GRANDI CITTÀ, AMBIENTE E MOBILITÀ SOSTENIBILE

Grandi città, ambiente e mobilità sostenibile

Grandi città, ambiente e mobilità sostenibile

Partecipano: Roberto De Santis, Presidente CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi); Michele Mario Elia, Amministratore Delegato Ferrovie dello Stato Italiane; Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; Carlo Tamburi, Country Manager Italia di Enel. Introduce Domenico Lombardi, Direttore Global Economy Department presso il CIGI (Centre for International Governance Innovation), Canada.

 

DOMENICO LOMBARDI:
Per introdurre il tema di questo incontro, lasciatemi fare due considerazioni. La prima è sul titolo del Meeting. Il poeta Mario Luzi ci ha offerto una chiave di lettura per il tema del nostro incontro. Dice Luzi: “L’idea, l’immagine della città per me non è mai stata tanto quella puramente paesistica, quanto il suo insieme e la sua comunità. La città è un corpo percorso dalle diverse pulsioni dell’agire umano e storico, ma è anche realtà illuminata dalla natura”. A che punto della parabola è oggi la città umana di Mario Luzi? Le Nazioni Unite ci dicono che nel 2010 per la prima volta la popolazione urbana del pianeta è diventata più numerosa della popolazione che vive nelle campagne. Entro il 2050 la popolazione urbana dovrebbe rappresentare il 75% della popolazione complessiva del pianeta. Basti solo pensare che ogni settimana nel mondo vi sono un milione di persone che si trasferiscono da centri rurali, dalle campagne in un centro urbano e, entro i prossimi quindici anni, saranno almeno quarantuno gli agglomerati urbani con più di dieci milioni di abitanti. Gran parte di questa espansione avverrà nei paesi emergenti, soprattutto in Asia e in Africa. In questo contesto, la mobilità definirà sempre di più l’accesso al benessere, a superiori opportunità socio-economiche nelle città dove si concentrerà la maggior parte della popolazione del pianeta. Dovrà però essere una mobilità sostenibile, perché oggi i centri urbani occupano il 5% della superficie terrestre, eppure sono responsabili per circa il 70% dei consumi globali di energia e delle emissioni di gas serra. Quando si parla di cambiamenti climatici, di riduzione dell’inquinamento, di salvaguardia dell’ambiente, si parla soprattutto di come ridurre le emissioni di gas nelle città, tra le altre cose. Sono i paesi con i più alti tassi di urbanizzazione che presentano anche i più elevati tassi di motorizzazione. Ancora una volta, è presente in modo forte il legame con la mobilità sostenibile. Quando parliamo di mobilità sostenibile, parliamo di infrastrutture necessarie ad agevolare questa transizione e gestire questo processo. Si stima che le infrastrutture nel trasporto necessarie per accomodare questi cambiamenti, a livello complessivo del pianeta nelle prossime decadi, avranno un costo di circa trentatré trilioni di dollari. Sono costi enormi, ma sono anche una straordinaria opportunità di crescita per le nazioni e le città che ne sapranno approfittare. Io prenderei spunto da questi brevissimi cenni per chiedere al Ministro dell’Ambiente, che abbiamo l’onore di avere con noi, innanzitutto quali sono le aspettative che possiamo avere circa la Conferenza del clima di Parigi, entro la fine dell’anno, e qual è il ruolo dell’Italia. Prenderemo poi spunto per esaminare le varie tematiche più in dettaglio anche con gli altri relatori.

