I GIOVANI E LE GRANDI IMPRESE

I GIOVANI E LE GRANDI IMPRESE

Stefano Barrese, Responsabile della Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo dialoga con Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. In occasione dell’incontro sono previste domande dal pubblico.

 

Ore: 15.00 MeshAREA TALK Intesa Sanpaolo B1
I GIOVANI E LE GRANDI IMPRESE

Stefano Barrese, Responsabile della Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo dialoga con Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. In occasione dell’incontro sono previste domande dal pubblico.

GIORGIO VITTADINI
Buongiorno. Diamo inizio a questo incontro che sarà un dialogo con Stefano Barrese, responsabile della Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo, sul tema “I giovani e le grandi imprese”. Essendo qui, sapete che c’è questa nuova realtà del Meeting che si chiama MeshArea, il cui tema non è parlare in astratto del lavoro ma vedere che cosa vogliono dire le nuove prospettive di lavoro, tra queste, la banca. Non più come tanti anni fa: chi ha una certa età si ricorderà una canzone de I Gufi, un gruppo famoso a Milano, che diceva: «Io vado in banca, stipendio fisso, e poi… non ci penso più». Questo era il pensiero che c’era allora, un po’ come il posto fisso di Checco Zalone adesso, nello Stato; perché la banca era il punto di riferimento delle mamme e dei papà: «Vai in banca!» dicevano. Ancora adesso c’è la nonna di un mio amico che si è appena laureato e ha preso il Dottorato in Belgio, che gli dice: «Ma no! Ma che cosa studi! Vai in banca! L’unica cosa è la banca!». Forse qualcosa un po’ è cambiato, però è vero che la banca rimane qualcosa di interessante. Non solo in quanto banca: avendo dei personaggi come Stefano Barrese, che non è solamente un grande banchiere ma un osservatore del mondo economico, del lavoro, con la sua intelligenza, può diventare la possibilità di guardare cosa vuol dire oggi lavorare e cosa vuol dire lavorare in una grande impresa. Per questo l’incontro di oggi è particolarmente interessante, perché diventa la possibilità per chi è presente, soprattutto per i giovani che faranno domande, di capire che cosa vuole dire lavorare. Non perdo più tempo e, dopo aver ringraziato Stefano della sua presenza, faccio riferimento ad un dialogo che abbiamo fatto tra noi per preparare questo incontro. Io ho usato una metafora ciclistica. Chi si intende di ciclismo e ha seguito l’ultimo Giro di Francia, sa che ci sono gli scattisti, che partono da soli e prendono uno, due, tre minuti di vantaggio, e vanno a costruire il futuro da soli. Poi invece ci sono le grandi squadre che tutelano il capitano, come la Sky all’ultimo Giro di Francia, che lasciano sfogare lo scattista per poi andarlo a riprendere. Infatti, quest’anno ha vinto un outsider, Thomas, che però apparteneva alla Sky. Tutte le tappe erano così: partiva qualcuno, lo lasciavano sfogare, lo andavano a riprendere e poi vinceva il capitano. Perché uso questa metafora? Perché la domanda è: che cosa sono il breve periodo, lo scattista, e il lungo periodo in economia? A che cosa dobbiamo guardare per costruire il lavoro in Italia? E tu, Stefano, a che cosa credi, a che cosa appartieni? Agli scattisti o ai passisti? Perché non è che la cosa sia scontata: un’azienda quotata, per esempio, non può pensare solamente al medio o al lungo periodo, ogni tre mesi ha una verifica. Che cosa vuole dire costruire il lungo periodo quando bisogna stare attenti anche al breve periodo? Cominciamo con questo, sia per l’azienda che per la persona.

