IL RISCHIO EDUCATIVO, LA TRADUZIONE IN LINGUA ARABA

Il Rischio educativo. La traduzione in lingua araba

23/08/2011 ore 11.15_x000D_ Partecipano: Abdel-Fattah Hassan, Professore di Letteratura Italiana alla Ain Shams University del Cairo e già Parlamentare dei Fratelli Musulmani; Ambrogio Pisoni, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Introduce Alberto Savorana, Portavoce di Comunione e Liberazione.

Partecipano: Abdel-Fattah Hassan, Professore di Letteratura Italiana alla Ain Shams University del Cairo e già Parlamentare dei Fratelli Musulmani; Ambrogio Pisoni, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Introduce Alberto Savorana, Portavoce di Comunione e Liberazione.

 

Alberto Savorana
Questo incontro è un evento unico, ecce-
zionale, per la sua portata. Sembra un niente eppure ci fa
fare un gran balzo in avanti, nella storia di un’amicizia, di un
approfondimento delle ragioni dell’esperienza di ciascuno.
Parlando tanti anni fa a un gruppo di giovani che iniziavano
l’avventura universitaria, don Giussani fece loro questo appello:
«Aspettatevi un cammino, non un miracolo». L’incontro di oggi
è l’ultima, ma non ultima, tappa di un cammino che è iniziato
tanto misteriosamente quanto misteriosamente è proseguito,
attraverso le strade di circostanze assolutamente effimere,
piccole, nascoste, che sembravano non avere a che fare con i
grandi cambiamenti del mondo di questi ultimi decenni.
Noi siamo qui, oggi, perché tanti anni fa, era la fine degli
anni Novanta, un giovane studente universitario di Firenze,
Paolo Caserta, conobbe un suo professore in Egitto, Wael
Farouq. Lo studente era cristiano e il professore musulmano,
e secondo gli stereotipi dell’epoca – e anche di oggi – non si
sarebbero potuti avvicinare, perché ognuno evidentemente
aveva sull’altro le sue idee. Immaginate che cosa un cristiano
italiano poteva pensare dei musulmani e, d’altra parte, che
cosa un musulmano poteva pensare dei cristiani. Ma è successa
una cosa strana, strana perché non prevista dagli schemi e dai
preconcetti soliti: i due sono diventati amici. Hanno scoperto
che nell’altro c’era qualcosa di simile a sé. È nata una curiosità
e l’uno ha raccontato di sé e ha chiesto dell’altro, finché hanno
scoperto questa cosa curiosa: che il cuore dell’uno desiderava
le stesse cose che desiderava il cuore dell’altro. È iniziato
qualcosa in cui si potevano intravedere i segni di una storia,
il cui sviluppo nessuno poteva immaginare.
Poi, a un certo punto, nel 2006, è giunto al Meeting il
professor Farouq, che ha presentato la prima edizione in
lingua araba de Il senso religioso di don Giussani. È stata una
sorpresa, e tanti si sono domandati: «Ma com’è successo?».
Ma la storia non è finita lì, perché l’anno scorso c’è stato il
primo Meeting Cairo.
Al Meeting Cairo, poi è successa un’altra cosa strana,
imprevedibile, inimmaginabile: durante una delle sessioni dei
lavori, mentre parlava Emilia Guarnieri, è saltato il sistema di
traduzione in cuffia. Tra la folla dei presenti, invitati da Wael,
c’era un professore di letteratura italiana, il professor Abdel-
Fattah Hassan, che ha detto: «Io so l’italiano, se volete mi siedo
accanto alla professoressa e traduco». Chi poteva immaginare
un fatto del genere? È accaduto, e la cosa ha avuto una portata
tale che il professore, dopo aver letto Il rischio educativo di don
Giussani, ha detto: «Questo dobbiamo farlo in Egitto».
Oggi siamo qui per questo: per una serie di circostanze
fortuite a cui qualcuno è andato dietro. Paolo Caserta pote-
va essere indifferente al suo professore, il suo professore
poteva trattarlo come uno dei tanti e il professor Fattah
Hassan poteva rimanere seduto al suo posto, pensando che
la traduzione era un problema di altri. Così è nata l’edizio-
ne egiziana de Il rischio educativo e sarà il professor Fattah
Hassan a spiegare la ragione per cui ha trovato interessante,
per lui innanzitutto e quindi per il mondo arabo di cui è
espressione, il testo di don Giussani.

