FRONTIERE SOCIALI: RIQUALIFICAZIONE DI AREE URBANE, IL RUOLO DELLE SOCIETÀ SPORTIVE

Frontiere sociali: riqualificazione di aree urbane, il ruolo delle società sportive

Frontiere sociali: riqualificazione di aree urbane, il ruolo delle società sportive

Workshop in collaborazione con Banca Prossima e Fondazione Fits!Gruppo Intesa Sanpaolo. Partecipano: Giovanni De Cesare, Consulente Bosch Italia Sviluppo Business; Aldo Mazzia, Amministratore Delegato di Juventus; Paolo Petrucci, Presidente di Valore più. Introduce Roberto Leonardi, Project Manager della Fondazione per l’Innovazione del Terzo Settore.

 

ROBERTO LEONARDI:
Allora, intanto buonasera a tutti, Roberto Leonardi, Fondazione Fits!. Che cos’è la fondazione Fits!? E’ la Fondazione per l’innovazione del terzo settore. È una Fondazione generata da Banca Prossima, l’avrete incontrata perché è presente nello stand di Intesa San Paolo, la noterete come la struttura dedicata esclusivamente ad iniziative e ad imprese che rappresentano appunto il terzo settore italiano. Come Fondazione Fits!, Fondazione per l’innovazione del terzo settore, faccio un bel mestiere, io lo definisco il più bello dei mestieri possibili. Il mestiere che faccio è quello di cercare, all’interno di questa struttura, tutte quelle iniziative di economia sociale più interessanti, che abbiano la capacità di ripensare modelli di produzione, modelli di comunità, modelli di convivenza, modelli di socialità in una chiave imprenditoriale, quindi, fare innovazione nel terzo settore. In questo caso, significa per noi andare a pescare quelle iniziative pensate non solo dall’economia sociale che conosciamo: quelle delle cooperative sociali, quelle delle associazioni, quelle dei comitati, delle fondazioni, di tutte quelle forme di organizzazione della comunità delle persone che in questo Paese si mettono insieme per risolvere un qualche problema della loro comunità. Ma anche iniziative come quella che oggi vado a presentare hanno un interesse particolare.
Quando con l’Amministratore Delegato pensavamo a quale potesse essere una bella iniziativa, un bel progetto da presentare in questa edizione del Meeting, ci è sembrato interessante parlare di questa cosa, perché è un’iniziativa in cui una azienda, una associazione che fa un mestiere che non è immediatamente riconducibile a quello che si pensa come economia sociale – l’associazione calcistica della Juventus si occupa di vincere scudetti, di fare sport, e sport professionistico – si interroga e rendere disponibili idee, pensieri, opportunità che cercano in qualche modo di mettere a disposizione delle risorse in grado di andare a riqualificare un’area dismessa, un’area non interessante per il mercato, un’area in cui non succede nulla. Fra poco l’Amministratore Delegato ci mostrerà di che cosa si tratta. Un’azienda che quindi non si comporta più da club calcistico ma da partner di una comunità, da partner di economia sociale, cercando di ripensare un luogo e di far succedere in questo luogo qualcosa che diventa interessante. Vedremo che non è interessante solo per il luogo in sé ma anche per tutto il Paese, un modello di questo tipo.
Ci aiuterà a ragionare in questi termini, oltre ad Aldo Mazzia, Amministratore Delegato del club, anche Giovanni De Cesare, che in questo caso rappresenta le relazioni esterne di Bosch, dico bene? E ci dirà chi è Bosch perché non è scontato che tutti noi lo sappiamo, ci spiegherà ad esempio che Bosch è una fondazione e come cerchi di fare di questo progetto e di questa iniziativa una occasione pilota, un caso importante in cui una intera area dedicata allo sport può essere a disposizione della città e diventare un modello di energia efficiente e sostenibile, capace anche di attenuare l’impatto di CO2 della città di Torino. E anche Paolo Petrucci, in questo caso rappresentante dell’economia sociale, nel senso che è un cooperatore sociale doc e rappresenta un’aggregazione che come Fondazione Fits!. Abbiamo cercato di stimolare l’esistenza di questa aggregazione e Torino era il luogo giusto per farlo, uno dei luoghi più maturi in questo Paese come presenza di grandi imprese sociali, capaci di diventare partner, di proporsi in progetti di riqualificazione di una grande area dismessa come questa. Chiudo qui e darei immediatamente la parola all’Amministratore Delegato Mazzia, che racconta del Continassa.