STEFANO BARRESE
Grazie per la presentazione, grazie a tutti voi che siete qui. Devo dire che è una bella domanda: breve periodo e lungo periodo. Il mio punto di vista è che una persona, che sia una persona fisica (questo riguarda chiunque, qualunque individuo) ma anche una società (perché non dimentichiamoci che è il bello della nostra lingua: da noi le società si chiamano “persone giuridiche”, quindi parliamo sempre di persona), per chiunque, la vera forza è nel coniugare breve periodo e lungo periodo, quindi il punto di partenza vero è qual è il piano della persona, il piano dell’individuo, il piano della società. Definito il piano, definita la prospettiva, poi c’è un giusto tempo per tutte le cose. Ci sono cose che si possono attuare in un breve periodo, ci sono cose che hanno bisogno di tempo, per gli sviluppi, per la cultura: perché tante cose che, per poter arrivare fino in fondo – pensiamo alla società o anche a noi stessi, alla nostra seniority, quello che siamo a vent’anni non lo siamo a trenta o a cinquanta – hanno bisogno di tempo. Per cui, non credo che il tema sia scattisti o passisti: c’è la consapevolezza di saper dosare al meglio queste due caratteristiche. Di sicuro, sono profili che è bene avere. C’è un momento nel quale è necessario, per arrivare a compimento, portare delle accelerazioni, ma nell’ambito di un quadro definito che è il piano. Se penso alla nostra banca, quello che abbiamo sempre fatto è avere ben chiaro il piano aziendale. Lo abbiamo fatto diversi anni fa, era il 2014, e l’abbiamo fatto nel febbraio scorso. È importante per un’azienda avere ben chiara la strategia, quello che si ha in mente per i prossimi anni, e con pazienza riuscire a scaricare questa strategia nell’interesse di chi lavora all’interno della struttura e nell’interesse della collettività perché l’aspetto chiave, che bisogna sempre avere in mente, è che è importante avere ben chiaro che cosa c’è al centro dell’interesse dell’organizzazione. Noi abbiamo la persona. Una delle cose che il nostro Amministratore delegato racconta sempre è la centralità della persona all’interno della banca, sino dal momento dell’elaborazione del piano, ma in ogni singolo istante, nella conduzione dello stesso, sia che si guardi verso l’interno, sia che si guardi verso l’esterno. Pensiamo, ad esempio, a quello che la banca ha fatto in tutti questi anni, cercando di non dare mai spazio alla possibilità che, nonostante il contesto non fosse facile, ci fossero esuberi di personale. Noi abbiamo garantito sempre che all’interno della banca ci fosse posto per tutti, anche ridefinendo i contenuti della nostra attività. Allo stesso tempo, l’abbiamo fatto verso l’esterno. In che modo? Dandoci una regola importante nel cercare di dare spazio sempre e comunque, se ce n’era la possibilità, anche a quelle situazioni di crisi. L’elemento che mi piace ricordare sono le oltre 80 mila aziende che abbiamo salvato in tutti questi anni. 80 mila aziende, un numero impressionante: se ci agganciamo un numero di 10 come addetti medi, una banca in quattro anni ha salvato potenzialmente 800 mila posti di lavoro. Questo è il vero fine che bisogna avere in mente, la centralità della persona. Se si ha in mente questo, tutto il resto viene naturale. Se il fine di un’azienda è la persona, allora è chiaro che è necessario perseguire il profitto per far sì che ci sia spazio per le persone dentro e fuori dall’azienda; se il fine è il profitto, le persone diventano un mezzo. Ed è quello che succede sistematicamente quando ci sono riduzioni di personale. In questo e in altri contesti – non parlo dell’Italia ma di situazioni molto più anglosassoni – la prima cosa che si taglia, quando si ricerca il profitto, sono proprio le persone. Ecco, è una cosa importante nella prospettiva del lungo periodo. Quindi, su questo tema dell’essere passisti o scattisti, in realtà, ho più una visione inclusiva, di squadra, che singola, con il capitano che ricerca una vittoria da solo.

GIORGIO VITTADINI
Passiamo alla seconda domanda pensata dai ragazzi: Matilde, se vuoi, puoi salire.

DOMANDA
In un mondo come questo, in cui la tecnologia sta prendendo sempre più spazio, ci chiediamo se il machine learning e l’intelligenza artificiale arriveranno a sostituire l’uomo nella banca. Rimarranno spazi o resterà solo un lavoro per pochissime persone?