Ambrogio Pisoni
Il Cairo, 28 ottobre 2010, giovedì, ore 19.30
circa. Siamo ospiti nell’albergo che i nostri amici egiziani
hanno scelto per la prima edizione del Meeting Cairo e sia-
mo invitati a salire sulla terrazza per un buffet di benvenuto.
Salgo sull’ascensore e mi trovo davanti un distinto signore:
Abdel-Fattah Assan.
Perché era lì? C’è una lunga amicizia con il professor
Farouq, sono stati negli anni passati colleghi, insegnanti di
lingua araba presso la scuola creata dai padri comboniani al
Cairo. Wael l’aveva invitato a partecipare al Meeting Cairo
perché aveva bisogno di una persona che conoscesse a un
ottimo livello la nostra lingua per la traduzione, come infatti
si è verificato subito alla prima sera per l’inconveniente testé
raccontato. Prima dell’evento ebbe luogo una cena, cui hanno
partecipato il professor Fattah e tre ragazzi italiani nostri amici,
che, per passione e con grande intelligenza e impegno, hanno
studiato e continuano a studiare la lingua araba e la parlano
già in modo abbastanza accettabile.
Cenando con loro il professore si era accorto di una cosa
strana: aveva capito dal loro racconto che questi ragazzi erano
venuti al Cairo qualche giorno prima per aiutare gli amici egi-
ziani nella preaparazione dell’evento, pagando l’aereo di tasca
propria, l’alloggio e lavorando gratis. I conti cominciavano
a non tornare. Dopo questa cena ha telefonato al professor
Farouq e gli ha detto: «Va bene, vengo a lavorare, gratis».
Durante il lavoro e la nostra conoscenza reciproca ha sco-
perto l’esistenza di un testo di don Giussani dedicato al tema
dell’educazione, e avendone intuito il valore, ha chiesto di sua
iniziativa di poterlo tradurre. Gli ho portato il testo il mese
seguente, e si è messo a lavorare alacremente per la traduzione.
Il risultato è che un mese e mezzo fa è stato dato alle stampe
Il rischio educativo in lingua araba.