ALDO MAZZIA:
Grazie. Buona sera a tutti. Questo progetto è nato sostanzialmente due anni e mezzo fa. A quel tempo, siamo nell’autunno del 2011, la Società attraversava una grossa fase di crisi, eravamo reduci da risultati sportivi a dir poco deludenti con due settimi posti, un bilancio che ha battuto il record storico delle perdite, se qualcuno di voi se lo ricorda. Avevamo stimato 95 milioni di perdite e avevamo varato un’operazione di aumento di capitale per dare avvio al piano di rilancio della Società, capitanata naturalmente dal Presidente Agnelli, che ne aveva da poco assunto le redini. In questo contesto, c’era però stata una grossa novità, avevamo appena aperto il nuovo stadio, l’8 settembre del 2011, un investimento di circa 150 milioni, che ci ha dato grandi soddisfazioni, di cui siamo molto orgogliosi. Oggi è uno stadio che ci mette al livello dei principali competitors europei e vi assicuro che giocare in uno stadio del genere – io mi auguro che siano molte le squadre di calcio italiane che possano seguire questo esempio – è un’esperienza che nessuno di noi aveva vissuto se non all’estero, invidiando un po’ i nostri concittadini europei.
Passerei alle slides, se vanno in onda… ecco! Vedete! Questo è il nuovo stadio, l’investimento, tutto a carico della società, fu di 155 milioni. In questo stadio è nato anche il museo della Juventus, anch’esso meta di molti tifosi, di molti visitatori. Pensate che nell’ambito dei musei di Torino occupa il terzo posto come frequenza di visitatori, da due anni dalla sua apertura: anche questa è stata un’operazione di successo. In questa parte dello stadio, è nato anche un centro commerciale che si chiama “Area 12” che è stato aperto da Nordiconad, che ha investito la ragguardevole somma di 90 milioni. Solo per darvi un’indicazione, questa era diventata una zona veramente negletta di Torino, soprattutto da quando i due club torinesi aveva abbandonato il “Delle Alpi”.E’ rifiorita a nuova vita con un investimento notevole di circa 240 milioni, quindi, stadio più centro commerciale. Non solo, in queste cifre che vi sto dicendo hanno trovato spazio tutte quelle opere di urbanizzazione che hanno ridato vita alla zona. Tutto quello che voi vedete attorno allo stadio in termini di viabilità, semafori, addirittura uno svincolo sulla tangenziale, che dista solo 2 km dallo stadio, è stato fatto da Juventus nell’ambito delle opere messe in esecuzione.
Questo è stato il primo step che ha consentito di rivitalizzare la zona. Vi do qualche dato statistico: nelle tre stagioni di attività dello stadio, mediamente abbiamo avuto un milione di utenti, di spettatori, di tifosi, di semplici curiosi, di frequentatori del museo, persone che, fino a quando non esisteva lo stadio, naturalmente stavano bene alla larga da questa zona. Ci restava un problema, rappresentato da quest’area che vedete delimitata in rosso e che è l’area contigua allo stadio. Si tratta di circa 175.000m² veramente dimenticati negli ultimi 50 anni. Tanto per darvi un’idea dello stato di degrado, vi faccio vedere la cascina Continassa, un’antica cascina nobiliare che risale al 1700. In questa immagine del 1970, vedete che era abitata, in perfetto stato di conservazione. Guardate cos’è successo nel giro di 30, 40 anni: questo è lo stato di degrado in cui versava e versa tutt’ora, a parte le opere che sono già state compiute da Juventus di pulizia e di bonifica ambientale. Questo era lo stato di degrado in cui l’incuria e l’abbandono avevano gettato la cascina che, come vi dicevo, era una cascina nobiliare del 1700, a corte chiusa, quindi anche un palazzo di pregio, fino a ieri destinata a raccogliere attività illecite, tra cui anche la trasformazione del rame rubato in giro per il Piemonte. Pensate che, rispetto ad un’analisi preventiva che avevamo fatto coni tecnici del Comune, pensavamo di trovare 1200 tonnellate di rifiuti, ne abbiamo trovati 12000. Immaginate la discarica che era diventata questa zona in pochi anni.
