IL DIALOGO È POSSIBILE

Partecipano: Asfa Mahmoud, Presidente della Casa della Cultura Islamica di Milano; Souad Sbai, Deputato al Parlamento Italiano, PdL. Introduce Giorgio Paolucci, Giornalista.

 

GIORGIO PAOLUCCI:
Amici del Meeting, questo incontro come sapete è intitolato “Il dialogo è possibile”. Qualcuno ha chiesto, anche nei giorni scorsi, se anziché proporre un titolo affermativo non sarebbe stato il caso di mettere un punto interrogativo alla fine del titolo: Il dialogo è possibile? Gli avvenimenti internazionali di questi anni e ciò che le cronache dei media raccontano sembrano negare o mettere in dubbio la possibilità di un rapporto costruttivo tra mondi e entità diverse, in particolare tra Islam e Occidente. Eppure ci sono fatti, luoghi e persone che testimoniano che questo è possibile, che questo già accade, anche in Italia anche nelle nostre città e così spesso la realtà smentisce ciò che il pregiudizio ideologico o l’ignoranza hanno stabilito a priori. Nell’avventura della conoscenza che il Meeting quest’anno propone, abbiamo invitato due persone che cercano, pur tra mille difficoltà e con modalità diverse, di rendere possibile un dialogo e un incontro. Le abbiamo invitate per ascoltarne l’esperienza e per sostenere il lavoro che fanno. Provengono entrambi dalla cultura e dal mondo arabo, un mondo con il quale gli italiani hanno un rapporto plurisecolare al tempo stesso contrastato e fecondo. Un mondo che negli ultimi decenni ha messo radici nelle nostre terre attraverso il fenomeno dell’immigrazione, si calcola che su circa 4 milioni di stranieri presenti in Italia almeno 750 mila siano di cultura araba. E’ un mondo che, al di là delle immagini stereotipate che ci vengono consegnati dai media, è molto composito e molto articolato, in questo mondo vivono persone di cultura mussulmana, cristiana, ebraica e anche tanti agnostici, è una realtà con la quale la storia ci chiama a convivere e che la globalizzazione ci ha fatto conoscere da vicino sia attraverso l’immigrazione in Italia sia con i viaggi per turismo o per lavoro che un numero crescente di italiani compie nei paesi arabi. La storia ci dice dunque che vivere insieme è qualcosa di ineluttabile, ma dobbiamo decidere come vivere insieme e come costruire un dialogo efficace e duraturo, in cui le identità di ciascuno non siano ostacoli ma risorse. Le diversità che ci caratterizzano, per rilanciare la frase del filosofo Gian Battista Vico che campeggia nella mostra del Meeting dedicata al Rione sanità, “paion traversie eppure sono opportunità”. Su questo chiediamo ai nostri ospiti di portare il loro contributo di giudizio e di esperienza. Ve li presento: Souad Sbai, di origine marocchina, cittadina italiana dal 1998, presidente dell’Associazione delle donne marocchine in Italia, nel 2005 ha fondato a Roma il Centro culturale Averroé, che promuove un’intensa attività di divulgazione della cultura araba nei suoi vari aspetti e nelle sue varie anime. Nel 2007 ha promosso il telefono “mai più sola”, un centralino attivo 24 ore su 24, al quale si sono rivolte centinaia di donne immigrate per denunciare casi di violenza, soprattutto domestica. Dal 2005 fa parte della Consulta dell’Islam italiano, istituita presso il Ministero dell’interno. E’ stata presidente della Federazione delle comunità marocchine in Italia e dall’anno scorso è deputato al Parlamento italiano. Alla mia sinistra Mahmoud Asfa, architetto di origine giordana, presidente del consiglio direttivo della Casa della cultura islamica di Milano, nata nel 1993, uno dei più frequentati punti di riferimento della comunità mussulmana milanese. Ogni venerdì, da 3.000 a 5.000 persone si recano nella sede di Via Padova e nelle palestre comunali affittate dalla Casa della cultura islamica per la preghiera collettiva, che viene recitata in arabo e in italiano. Più volte Mahmoud Asfa ha dichiarato: “noi non preghiamo sui marciapiedi, vogliamo rispettare leggi italiane e non creare problemi alla città, ma chiediamo che si trovi una soluzione dignitosa che possa rispondere alle esigenze dei mussulmani che desiderano pregare insieme”. Lo scorso gennaio, dopo la preghiera islamica in piazza del Duomo, ha chiesto all’arcivescovo di Milano Tettamanzi un incontro per chiarire quanto era accaduto, facendosi portavoce di un islam moderato e desideroso di dialogare. Abbiamo pensato di proporre questo incontro con due o tre domande che io rivolgerò ai nostri ospiti e poi con una breve sintesi finale. La prima domanda è sul tema, sul titolo dell’incontro, il tema del dialogo e il tema della costruzione di una integrazione per coloro che vivono, per coloro che arrivando da mondi lontani, da culture diverse, vivono nel nostro paese. Le storie di Souad Sbai e Mahmoud Asfa sono storie di due persone che sono profondamente radicate dentro una comunità, dentro un popolo. In questo popolo voi esercitate un ruolo di leader e siete a diverso titolo, a diverso modo anche dei punti di riferimento umano per la vostra gente, umano e religioso, dunque svolgete anche un importante compito di tipo educativo. Cosa vuol dire educare la vostra gente a una convivenza costruttiva con la società italiana, come si esprime concretamente questo lavoro educativo e quali sono secondo voi le condizione per un dialogo che contribuisca a costruire integrazione e convivenza? Prima la parola a Mahmoud Asfa.