STEFANO BARRESE
Questo è sicuramente un elemento di potenziale preoccupazione. In realtà, io lo vedo come una grande opportunità. Se la persona è centrale nelle strategie della società, in senso lato, occorre considerare che in realtà tutto ciò che è intelligenza artificiale, robotica, aumenta e facilita la produttività, ma bisogna cercare che sia inclusiva: quindi, si modificano le professioni ma non necessariamente scompaiono. Parliamo della nostra esperienza concreta. Sicuramente, in tutto ciò che è banca, la robotica e l’intelligenza artificiale hanno già avuto un impatto importante. Immaginate il lavoro del bancario: il punto di accesso era la cassa ma, in realtà, la cassa è un lavoro che, negli anni, si è ridotto significativamente, non solo perché si sono chiuse le filiali ma perché la cassa progressivamente è stata sostituita da un robot che è una cassa automatica. Non per questo il lavoro del bancario è scomparso: si è modificato, si è riqualificato, è diventato molto più di consulenza o di interazione con il cliente, magari non necessariamente fisica ma a distanza. Oggi, per esempio, noi abbiamo dichiarato assunzioni per circa 1500 persone: quello che prima era il punto di accesso del cassiere, oggi è la filiale on line che non è detto possa evolvere in futuro come l’elemento che consente a un giovane di entrare all’interno della banca, di iniziare a fare quell’attività di consulenza a distanza che dicevamo, e in sostanza di fare esattamente lo stesso lavoro che fa il gestore in una filiale fisica. Questo è possibile perché si è all’interno di una banca che ha integrato tutti i canali, fisici e digitali. Dobbiamo avere paura di quella che è l’innovazione in corso o dobbiamo comprendere, anticipare e accompagnare l’innovazione, per far sì che ci siano le stesse o maggiori opportunità rispetto al passato? Il mio punto di vista, e il punto di vista della banca, è il secondo: non guardare all’innovazione con timore ma come opportunità. È la storia del mondo, dice che, se guardiamo anche solo rispetto a cento anni fa, di sicuro l’occupazione è aumentata non diminuita. Per cui, in generale, l’innovazione è opportunità non minaccia. Però bisogna avere in mente quello che dicevo prima: se al centro c’è la persona, le opportunità ci saranno sempre; se questo elemento viene perso, potrebbe esserci un elemento di minaccia.

GIORGIO VITTADINI
Luca Pirola.

LUCA PIROLA
Sì, buongiorno, sono un professionista che in futuro potrebbe avere interesse, anzi, necessità di ottenere un prestito da una banca, magari per migliorare e ingrandire l’attività professionale. Tradizionalmente, c’era un rapporto diretto con la piccola filiale del paese o della zona in cui uno si trovava, magari con il direttore della banca: la decisone di concedere o meno un mutuo era improntata anche all’intuito del funzionario. Attualmente, anche per modifiche normative e per procedure interne, che sono sempre più stringenti, sembra che la decisione sull’affidare o meno un mutuo a un imprenditore, un professionista, ad un’impresa, sia legata ad algoritmi, a numeri, a procedure, che stringono un po’ il giovane professionista o la piccola impresa. Volevo capire con te come rimane il ruolo e l’intuito del banchiere e come un giovane professionista può lavorare, fare, costruire per ottenere il mutuo di cui può avere bisogno.