Abd El Fattah Hassan
Vi portiamo un grandissimo saluto dalla terra della rivoluzione
del 25 gennaio 2011, un saluto profumato dal sangue dei mar-
tiri e dei feriti, la terra delle civiltà del Nilo. Un grandissimo
saluto dal nuovo Egitto i cui figli si sono fusi in un lingotto
patriottico unico alla piazza Tahrir e hanno abbattuto con
l’aiuto di Dio, l’Altissimo, la tirannia e la prepotenza. L’Egitto
dove il cristiano ha versato l’acqua affinché il musulmano
faccia l’abluzione. L’Egitto in cui i musulmani hanno protetto
le chiese dopo il vile attentato contro la chiesa dei santi ad
Alessandria, forse qualcuno ha letto la mia intervista com-
parsa su il sussidiario.net del 3 gennaio 2011 in cui ho detto
che: «il ministro dell’Interno ha le mani sporche del sangue
di questi innocenti e Mubarak deve cacciarlo» e l’ho detto
mentre la spada di Damocle stava sopra di noi e mentre l’ex
regime era in vigore.
Questa era la mia convinzione anche quando ero Imam
vicario del centro islamico di Parioli a Roma e dopo gli atten-
tati dell’11 settembre alle Torri Gemelle ho detto: «Colui che
uccide un’anima innocente è come se uccidesse tutta l’umanità;
lo dice il Corano; chiunque sia colui che ha commesso questo
atto terroristico atroce».
Ho il piacere di presentarvi la traduzione del libro di don
Giussani Il rischio educativo.
Quando don Ambrogio mi ha parlato brevemente dello
schema generale del libro, ho pensato che questo libro non
era stato scritto solamente per gli italiani, non solamente per il
mondo cattolico. Mi è sembrato che un libro del genere, con
questo contenuto, fosse scritto per tutte le società, qualunque
sia la cultura, la religione, l’educazione.
Cercherò di riassumere i motivi per cui ho fatto questa
traduzione e le mie impressioni dopo averla finita.
Pur essendo musulmano praticante, religioso e quadro
medio dei Fratelli Musulmani, posso dire in tutta sincerità che
ho trovato che questo libro – sebbene scritto da un sacerdote
cattolico – toccasse alcuni punti essenziali della nostra società,
sia in Egitto che in tutto il mondo, in un’epoca straordinaria,
eccezionale, specialmente in questi giorni. Come voi tutti sape-
te, la sfida più grande che affrontano gli uomini di religione,
gli educatori, gli scienziati, i dotti, è la formazione dell’uomo,
del buon cittadino, della persona giusta, tollerante, qualunque
sia la sua religione. Possiamo confermare che i dieci coman-
damenti sono il nucleo centrale di tutte le religioni e la spina
dorsale delle religioni monoteistiche.
Il libro di don Giussani tocca argomenti estremamente
importanti.
Primo: «L’idea fondamentale di una educazione rivolta
ai giovani e il fatto che attraverso di essi», abbiamo appena
ascoltato, «si ricostruisce una società; perciò il grande problema
della società è innanzitutto educare i giovani. L’educazione
vera è quella che educa l’umano dentro di noi, un’educa-
zione dell’umano, dell’originale che è in noi cioè il cuore».
Il cuore dell’uomo è sempre uno, in tutti i Paesi e in tutti i
continenti.
Questo concetto, questa concezione l’ho trovata proprio così,
per filo e per segno; questo è il vero avvicinamento: quando la
gente, i profeti oppure gli uomini di religione hanno il cuore
puro attaccato a Dio, la fonte divina è sempre la stessa. Quan-
do ho letto le parole di don Giussani, subito mi è venuto in
mente un detto del profeta Maometto: «C’è nel corpo umano
un pezzo di carne che quando è sano, è in salute l’intero corpo;
e quando è deteriorato quello, lo è l’intero corpo: è il cuore».
Su questo punto don Giussani afferma che la vera educazione
deve essere educazione alla critica, cioè prendere il sacco (che
è stato messo sulle spalle) e metterselo davanti. Quando il gio-
vane rovista dentro il sacco paragona quel che vede dentro con
i desideri del suo cuore, perché il criterio ultimo del giudizio è
in noi, dentro di noi, altrimenti siamo alienati. La critica non
ha un senso necessariamente negativo, ma semplicemente con-
siste nel rendersi ragione delle cose. La critica è innanzi tutto
l’espressione della genialità umana che è in noi, una genialità
protesa a scoprire l’essere e a scoprire i valori.
Secondo: don Giussani mette in risalto l’importanza della
dimensione religiosa nel processo educativo, la religiosità come
dimensione inevitabile di autentica ed esauriente esperienza.
Il rapporto obiettivo che incrementa, cioè aumenta, l’umana
persona è anche un luogo «soprannaturale», la storia di questo
luogo si chiama Chiesa. Tanto è vero che don Giussani parla
