. Ed è l’attualità di questa questione, perché in questi giorni si sta discutendo, in Parlamento e nel Governo, e Berlusconi e Casini, se si fanno le elezioni o non si fanno, se ci sarà una maggioranza che sosterrà il Governo o non ci sarà. Dobbiamo fare un’alleanza nuova, mettendo insieme Rutelli che ho incontrato poco fa, Fini e Casini, oppure no? Se noi crediamo nelle cose per cui siete qui, e in cui io credo da anni, allora bisogna dire che in politica ci sono molte cose da fare, tante, non si possono fare tutte e subito, bisogna mettere una gerarchia, ma se ci sono dei valori non negoziabili, come ci ha insegnato a dire Benedetto XVI, vuol dire che questi valori vanno messi al primo posto nella gerarchia e devono indicare l’identità di una forza politica. Non sono periferia ma sono cuore del progetto politico, devono essere la misura con cui si costruiscono delle alleanze, devono essere l’argomento con il quale si chiede la fiducia del partito: questo significa dare senso politico positivo. Naturalmente, declinando anche in Parlamento questo progetto che, è bene che si sappia, è stato presentato sia alla Camera sia al Senato da tempo, all’inizio della legislatura dall’Udc, e che in occasione del 30° anniversario della Convenzione sui Diritti del Bambino, è stato presentato anche dalla Casa delle Libertà al Senato, solennemente, con conferenza stampa e con la firma del Capogruppo e del Vicecapogruppo, Gasparri e Quagliarello. Gesti facili da fare, perché ci vuole poco a presentare una proposta di legge che si potrà citare alle prossime elezioni per accampare meriti. Molto più difficile ma molto più doveroso, è trasformarla in strumento politico che chiede la messa in discussione, l’incoraggiamento, la persuasione attraverso i mezzi d’informazione, e via dicendo.
E insieme a queste cose ce ne sono altre, una l’ha presentata Mantovano, la legge di fine vita, ormai giunta alla soglia del voto finale davanti alla Camera dei deputati. E ancora, la riforma dei consultori: il Forum delle Famiglie, insieme al Movimento per la Vita, già da tempo hanno presentato una proposta di riforma che tra l’altro mira a dire che i consultori familiari non sono un luogo di accompagnamento all’aborto ma un luogo di accompagnamento alla nascita, e che dunque devono svolgere un ruolo esattamente opposto al ruolo attualmente svolto. Allora, oggi si discute di nuove alleanze, di programmi di Governo, di voto di fiducia, di elezioni anticipate o no. Io chiedo che questi argomenti, non genericamente la vita, astratta, ma queste tre proposte di legge, che già ci sono e che già hanno avuto qualche consenso forte a parole da parte delle forze parlamentari, siano i criteri in base ai quali si giudica se si possono provare nuove forze politiche diverse da quelle che già ci sono, se è possibile creare nuove alleanze sulla base di questi criteri.
E tanto volentieri chiederei al partito al quale appartengo per tradizione, dove c’è lo scudo crociato: noi conserviamo questi valori primari, lo scudo crociato significa mettere prima di tutto al vertice i valori non negoziabili, nonostante le distanze che possiamo avere su altri temi, nonostante le critiche che possiamo fare alle persone; la realizzazione di questi valori è per noi così essenziale che appoggeremo un Governo soltanto se si impegnerà a realizzare questi valori? Questo è ciò che oggi si deve fare. Bene, io ho parlato con passione perché, come vedete, ci credo a queste cose; e credo di avere dimostrato che sia utile la lettura di questo libro perché c’è tanta ignoranza in materia. Voi non siete ignoranti ma incontrate ogni giorno al lavoro, in strada, persone che non sono a conoscenza delle cinque prove dell’esistenza dell’uomo. E allora forse troverete in questo libro le formule, gli argomenti, le immagini che possono avere una particolare capacità di convinzione. Ma spero davvero che questo libro possa accompagnare per breve periodo, in questo tempo, una riflessione più profonda sulla bioetica anche a livello politico, partitico, governativo.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie, Casini. Due cose, sottolineerei: una, davvero la trasmissione di alcune evidenze supportate da esempi e da riflessioni è un compito importante, perché si apprende e si può conoscere solo ciò che si incontra. L’evidenza non è un fatto che si autoproduce nelle persone ma è una conoscenza e quindi è un incontro. Il trasmettere anche la precisione e la riflessione dovuta al tempo e all’esperienza di persone come Casini è importante, perché sintetizza cose che spesso ci mettiamo molto tempo a dire e che non hanno la forza di un esempio che possiamo portare.
Seconda cosa, questo aspetto della legge, del diritto, della legislatura indica la legge come una affermazione, non tanto una coercizione: è un esempio importante da portare. La legge non è solo ciò che pone un limite e dunque una punizione, è ciò che afferma qualcosa che riconosciamo e che dunque è riconoscibile. Il fatto che il termine persona entri nel Codice Civile credo sia uno spunto interessante che ci fa capire quale è l’urgenza cui è stata sottoposta la società contemporanea. Questa affermazione è importante per cogliere gli aspetti anche formali, perché non basta semplicemente affermare teoricamente le cose ma occorre dare loro una definizione e una forma.