STEFANO BARRESE
Questa domanda si ricollega alla precedente: a parte i temi normativi – il tema del rating è normativo -, se pensiamo ai regolamenti interni alla banca, in generale potrebbe esserci una sorta di applicazione normativa di un qualcosa di estremamente innovativo: se ci pensate, l’algoritmo legato al rating non è altro che una prima rappresentazione di una applicazione di intelligenza artificiale. Vedo tante informazioni quantitative, le mescolo ed esce fuori un risultato. In realtà, questo non è sufficiente: lo sarebbe se la banca fosse rappresentata soltanto da una macchina o da un algoritmo. A quel punto, con il rating, la valutazione, si chiuderebbe l’opportunità per un imprenditore, un professionista, un privato, di accedere al credito. Per fortuna, la banca non è questo. Questo è vero per tanti motori, tutto ciò che oggi rappresenta, nel mondo delle start up, il credito digitale, ma non per una banca che è fatta di persone in carne ed ossa, che prendono il risultato degli algoritmi, vanno in azienda e interloquiscono con l’imprenditore. Adesso, vedo qui in platea il mio collega Mauro Federsoni, che è il direttore regionale, cioè il capo di tutto il territorio di Milano e provincia. Il 3 agosto ero con lui in un’azienda di Milano, per vedere l’azienda, per parlare di prospettive, per vedere dove nasce il prodotto. Questo è l’elemento che consente, oltre a un ottimo rating, di toccare con mano la vera prospettiva dell’azienda e anche l’opportunità per l’imprenditore di evolvere, perché il valore aggiunto che può portare un banchiere – come Federsoni, in questo caso – è il fatto di avere non un’azienda ma centinaia di migliaia di aziende che possono essere anche, per l’imprenditore stesso, uno specchio e un’opportunità nel futuro di fare evolvere la sua azienda. Quindi, non credo possa essere un limite, ma è importante mantenere il fattore umano che consenta di valorizzare gli aspetti intangibili, oltre al puro aspetto algoritmico. Noi chiaramente facciamo l’uno e l’altro. La stessa cosa l’abbiamo fatta, ad esempio, con i privati: siamo andati oltre il tema del contratto di lavoro a tempo indeterminato, per garantire l’accesso ai giovani sotto i 35 anni nell’acquisto del mutuo. Non è il contratto di lavoro a tempo indeterminato a garantirmi il ripagamento di una rata, ma la possibilità di quel giovane di avere accesso al lavoro, in funzione delle sue capacità attuali e prospettiche. Quindi. noi abbiamo introdotto anche la possibilità di dare un mutuo a chi ha contratti di lavoro a termine, per altro rappresentando questi ultimi un elemento di flessibilità oggi prevalente rispetto all’altro. Se no, correremmo il rischio di non fare più credito a nessuno, se penso ai privati e ai giovani.

GIORGIO VITTADINI
Allora, Mariano Filippi.

MARIANO FILIPPI
Ciao, recupero uno spunto dell’introduzione in cui si diceva che una volta “banche” era sinonimo di lavoro sicuro e ben retribuito: ti volevo chiedere, è ancora così? Che prospettive ci sono per i giovani che vogliono approcciare il mondo delle banche? Grazie.

STEFANO BARRESE
Nonostante negli anni il numero dell’organico si sia progressivamente ridotto, ma per esigenze anche anagrafiche, in realtà abbiamo continuato a mantenere un numero anche importante di accessi. Ripeto, nel prossimo piano addirittura saranno 1500. In realtà, quello che abbiamo fatto è stato di provare ad inserire meccanismi nuovi di accesso all’azienda e al lavoro. Abbiamo iniziato a sperimentare quello che abbiamo chiamato il contratto misto, un contratto che è per una percentuale a tempo indeterminato e per una percentuale un contratto di agenzia: non perché vogliamo tenerci la flessibilità e non far lavorare una persona o perché vogliamo ridurre il costo del lavoro. In realtà – lo dissi quando partimmo con il recruiting, perché da qui alla fine dell’anno assumeremo circa 400 ragazzi, oltre ai 1500, con quel contratto di lavoro misto che è una novità assoluta -, lo scopo è sperimentare all’interno della banca il mix fra due figure che sempre di più tendono ad assomigliarsi ma che, comunque, nell’immaginario delle persone sono distanti: il manager e l’imprenditore. In realtà, il contratto misto mette già insieme le due figure: il contratto di lavoro a tempo indeterminato è un po’ riconducibile al manager, quindi una persona che lavora all’interno di un’organizzazione con la “sicurezza contrattuale” ma con la voglia e la forza di lasciare un segno. D’altra parte, il contratto di agenzia, in fondo, è un imprenditore: una persona che lavora cercando di portare a casa il maggior risultato possibile. In realtà, questo contratto già mette insieme le due cose, lasciando per altro alla persona le tutele del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Un altro aspetto fondamentale è la percentuale importante di gestione autonoma del tempo che deriva dal contratto di agenzia. Mentre con il contratto di lavoro a tempo indeterminato io sono – a parte lo smart working, che in Intesa Sanpaolo si utilizza e si applica – obbligato a lavorare da una certa ora a una certa ora in un luogo, con il contratto di agenzia posso lavorare nei tempi e nei luoghi che decido io, nell’interazione naturalmente con il cliente che è l’elemento centrale del nostro lavoro. Per cui, cosa serve? Serve sicuramente competenza, che è la base per accedere al mercato del lavoro; ma sempre di più serve la flessibilità: dobbiamo essere flessibili rispetto al contesto nel quale siamo e rispetto a formule nuove che ci consentono l’ingresso nel mondo del lavoro. E poi, da lì, prendere la nostra strada senza precluderci, naturalmente, alcuna possibilità.