ASFA MAHMOUD:
Buon giorno a tutti, prima di tutto vorrei ringraziare gli organizzatori per questo invito che mi ha fatto veramente affezionare a questo tipo di Meeting, di cui non ero al corrente, vedendo tanta gente, tanti spazi, tante diverse attività che si svolgono a questo Meeting, auguro a tutti voi che riusciate ad andare avanti con il vostro lavoro. Mi è piaciuto molto anche il titolo, La conoscenza è sempre un avvenimento e questo combacia anche con un versetto del Corano. Sempre leggo questo versetto che mi piace molto: “o gente vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e nazioni affinché vi conosceste a vicenda”. E questo è veramente un incontro che tutti cercano di trovare, un dialogo costruttivo, un dialogo che veramente duri con il tempo, un dialogo in cui ognuno rispetti l’altro. Vorrei fermarmi un attimino sulla parola conoscenza, perché conoscersi è la cosa iniziale per dialogare con un altro: per creare un rapporto, una relazione bisogna conoscersi e Dio dice che ha fatto queste creature perché si conoscano. Tutti gli esseri umani sono stati creati da un maschio e da una femmina, da Adamo e Eva, e questo – che è il primo punto della nostra riflessione – vuol dire che siamo tutti uguali. Il secondo punto è che quando Dio ha creato diversi popoli e nazioni, ha voluto porre fra noi diversità di aspetto esteriore, di lingua, di colore, di cultura, per farci sapere che questa diversità è un dono, è un arricchimento per tutta l’umanità. Da questa diversità dobbiamo capire che la necessità di collaborare insieme per un bene comune è veramente urgente e importante, è indispensabile. Io ho voluto fare questa premessa perché mi è veramente piaciuto molto il titolo del Meeting. Vorrei entrare ora proprio nel titolo dell’incontro: dialogare è possibile. Mi è piaciuto che sia stato tolto quel punto interrogativo, perché vuol dire che siamo veramente sulla strada giusta, perché il dialogo è sempre possibile. L’uomo senza dialogo non può vivere, dialoga con se stesso, dialoga con gli altri, l’essere umano è una persona socievole anche se è di carattere isolato, magari timido. Il dialogo è una cosa molto importante per gli esseri umani e quindi dialogare, il dialogo è sempre possibile quando c’è la volontà dell’essere umano. La nostra presenza qui in Italia, in particolare quando è nata la nostra associazione, è sorta perché c’era l’esigenza di creare questo tipo di dialogo. Essendo la nostra un’immigrazione che viene da un mondo diverso, da una cultura diversa, da tradizioni diverse, bisognava creare un luogo dove ci si incontrasse per creare un tipo di dialogo con queste diverse culture. Per questo è nata la nostra associazione nel 1993, la Casa della cultura islamica. Eravamo un po’ di studenti, è nata da studenti che erano venuti a studiare in Italia con alcuni professionisti stranieri – sapete che prima della legge Martelli gli stranieri erano pochissimi, pochi studenti e pochi lavoratori. Poi con la legge Martelli dall’89-90 sono arrivati flussi e flussi di immigrati e noi c’eravamo prima di questa legge Martelli e abbiamo capito che questi flussi avevano bisogno di un luogo di incontro, di persone che spiegassero ai nuovi arrivati come comportarsi, come vivere in questo Paese. Venendo da un paese di lingua, cultura, religione, razza del tutto diverso, questi immigrati avevano bisogno di qualcuno che gli spiegasse la situazione e da lì è nata la nostra associazione. Inizialmente era un luogo di incontro, poi man mano, con le esigenze, perché lo straniero non è una persona che non ha sentimenti, anche lui ha bisogno di pregare, anche lui ha bisogno di dialogare col suo Creatore, di pregarlo, di chiedergli le cose e quindi inizialmente abbiamo iniziato a trovarci per dare un tipo di aiuto a questi stranieri che arrivavano da lontano, trovandogli un posto di lavoro, una abitazione e così via. Con l’aumento delle esigenze, la nostra associazione si è trasformata in un luogo di culto, il giorno del venerdì, perché prima non si facevano le preghiere giornaliere, solo il giorno del venerdì questo centro si trasformava in una moschea, si pregava il venerdì. Questa comunità, questi musulmani, questi nuovi arrivi, sicuramente hanno tante cose da comunicare. Noi ci siamo trovati veramente in grosse difficoltà, perché prima di tutto il mondo occidentale sa poco dei musulmani, invece bisogna conoscersi, sempre tornare alla parola conoscenza, perché conoscendo l’Islam si comprende che esso non è una cultura, è una religione e ogni Paese musulmano ha la sua cultura. Io sono giordano, c’è la cultura giordana, la signora Sbai è del Marocco, ha la cultura marocchina e così via. Ci siamo ritrovati nella nostra sede 30 o 40 culture da gestire e abbiamo dovuto cominciare a pensare a come comportarci con queste società, come orientare questa comunità, questi stranieri che sono arrivati in questo Paese, come comportarci come associazione e quindi ci siamo trovati in grande difficoltà e alla fine, con quelli che volevano veramente integrarsi in questo Paese, abbiamo deciso di creare un islam italiano, una cultura italiana di fede musulmana. Perché? Perché non si possono vivere 50 culture: la cultura pakistana, la cultura giordana, siriana, marocchina eccetera. Quindi