GIAN LUCA GALLETTI:
Grazie. Sono anni che vengo al Meeting sotto varie vesti, e so che il vostro stile è quello di discutere di contenuti. Farò un discorso poco politico e più di amministrazione, perché credo che in questo momento abbiamo bisogno soprattutto di questo. Partiamo dalla domanda, cioè dalla Conferenza di Parigi, perché penso che ogni strategia industriale o ambientale debba partire da questo. A Parigi, i centonovantatre paesi del mondo si troveranno per firmare un accordo globale per la riduzione di emissione di CO², per fermare il surriscaldamento del pianeta. Ormai questa non è più un’eventualità remota, non è più una fantasticheria di qualche scienziato pazzo. Oggi è una realtà scientifica. Sappiamo bene che nei prossimi anni il surriscaldamento del pianeta avrà degli effetti devastanti sulla vita di milioni di persone. Porterà siccità in varie zone del pianeta, e questo scatenerà esodi da un posto all’altro. Sappiamo cosa vuole dire quando intere popolazioni sono obbligate a spostarsi dai propri territori a causa di guerre, di conflitti sociali e economici, perché già in questi mesi stiamo vivendo per altre ragioni una situazione analoga. A Parigi tutti i paesi del mondo, i maggiori emettitori in particolare, sono chiamate a sottoscrivere un accordo per limitare l’emissione di CO². Detta così sembra una cosa fattibile; ma andando nel dettaglio, ci rendiamo conto che non è così semplice, perché non tutti i paesi sono allo stesso livello di industrializzazione. Alcuni pesi che si considerano ancora in via di sviluppo, pur essendo delle grandi economie, non sono disposte a bloccare la propria industrializzazione. Altri paesi non hanno le risorse per diminuire il loro sviluppo e altri ancora non lo vogliono fare. Sarà un accordo molto difficile da trovare. A Parigi 2015, ci presentiamo come Europa grazie ad un accordo molto ambizioso fra i 28 paesi europei. Il 23 ottobre, durante la presidenza italiana, tutti i paesi europei hanno sottoscritto un accordo vincolante dal punto di vista giuridico, per limitare l’emissione di CO², a livello europeo, di almeno il 40% entro il 2030. Attenzione, ripeto: l’accordo è vincolante dal punto di vista giuridico. Vuole dire che i paesi che non faranno i propri compiti a casa, come si suol dire, avranno delle sanzioni pesanti di tipo economico. Il 40% viene ripartito fra i vari stati: ognuno contribuirà, secondo alcuni parametri che si stanno definendo, al raggiungimento del 40%. Io credo che questo cambi radicalmente la politica economica dell’Europa e dell’Italia. Abbiamo due modi di approcciare questo 40%: viverlo come una grande tragedia, lasciarlo lì e riprenderlo in mano nel 2028 con tutto quello che comporterà, oppure possiamo trasformare questo vincolo in una grandissima opportunità economica industriale per il Paese. Oggi il mondo chiede un ambiente migliore, e l’anno 2015 in questo senso segna uno spartiacque: l’enciclica del Papa ci ha detto in maniera chiara qual è l’importanza etica di rispettare l’ambiente; l’assemblea dell’ONU che si terrà a fine settembre sarà su questo tema e sarà aperta da una prolusione del Papa il 25 settembre a New York; infine, la grande occasione della Conferenza di Parigi. Quindi, da oggi l’ambiente entra a pieno titolo nelle politiche industriali di tutti i paesi, tutti i paesi non potranno più fare politica industriale se non si terrà conto del rispetto dell’ambiente. Attenzione, questa diventa una dinamica economica, non è più solo un tema morale. Il rispetto dell’ambiente, con le cognizioni scientifiche che abbiamo, diventa una leva economica per le imprese. Io non nego che le imprese stanno sul mercato per fare reddito, devono dare il dividendo ai propri azionisti, e nascono per fare questo, ci mancherebbe altro. Ma oggi gli imprenditori hanno convenienza a portare all’interno delle proprie strutture aziendali il rispetto dell’ambiente per due ragioni. Innanzitutto, perché le comunità locali sono sempre meno disponibili ad accettare produzioni che non rispettano l’ambiente, e sempre di più chiudono imprese per il mancato rispetto dell’ambiente. L’approccio al tema è radicalmente cambiato rispetto al secolo scorso. Allora, la salvaguardia del posto di lavoro vinceva sulla tutela dell’ambiente; oggi il diritto alla tutela dell’ambiente è parificato a quello della tutela del diritto del lavoro, per cui chiudono le aziende perché non rispettano l’ambiente. Il valore del rispetto dell’ambiente nella nostra comunità è cresciuto, ma non solo. Credo che la nuova economia sarà profondamente diversa da quella che è caratterizzato il ’900, per una considerazione molto semplice: in Europa sono cambiati gli obiettivi di quell’economia. Nel ’900 avevamo un obiettivo preciso, ricostruire il Paese e tirare fuori dalla povertà centinaia di migliaia di persone. Quell’economia ha funzionato benissimo, perché in Italia, per esempio, ha permesso di ricostruire il Paese e di fare del nostro Paese la settima potenza industrializzata del mondo. Ma l’economia del XXI secolo non ha più quell’obiettivo. Il Paese è stato ricostruito anche troppo, in alcuni casi, e lo vediamo quotidianamente; il tema della povertà esiste ancora, anche se in maniera minore rispetto al dopoguerra. L’obiettivo di oggi è riuscire ad avere un’economia più sana, dal punto di vista ambientale e non solo. C’è un altro fattore che mi spinge a credere che la nuova economia sarà più ambientale: il costo delle materie prime, che abbiamo sempre considerato inesauribili, a incominciare dall’acqua, sarà sempre più elevato. Non solo. I rifiuti, che non abbiamo mai considerato come un costo, diventano un costo per l’impresa. La nuova economia sarà circolare e sostituirà quella lineare del Novecento; sarà un’economia che consumerà meno risorse da una parte e produrrà rifiuti riciclabili dall’altra. Avremo un nuovo modello di produzione, che sostituirà quello che ha fatto da base all’economia fino ad oggi. I primi paesi che saranno capaci di investire in ricerca in questo senso e di applicare questo tipo di economia, che richiede uno sforzo globale anche da parte del legislatore, saranno i paesi vincenti nell’economia del ventunesimo secolo. Questo è estremamente chiaro. Abbiamo il dovere, abbiamo l’obiettivo, per essere più competitivi nel nuovo mondo, di andare verso un’economia che salvaguardia di più l’ambiente. Dall’altra parte, abbiamo bisogno di agire su tutte le altre leve che oggi emettono CO². Non tutti sanno che in Italia un terzo delle emissioni deriva dal settore industriale, un terzo dal settore dei trasporti e un altro terzo dal riscaldamento delle città. C’è poi una parte, che è della zootecnia, dell’agricoltura. Non possiamo pensare di incidere solo sulla parte industriale; dobbiamo incidere anche sui restanti due terzi, sulla mobilità da una parte e sulla struttura delle nostre città. Prima Lombardi ci richiamava alcuni dati che riguardano le città. Sono dati importanti, che ci dicono che se siamo capaci di programmare meglio le nostre città riusciamo a vivere meglio e ad avere un ambiente più sano. Credo che noi oggi ci dobbiamo concentrare su questo. Dobbiamo essere in grado di sviluppare una politica per le nostre città che ci porti ad avere città più vivibili dal punto di vista ambientale così da diventare più sane e più sicure. Quello che sta capitando in questi mesi nelle grandi città è anche dato dal disordine sociale che esiste in quelle città. E il disordine sociale è dato anche dal disordine ambientale, dal disordine del traffico – per banalizzare – dal disordine di come hanno costruito le periferie, da alcuni errori urbanistici del passato. Questi portano degrado ambientale da una parte, ma soprattutto degrado sociale. Nel ridisegnare le città non c’è solo l’obiettivo ambientale; si vuole rendere le città più vivibili da un punto di vista sociale, più sicure e meno esposte alla criminalità. Come fare tutto questo? Abbiamo una vera sfida davanti. Oggi possiamo fare questo solo se passiamo attraverso un disegno organico, industriale, sociale del futuro del nostro Paese. A fine anno presenterò un disegno di legge chiamato “Green act”, nel quale tutto questo sarà esplicitato con manovre chiare, con leggi, con regolamenti, con misure concrete che partono da un presupposto preciso: questo processo non può essere guidato solo dall’ambiente. Per essere vincente, ha bisogno di avere l’apporto di quasi tutti i ministeri del Governo. L’ambiente da solo non può pensare di fare un piano strategico per il futuro del Paese, perché non ne ha le capacità, perché non è la sua mission, perché non ha la neanche politica di farlo. Oggi abbiamo bisogno di un “sistema Paese”, di un atto che metta insieme tutti i ministeri con l’obiettivo di costruire città più vivibili, un’economia diversa con i principi che ricordavo prima, e di agire fortemente sui trasporti, spostandoci sempre di più dal trasporto privato al trasporto pubblico, riqualificandolo. Tutto questo lo dico anche ai rappresentanti delle Ferrovie dello Stato e dell’Eni: abbiamo bisogno di uno sforzo globale, comprese anche le grandi aziende che devono partecipare a questo grande obbiettivo. Da lì passano la competitività e la sicurezza del Paese. Dico un’ultima cosa. Penso che la politica non possa fare tutto. Questo progetto riesce solo ed esclusivamente se c’è uno sforzo da parte di tutti: l’amministratore centrale, le amministrazioni regionali, i comuni, le aziende private e i singoli cittadini. Questo è un progetto molto ambizioso e credo sinceramente che ne valga la pena.

DOMENICO LOMBARDI:
Grazie Ministro. Vorrei rimanere sul tema da lei menzionato della nuova economia, dei rifiuti riciclabili, dei nuovi modelli di produzione, approfittando del fatto che c’è oggi con noi Roberto De Santis, Presidente di CONAI, il Consorzio Nazionale Imaballaggi. Vorrei chiedere innanzitutto di descrivere la missione del CONAI, ma soprattutto cosa state facendo per migliorare la raccolta differenziata.