GIORGIO VITTADINI
Beatrice Agassi.

BEATRICE AGASSI
Buongiorno. Per approfondire la tematica dei giovani nelle aziende, la domanda che volevo farle è quali caratteristiche debba avere un giovane che volesse lavorare in banca. Qual è il suo percorso ideale e, soprattutto, se all’inizio di questo percorso sia più importante privilegiare la stabilità, lo stipendio oppure la capacità di apprendere. Grazie.

STEFANO BARRESE
Allora, un po’ l’ho detto alla fine della domanda precedente, però lo riprendo. La banca, una grande banca come la nostra, è un posto incredibile, no? Se uno ci pensa, ha la possibilità di avere accesso a tanti lavori diversi. Perché in banca c’è posto per o matematici: tutto il mondo del risk management ha bisogno di matematici, sono le persone che confezionano quegli algoritmi che ci servono per poter leggere il laboratorio, l’impresa, o il privato. La banca ha bisogno di giornalisti: tutte le persone che lavorano nel mondo della comunicazione interna, piuttosto che esterna, sono giornalisti o persone che hanno avuto contatto con quel mondo. E potrei andare avanti: nella banca c’è di tutto, è una grande opportunità per un giovane. Il tema, qual è? Il punto di accesso che può essere qualunque. Posso entrare dalla filiale online, e vi assicuro che è un posto eccezionale per capire la banca, perché poi posso anche andare a fare – se sono un matematico – gli algoritmi per dare credito a un’azienda. Ma è bene che capisca come funziona la banca nell’ultimo miglio: mi aiuterà in quel tipo di lavoro. Oppure, mi posso poi occupare di comunicazione esterna ma so come funziona l’interazione con il cliente, quindi posso raccontare meglio all’esterno il lavoro che si fa all’interno della banca. In generale, quello che dico è che la banca è un posto importante perché si ha la possibilità di guardare il mondo e l’ecosistema intorno a sé da vari punti di osservazione. Ritengo che, per iniziare, non ci voglia un’esperienza particolare. Racconto un altro caso: due anni fa, ero a un ristorante in Puglia dove c’era una ragazza particolarmente brava a servire i tavoli, una persona con un’empatia incredibile. Ricordo che le dissi: «Senti, mandami un curriculum quando ti laurei». La ragazza si è laureata in lingue quest’anno, ha mandato il curriculum, ha fatto i test e gli assessment per essere assunta e oggi, dall’inizio di settembre, lavorerà alla filiale on line di Napoli. Quindi, non c’è una competenza particolare: laureata in lingue, benissimo, sicuramente ha il profilo per avere accesso all’insieme di opportunità che la banca dà all’estero. Noi siamo presenti in 40 Paesi, sicuramente lei su questo parte avvantaggiata. Si creerà le competenze nell’interazione con il cliente e nella conoscenza dei prodotti, lavorando nella filiale on line, e da lì avrà il suo percorso di crescita all’interno della banca. In realtà, la banca è un posto che è possibile per chiunque. L’importante è che ci sia quell’aspetto di attenzione per la persona, e quindi di empatia, che è fattore critico di successo. Se non si è empatici, nel nostro lavoro non si va da nessuna parte, perché abbiamo davanti sempre una persona: che sia un privato, che sia un individuo o un imprenditore con la sua azienda. Se non abbiamo in mente questo, di certo la banca non è il nostro posto di lavoro.