era necessario creare questo tipo di islam italiano, che la nostra religione non nega, perché il marocchino ha la sua cultura però ha la fede musulmana. Quindi ci siamo trovati in momenti veramente difficili: da un lato dovevamo orientare questa comunità, spiegarle come si doveva comportare, dall’altro dovevamo spiegare ai nostri responsabili e alle istituzioni che questi musulmani non sono tutti uguali,che hanno delle esigenze, delle cose da spiegare, e così il nostro centro è diventato un luogo polifunzionale. Allo straniero, quando arriva, cominciamo a spiegare dove vive, cosa deve fare, le leggi italiane che deve rispettare, come deve regolarizzare la sua situazione dal punto di vista del permesso di soggiorno, come trovare lavoro, trovare casa e poi, quando si sono formate nuove famiglie, ci si sono presentati anche tutti i problemi famigliari. Quindi abbiamo organizzato corsi di orientamento per gli stranieri, corsi di lingua italiana per nuovi arrivati, perché è importante, uno che vuole stare in Italia è normale che debba parlare la lingua del Paese dove vive, altrimenti rimarrà sempre isolato. Poi con la crescita di queste esigenze, abbiamo fatto anche corsi di orientamento culturale, abbiamo dovuto spiegare alla gente la cultura italiana, la Costituzione italiana: tre o quattro volte all’anno spieghiamo alla nostra comunità, ai musulmani, agli immigrati e agli stranieri cos’è la Costituzione italiana, punto per punto, così almeno cominciano a capire dove vivono e in quale Paese stanno. Abbiamo anche fatto visite alle scuole. I bambini degli immigrati, crescendo, frequentano le scuole pubbliche, perché noi fin dall’inizio abbiamo capito che non bisogna creare delle scuole isolate, bisogna mandare i bambini nelle scuole pubbliche e aiutarli a essere integrati in questa società, diventando bambini italiani. Per questo fin dall’inizio abbiamo invitato la nostra comunità a frequentare le scuole pubbliche. Forse tutti sapete che a Milano c’era una scuola araba, con un programma egiziano, però era un’esperienza molto negativa e dall’inizio abbiamo consigliato agli organizzatori e a quelli che hanno fondato questa scuola di chiuderla, perché se il bambino vive in Italia e segue un programma egiziano, vive e cresce in un ambiente che non conosce. Meno male che questo tipo di scuola è fallita e la maggior parte delle nostre comunità frequenta ora le scuole normali. Questo è un lavoro che abbiamo dovuto fare con tanta fatica e abbiamo anche conosciuto delle scuole italiane che vogliono capire che cos’è l’islam. Negli ultimi anni, dopo l’11 settembre, la gente voleva sapere, voleva essere sicura: che cos’è questo islam terroristico, che vuole uccidere? E meno male che ci sono grandi dirigenti scolastici che hanno avuto il coraggio di andare a frequentare le moschee come frequentano le sinagoghe e le chiese. Sono venuti e hanno avuto un incontro molto costruttivo e molto positivo. Ogni anno, nel nostro centro, riceviamo almeno 20-30 scuole italiane, a cui spieghiamo la cultura araba, musulmana, l’immigrazione, il servizio che la Casa della cultura islamica fa per gli immigrati. E non manca anche l’interesse per la situazione dei carceri, visto che a Milano il 50% dei detenuti sono musulmani. Noi abbiamo chiesto di andare a far assistenza a questi carcerati e abbiamo fatto un’esperienza molto positiva, lo testimonia anche il direttore del carcere, Pagani, che ci ha mandato tanti auguri. Purtroppo la legge italiana, quando per esempio uno spaccia, ruba, lo condanna a tre mesi di carcere, poi quello esce, e una settimana dopo rientra ancora e così via. Da quando abbiamo fatto il nostro intervento dal punto di vista morale, spiegando alla gente che deve rispettare le leggi, essere gente costruttiva, buoni cittadini, il numero è molto diminuito e quindi quando il carcerato esce non torna più a delinquere e questo ce lo hanno detto i dirigenti del carcere. Certamente è un lavoro molto faticoso, che ha bisogno di essere sostenuto. Noi con le nostre possibilità, come Casa della cultura islamica, facciamo quello che possiamo, però il lavoro è molto più grande delle nostre forze e purtroppo l’istituzione ancora non dà tanta importanza al lavoro che noi facciamo, non solo per l’immigrazione ma anche per il Paese. Noi stiamo formando buoni cittadini, vogliamo creare delle persone che rispettano la legge italiana, che vivano in pace con tutti. Abbiamo anche creato un Forum delle religioni, insieme alla Chiesa cattolica. Inizialmente eravamo noi, Casa della cultura islamica con il Cardinale di Milano, poi sono state associate tutte le religioni presenti a Milano, è stato fatto uno statuto due o tre anni fa, ed è nato il Forum delle religioni. Ci incontriamo, parliamo, dialoghiamo, troviamo punti comuni insieme, e queste esperienze bisogna sempre farle sapere e diffonderle. Purtroppo i mass media fanno solo vedere le cose brutte, mai le cose positive – e noi come associazione non abbiamo i mezzi per far vedere a tutti quello che facciamo. Grazie al nostro amico Giorgio Paolucci, però, che ogni tanto scrive qualcosa su Avvenire della nostra attività, speriamo che questo piccolo lavoro che facciamo aiuti a creare un ambiente di dialogo, di pacifica convivenza nel rispetto e dignità.