ROBERTO DE SANTIS:
Grazie. Innanzitutto, riprendo i documenti dell’Unione Europea che menzionano i fattori sui quali intervenire nella prospettiva di migliorare la vivibilità dei cittadini, per conseguire l’obiettivo delle smart cities. Le cose da fare sono tante; nelle indicazioni europee la corretta gestione dei rifiuti è un paragrafo all’interno della tematica ambientale; sembrerebbe quindi che il ruolo lasciato alla corretta gestione dei rifiuti sia marginale. Noi invece riteniamo che questa sia un’attività centrale per migliorare gli standard di vita soprattutto nelle grandi città. Voglio ricordare che una corretta gestione dei rifiuti, come per esempio la raccolta differenziata, no solo ha un valore ambientale estremamente importante, ma riciclare i rifiuti di imballaggio significa avere a disposizione quattro milioni di tonnellate all’anno di materie prime seconde, in sostituzione di materie prime vergini. Questa attività comporta sostanzialmente, in prospettiva, l’azzeramento delle discariche, e altri benefici ambientali che spesso sono sottaciuti, come, per esempio, una riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Quando i prodotti sono realizzati da materie prime seconde piuttosto che da materie prime vergini c’è una forte riduzione nella produzione di anidride carbonica nelle emissioni. C’è una forte riduzione dei consumi energetici da materie prime seconde: la quantità di energia usata per realizzare un’unità in peso di prodotto è minore. Questi sono benefici ambientali. In realtà tutta questa materia fa parte di un capitolo molto più ampio che è quello che va sotto il nome di economia circolare, sostanzialmente, cioè l’impiego ottimale delle risorse per trasformare questi rifiuti in possibilità di nuovo sviluppo ad alto contenuto di conoscenze e di innovazione. Questo è il problema. Prima di dire qual è la situazione nel nostro Paese, credo occorra spendere qualche parola sul nostro ruolo, prima di rappresentarvi qual è la situazione complessiva. Il CONAI è stato istituito dalla legge italiana circa diciotto anni fa in conseguenza di una direttiva europea che dava l’obbligo alle imprese che producono e utilizzano imballaggi, di riciclare una certa quantità – complessivamente il 55% – degli imballaggi. Questo era l’obiettivo. La legge ha creato quindi CONAI, una organizzazione di natura privatistica, senza fine di lucro. È un’organizzazione a cui le imprese si rivolgono nel momento in cui non vogliono agire autonomamente per realizzare questo obiettivo di riciclaggio, in modo che CONAI realizzi per loro gli obiettivi prefissi dalla legge. Qual è il funzionamento? Lo dico sinteticamente: la legge dice che CONAI ritira dai gestori della raccolta differenziata urbana i rifiuti di imballaggio e deve corrispondere ai comuni o ai gestori – la legge dice testualmente – “i maggiori oneri della raccolta differenziata”. CONAI, attraverso sei consorzi di filiera che operano per sei materiali diversi di imballaggio, ritira dai comuni, o meglio, dai loro gestori, rifiuti di imballaggio, paga ai comuni i maggiori oneri che i comuni hanno per organizzare una raccolta differenziata, ritira i rifiuti e garantisce che siano avviati al riciclo. Soprattutto, garantisce alle istituzioni che gli obiettivi di legge siano perseguiti e raggiunti. Come si finanzia CONAI? Imponendo ai suoi soci, cioè alle aziende che producono e utilizzano imballaggi, sostanzialmente aziende dell’industria alimentare, di pagare un contributo ambientale, un tot per ogni unità di peso di imballaggio che essi mettono sul mercato. Per darvi un ordine di grandezza della dimensione che ha acquistato questa attività, nel 2014 abbiamo avuto dalle imprese trecentosessantasette milioni di euro di contributo ambientale a fronte di un esborso di quattrocento milioni euro. Nel 2014 abbiamo versato ai comuni italiani quattrocento milioni di euro per il ritiro degli imballaggi. Gli imballaggi sono una quota significativa dei rifiuti urbani, ma sono circa il 25%, quindi i comuni hanno beneficiato dei nostri servizi a fronte di questo 25%. Le norme tecnico-economiche che regolano i rapporti con i comuni sono fissati in un accordo quinquennale che CONAI stipula con l’ANCI, che fissa le condizioni tecnico-economiche del ritiro dei rifiuti di imballaggio. Scusate se ho fatto questa piccola digressione sulla nostra attività. Torno alla situazione in Itali. Nel nostro Paese ci sono due velocità, anzi, in questo caso tre velocità. Noi non ci esprimiamo in termini di quantità di raccolta differenziata, perché la raccolta differenziata non è un fine, è un mezzo per il riciclo. La differenza tra Nord, Centro e Sud è significativa. Le regioni del Nord Est d’Italia, il Veneto e il Friuli, superano quota 100, mentre la Sicilia è al di sotto di 20. Anche se bisogna dire che nel corso dell’ultimo periodo anche nel Sud ci sono stati importanti note di risveglio, soprattutto in alcune città. A dispetto del fatto che ci sono queste differenze, gli standard di riciclo realizzate in Italia sono nella media europea. Se nel centro-sud si realizzassero standard simili a quelli delle regioni del Nord, l’Italia sarebbe ai primi posti, prossimi all’obiettivo dello smantellamento delle discariche.

DOMENICO LOMBARDI:
Grazie. Vorrei ora passare ad un altro tema complementare a quello che abbiamo ascoltato fino ad ora, che riguarda la mobilità sostenibile. Il Ministro nel suo intervento introduttivo parlava di trasporto pubblico, e di trasporto locale pubblico. Quando noi parliamo di ferrovie, e di treni, spesso ci viene in mente il Frecciarossa. In realtà, la componente dominante è il trasporto locale pubblico. Vorrei chiedere a Michele Mario Elia, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, cosa stanno facendo in materia di trasporto pubblico locale, e soprattutto quali sono gli obiettivi e per portare l’Italia ad un livello di competitività pari a quello a quello dei paesi più avanzati.