GIORGIO VITTADINI
Riprendo la parola per tirare le fila di questo incontro: siamo partiti dal ragionare in termini generali sulla banca, poi abbiamo affrontato il tema del lavoratore in banca, ma torniamo a qualcosa che sentiamo dire spesso: con le banche italiane, siamo di fronte ad un rischio. Quale è stato e quale sarà il percorso delle banche italiane in questo riassetto, in particolare di Banca Intesa? Le due cose possono evidentemente non coincidere perché sappiamo bene – io lo so bene, essendo milanese – che da un certo punto di vista Banca Intesa è anche un’eccellenza che ha seguito un percorso diverso dalle altre banche. Perché questa domanda in un incontro del genere? Perché il tema è i giovani e il lavoro ma se il soggetto che dà lavoro è in crisi non può dare lavoro alla gente, al di là delle intenzioni. Che cosa è successo e che cosa succederà?

STEFANO BARRESE
Io parlo per la banca e, pensando a Intesa San Paolo, mi ricollego all’ultimo Piano di Impresa in un percorso già iniziato negli anni precedenti. Torniamo al tema del lavoro. Noi come banca, essendo centrale l’aspetto della persona, ci siamo molto concentrati nel valutare le possibili azioni che la banca può fare per creare impatto. Prima di pensare a temi di riorganizzazione e di consolidamento, io mi preoccuperei di questo: la banca può creare un grande impatto sociale e sull’economia. Noi in tutti questi anni l’abbiamo fatto sicuramente con il credito, e poi l’abbiamo fatto attraverso un’entità che abbiamo creato, dedicata al mondo del sociale, la Banca Prossima. In questo contesto, quello che abbiamo voluto fare con l’ultimo Piano di Impresa è stato creare questo fondo per l’impatto, Fund for impact, che trasforma la banca dall’essere una banca commerciale a una banca che si dà una finalità particolare, attraverso un utilizzo più umano degli algoritmi, cercando di andare oltre la pura matematica, di creare un maggiore accesso al credito. Un maggiore accesso al credito che consente, a questo punto, di finanziare aziende che altrimenti avrebbero difficoltà: significa creare maggiore occupazione. Se pensiamo al micro credito, se pensiamo all’imprenditoria giovanile, all’imprenditoria femminile, all’immigrazione, fino ad arrivare anche alla fase precedente, pensiamo al supporto che la banca può dare all’istruzione qualificata o in generale all’istruzione. Non tutte le persone possono accedere all’istruzione, perché magari non riescono a pagarsi la retta della scuola o nemmeno a pagarsi la possibilità di vivere in una città e seguire l’Università. Attraverso questo fondo importante – 250 milioni, potenzialmente un miliardo e duecento cinquanta milioni di credito -, la banca può creare, prima, quell’impatto per l’accesso al mondo del lavoro, e dopo, essere quel moltiplicatore ulteriore nell’economia rispetto a quanto già fatto in tutti questi anni. Quindi, la banca ha già fatto tanto, se pensiamo all’ammontare di credito che abbiamo dato negli ultimi quattro anni – parliamo di centinaia di miliardi – e nei prossimi anni farà anche di più. A prescindere dai temi di consolidamento e di organizzazione, il tema è che cosa possiamo fare noi a. Questo è l’impegno che la banca si è presa, in continuità con quanto già fatto negli ultimi anni.