SOUAD SBAI:
Voglio subito ringraziare tutti per avermi invitata ad intervenire in questo importante appuntamento annuale, che oggi è alle soglie dei trent’anni di un’attività prestigiosa, che ha dato cospicui contributi ai grandi temi che sono stati oggetto dei suoi dibattiti in questi anni. Io è la quarta volta che sono invitata al Meeting. Ormai con la famiglia, i figli, veniamo sempre, perché fa parte della nostra vacanza. Ritagliamo questo spazio anche se non intervengo, anche se non ho impegni diretti. Al Meeting vengo sempre con la mia famiglia, perché torniamo arricchiti tantissimo. C’è bisogno di questo ossigeno di umanità, di gente, soprattutto dei tanti giovani che vedo e che ringrazio. Vorrei che facessimo un applauso a tutti quei giovani che lavorano giorno e notte. Vorrei ringraziare Giorgio Paolucci per l’impegno che non solo al Meeting ma tutto l’anno profonde come trait-d’union, per farci dialogare, perché il dialogo è possibile, sì è veramente possibile. Però, per quanto riguarda noi, che veniamo da una parte più moderata dell’islam – uno pensa che il moderato è quello che vuole vestirsi normalmente, è quello che vuole mangiare normalmente, che vuole la sua libertà, che non vuole in controllo particolare di un certo radicalismo, il moderato è quello che non vuole mettere il velo perché imposto – devo dire che ho difficoltà a dialogare, te l’avevo detto, perché è come mettere l’acido in una ferita ancora aperta. Io purtroppo non riesco a dimenticare quei 350.000 morti in Algeria grazie al radicalismo, non riesco dimenticare quelle donne sgozzate in Italia, 35 in 18 mesi. E’ un difetto che col tempo spero di superare cominciando a perdonare. Ora però è ancora vicino il dolore. Devo dire che io ammiro chi vuole dialogare e ringrazio per questo incontro, perché mi permette di conoscere una persona che non ho mai visto, non ho mai conosciuto e che parla in questo modo. Ringrazio davvero Paolucci di avermi fatto conoscere Mahmoud, perché quelli che conosco io sono diversi, quelli che conosco io hanno altri pensieri, non riconoscono la sacralità della vita, non hanno voluto firmare la Carta dei Valori perché c’era l’uguaglianza uomo donna, volevano due leggi differenti, non vogliono aiutare le donne ad uscire fuori dall’analfabetismo, vogliono il controllo delle persone, delle scuole. Noi invece siamo moderati e abbiamo scelto questo Paese perché è occidentale, perché ha delle radici importanti, però abbiamo incontrato un’Italia che ha dimenticato le sue radici, e questo ha rinforzato il radicalismo, ha fatto sì che l’estremismo avanzasse e godesse di un risveglio molto importante. Questo è un j’accuse che faccio a tutti, perché non ci avete aiutato a dialogare. Io non riesco a dialogare con alcune persone, perché oggi dicono una cosa e domani un’altra e fanno cose allucinanti, fanno dei sermoni in cui sono contro i cristiani, contro gli ebrei, contro noi moderati. Mi è difficile, vorrei dialogare, con voi ci si può anche mettere intorno a un tavolino e dialogare, però lo scontro di civiltà non è tra noi e voi, ma tra noi e loro. Tra noi e loro c’è un conflitto forte, e non dimentichiamo che chi ha pagato le conseguenze sono stati gli arabi, basta vedere in giro quanti arabi sono morti e continuano a morire in Afghanistan, dappertutto, anche quanti cristiani muoiono grazie a questi fanatismi. C’è stato un risveglio del fanatismo ma c’è stato anche un risveglio degli intellettuali moderati, anche se li hanno sterminati tutti. In Algeria, mi fidavo molto degli intellettuali algerini, perché potevano comunicare con l’Occidente, usavano la lingua francese ed era molto più facile un dialogo: li hanno ammazzati tutti. L’ultimo disse: “Mi uccido da solo, con le mie mani, non voglio essere ucciso dai fanatici”. È stato uno scrittore bravissimo che ricordiamo ..…..scusate l’emozione.
Tutti dicono che preferiscono dialogare con gli estremisti perché sono più religiosi. No, assolutamente, lo rifiuto. Un moderato laico è come tutti gli italiani, vive la propria religione con pace e tranquillità, senza fanatismi. Sono per fortuna la maggioranza, mentre questi fanatici sono il 5%, non arrivano al 5%, vogliono addirittura fare il partito islamico perché nei Paesi arabi non li fila più nessuno: nelle ultime elezioni, in Marocco, hanno vinto le donne contro gli estremisti. È una battaglia forte, che continuiamo a combattere, ma non è una battaglia, sì un po’ di rabbia c’è, non siamo santi, siamo esseri umani, c’è rabbia, però siamo disposti al dialogo. Tanta gente arriva da quella parte da noi, al centro Averroé come ricordava Paolucci prima, che invito tutti a venire a vedere a Roma, vicino al Colosseo, in via della Polveriera….