MICHELE MARIO ELIA:
Grazie. Buon pomeriggio a tutti. Essere qui è una bella opportunità per dire quello che stiamo facendo a livello di tecnologia e di servizio di attività. Quella dell’alta velocità è diventato un elemento di paragone e di confronto che riguarda trecento treni, tra Trenitalia e NTV, mentre il trasporto locale è fatto da più di settemila treni. La nostra attenzione quotidiana è dedicata più che altro a questi treni. L’alta velocità, con linee e treni nuovi, che stanno entrando in servizio anche a trecentocinquanta chilometri all’ora è un elemento importante, ma più importante è il trasporto locale. Come ricordava il Ministro, un terzo delle emissioni di anidride carbonica è legata al settore del trasporto, considerato nella sua interessa, compresi i mezzi su gomma – bus e trasporto merci con i camion – che occupano la maggior parte delle attività. Il settore ferroviario complessivo vale nel mondo il 9%, inquina per il 3% e consuma energia per il 2%. Qualsiasi incremento nel settore ferroviario porta ad una distruzione drastica del sistema dell’inquinamento e anche del consumo energetico. La nostra spinta in questo settore è legata più che altro alle aree metropolitane. Sulle aree metropolitane stiamo investendo a differenti livelli. Primo: la tecnologia, per aumentare la frequenza dei treni all’interno delle aree metropolitane. Faccio solo un esempio. A Roma, all’interno del raccordo anulare, ci sono circa duecento venti chilometri di binari delle ferrovie, mentre la metropolitana di Roma ha cinquanta chilometri di binari. Stiamo valutando come inserire, o trasformare, parte dei duecento chilometri per implementare o incrementare il servizio metropolitano. Il primo intervento è di carattere tecnologico, perché costruire un ponte o un’altra infrastruttura non è il fine. Il fine è quello di fare servizi sulle infrastrutture, e stiamo puntando a farli con la tecnologia, dove si può. Circa sedici miliardi di euro sono dedicati alle grandi aree metropolitane come finanziamenti, disponibilità, e contratti di programma. Oggi noi ne abbiamo già spesi otto. Può sembrare che non ci siano dei ritorni in termini di servizio, ma in realtà ci sono. Sono aumentati il numero dei treni, la capacità di trasporto all’interno di questi nodi. Contestualmente, chiudendo il discorso sulla tecnologia, il secondo punto importante è quello dei treni. Guardate che con i contratti di servizio stipulati con le regioni, siamo riusciti a comprare duecento nuovi treni e a ristrutturarne centottanta. Quindi la capacità di Trenitalia di riduzione dei costi gestionali e operativi, consente di recuperare finanziamenti all’interno dei contratti di servizio, per l’acquisto di nuovi treni. Con i contratti ponte che si stanno realizzando con alcune regioni, in attesa di una completa liberalizzazione del settore – con regioni che si stanno preparando a gare pubbliche che condividiamo pienamente perché ci misureremo sempre più su un mercato competitivo – riusciremo a comprare altri centotrentasei nuovi convogli. Se tempo fa si parlava di mille treni nuovi per trasformare completamente il trasporto locale, con altri quattro miliardi noi potremmo comprare altri cinquecento treni, cambiando interamente l’attuale flotta che interessa i trasporti locali. Capite che radicale cambiamento è portare i viaggiatori all’interno delle grandi aree metropolitane, all’interno delle grandi aree urbane, in termini di potenziale di trasporto. Questa è una partita importantissima per noi e nel frattempo a fine luglio Trenitalia ha bandito una gara per un accordo quadro di valore estendibile fino a quattro miliardi, in maniera tale che nel momento in cui stipula contratti che gli consentono di recuperare il finanziamento possa attingere direttamente dal contratto e comprare fino a cinquecento treni nuovi. Questo è uno strumento operativo di carattere anche tecnico, perché Trenitalia ha la competenza tecnica di gestire un contratto di tale difficoltà in termini di fornitura. Sulle aree metropolitane stiamo lavorando in maniera determinante e convincente. Il settore infrastruttura ha le sue esigenze, che sono più evidenti al sud, dove da anni diciamo che le direttrici forti che andavano potenziate erano Napoli-Bari, la Salerno-Reggio Calabria e la Messina-Catania-Palermo. Negli ultimi il Governo è riuscito a finanziare e a trovare il modo per velocizzare queste opere e a ottobre potremo iniziare le opere propedeutiche sulla Napoli-Bari e sulla Catania-Palermo. In questo modo fra un anno avremo la possibilità di partire con le opere definitive su diversi lotti di queste due direttrici. Questo darà un ulteriore contributo. Volevo aggiungere un ultimo passaggio. È chiaro che l’alta velocità e l’acquisto di nuovi treni, aumenta le possibilità. I nuovi treni e il treno Mille che circola da giugno, consentono di poter aprire la tratta al tragitto Roma-Venezia e sull’Adriatica. Da settembre cominceremo ad inserire dei Frecciarossa da Milano a Bari, riducendo di un’ora il tempo di percorrenza. Il sistema complessivo ferroviario si muove su questo aumento di potenzialità e di integrazione con gli altri servizi modali. Nelle grandi aree metropolitane con regioni e comuni si sta cercando di trovare delle “stazioni porta”, nelle quali concentrare parcheggi, bike sharing, car sharing, collegamenti con metropolitane e bus, cosi che tutti, da quelle stazioni, possano entrare nelle città con il treno e non più con le auto. È un discorso complessivo: potrà togliere servizi alla gomma, però, a parità di finanziamento o di fondi destinati ai due settori, cerchiamo di razionalizzare l’intero servizio.

DOMENICO LOMBARDI:
Vorrei restare sul settore trasporto, perché è il filo rosso che lega ambiente, grandi città e mobilità sostenibile. Abbiamo tra i relatori l’ingerire Carlo Tamburi, country manager per l’Italia di Enel. Vorrei chiedergli di elaborare il discorso della mobilità elettrica. Abbiamo ascoltato cosa sta succedendo sul fronte ferroviario e metropolitano nel trasporto pubblico locale. L’altro pilastro importante, che secondo me completa il discorso, è garantire un discorso infrastrutturale e di mobilità elettrica. Le vorrei chiedere quindi di spiegarci cosa state facendo e quali sono le sfide che state affrontando.

CARLO TAMBURI:
Grazie per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo evento così importante e grazie per la domanda, che mi consente di completare quello che è stato detto sul confronto tra trasporti su ferro e gomma, collegato all’efficacia ed efficienza del passaggio dal privato al pubblico. Il punto di novità che vorrei mettere è quello della mobilità elettrica come fattore di crescita e di sviluppo nel rispetto della sostenibilità dell’ambiente nei prossimi anni. Enel è fortemente impegnata su vari fronti, e mette il tema della mobilità elettrica al centro dei propri obiettivi di sviluppo, sia tecnologico per le infrastrutture, sia come servizio al cliente, due temi separati dal punto di vista normativo e regolamentare. Dal punto di vista infrastrutturale, Enel-distribuzione sta collocando sul territorio nazionale, grazie ad accordi con le municipalità, centinaia di colonnine di ricarica elettrica, a disposizione del pubblico. In queste settimane stiamo finalizzando l’istallazione di centocinquanta colonnine a Firenze, abbiamo accordi con Brindisi, Lecce, La Spezia, Matera, Genova, con la Regione Emilia-Romagna. In quest’ultima Enel-distribuzione non è il principale attore in termini di presenza sul territorio come proprietario di rete, e perciò abbiamo fatto un accordo con altre due aziende di distribuzione elettrica, per creare una completa inter-operatività: qualunque cliente di ciascuna di queste può andare alla colonnina con il suo contratto di acquisto dell’energia elettrica e ricaricare la propria vettura. C’è un grande sforzo, con rapporti sul territorio e con le municipalità, per dotare il sistema Paese della rete di colonnine di ricarica. È evidente che forse ci abbiamo messo qualche anno di troppo – e qui faccio un piccolo gesto di autocritica – nel capire che prima si devono mettere le colonnine e poi i cittadini compreranno le auto elettriche, perché senza la disponibilità di ricarica pubblica è evidente che il cambiamento di attutitine al comportamento al consumo non ci può essere. La tecnologia necessaria per fare in modo che i tempi di prelievo di energia elettrica si accorcino sempre di più sta facendo passi da gigante, e oggi siamo arrivati alla possibilità di installare colonnine che in circa venticinque minuti ricaricano le auto, consentendo alle stesse un’autonomia fino a quattrocento chilometri. Questo è il primo grande filone di sviluppo infrastrutturale e, ripeto, anche tecnologico, perché i software che rendono interoperabili le colonnine, la gestione dei contratti di energia – che vengono fatti da un’altra società del gruppo Enel che si occupa dei rapporti con i clienti – non è una cosa semplice. Faccio una piccola digressione. Enel-distribuzione a partire dai primi anni 2000, con l’introduzione del contatore elettronico e poi con l’ammodernamento e la digitalizzazione completa – che permette da remoto il controllo della comunicazione di milioni e milioni di dati sui consumi e sui prelievi in tempo reale – ha e dispone delle infrastrutture di rete elettrica più moderne del mondo che saranno ulteriormente avanzate a partire dal prossimo con l’installazione dei nuovi contatori elettronici. Queste rete tecnologicamente molto efficiente consente di poter allacciare e installare le nuove colonnine e quinti i consumi delle auto moto dei privati che saranno legati a questo sistema. Consente quindi una gestione assolutamente automatica ed efficiente dell’utilizzo della mobilità elettrica. Chiudo questa digressione dicendo che la rete di distribuzione è l’abilitatore di fondo del sistema della mobilità elettrica; il secondo aspetto dell’infrastruttura è quello della vendita di energia che consente a ciascun soggetto, che sia un privato cittadino o un’impresa, di dotarsi di autovetture elettriche o di flotte di autovetture elettriche e avere a condizioni assolutamente efficienti e convenienti. Offriamo prodotti molto semplici di ricarica domestica, di ricarica condominiale e di ricarica aziendale; utilizzando, per esempio, le super fast recharge di cui parlavo prima, si possono ricaricare le proprie auto e quindi dare un servizio di efficienza e di rispetto all’ambiente, abbattendo notevolmente le emissioni, di polveri o di carbonio, e acustiche. Non è solamente un tema di urbanizzazione, ma di rispetto del clima, di rispetto degli altri cittadini. Non c’è alcun dubbio che la strada è stata tracciata e che non si possa tornare indietro. Con questi due grandi filoni, da un lato l’infrastruttura di rete a servizio di tutti quanti, dall’altro prodotti specifici calati sulle esigenze di tutte le categorie di consumatori, dalle famiglie alle piccole e medie imprese, stiamo anche lavorando con le società municipalizzate, con le società che offrono servizio non solo di trasporto pubblico, ma anche di raccolte di rifiuti, per esempio. Abbiamo un caso pilota che abbiamo sviluppato in Spagna con la nostra controllata Endesa, dove grazie ad un accordo con la municipalità, tutte le auto di proprietà delle società municipalizzate sono elettriche e sono stati calcolati nel corso degli ultimi anni in maniera scientifica e molto dettagliata i milioni di chilometri sostenuti, i tempi di ricarica e la riduzione di tonnellate di CO² che non sono state messe in atmosfera grazie a questo protocollo che vogliamo adesso replicare anche nelle altre città.
Due grandi filoni: infrastrutture da un lato e dall’altro offerta tailor made per le esigenze dei clienti. In questo modo pensiamo di fare un servizio al Paese, facciamo un servizio ai cittadini, e facciamo soldi. Non dimentichiamo che abbiamo degli azionisti che ci chiedono di render conto dei nostri investimenti e delle nostre scelte. Tutto questo va nel senso di un’economia non solo circolare ma di crescita e di sviluppo e di attenzione alle esigenze dei cittadini.