a tale proposito della comunità della Chiesa, del mistero della
Chiesa e dell’impegno con la tradizione cristiana, affermando
che la fede risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo,
uguali in tutti: esigenza del vero, del bello, del bene, del giusto e
dell’amore. Don Giussani ha paura che la scuola neutra e laicista
compia indisturbata il suo capolavoro di distruzione e di squili-
brio nella coscienza dei nostri figli, il che impone alle famiglie di
scegliere i collaboratori nell’opera di educazione dei figli.
Terzo: la figura del maestro, dell’autorità, del carisma, come
guida spirituale indispensabile per gli educati. L’esperienza
dell’autorità significa un incontro con una persona ricca di
coscienza della realtà che esercita un’attrattiva inevitabile.
Quarto: la convivenza, cioè uno dei cardini principali della
formazione dei giovani. Dopo le rivoluzioni, la «Primavera Ara-
ba» o la primavera mondiale, bisogna educare subito perché,
dopo la tirannia e la prepotenza, la gente che prima era oppressa
deve essere bene educata, altrimenti emergeranno sicuramente
dei problemi, sia nel mio Paese che in tutto il mondo. C’è sem-
pre una fase transitoria importante in cui noi siamo responsabili
– come saggi, come intellettuali – di trovare un filo conduttore
tra l’élite e la gente che segue questa élite.
La convivenza è decisiva perché ognuno di noi si afferma
riconoscendo il valore dell’altro; agendo nella misericordia,
si riconosce il valore dell’altro; ci fosse anche solo un solo
punto luminoso in milioni di punti oscuri, si valorizza il punto
luminoso, perciò è doveroso per ciascuno ospitare gli altri in
se stesso e rendere gli altri parte della propria vita. Limitare
la propria apertura di convivenza, secondo don Giussani, è
cercare di imporre una propria misura alla legge profonda
dell’essere, è confondere l’amore con il dominio, con il calcolo
e scambiare il condividere con un tentativo di dominio.
Don Giussani ha dedicato una parte del suo libro all’aper-
tura dialogica: la novità viene sempre dall’incontro con l’altro.
Una parola che sempre mi colpisce è «incontro», perché io non
possono mai giudicare nessuno senza un incontro diretto. È la
regola con cui è nata la vita, noi esistiamo perché altri ci hanno
dato vita; un seme isolato non cresce, ma messo in condizioni di
essere sollecitato da altro, allora si sprigiona. Dialogo è questo
rapporto con l’altro, chiunque e comunque sia, lo spirito aperto
impone di mettere da parte ciò in cui si è divisi e guardare ciò
in cui si è uniti, cioè l’aspetto umano oppure l’umanità nostra.
A tale proposito mi viene in mente un versetto coranico: «Oh
uomini vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina
e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste
a vicenda»; dice: «Uomini», qualunque sia la religione, Dio
l’altissimo non ha detto musulmani o cristiani o ebrei o bud-
disti, ma uomini! Tutti noi siamo creature dell’altissimo Dio,
dell’altissimo Allah, dell’altissimo Signore.
Don Giussani ha parlato dell’esperienza vissuta e anche
questo argomento ha trovato un’eco dentro di me, perché
noi – intendo io e il dottor Farouq – abbiamo vissuto questa
esperienza, non siamo qui né per prendere in giro nessuno,
né per farci belli. Quindici anni fa o forse di più, abbiamo
lavorato insieme alla scuola dei padri comboniani al Cairo,
un paradiso terrestre di rispetto reciproco, amore, conviven-
za. Mi nominavano sheik Abdel-Fattah e quando ho dovuto
congedarmi, per venire in Italia a raccogliere il materiale
per il dottorato di ricerca, mi hanno fatto una festa enorme
e poi mi hanno regalato – sta ancora nel mio salotto in un
posto rilevante – un piatto di rame dove è inciso un versetto
coranico, il versetto del trono, la sura della giovenca. Questa
da tanti anni è la nostra esperienza dell’amore reciproco, del
rispetto reciproco, questa è un’inclinazione, un dono per il
quale ringraziamo Dio.
È per l’amore, per l’amicizia, per il rispetto verso di voi
che abbiamo fatto il sacrificio di venire qui, perché da noi c’è
il Ramadan. Questi sono gli ultimi dieci giorni del digiuno, in
cui preferiamo sempre stare con i nostri familiari in Egitto,
eppure li abbiamo lasciati e adesso abbiamo dei carissimi
familiari a Rimini, in Italia.
Mi auguro che la nostra amicizia duri, che Dio l’Altissimo
ci dia la forza di continuare questo cammino di amicizia, di
amore, di rispetto. Ci rivolgiamo a Dio anche perché l’amore
vinca l’odio e la tolleranza abbatta l’intolleranza.