Il centro Averroé è un centro vivo, dove vengono giovani italiani, marocchini, arabi, pakistani, vengono tutti. Noi cerchiamo, come fa il Meeting, di far parlare tutti del dialogo interculturale e interreligioso. Tanti i temi, abbiamo invitato Valentina Colombo e tanti scrittori italiani. È vivo come centro, è quel centro che vorrebbe il pensiero di Averroé: la ragione prevale su tutto, cerchiamo di ragionare, di portare un dialogo sano, non ambiguo. Io non mi fido dei radicali perché li conosco, perché ci ho vissuto, conosco chi sono, so la vera realtà, possono crederci gli occidentali, io non ci credo. Se alcuni cambiano idea va benissimo, le porte sono aperte, però come diceva Mahmoud prima, non c’è un islam, ci sono tanti islam. Io non faccio parte di alcun islam, io faccio parte di una cultura islamica laica che ho vissuto in Marocco, sufi per esempio, la cultura della pace, del non uccidere. Ma in Italia ho conosciuto un altro Islam, un mutliculturalismo, una macedonia di culture, qualcuno, una certa parte politica, protegge questo multiculturalismo, lo accetta senza fare distinzioni. Io per esempio da marocchina non ho niente a che vedere con la cultura pakistana, con la cultura giordana, sono molto lontana da quella siriana. Io sono del Marocco, vengo dal Mediterraneo e mi sono trovata con donne marocchine infibulate in Italia, quando in Marocco l’infibulazione non esiste, non sanno neanche che cosa vuol dire la mutilazione genitale. Mi sono trovata con donne poligamiche, quando in Marocco la poligamia non esiste più, mi sono trovata con donne massacrate di botte, che non escono di casa, mi sono trovata con tante, tante cose che ben sa Giorgio Paolucci perché ci conosce da tanti anni, mi sono trovata con un islam di imam fai da te, che non hanno cultura, cioè qualsiasi persona si alza alla mattina e si presenta come imam e non sa neanche leggere e scrivere, non sa leggere una parola del Corano, impara a memoria due sure e già comincia a diventare imam. Non c’è una scuola di teologia dove arrivano dei veri imam che consigliano, qui ci troviamo con una confusione totale e noi ci siamo ritirati da questa confusione, vogliamo vivere. Ah ecco, un’altra cosa in Marocco non esiste, il burqa, le donne marocchine in Italia portano il burqa perché ci sono imam pakistani che portano questa cultura, perché c’è ignoranza. Ecco allora il problema dell’estremismo, del risveglio. Ci vorrebbero giornate intere per spiegare i nostri 20 anni di battaglia, 20 anni se non 30, dall’89, l’avanzata estremista che ha voluto cambiare il mondo arabo. Questo risveglio negativo non ce l’ha fatta nei paesi del nord Africa, si è ritrovato con dei dittatori e alla fine per fortuna o per sfortuna, perché il dittatore è una sfortuna però in questo caso una fortuna, hanno pensato bene di venire in Italia a fare il loro proselitismo. Perché? Perché c’è debolezza, non c’è radice, c’è il nulla. Non per tutti però, solo per la maggior parte è così. Quando a scuola si rifiuta anche la religione cristiana… e qui si potrebbe raccontare per intere giornate… Dialogare, noi siamo pronti al dialogo, però tramite voi possiamo conoscere loro e loro possono conoscere noi. Certo è un po’ difficile, scusate se sono così pessimista ma io vivo una realtà differente, vivo la vera realtà dei musulmani moderati, che ormai non riescono più neanche a parlare perché come diceva Mahmoud non hanno spazio. Tanti moderati si sono trasferiti, come Tahar Ben Jelloun, si sono trasferiti anche in Marocco, perché l’occidente sta diventando troppo islamico per il loro pensiero. E condivido questo pensiero, perché non è arrivato quell’islam che loro speravano e allora lo vanno a ritrovare nel loro Paese di provenienza. Io non vorrei togliere troppo spazio, ci sarebbe tanto da dire, ma un dialogo tra noi e loro è un po’ lontano perché le ferite sono ancora vive, però siamo disposti a perdonare.