DOMENICO LOMBARDI:
Ministro, nella presentazione che faceva De Santis si vedeva chiaramente un’Italia a due – se non a tre – velocità, almeno per quanto riguarda le attività di competenza del CONAI.
Quando parliamo di grandi città, di mobilità sostenibile, di ambiente, ci può essere la tentazione di pensare che le grandi città debbano organizzarsi da sole nel rispondere a queste sfide. Come invece ha indicato nel suo intervento di apertura, un discorso più complesso, c’è una dimensione internazionale. Vorrei allora chiederle se possiamo scendere un po’ più in basso e parlare del coordinamento tra le attività del Governo centrale, gli enti locali e le città. Questo coordinamento è vero a livello finanziario, ma anche in altri comparti. Ci può dare una visione di insieme delle problematiche, perché potremmo avere una situazione in cui sono delle città virtuose, che pongono in essere una serie di best practices ma poi gli impatti ambientali rischiano di essere vanificati da altre città, meno virtuose o che comunque, non hanno la stessa capacità.

GIAN LUCA GALLETTI:
Vorrei partire dal dato che indicava De Santis prima. Certamente il CONAI e tutti i consorzi della differenziata stanno facendo un ottimo lavoro. Ma io non sono per niente soddisfatto dei dati che emergono. Se voi guardate i dati della raccolta differenziata in Italia, a parte alcune zone, sono ancora molto deboli. Non possiamo andare avanti così: in questo Paese ancora il 40% dei rifiuti prodotti va in discarica, e noi abbiamo aperto all’interno del Paese una discussione se dobbiamo fare i termovalorizzatori o meno. Io non sono un amante dei termovalorizzatori, però reputo che le discariche siamo molto peggio dei termovalorizzatori e con questi livelli di raccolta differenziata in Italia abbiamo bisogno dei termovalorizzatori, perché se no continuiamo ad alimentare il mercato delle discariche, che dal punto di vista ambientale è un mercato dannosissimo, e dietro il quale la criminalità organizzata sta facendo i soldi. Lo dico con molta chiarezza: se le Amministrazioni locali, le Regioni non vogliono fare termovalorizzatori, mi devono dire esattamente come intendono smaltire i propri rifiuti, lo devono dire a me e lo devono dire all’Europa. E non ho più intenzione di penalizzare più le regioni virtuose, mettendo a carico di tutti i cittadini italiani le sanzioni UE che stiamo già prendendo perché alcuni governatori o alcuni sindaci non si assumono le loro responsabilità. Chi sbaglia paga. Abbiamo fatto una modifica legislativa all’inizio dell’anno per cui le sanzioni europee verranno addebitate alle regioni e ai comuni che le provocano. Questo deve essere chiaro a tutti, perché chi si assume le proprie responsabilità non pagherà i danni di chi non se le assume. Detto questo, io sono disponibile ad aiutare tutte le amministrazioni locali e tutte le regioni che vogliono portare avanti dei piani seri per lo smaltimento dei rifiuti, sono pronto ad esaminare qualsiasi opzione fattibile sul tavolo, ma devono essere operazioni fattibili. Ho intenzione di collaborare fortemente con le amministrazioni in tutti i settori. Posso dare le regole, perché questo è il mio compito in campo ambientale; le regioni e i comuni dopo devono applicarle. Questo non è sempre capitato: ci sono stati degli errori a livello locale e a livello centrale. Prendiamo ad esempio il dissesto idrogeologico. C’è un grandissimo impegno da parte di questo Governo contro il dissesto idrogeologico. Abbiamo un ritardo molto forte nella manutenzione del territorio, a cui si sommano i cambiamenti climatici con eventi atmosferici estremi, che rendono la situazione davvero difficile. I cambiamenti climatici sono quelli che vediamo in questi giorni. Se qualche anno fa mi chiedevate che cosa fosse una bomba d’acqua, vi avrei detto che è quella che ci si tirava addosso in spiaggia. Se lo chiedete ai vostri figli, vi dicono che è un evento atmosferico estremo, perché ormai è entrato nel linguaggio comune, tanto si verificano di frequente. Questa situazione mi preoccupa molto: noi possiamo recuperare il passato di decenni, questa situazione nasce molto lontano. Noi abbiamo messo come priorità gli interventi sul dissesto idrogeologico; abbiamo semplificato, abbiamo potuto spendere meglio le risorse che già c’erano in maniera più veloce, abbiamo aperto settecentottanta cantieri per oltre un miliardo di risorse impegnate, abbiamo presentato proprio il primo stralcio del piano nazionale che ammonta a un miliardo e trecento milioni, di cui seicentocinquanta milioni disponibili subito per gli interventi nelle grandi città, premiando in particolare le regioni e i comuni che avevano i progetti pronti. Diamo i soldi solo a coloro che sono in grado di spenderli subito, oltre a coloro che hanno la popolazione più a rischio. Chi è più avanti, può spendere subito i soldi, chi deve fare la progettazione aspetterà il turno dopo, tanto non potrebbe spenderli nell’immediato futuro. Stiamo facendo molto su questo aspetto. Non c’è intervento sul dissesto idrogeologico che possa salvare quelle abitazioni che sono state costruite nell’alveo dei fiumi o in prossimità delle rive dei fiumi, perché quello è uno scempio da un punto di vista ambientale che non è attutibile in nessuna maniera. Lo dico con chiarezza: mai più condoni edilizi in questo Paese, perché si incentiva l’abusivismo; dall’altra parte, mano dura verso coloro che hanno costruito in quelle zone e non sono in regola.
Dobbiamo avere il coraggio di abbattere, di punire chi ha fatto scempio del territorio, dopodiché si può andare avanti con le opere del dissesto idrogeologico. In questo i comuni ci devono aiutare: devono dare meno concessioni edilizie in zone a rischio e devono controllare di più l’abusivismo sul proprio territorio. Il piano, che ricordavano giustamente sia Elia che Tamburi, ossia quello dell’ammodernamento delle città, si vince tutti insieme, comuni, regioni, stato, imprese private e cittadini. Credo che abbiamo molta strada da fare: il passaggio da una mobilità privata su gomma a una mobilità pubblica, per esempio, su rotaie, e aggiungo per vie marittime, rafforzando i porti. È una strategia vincente dal punto di vista ambientale e industriale. Rafforzare nelle nostre città l’utilizzo dei mezzi elettrici e, aggiungo, del bio metano, è vincente sia dal punto economico che dal punto di vista ambientale. Il terzo cespite importante è quello del riscaldamento delle nostre città, cioè dell’ammodernamento dal punto di vista urbanistico delle nostre città. Anche qui lo dico con estrema chiarezza: noi abbiamo consumato troppo suolo. Negli ultimi decenni abbiamo ragionato molto semplicemente abbandonando il vecchio e andando a costruire il nuovo. Facendo così facciamo un danno fortissimo all’ambiente. È a tutti chiaro che non possiamo impermeabilizzare il suolo come lo abbiamo impermeabilizzato finora, non solo perché ce lo dicono le direttive europee, ma perché dobbiamo combattere i cambiamenti climatici. Io non voglio che l’ambiente venga strumentalizzato contro l’economia, perché per troppo tempo noi abbiamo utilizzato un becero ambientalismo solo esclusivamente interpretandolo come l’ambiente del no. Questo non si può fare, punto. Così non si va da nessuna parte perché così noi non rendiamo l’ambiente appetibile. Sono a pronto a dire che non consumeremo suolo nei prossimi anni ma arrivandoci in maniera graduale, tenendo conto di quali sono i diritti acquisiti da parte di alcuni cittadini. Nessuno vuol togliere niente a nessuno; ma in prospettiva, si vuole vietare il consumo di nuovo suolo.
Sono disponibile a fare questo solo se, insieme ai comuni e alle regioni, saremo in grado di puntare sul riuso e sulla rigenerazione urbana, che è un grandissimo mercato per le imprese capaci di riqualificare le nostre abitazioni già esistenti e di costruire là dove si è già costruito e si è abbandonato. Questo è un mercato enorme, è un mercato più forte anche di quello delle nuove costruzioni; bisogna che siano pronti i comuni, utilizzando bene le leve urbanistiche, pensando anche a premi dal punto di vista urbanistico per chi va a riqualificare certe zone. Dobbiamo essere bravi noi a procedere sulle bonifiche, perché bonificare dei terreni grandi che oggi sono vicini ai centri cittadini vuol dire restituire dei pezzi di città ai paesi, dei pezzi interi di città già costruiti, ai paesi; devono essere brave le imprese a cogliere questa grande opportunità che può venire da questo mercato. Vedete che dietro questo progetto di riqualificazione delle città ci sono tutti, i trasporti da una parte, lo sviluppo economico dall’altro, le regole urbanistiche, tutte le imprese di costruzione, le imprese automobilistiche e le imprese di energia, insieme al comparto delle ferrovie e ai porti. Questo è il grande piano industriale che dobbiamo avere il coraggio e la capacità di fare perché dietro a questo piano ci sono due cose essenziali. La prima, forse meno essenziale, è una ripresa economica del nostro Paese duratura nel tempo; la seconda, è il futuro, nostro e dei nostri figli.