Ecco qualche altra immagine: questa era l’antica corte nobiliare. Comunque, quello che abbiamo cercato di portare all’attenzione della città di Torino è un progetto che prometterà probabilmente di riqualificare totalmente e definitivamente l’area. Abbiamo in mente di realizzare più attività finalizzate a far vivere quest’area sette giorni su sette, ventiquattr’ore al giorno, quindi non solo interventi tampone. Questo percorso ci ha obbligati ad intense trattative per circa due anni e mezzo. Immaginate che il primo incontro che abbiamo avuto con la città risale al novembre del 2011: solo nel luglio del 2014, praticamente l’altro mese, siamo riusciti ad avere la ratifica del documento concordato con la città, in cui si riassumono i termini, le condizioni ed i propositi di sviluppo dell’area. Due anni e mezzo in cui il progetto si è naturalmente affinato: oggi presenta alcune caratteristiche peculiari che penso contribuiranno – almeno, questo è il nostro augurio e questo è anche uno dei motivi per cui abbiamo avviato questo progetto – a una vera riqualificazione, a una ricaduta efficiente sulla città di Torino, sia in termini di sviluppo economico che di sviluppo occupazionale. Voi sapete che l’Italia soffre, soprattutto a livello giovani, di queste piaghe? Questo è un piccolo contributo a livello torinese a risolvere una parte dei problemi.
Perché ci abbiamo messo due anni e mezzo? Perché, in buona sostanza, a novembre del 2011, a margine delle varie trattative per la costruzione dello stadio, Juventus e la città di Torino avevano immaginato di riqualificare quest’area facendone esclusivamente un parco pubblico, adibendo la cascina a nuova sede della Juventus. A parer nostro, questo non avrebbe portato a nessuna caduta effettiva, avrebbe solo generato ulteriori costi per l’implementazione del parco, con un enorme investimento. A Torino abbiamo avuto già una spiacevole esperienza con un parco pubblico diventato sede di nuove attività illecite: commercio di droga, ecc., quindi a Juventus assolutamente non andava di portare avanti questo progetto. Portando queste proposte in città, abbiamo avuto un’accoglienza favorevole e una collaborazione fattiva che, nonostante tutto, ci ha portato con due anni e mezzo di investimenti in proposte, discussioni e quant’altro, a formulare un progetto che adesso vi esporrei con l’ausilio di un filmato. Cosa sorgerà nell’area? Il fulcro, l’idea geniale del progetto è di aver pensato di portare la sede di allenamento della prima squadra di Juventus in questo sito, alla Continassa: quando saranno finiti i lavori, qui si allenerà la prima squadra della Juventus.
Potete intravedere dal filmato che ci sono quattro campi da calcio, perfettamente uguali a quelli dello stadio, che dista appena 200m da quest’area. Avremo due fabbricati: uno destinato alle attività complementari a quelle di allenamento, e quindi a disposizione dei giocatori, ed uno a disposizione dei media. Sapete che la pressione dei media su una squadra di calcio, ed in particolare sulla Juventus, è pesante, quindi è là che si concentreranno tutte le attività di relazione con i media, con i calciatori e quant’altro. A seguire, vedete un hotel, che in parte funzionerà al servizio della squadra. Sapete che oggi le squadre non si allenano più come una volta, bensì hanno sessioni mattutine, pomeridiane, c’è la necessità di avere dei locali a disposizione per il relax, per la ristorazione e, non ultimo, per l’esigenza di ospitarli nelle fasi di ritiro pre-gara e post-gara. Questo hotel in parte funzionerà al servizio della prima squadra: avrà 155 camere, una trentina con spazi destinati alle attività di cui vi dicevo. Questo invece è un secondo fabbricato, un’idea innovativa, che ospiterà più attività con un target ben definito, i giovani, dall’età di tre fino ai 14, 15 anni. Sostanzialmente quattro le attività: una di vero e propria entertainment però educativo, nel senso che avrà laboratori scientifici, tecnici, educativi, sarà scuola di teatro e tutto quello che si inventeranno i futuri gestori. Ed è qui che poi interverrà la parte sociale rappresentata dal dottor Petrucci. Avremo poi un’area destinata a wellness, e un’area destinata al food di qualità. E poi, un’aria un po’ più commerciale, molto ristretta, di circa 2500m². Visto che siamo sull’hotel, volevo mettere in evidenza la genialità del progettista, perché ha disegnato un hotel attorno ad un parco. Come avete visto, oggi l’area non si presenta in maniera così affascinante, quindi l’idea è quella di concentrare la visione del tifoso, del cliente dell’albergo, all’interno dell’albergo. Quindi, ci sarà un parco all’interno dell’albergo e l’albergo intorno, con affaccio di tutte le camere, di tutte le attività all’interno dell’hotel. Questa schematizzata sarà la nuova sede sociale della Juventus.