CARLO CASINI:
Posso aggiungere una cosa molto breve? Perché mi sento un po’ in confidenza, vedo volti conosciuti, trovo persone che mi domandano: Casini, quando comincerai a fare politica? Perché la politica è altro, è la questione del potere, dei Sottosegretari, del Ministro, delle alleanze. Però poi mi capita di trovare nel mondo cattolico, nel mio mondo, gente che mi dice: tu dici cose giuste ma noi non possiamo stare con te perché fai politica. Eh, insomma, bisogna intendersi! Una volta scrissi una lettera a Madre Teresa di Calcutta, che ho avuto la fortuna di incontrare alcune volte. Le scrissi: “Madre, mi risponda, che cosa dobbiamo fare? Mi succede che i politici dicono che le questioni che io sostengo sono questioni di coscienza individuale da non portare nei Parlamenti, ma certa parte del mondo cattolico mi dice che non possiamo impegnarci troppo, dobbiamo sussurrare e non gridare, perché sono questioni politiche. Che debbo fare?”. E la Madre mi risponde: “Lei ha ragione, la questione della vita è questione politica, perché è il fondamento della società e dello stato e dovrebbe essere abbracciata da tutti i partiti. Ma se i partiti non lo fanno, almeno qualcuno lo faccia. Quindi lei fa bene a continuare in questa direzione”.
Ricordo questo episodio, anche a proposito del rapporto tra politica e valori non negoziabili: lo dico qui al Meeting, dove Madre Teresa è stata. Madre Teresa di Calcutta aveva una tale passione per la difesa della vita che non ha esitato a fare comizi insieme a me. Io ho fatto, in piazza e negli stadi – all’epoca molti giovani qui presenti non erano nemmeno nati -, autentici comizi, all’epoca del referendum, a Palermo, a Firenze, a Bergamo, con Madre Teresa, la quale non aveva paura a mettersi a parlare della vita anche se era in una dimensione pubblica e politica. Bene, Madre Teresa di Calcutta è nata il 24 agosto del 1910, tra due giorni sarà il centenario della sua nascita. Penso e spero che la ricorderanno molti altri, ma noi vogliamo ricordarla in questo Meeting e allora io vi dico che già domani alle 12, presso lo stand del Movimento per la Vita, noi ricorderemo questo compleanno, questo centenario di Madre Teresa, Premio Nobel per la Pace che non ha esitato a dire di fronte a tutti i grandi della terra, durante la consegna del premio: “L’aborto è il principio che mette in pericolo la pace nel mondo, l’aborto è il maggior nemico della pace”. E nessuno l’ha contestata, perché lei aveva l’autorevolezza di chi va a raccogliere i morenti, gli lava il volto, gli pulisce le unghie, li considera persone. Io vi invito domani alle 12 allo stand del Movimento per la Vita.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

23 Agosto 2010

Ora

19:00

Edizione

2010

Luogo

eni Caffè Letterario D5
Categoria
Testi & Contesti