DOMENICO LOMBARDI:
Grazie Ministro. vorrei rimanere su questo tema delle asimmetrie regionali che De Santis aveva illustrato. Qual è la situazione effettiva? Quali sono le iniziative che il CONAI sta cercando di implementare e soprattutto cosa dovrebbero fare le regioni che non fanno parte di quel club virtuoso?

ROBERTO DE SANTIS:
Mi sembra che il Ministro sia stato parecchio efficace. Sulla base dei numeri che sono stati dati prima, occorre molta più raccolta differenziata prevalentemente nelle regioni del centro-sud dal punto di vista quantitativo, ma in tutto l’intero territorio del Paese da quello qualitativo. Vi ricordo che la qualità della raccolta differenziata, cioè l’aumento percentuale dei rifiuti che sono effettivamente riciclabili, è un notevole vantaggio. Oggi come oggi, per alcuni materiali quello che viene raccolto in maniera differenziata va al riciclo solamente in una parte. Nel caso della plastica, circa il 60% del materiale conferito di plastica viene riciclato. La qualità della raccolta differenziata, cioè l’assenza di materiali estranei, è una condizio sine qua non per migliorare gli standard di riciclabilità. Occorre fare più raccolta differenziata. Qui il Ministro mi pare sia stato abbastanza chiaro: c’è una precisa responsabilità degli enti locali. Ricordo che, per legge, alle regioni spetta il compito di programmare gli interventi su questa materia, mentre ai comuni e ai loro gestori il compito di realizzare questi progetti e di trasformare questa attività in una vera e propria attività industriale di servizi. Noi, come CONAI, abbiamo fatto uno studio per vedere quali sono i costi unitari della raccolta differenziata nelle diverse regioni d’Italia, e ci sono dei rapporti da 1 a 10. In alcune parti d’Italia la raccolta differenziata costa 1, in altre parti del Paese costa 10. Questo dice il livello di recupero e di efficienza nella gestione di questo servizio. Cosa facciamo noi su questo fronte? Direi due cose. Pur non essendo un nostro compito diretto, perché siamo a valle della raccolta differenziata, ci dichiariamo disponibili ad assistere comuni e le regioni che hanno chiesto il nostro aiuto. Come facciamo? Li aiutiamo nel redigere i progetti esecutivi della raccolta differenziata, li aiutiamo nelle campagne di comunicazione ai cittadini, li aiutiamo nello start-up, spesso finanziamo l’acquisto delle apparecchiature. È questo che stiamo facendo nel sud, seppur con luci ed ombre. Voglio ricordare, per dare anche una nota di speranza, che adesso a settembre-ottobre, sulla base dei nostri aiuti, partirà la raccolta differenziata in tre importanti centri urbani italiani: Catania, Bari e Catanzaro, che mi paiono dati parecchio significativi. Voglio dirvi che siamo impegnati sul fronte della comunicazione: devo ricordare che a settembre, con lo stimolo del Ministro e del Ministero dell’Ambiente, partirà un’importante campagna di comunicazione alla quale abbiamo dato il nome di “Nativi e ambientali”, una campagna rivolta ai giovani che spiega il valore di una corretta gestione dei rifiuti, puntando su di loro, sul valore e l’intelligenza, sulla loro capacità di essere da stimolo anche nei riguardi degli anziani per una corretta gestione della raccolta differenziata. Questo è un primo problema. Un secondo problema riguarda il fatto che l’Unione Europea prevede che al 2020 sia raggiunto l’obiettivo del 50% dei rifiuti urbani da avviare a riciclo. Ora, mentre per gli imballaggi che, ripeto, sono solo circa ¼ dei rifiuti urbani, noi siamo prossimi a raggiungere questo obiettivo, per le altre frazioni merceologiche similari, cioè manufatti in plastica, in acciaio, in alluminio, in carta che non sono imballaggi, ed in particolare per la frazione organica, siamo parecchio lontani da questo obiettivo. Bisogna attrezzarsi perché vengano considerate utili le possibilità di inviare al riciclo anche quel 75% di rifiuti urbani che non sono imballaggi. Un ultima cosa alla quale noi associamo estrema importanza, sono due parole chiave: prevenzione e ricerca. La prevenzione intesa come le attività che servono non soltanto a ridurre quantitativamente i rifiuti urbani conferiti, ma a migliorare i loro standard di riciclabilità. È un obiettivo difficilissimo da perseguire, perché il miglioramento delle performance negli imballaggi non è legato un miglioramento della riciclabilità degli imballaggi. Molti degli imballaggi sono sofisticati, sono spesso plurimateriali che migliorano i loro standard ma rendono più difficile la loro riciclabilità. C’è una forte esigenza di miglioramento degli standard dell’imballaggio da questo punto di vista, e la parola chiave per migliorare questa prevenzione è la ricerca e sviluppo. A nostro avviso, la possibilità di migliorare gli standard di innovazione di prodotto e di processo nel riciclo dei rifiuti di imballaggio, è una conditio sine qua non. Tradendo un pochino la nostra missione, l’anno scorso abbiamo fatto un importante accordo con il CNR e con importanti università italiane, finanziando per centinaia e centinaia di migliaia di euro importanti progetti che servono a migliorare gli standard di processo e di prodotto dei rifiuti di imballaggio. Lasciatemi dire una cosa sulla difficoltà di raggiungere questi obiettivi: una difficoltà più di natura di assunzione di responsabilità. Credo che il Ministro abbia accennato a questo problema: per raggiungere la soluzione di questo problema occorre una forte assunzione di responsabilità, da parte di tutti gli anelli di questa catena. All’imprese che producono e utilizzano imballaggi, abbiamo detto della possibilità di innovare e di fare imballaggi più performanti, ma anche più riciclabili. Ai cittadini, ai consumatori, il compito di gestire correttamente questi rifiuti: spiegare ai consumatori che con l’acquisto di un bene imballato, non si esaurisce la loro responsabilità. La loro responsabilità termina con un corretto conferimento dei rifiuti. Naturalmente una smart governance e quindi una responsabilità degli enti locali, e sostanzialmente un miglioramento a valle negli impianti di selezione e di riciclo. Occorre una sorta di intelligenza distribuita e condivisa per far funzionare questa filiera. Non è solo un anello che deve funzionare correttamente, ma tutti gli anelli della filiera devono contribuire al perseguimento di questo obiettivo. Per chiudere, voglio soltanto dare un piccolo esempio di quello che