Ambrogio Pisoni
Vorrei condensare in due punti questo breve intervento. Il
primo, dicendo quello che ha suscitato in me la ripresa di que-
sto testo di don Giussani, alla luce dell’incontro di cui stiamo
parlando. In maniera significativa sulla copertina del libro
c’è una luce accesa nelle tenebre. Vuol dire che la vita non è
uno scherzo né una tragedia, ma è un’avventura possibile. La
rilettura di queste pagine di don Giussani, alla luce di questo
incontro, mi ha fatto ri-accorgere di un dato assolutamente
significativo, e cioè che se l’educazione è l’introduzione alla
realtà totale – don Giussani riprende da Jungmann questa
definizione di educazione –, allora questa è la grande novità
offerta a ciascuno di noi: la realtà è una dimora che attende
di essere abitata e conosciuta. La vita, cioè, è un’avventura
possibile, anzi, così possibile da diventare reale. La realtà non
è un ostacolo, non è un puro oggetto offerto alla mia istinti-
vità piena di sete di dominio. La realtà è un segno, cioè è un
luogo amico, in cui un altro mi aspetta, in cui il significato
delle cose, il Mistero, mi sta aspettando. Per questo alzarsi al
mattino è l’inizio di un’avventura ragionevole. C’è qualcuno
che mi attende. Il mondo è per me un segno, cioè un luogo che
mi invita. Quello che io vedo al mattino, che sento, è l’inizio
dell’avventura, non è un ostacolo da superare, ma è un amico
che mi attende. Questo rende ragionevole la vita, cioè piena
di significato, di curiosità, di attesa. Questo dice il significato
profondo dell’avventura umana, intesa come avventura di
conoscenza.
Nell’antico e sempre attuale catechismo di Pio X, alla
domanda: «Perché Dio ci ha creato?», la risposta è che Dio ci
ha creato perché potessimo conoscerlo, innanzitutto, amarlo e
servirlo. Ma non c’è amore che non sia conoscenza, e non c’è
possibilità di servizio che non sia il fiorire di questa avventura di
conoscenza. Per questo ci troviamo immediatamente amici
di coloro che amano la vita come avventura di conoscenza. La
sfida dell’educazione coincide con la sfida della vita, tout court.
Non ha bisogno di altre specificazioni. Questo, sinteticamente,
è ciò che mi ha commosso di più, e ancora una volta in maniera
nuova, rileggendo queste pagine, alla luce dell’amicizia con i
nostri amici egiziani.
Il secondo punto che voglio sottolineare lo intitolerei così:
qual è il lavoro che ci attende?
Ricordo ancora benissimo quando l’amico Paolo Caserta,
che allora studiava arabo e che aveva appena incontrato il
professor Farouq, mi disse al telefono che c’era un amico che
voleva farmi conoscere. Nella nostra tradizione di amicizia,
educati da don Giussani, abbiamo questo vizio: ti faccio par-
tecipe dell’incontro che mi sta accadendo, ti regalo l’amicizia
che mi hanno regalato.
Dunque, la sera in cui ci siamo dati appuntamento in un
angolo di piazza Tahir, mentre Farouq mi veniva incontro, mi
sorpresi a pensare: questo è un uomo che attende, è un uomo
che cerca. Tant’è vero che quella sera, camminando in lungo
e in largo sul marciapiede, mi raccontò tutta la sua vita fino
a quel momento. E mi accorsi che stava accadendo qualcosa
di grande, come tutte le cose grandi della vita, come un seme
nascosto nella terra. Apparentemente indifferente al destino
degli uomini…
E allora il compito che ci attende è semplicemente di guar-
dare quello che sta accadendo, di aiutarci a imparare quello che
sta accadendo, perché riconoscere quello che sta accadendo
è sempre il lavoro di una amicizia.
Il soggetto del giudizio è soltanto un’amicizia operosa,
che segue l’avvenimento che la sta generando. È quello
che è accaduto e sta accadendo in questi anni. Il grande
compito della vita, la sfida dell’educazione è un atto di
obbedienza sincera e intelligente. Tant’è vero che quando
accadde il miracolo – non esito a usare questa parola – del
Meeting Cairo, i numerosi ragazzi (e non solo ragazzi)
che parteciparono come volontari a questo evento, tutti
egiziani (quelli che erano lì, evidentemente, più la trentina
di ragazzi italiani che vi hanno partecipato), dissero, pur
con sfumature diverse, il segreto di esperienza che stavano
scoprendo. Cioè: «Stiamo vivendo un’esperienza nella quale
per la prima volta stiamo scoprendo che la nostra vita è
grande, è importante, perché sta servendo qualcosa di più
grande di noi, perché l’io rinasce solo in un incontro così
e dando la vita a qualcosa che è presentito realmente più