GIORGIO PAOLUCCI:
Mi ha colpito un’osservazione che faceva Souad Sbai: in una civiltà dove le radici si indeboliscono aumenta il radicalismo. C’è sempre la parola radice in questi due termini, sembra un paradosso, eppure quello che lei denunciava in un altro versante è sembrato emergere con una sentenza tutta italiana, che è la sentenza di poche settimane fa del tribunale amministrativo del Lazio che, come sapete, tende a escludere la partecipazione degli insegnanti di religione dalle valutazioni finali degli scrutini di fine anno. Su questo, tra l’altro, mi pare che anche Souad Sbai sia intervenuta con un commento sul sito de Il Sussidiario. Ecco, non vi sembri strano rivolgere a voi questa domanda, a voi che provenite da un’altra cultura, da una cultura in cui l’elemento religioso ha una grande importanza dal punto di vista educativo e culturale. Che cosa pensate di quello che questa sentenza esprime, che forse è la punta di un iceberg che si chiama laicismo, che tenta di relegare sempre di più il fattore religioso, in particolare l’esperienza cristiana, l’esperienza cattolica, ai margini anche del lavoro educativo e scolastico.

ASFA MAHMOUD:
Il mio punto di vista è che la religione non è una materia secondaria oppure complementare. L’uomo, il bambino ha bisogno dei valori, di essere educato, di imparare i valori e quindi io sono contrario alla religione come materia complementare. Io sono favorevole ad insegnare la religione come la matematica, come la lingua italiana, perché l’uomo non ha bisogno solo di sapere quanto fa uno più uno, ma anche di sapere che non bisogna rubare, che non bisogna opprimere, che bisogna essere giusto e questi valori non li dà la matematica, li dà la religione. Quindi la religione deve essere una materia obbligatoria. Cosa vuol dire un Paese laico? Vuol dire non insegnare la religione? Anzi, un Paese laico deve accettare tutto, anche far diventare la religione una materia non facoltativa. Trovando uno studente di una religione diversa, io ho fatto una proposta una volta, di insegnare nelle scuole la storia delle religioni. Mi sembra l’unica possibilità, se vogliamo creare un ambiente di pacifica convivenza con le diverse religioni, dato che ormai questa globalizzazione ha mischiato tutto il mondo e non c’è un Paese islamico, non c’è un Paese cristiano, non c’è un Paese ebraico. In Arabia Saudita sono musulmani, però l’islam è un’altra cosa, l’islam non vieta alla donna di guidare la macchina, in Arabia Saudita invece la donna non può guidare. Ma dove si trova nei testi islamici questa legge? Non c’è né nel Corano né nei testi del profeta e quindi io direi che studiare le religioni, almeno la storia delle religioni, della religione cristiana, sia positivo. Io preferisco che mio figlio che vive in Italia sappia qualcosa della religione cristiana, della religione ebraica e anche della religione musulmana naturalmente. Io non riesco ad insegnare a mio figlio i valori islamici, dell’islam moderato o quello che è, però non ho problemi a dire che sono musulmano, perché so che l’islam è una religione di pace, di dialogo, di rispetto, so che ci sono tanti valori in questa religione, altrimenti lascerei questa religione, ma ci sono questi valori in comune con le altre religioni. Quindi io non sono d’accordo a mettere la religione come materia secondaria o di serie b. Spero che arrivi il tempo in cui la religione diventi nella scuola una materia come tutte le altre.