GIORGIO VITTADINI
Il titolo del Meeting era questo richiamo alla persona rispetto ai percorsi della storia. Quando uno pensa alla banca, pensa a un mondo che si sta chiudendo, si sta tecnicizzando e così via. Tu invece hai dato una risposta assolutamente originale, perché il problema è – correggimi se sbaglio – che la persona deve piuttosto aprirsi a mezzi nuovi: non è più il cassiere ma uno che maneggia i mezzi elettronici, non è più la persona che ha il posto fisso ma è uno che è disposto alla flessibilità. E anche dal punto di vista macro, è una banca che sa muoversi in termini generali, con la fiducia del vecchio bancario che però deve anche sapere gli strumenti statistici. Qui si capisce qual è la sfida che si apre: vuole dire che uno deve essere aperto al luogo. Invece della pizza e del mandolino, deve usare la tecnologia, deve usare lo strumento.

STEFANO BARRESE
Condivido. Aggiungerei un elemento che considero importante e che tu hai toccato nelle ultime parole che hai detto. L’elemento chiave su cui tutto si basa è la fiducia. Le persone si coinvolgono nei cambiamenti importanti quando c’è la fiducia: la fiducia all’interno di una organizzazione, la fiducia nel futuro. E lasciami dire la fiducia nel futuro è uno degli ingredienti chiave di una banca. Una banca si basa sulla fiducia nel futuro. Quando noi guardiamo un’azienda, tutto si basa sulla fiducia nel futuro: se non abbiamo quella, in realtà non diamo sostanza ad uno degli elementi chiave, quando leggiamo un’azienda, che sono i flussi di cassa futuri. In un contesto come questo, che io guardo con ottimismo e non con paura, mi piace molto il titolo del Meeting di quest’anno: “Le forze che muovono la storia..” ci devono portare alla felicità. Mette insieme le forze che comunque possono creare timore, tanto più se sono associate al cambiamento, con un elemento: spesso queste forze, se guidate nel modo giusto, e il modo giusto ritengo sia il tema della fiducia, portano alla felicità. Parlando con te, mi viene in mente che ci sono cinque forze che fanno parte dei contesti aziendali, della società e della storia, forze che, se contestuali e potenti, possono generare un cambiamento positivo. In realtà, le cose avvengono ma c’è bisogno di un altro elemento che è un moltiplicatore, la generosità. È una forza importante, non è la generosità del fare beneficienza ma il darsi agli altri che vale anche all’interno delle organizzazioni o della società in senso più ampio, è il concetto di squadra, la libertà di esprimersi. Un’altra forza importante è l’integrità, che è la responsabilità: dico una cosa e la faccio, vale in qualunque contesto all’interno di una organizzazione. Altro elemento fondamentale è naturalmente il lavoro: devo essere certo che ci sia questa opportunità come elemento di sviluppo per me e per la mia famiglia; devo credere che sia sostenibile, ed è il motivo per cui, all’interno della nostra organizzazione, il lavoro è la prima cosa che preserviamo. E poi, ultimo ma non meno importante, il tema della salute, un tema fondamentale. Le organizzazioni, le società evolvono se c’è garanzia della salute: penso all’organizzazione aziendale, una delle cose più importanti su cui una società deve lavorare è garantire il welfare per i propri dipendenti. In Intesa San Paolo, è una delle prime preoccupazioni che abbiamo, la certezza delle persone di potersi curare, la garanzia del posto di lavoro. Queste cinque forze diventano potentissime se c’è la fiducia nel futuro. È il moltiplicatore che ti consente di costruire a prescindere dalla paura del cambiamento, l’elemento costante nella nostra storia e in quella dell’umanità.

GIORGIO VITTADINI
Possiamo concludere l’incontro correggendo la canzone de I Gufi: «Io vado in banca e ci penso ancora, anzi, ci devo pensare tutta la vita». Grazie e arrivederci.

STEFANO BARRESE
Grazie.

Trascrizione non rivista dai relatori

Data

20 Agosto 2018

Ora

15:00

Edizione

2018
Categoria
Arene