Oggi Juventus soffre di dispersione, nel senso che abbiamo una sede in centro a Torino, lo stadio nella zona della Continassa ed il centro di allenamento a Vinovo. L’idea, anche per razionalizzare l’efficienza della nostra gestione è concentrare tutto alla Continassa, escluso un punto, quello che oggi è il centro di allenamento della prima squadra a Vinovo e che diventerà la prima academy totalmente destinata al settore giovanile. Là i nostri ragazzi, i tesserati Juventus, avranno otto campi di allenamento a disposizione – noi copriamo dai pulcini fino alla primavera -, mentre il liceo, che già opera da tre anni a Vinovo, sarà eventualmente potenziato. E si creeranno tutte le facilities per avere la prima football academy italiana sul modello di quello che ormai da anni fanno all’estero, soprattutto in Francia e in Germania. Quindi, c’è anche un prodotto residuale di valore nell’esecuzione del progetto Continassa. Oltre alla sede, avremo ancora una piccola area che dovrebbe diventare il bar, il ristorante dei tifosi juventini e l’Innovation Center, uno spazio destinato ad aziende innovative: pensiamo anche ai nostri sponsor, che potranno esporre i loro prodotti, le loro innovazioni.
Penso di avervi detto tutto sul progetto, a parte uno dei pezzi forti, che è stato anche una cosa che ci ha rallentato nell’operazione, l’idea di portare una scuola internazionale a Torino. A Torino esiste solo una scuola americana che però è a Chieri: per i cittadini che risiedono in centro, è di difficile accesso. Abbiamo avuto la possibilità di attrarre una società di gestione che opera da 50 anni in Italia proponendo corsi formativi basati sul programma UK, che porta i ragazzi dall’asilo fino al conseguimento del titolo AEB, che è quello che dà accesso a tutte le università del mondo. Ad esempio, mia figlia ha fatto questo percorso e adesso sta conseguendo un master in Inghilterra, non avendo avuto nessun problema né di lingua né di preparazione né di accesso. Questa è l’idea per dare forza al progetto e per generare quelle ricadute sulla città a cui tenevamo molto.

ROBERTO LEONARDI:
Quindi, dall’idea dello sport, non solo praticato ma anche di quello che le persone vedono come spettacolo, al fatto che il club calcistico dice: “Riqualifico l’area e lo faccio mettendo dei contenuti dentro l’iniziativa, contenuti sostenibili, contenuti per i quali non è richiesta chissà quale risorsa pubblica, iniziative sostenibili, che hanno senso e per cui c’è un’importante domanda, non soltanto in città ma in tutta l’area della provincia”.

ALDO MAZZIA:
Ecco, se mi permette, dottore. Volevo ancora darvi questo dato perché significativo. Quando io ho iniziato la mia esperienza in Juventus, stentavo a crederci. In occasione di ogni partita, tra personale direttamente impiegato, fornitori e personale che opera come steward o come hostess durante la partita, abbiamo 1200 persone che lavorano allo stadio. Sono tante. Potete immaginare il volano che può creare un club gestendo bene uno stadio, si può creare occupazione, si può creare lavoro, si possono creare prime occasioni di impiego per i giovani e far fare loro esperienza.

ROBERTO LEONARDI:
Tutte queste cose consumano un bel po’: questo è un polmoncino. Lo stadio è energeticamente una vera e propria piccola centrale. Funziona in pochissime giornate, anche se non è questo il caso dello Juventus Stadium, che ha una vita con maggiori eventi. Vive anche quindi durante la settimana, durante i momenti che non sono quelli del campionato. Comunque sia, è una bella centrale energetica, ha picchi altissimi di consumo in momenti limitati. E anche l’area del Continassa sarà importante ed energivora, perché vive ventiquattro ore al giorno. L’Amministratore Delegato non ha detto che i seicento studenti che si iscriveranno a quella scuola, in parte vivono anche nella zona. In più ci si mangia, ci si trascorre parte della giornata. Quindi, un’area da riqualificare che viene vissuta ventiquattro ore al giorno, sette giorni alla settimana. Qui viene l’iniziativa di Bosch, che cerca di ragionare in termini di produrre un progetto innovativo e fare sì che questo si metta a disposizione della città. Ci dice De Cesare come.