noi abbiamo realizzato insieme ad AMSA in Expo a Milano. Ci siamo mossi in questa direzione: la direzione, sul fronte dei rifiuti, di contribuire a far coincidere la sede di Expo con una sorta di smart city. Cosa abbiamo fatto? Non soltanto, insieme ad AMSA abbiamo aiutato nell’organizzazione della raccolta differenziata, ma abbiamo dato altri elementi che coinvolgono i visitatori in questo compito. Abbiamo dato informazioni sul corretto modo, anche in inglese e in altre lingue, di conferire i rifiuti, abbiamo costruito un cosiddetto recycling tube, in modo tale da rendere edotti i visitatori che la raccolta differenziata non è un bene in sé, ma è il riciclo. Facciamo vedere il percorso che dalla raccolta dei rifiuti porta al riciclo. Per dare l’esempio fisico dell’importanza del riciclo, abbiamo realizzato le panchine che voi troverete in Expo con i sei materiali dell’imballaggio: panchine in legno, in alluminio, in vetro, in acciaio, in cartone e in plastica. È un esempio della giusta direzione nel conseguimento degli obiettivi di una smart city.

DOMENICO LOMBARDI:
Grazie. Sempre in tema di Italia a due o a tre velocità, vorrei chiedere a Elia a che punto siamo rispetto al trasporto ferroviario. Lei menzionava una serie di investimenti, di innovazioni. In che misura questi si riflettono in modo asimmetrico sul territorio nazionale? Cosa state facendo per cercare di colmare il divario col Mezzogiorno?

MICHELE MARIO ELIA:
Come riferimento abbiamo le direttive europee che hanno stabilito dei corridoi di rete trans-europea. Quattro di questi corridoi interessano l’Italia e su quelli si sono concentrati i nostri sforzi per poter renderci equivalenti a quelle che sono le capacità di trasporto nella restante parte dell’Europa. Un tema molto importante è quello delle merci. Stiamo portando la capacità di trasporto in modo che si carichi direttamente un camion su un carro ferroviario, per aumentare la capacità dei binari di stazione fino a 700 metri, per raddoppiare la capacità di trasporto. Quindi viene quadruplicata per lunghezza e per capacità di trasporto. Spesso si dice che manca l’infrastruttura. Meglio dire che va adeguata, così come stiamo lavorando. Da Trieste fino a Novara e l’anno prossimo fino a Torino: possiamo caricare dal porto di Trieste un camion sul treno e portarlo fin lì con o senza motrice. Questo significa che trovi la motrice alla zona di arrivo o di partenza e puoi fare l’ultimo miglio come preferisci completare il trasporto. Dei tredici porti che l’Europa ha individuato come punti di imbarco, dieci di questi sono già collegati ferroviariamente, questa è un’attività che va fatta di comune intesa, come diceva prima il Ministro, con le autorità portuali, così da rendere quelle situazioni comode per il trasferimento di container da una nave a un treno. Stiamo portando avanti questi progetti sul porto di Trieste – approvato recentemente dal CIPE – su La Spezia e su Genova. Poi li estenderemo ad altri. Livorno è uno dei porti dove si sta lavorando già attualmente e ha i binari direttamente sulla banchina; il binario della banchina ha una stazione, e quindi il treno non deve fare più soste intermedie, ma parte e va direttamente in linea. Immaginate questo tipo di collegamenti fatto sui porti, sui terminali, sugli interporti: pensate a quanto vantaggio competitivo dà alla logistica e al trasferimento ed al trasporto su ferro. Contestualmente, volevo rimarcare anche un aspetto di tipo gestionale o normativo. Se non c’è una politica contestuale di pedaggio o di normativa che consente di spostare sul ferroviario il servizio che oggi si svolge su gomma, noi non riusciremo mai ad essere competitivi appieno rispetto al trasporto su gomma. E poiché i corridoi europei sono corridoi plurimodali, non sono corridoi ferroviari; l’Autorità, il Governo, i ministeri, devono fare una politica di pedaggio su questi corridoi, privilegiando il ferro per un certo tipo di trasporti, la gomma per certi altri, il fluviale, come ricordava il Ministro, o il mare. Quindi è una politica complessiva che non implica la condizione per cui con l’infrastruttura che realizzi o con la tecnologia chiudi l’intera partita. Ci han sempre detto che sulla Tirrenica Sud i camionisti non pagano il pedaggio e le ferrovie pagano il pedaggio. Un altro punto ha sollevato il Ministro prima, quello del dissesto idrogeologico. Io non voglio spaventare nessuno, ma noi abbiamo tremila punti monitorati sulla rete. Li abbiamo tutti sotto controllo, abbiamo fatto un lavoro incredibile con la Presidenza del Consiglio. Siamo già intervenuti su ottocento punti con i finanziamenti all’interno del contratto di programma, sulla parte del dissesto idrogeologico dovuto a frane e ad alluvioni, intersecando tutto il lavoro fatto dalla Autorità di Bacino. Circa seimila chilometri di ferrovia possono essere interessati da fenomeni che nascono in luoghi molto diversi da quella che è la ferrovia. Però, voglio rassicurarvi, è tutto sotto controllo. È un altro di quei temi che ci occupa e ci preoccupa. Il mondo ferroviario è un mondo a trecentosessanta gradi, sembra non avere confini in termini di servizi, di infrastrutture, di competenze tecniche. A proposito di competenze tecniche, volevo dirvi che i giovani laureati mettono al primo posto le Ferrovie dello Stato come società dove andare a lavorare. L’anno scorso il Sole24Ore fece questa indagine e quindi questo è un grande riconoscimento per Ferrovie, per le innovazioni che ha fatto negli ultimi dieci anni, mettendo in sicurezza l’intera rete da un punto di vista di sicurezza della circolazione e da un punto di vista di innovazione, con l’ultimo prodotto che è il treno 1000. Volevo aggiungere un altro passaggio. Nell’ambito delle aree urbane abbiamo individuato anche delle piste ciclabili da realizzare in aderenza ai binari, con le protezioni. Su Roma abbiamo individuate già cinque o sei piste ciclabili che servono due località, avendo spazio disponibile a lato dei binari, per poter contribuire anche a quello che è una mobilità ecologica. Una bella occasione, perché passare per Roma con una pista ciclabile è una delle soluzioni che, presentata a Marino e anche da Zingaretti, li ha trovati incredibilmente soddisfatti. Di questo lavoro, una parte potrebbe essere completata per il Giubileo: un tratto significativo nell’ambito del contributo che Ferrovie dello Stato dà alla mobilità urbana. Grazie.