grande di sé, e per questo misteriosamente, cioè realmente,
corrispondente al cuore».
Trentasei articoli di giornale e nove ore di servizi tele-
visivi, accuratamente registrati dagli amici e consegnati
all’archivio del Meeting. Che cosa implica tutto questo?
Semplicemente il riconoscere che Dio è all’opera con l’unica
preoccupazione che ha, e che in Cristo Gesù si è manife-
stata in tutta la sua potenza. È l’unico capace di prendersi
a cuore il nostro cuore. E quando si incontra uno così, non
lo si può più perdere.
Allora, ecco la grande avventura di cui siamo involontaria-
mente e ora ragionevolmente e cordialmente protagonisti, e di
cui ieri pomeriggio abbiamo potuto constatare e riconoscere
un altro passo: guardare quello che accade riconoscendo che
il giudizio sulla storia è quello che diede don Giussani, in
una conversazione assolutamente improvvisata nei corridoi
dell’Università Cattolica. Negli anni convulsi e drammatici
seguiti al ’68 – incontrando un giovane che aveva fatto parte
dell’amicizia con lui e che si trovava dall’altra parte della
barricata –, Giussani chiese a questo giovane: «Ma cosa fai
qui?»; lui rispose: «Sono qui con le forze che stanno cam-
biando la storia». E don Giussani, guardandolo: «Le forze
che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore
dell’uomo».
Quello che sta accadendo è semplicemente l’attestarsi, cioè
il riaccadere continuo, commovente, perché pieno di ragioni, di
questo avvenimento. Le forze che cambiano il cuore dell’uomo
sono le stesse che cambiano la storia, perché non c’è storia senza
protagonismo umano vero. Non basta che ci siano lo spazio
e il tempo. Occorre il protagonista, altrimenti non c’è storia.
E il protagonista è un uomo cosciente del destino, e perciò, e
prima ancora, dell’incontro che lo sta generando.
Come ci ha ricordato Abd El Fattah, è la parola incontro
quella più cara all’uomo che ha a cuore se stesso, perché diventa
certo soltanto chi si affida a un altro che scopre immediata-
mente e sorprendentemente corrispondente a sé. La parola
«corrispondenza», consegnata alla tradizione cristiana dalla
sapienza di san Tommaso d’Aquino, è ancora quella che oggi
è più capace di indicare, senza esaurire, il mistero della vita
dell’uomo nella bellezza che accade. La bellezza è il luogo
del dialogo. Per questo noi siamo armati semplicemente di
questa certezza.
Al Meeting Cairo abbiamo potuto dire chiaramente, pub-
blicamente, che solo la bellezza fatta carne, Cristo Gesù, ci
ha resi e ci rende uomini capaci di godere di una immensa
certezza. E perciò possiamo camminare pieni di curiosità.
Il mondo non capisce questo. Anche il mondo che è dentro
di noi, perché il mondo immediatamente oppone certezza e
curiosità. Anzi, sposa la parola certezza più volentieri con la
parola intolleranza, genitrice sempre della violenza. E invece la
vera certezza è il grembo della curiosità ardente, inesausta, che
continuamente cerca l’amato nel presente, pieno di curiosità e
di attenzione, desideroso di nuove scoperte. Chissà come andrà
a finire. Chissà cosa sta succedendo, che cosa succederà oggi,
domani, perché la nostra dimora è l’infinito, non l’angusto,
stretto spazio di un nascondiglio.
Ho riletto recentemente alcune pagine di don Giussani in
cui veniva rievocato questo giudizio in merito a un libro sul
grande regista Tarkovskij. L’uomo di oggi, l’uomo dell’Oc-
cidente, diceva, sembra aver smarrito, aver dimenticato che
la sua dimora è l’infinito, e invece va a nascondersi in un
angusto nascondiglio dove muore. Perché quello che c’è in
gioco, e Il rischio educativo lo dice in maniera chiarissima,
è l’avventura della scoperta della natura e del metodo della
ragione: una finestra aperta sulla realtà e non una prigione
che misura. Giustamente, Abd El ha usato la parola «sprigio-
na». C’è un fatto che si sprigiona. Noi in italiano spesso non
conosciamo il significato delle parole che usiamo. Sprigionare
vuol dire uscire dalla prigione. È l’inizio di un avvenimento
di libertà. Questa è la vocazione della ragione, cioè la voca-
zione dell’uomo, essere sprigionata. Ma ho bisogno di te per
essere sprigionato. Senza un incontro rimango fatalmente
prigioniero, ma grazie al Cielo, grazie a Dio, questo incontro
è accaduto e sta riaccadendo, così che la vita può diventare
comunque e in ogni caso, e in questo caso soltanto, una
immensa certezza.

Data

23 Agosto 2011

Ora

11:15

Edizione

2011

Luogo

Sala Neri GE Healthcare
Categoria
Incontri