GIOVANNI DE CESARE:
Buonasera a tutti. Grazie per l’invito. Adesso facciamo partire un filmato per inquadrare Bosch, darci qualche dato e poi entrare nel progetto, anche se il dottor Mazzia non ha parlato dell’energia, l’ha lasciato solo a me. Abbiamo identificato un paio di cose importanti: Bosch è una società tedesca, parliamo dopo la Juventus, quindi non siamo così interessanti ma è tedesca, quindi dei campioni del mondo. È il centoventisettesimo anno di attività nel mondo di Bosch, in Italia dal 1904.
La fondazione Robert Bosch è stata fondata nel 1964. Prima c’era il fondatore che, quando c’è stata la Seconda Guerra Mondiale, per quello che era stato il disastro che la guerra aveva portato, ha ceduto l’azienda per un marco virtuale al governo tedesco. L’azienda, quindi, da proprietà privata di Bosch è diventata una fondazione e detiene il 92% del capitale della società. I familiari hanno l’8% ma non hanno il diritto di voto. Noi vediamo che nelle aree di supporto c’è scienza e ricerca, salute e assistenza, relazioni internazionali, educazione, società e cultura. Abbiamo molte frasi, io ne ho messa qualcuna, per individuare anche lo spirito che guida questa società. “E’ mio interesse, oltre a contribuire ad alleviare ogni tipo di sofferenza, promuovere lo sviluppo morale, fisico e intellettuale delle persone”. Lo si diceva negli anni ’30, non lo dice un imprenditore di adesso. Pensiamo a quanto potevano essere illuminati! Anche queste altre due frasi sono per noi molto importanti. Io le ho volute mettere perché, quando parliamo di efficienza energetica, si muovono tantissimi interessi e per noi invece la bussola sono legalità e integrità della cultura aziendale. Naturalmente, la nostra è solo una fondazione e ci fa essere molto più impegnati nel fare il fatturato e nel gestirlo, perché non siamo quotati in Borsa. Quindi, dobbiamo avere un’autonomia finanziaria che ci permetta di svolgere tutta l’attività e che passa per il fatturato e per la crescita. Nel 2013 siamo cresciuti del 3.1%. Queste sono le nostre divisioni: molti conoscono i nostri trapani, i nostri frigoriferi, i beni di consumo.
E poi vediamo le energie tecnologiche costruttive e la tecnologia industriale. Questa è Bosch, come si muove nel mondo: l’Europa è cresciuta del 2.2%, il Nord America e il Sud America così e i Paesi emergenti stanno facendo grosse performance. E’ interessante, io che sono italiano, lo paragono sempre all’investimento del governo nella ricerca e sviluppo, uno zero virgola… Mentre Bosch, proprio per quello che è il suo assetto societario, investe un 10% del fatturato, quasi cinque miliardi, quattro miliardi e mezzo, sulle nuove tecnologie, quelle che ci saranno fra dieci anni, quelle che non danno business adesso ma lo daranno fra quindici anni. Quello che noi diciamo oggi sull’efficienza energetica nasce da studi fatti anni fa e che adesso portiamo avanti. Ad esempio, oggi nelle auto c’è la tecnologia chiamata start and stop, da tutti conosciuta. È una tecnologia che ha più di dieci anni, stava nel cassetto dei nostri ingegneri e al momento giusto è stata tirata fuori e commercializzata su tutte le auto del mondo. Anche quest’anno, nonostante la difficoltà congiunturale, è prevista una crescita. Questa è la strategia Bosch, non chiediamo prestiti alle banche perché ci dobbiamo autofinanziare. Individuiamo dei megatrend che non sono dei punti di business ma dove si svilupperà il futuro del mondo e dove dovremmo dare valore aggiunto a livello tecnologico e a livello di lavoro e di persona. Come primo megatrend, abbiamo la riduzione di CO2 tramite l’efficienza energetica, poi abbiamo nuove forme di mobilità. Siamo leader nel mondo delle automobili ma stiamo pensando al futuro elettrico, il futuro senza motore a scoppio, allo sviluppo demografico, a come si muoverà il mondo e a quali saranno i problemi degli anziani e dei giovani.