DOMENICO LOMBARDI:
Vorrei avviarmi verso la conclusione di questo incontro con un’ultima domanda a Carlo Tamburi. Prima abbiamo parlato di mobilità elettrica. Quando si parla di infrastrutture, non si parla solo delle colonnine, ma anche degli smart grid, i contatori. So che Enel ha avviato una serie di progetti infrastrutturali in questo senso. Può spiegarci la rilevanza di questi progetti e come si connettono al tema della mobilità delle grandi città?

CARLO TAMBURI:
Ho fatto un vago accenno anche in precedenza parlando dell’infrastrutturazione delle reti urbane. Dimenticavo di dire, e questa è una buona occasione per completare il mio intervento, che abbiamo accordi in atto anche con delle società concessionarie delle autostrade e con Anas, per fare in modo che tutta la rete autostradale venga nel tempo e gradualmente dotata di infrastrutture. Per rispondere in un modo originale alla sua domanda, inviterei tutti i presenti ad andare all’Expo, dove abbiamo fatto l’infrastruttura di base per l’energizzazione della fiera, che ha delle complessità notevoli perché c’è una concentrazione di prelievi del tutto assimilabile ad una città di 100.000 abitanti. Essa è perfettamente integrata, a circuito chiuso – quindi con guasti che si possono risolvere senza neanche ci si accorga che c’è stata l’interruzione di servizio – con sale controllo che in tempo reale controllano e monitorano i prelievi ed i consumi di ogni singolo padiglione, con la mobilità elettrica totalmente integrata. Ciascun padiglione ha dei pannelli fotovoltaici e quindi una propria produzione che viene gestita in diretta in funzione degli utilizzi, con prima centrale di accumulo che in realtà è stata usata poco perché tutta l’energia che veniva prodotta in via rinnovabile è stata anche utilizzata. Quindi l’Expo è un grande esempio di come si possano fare effettivamente le cose e scaricare a terra tutto il potenziale di inventiva, di tecnologia, di innovazione, di realizzazione che l’Enel e il nostro Paese possono fare. Il tema della smart grid, degli utilizzi integrati e simultanei dell’energia elettrica può avere degli usi di vario tipo. Approfitterei per fare tre punti velocissimi che toccano aspetti che sono stati introdotti dagli altri relatori. Se il Ministro non è un amante dei termovalorizzatori io lo sono ancora meno. Non è proprio il nostro settore, ma mi fa piacere utilizzare questa sede per ricordare che l’Enel sta dismettendo circa venti siti industriali di centrali che sono in disuso, che non sono più utilizzabili, perché c’è un eccesso di capacità installata e di produzione di energia elettrica che con la crisi economica, l’efficienza e il risparmio energetico non servono più. Questi siti in alcuni casi, sono degli ottimi posti dove poter fare dei termovalorizzatori qualora le municipalità, le istituzioni locali, le province, le regioni, ritenessero di seguire le suggestioni del Ministro per trasformare le discariche chiuse in elementi di produzione e smaltimento dei rifiuti in un altro modo. Se ce ne fosse la necessità ed il bisogno, siamo a disposizione per dare al sistema una mano da questo punto di vista. La seconda cosa: sono stati toccati le tematiche dei porti, della mobilità, della viabilità su acqua, sia marittima che fluviale. Stiamo discutendo con il ministero dello Sviluppo Economico e con il Ministero dell’Ambiente la possibilità di fare una grande politica di energizzazione dei porti. Oggi i porti sono latenti e carenti dal punto di vista delle infrastrutture elettriche. Le grandi navi, soprattutto quelle da crociera, stanno in porti e stazionano per giorni interi cumulando le ore con i gruppi elettrogeni autonomi e non hanno la possibilità di connettersi alla rete. C’è un grande progetto di sviluppo e creazione di infrastrutture elettriche anche nei porti. Ultima cosa: è stato accennato il dissesto idrogeologico. L’Enel con le grandi dighe e con i grandi bacini può dare anche da questo punto di vista un supporto ed un aiuto di sistema. Mi pare che il punto che collega tutti i vari interventi sia che da soli non fa nulla e che si debba abbattere le barriere di convenienza, di parrocchia, di quartiere e di breve periodo, perché poi c’è un tema di sostenibilità nel tempo. Occorre lavorare tutti insieme, istituzioni, privati, pubblici, locali, nazionali, centrali, autorità, controlli, per poter dare una spinta forte al Paese.

DOMENICO LOMBARDI:
Grazie. Io avrei voluto invitare i relatori a fare un intervento conclusivo, ma purtroppo non abbiamo più tempo. Volevo solo dare un ultimo dato: oggi le città generano l’80% del PIL mondiale, i modi con cui i vari enti locali, governi centrali e privati, riusciranno a fare sistema, secondo i parametri di cui abbiamo parlato, definiranno la competitività di tutte le economia nel prossimo futuro. Di nuovo un ringraziamento ai relatori. Credo sia stato un dibattito interessante ed articolato. I problemi sono grandi, ma mi sembra di poter dire che in Italia siamo sul binario giusto.

Data

24 Agosto 2015

Ora

15:00

Edizione

2015

Luogo

Sala Neri CONAI
Categoria
Incontri