SOUAD SBAI:
Il mio pensiero lo trovate anche su Il Sussidiario per quanto riguarda questa sentenza. I miei figli sono andati a scuola e hanno sempre seguito il corso di religione tranquillamente, senza problemi, anzi si sono arricchiti di più. Qui bisogna anche stare attenti, io qualche tempo fa ho sentito in televisione che alcuni marocchini hanno protestato contro il Presepe in una scuola. Io ho preso, sono andata lì in quella scuola e ho intervistato tutti i marocchini che andavano in quella scuola. Neanche sapevano della notizia. Erano gli insegnanti a cui dava fastidio il Presepe, come è successo anche per la Croce, come è successo anche per la festa del Natale. Se uno va in Marocco a Natale ci sono gli alberi, c’è di tutto, io l’ho sempre festeggiato con gli amici ebrei e cristiani, quando c’erano le festività religiose non c’erano questi problemi, il problema è che in Italia ci sono persone che sono contro. Comunque vorrei lasciare questa domanda perché sai come la penso e vorrei aprire e chiudere subito. Io ho un giornale che si chiama Al Maghrebiya, un giornale in arabo, 50.000 copie, che cerchiamo di far girare in tutta Italia per far conoscere la realtà a tanti arabi che vivono in Italia e perché possano tornare in sé, dopo un certo lavaggio del cervello subito da parte di certi estremisti ben addestrati. Ho pubblicato un articolo che è uscito in Marocco su tutti i giornali, che raccontava che è stata aperta in Marocco una Chiesa per i marocchini convertiti. Mi sono detta, interessante! Qui in Italia il minimo è che ti taglino la testa, se uno si converte deve avere 12 scorte, a questo arrivano le fatwe che sono peggio del tagliare la testa, perché uno vive tutta la vita nel terrore di avere qualcuno dietro che gli taglia la testa. Questa è libertà religiosa. Io ho preso la notizia, l’ho messa nel mio giornale com’è, con la fonte. Ho avuto dall’Italia centinaia di telefonate di insulti di tutti i generi, perché mi accusavano di fare proselitismo al contrario. A quel punto ho chiamato i miei colleghi giornalisti e gli ho chiesto se avevano avuto dei problemi. No, anzi, stavano facendo un’inchiesta più lunga perché ci sono tanti convertiti. Qui in Italia non è possibile parlare di questo, perché la scuola non ne parla, la scuola non insegna a questi ragazzi – non tutte le scuole, non tutti gli insegnanti, per carità, non voglio generalizzare – ma se l’Italia rifiuta perfino la sua religione, che cosa possiamo aspettarci? Ecco, continuo a parlare del Marocco, ma è uguale in Tunisia e in Algeria. In Marocco ci sono scuole di suore dove va l’élite marocchina e non ci sono questi problemi, che invece ci sono da noi qui a Milano, Torino, Bergamo, Padova. Per fortuna al Sud non è arrivato questo estremismo. Io sto girando un po’ l’Italia e al Sud questa realtà non c’è, tutto fila, tutto va bene, c’è un dialogo aperto tra le comunità, io vado lì e sono ben accettata da tutti, i marocchini sono integrati. Al Nord invece non c’è stata integrazione, anzi vogliono integrarci loro alla loro tradizione, e ci stanno riuscendo, basta vedere quello che sta succedendo in Inghilterra oggi, c’è perfino il tribunale islamico: come fa una ragazza di terza e quarta generazione ad essere giudicata in nome della Sharia? Alla terza generazione! Ma anche in Italia è successo, ricordate Fatima, la ragazza massacrata dai genitori, poi un tribunale dice è la loro cultura, che voleva vivere all’occidentale e tante altre cose. Perciò io noto che alla fine c’è un soprastrato di un certo estremismo islamico che sta avanzando molto e non solo a Londra, anche in Belgio c’è una situazione drammatica e in altri Paesi europei. Io dico con forza, con tutti i moderati, insieme agli italiani, no a quell’estremismo, sì a convivere insieme nella pace ma senza ambiguità.