C’è un programma europeo che si chiama “garanzia giovani”: per dare lavoro ai giovani, siamo attivi con la Comunità europea, con lo Stato Italiano e con le varie Regioni. Poi c’è il problema dell’urbanizzazione, al quale il progetto Cotinassa è una risposta. Questo è il gruppo Bosch in Italia: quasi 6mila collaboratori, circa 300mila nel mondo, per un fatturato di 1,7 miliardi di euro. In Italia siamo presenti non solamente con sedi commerciali ma anche con sedi produttive. Queste sono le nostre varie aree e questa è la divisione di Bosch coinvolta nel progetto con la Juventus. La riuscita di questo progetto è dovuta proprio alla qualità delle collaborazioni: c’è una società, che in questo caso è Bosch, il Comune di Torino e un gestore privato dell’energia che è Iren. Si sono seduti a un tavolo e hanno risolto i vari problemi uno per uno, per dare operatività al programma. Per l’efficienza energetica, abbiamo costituito una Energy Service Company, una società che si prende l’incarico di fare efficienza energetica, oneri e onori, alla Continassa. Noi siamo responsabili della parte energetica del Centro che è una cosa grossissima, perché avete visto gli assets che ci sono: alberghi, centri commerciali, centri innovativi, la sede, ecc.
Pensate cosa significa riscaldare e raffreddare energia in tutta questa area. In questo consiste il concetto innovativo: non si pensa al singolo albergo o alla singola sede ma a tutto quanto insieme. E’ un inizio di smart cities, di cui si parla tanto mentre se ne vedono pochissime: si integrano vari assets in una singola energia, che è la base dell’efficienza energetica perché poi si consuma meno, un risparmio per chi utilizza l’energia e un giovamento per l’atmosfera. Queste sono le principali attività: si va dalla progettazione al finanziamento, dalla banca alla gestione alla realizzazione, ci sono tutte queste tecnologie, centrali tecnologiche, cogenerazione, illuminazione e la smart solution. Pensate che quello che adesso a Torino è il palo della luce, prossimamente sarà un palo della luce intelligente, dove ci sarà il wi-fi, la rilevazione dello smog, dove la luce sarà più forte se passa qualcuno ma se non passa nessuno si abbasserà. Vedete come l’energia poi diventi vita, perché naturalmente si cerca di risparmiare e dare meno emissioni.
In un articolo del Corriere della Sera di lunedì si dice che una sede del Ministero dell’istruzione è illuminata tutta la notte da mesi ed è vuota perché è in ristrutturazione. Pensate a quanto conta anche la cultura nell’efficienza energetica: noi ci facciamo tutte queste cose mentali e dall’altra parte abbiamo questo menefreghismo! oppure questa sufficienza che è l’energia. Questo l’ha già fatto vedere il dott. Mazzia, è l’integrazione di tutti gli assets: pensate a questa centrale enorme, tutta racchiusa in un gabbiotto che contiene tutta questa tecnologia, che dà l’energia, il riscaldamento e il raffreddamento dell’area. Questi sono i riscontri ambientali: avremo meno petrolio che va in cielo, il 50% in meno e mille tonnellate di emissioni in meno nell’atmosfera. A onor del vero, come abbiamo detto, c’è uno zero virgola che è in più, però pensate che solamente una centrale può dare questo vantaggio per l’ambiente, l’atmosfera: figuriamoci se questi progetti fossero più universali! Grazie.

ROBERTO LEONARDI:
Quindi, riqualificare un’area con lo sport, con l’intrattenimento, con l’educazione, cercando anche di farne un progetto energetico innovativo. Già questo ci era sembrato molto interessante, sia come Fondazione Fits! sia come banca. Abbiamo detto: bello, questo è un progetto di economia sociale in una città metropolitana come Torino, una cosa degna di nota, degna di attenzione! Poi ci siamo chiesti se si può fare ancora di più, ancora meglio, se si può aggiungere qualcosa e chi può aggiungere qualcosa. Sentivo prima De Cesare, parlava dei 6000 collaboratori di Bosch in Italia, significativi per un fatturato importante, per una grande azienda molto radicata da decenni sul territorio italiano. Chi poteva e chi può portare ulteriore valore aggiunto? E’ stato abbastanza facile, perché di bello nel nostro Paese c’è il fatto che abbiamo un bel po’ di forze, di imprese sociali radicate, strutturate, che possono esprimere realmente un valore aggiunto ulteriore, solo mettendo a disposizione idee, persone, strumenti, volontà e desideri. Paolo Petrucci rappresenta l’aggregazione di un gruppo di imprese sociali, le più importanti.