GIORGIO PAOLUCCI:
Il dialogo è possibile, lo abbiamo visto oggi attraverso le loro due esperienze. Il dialogo è difficile, è in salita, è pieno di curve ma è possibile e voi ce l’avete testimoniato dandoci come due coordinate che credo la gente che partecipa al Meeting e l’esperienza da cui nasce hanno ben presenti: la parola identità e la parola incontro. Non si può dialogare se non si sa innanzitutto chi si è, il dialogo non è un ballo in maschera in cui ci si copre la faccia per cercare i cosiddetti valori minimi a cui aderire. Il dialogo richiede innanzitutto guardare in faccia una persona sapendo chi si è e quindi non è mai un’esperienza che si può fare da soli ovviamente come dice l’etimologia della parola. Il dialogo non è guardarsi allo specchio, non è ammirarsi o dire io, ma è guardare un tu, e solo guardando un tu è possibile costruire un noi, cioè costruire una convivenza. Per questo il dialogo richiede, oltre che la consapevolezza delle proprie radici che il nostro popolo sta smarrendo, anche il desiderio di un incontro, di incontrare chi è diverso, perché solo incontrando chi è diverso da me posso costruire una convivenza nuova e come abbiamo sentito e visto, la convivenza con i popoli degli immigrati non è una scelta, è un obbligo. Dobbiamo decidere noi, però, come convivere, dobbiamo dare regole certe, dobbiamo chiedere la condivisione dei valori che tengono in piedi la nostra società, i valori della democrazia, dell’uguaglianza, della pari dignità tra l’uomo e la donna, della libertà religiosa compresa quella di cambiare religione, il valore della laicità che implica la valorizzazione, non la censura, di ogni vera esperienza religiosa. Dentro questa cornice è possibile accogliere le diversità che arrivano da tutto il mondo per vivere tra noi. E credo che gli ospiti di oggi, che ringraziamo, ci hanno dato testimonianza di questo anche raccontandoci di due percorsi diversi, due sensibilità diverse ma entrambe segnate da questo desiderio di con – vivere, di vivere insieme e di aiutare il popolo a cui appartengono e di cui sono anche leader e quindi punti di riferimento, a costruire questa convivenza. Per questo li ringraziamo e assicuriamo che continueremo a seguire e a sostenere il loro lavoro e il loro impegno e li ringraziamo perché questo incontro è stato, se mi permettete, per chi vi ha partecipato nel suo piccolo un reale avvenimento. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2009

Ora

11:15

Edizione

2009

Luogo

Sala A2
Categoria
Incontri