PAOLO PETRUCCI:
Grazie, Roberto. Allora, “Valore più” è una società che è nata a giugno, quindi fresca, non ancora diffusa in termini di comunicazione. Tocca a me per la prima volta dare un’idea di questa avventura. Io sono Presidente di una delle cooperative sociali che fanno parte di questa impresa, la cooperativa Animazione Valdocco. Vedendo le immagini della Continassa, mi è venuto da introdurre così la nostra presentazione: operatori che appartengono a delle imprese sociali, che hanno consentito di non utilizzare le ruspe per dislocare altrove la popolazione rom che occupava Continassa e che ha con il Comune di Torino, storicamente, una tradizione di faticosa integrazione, che hanno permesso quindi di consegnare le famiglie che delinquevano alla Pubblica Sicurezza e al tempo stesso di aiutare le famiglie che hanno accettato un percorso di integrazione e ricollocazione in altri siti attrezzati dal Comune. Le persone che hanno consentito la liberazione di questo terreno occupato abusivamente, possono avere motivo di candidarsi ad essere presenti in altre situazioni di difficoltà, in questo grande progetto? Questa è la domanda che si sono fatte le imprese che fanno questo che non chiamo mestiere: come spesso succede, chi lavora in imprese cooperative, sia profit che non profit, si dedica anche ad attività di rappresentanza per tutelare gli interessi delle organizzazioni stesse.
Da oltre 15 anni si è sviluppata l’ipotesi di costruire reti di cooperative che hanno soprattutto trovato uno sviluppo col mercato pubblico, sia nell’area dei servizi sociosanitari, sociali, educativi, sia nell’area dei servizi. Trovare una rete, trovare la capacità di riconoscersi come simili – cosa molto difficile, perché questo tipo di imprese sono molto gelose della loro identità, forse più i dirigenti che gli stessi soci – e quindi tentare di fare operazioni insieme, è uno dei principali obiettivi che ci si pone anche a livello associativo. Su questo abbiamo incontrato alcuni partner, tra cui Banca Prossima, che con la leva, dell’aiuto finanziario ha cercato di capire che probabilmente queste realtà, che in trent’anni di storia sono cresciute, possono e devono incontrarsi per la missione, per lo scopo per cui esistono, coniugare gli interessi delle persone che lavorano con quelli delle persone che non sono in queste imprese. Ecco allora che nove soggetti, sette cooperative e due consorzi, hanno deciso di fare un patto tra loro per essere insieme e candidarsi come partner della Juventus in questo progetto. Sono nove soggetti che insieme producono un fatturato di oltre duecento milioni di euro, imprese che negli ultimi cinque anni sono riuscite ad avere un bilancio positivo e questo, in momenti di crisi, dà il significato di cosa voglia dire fare cooperazione: tirare fuori dai patrimoni umani e materiali risorse per far fronte anche a momenti di crisi. Certo, redditività e utili sono diminuiti, ma nessuna di queste imprese è in crisi: complessivamente, producono un utile netto di cinque milioni di euro.
L’altra caratteristica che le distingue da altre situazioni nazionali è il loro patrimonio, nel senso che anche l’incontro vivace che hanno avuto con Banca Prossima ha messo queste società, singolarmente ma anche insieme, a costruire progetti di investimento. Torino, per esempio, è una delle prime città che non fa più gare d’appalto per i servizi sociosanitari ma ha ideato un sistema pienamente compatibile con le leggi contrattuali per affidare in sistemi di accreditamento. Cosa vuol dire? Che la responsabilità, i vantaggi e i rischi dell’attività anche sociale, ricade sul concessionario, su chi si accredita. Ecco allora che queste imprese hanno imparato sulla loro pelle ad investire, ad acquistare dei beni, dei manufatti dove fare i servizi – manufatti che prima venivano dati dalla Pubblica Amministrazione ma anche manufatti che la Pubblica Amministrazione dismette – e quindi, se da un parte si sono indebitate, dall’altra patrimonializzate e noi abbiamo complessivamente un patrimonio netto che è intorno ai 66 milioni di euro.
Ovviamente, il numero più interessante sono gli occupati: queste realtà lavorano principalmente a Torino. Un’altra caratteristica è che sono sostanzialmente imprese in cui i soci sono lavoratori: c’è una percentuale minima di dipendenti, siamo intorno al 4, 5%, che coprono le attività fisiologiche di queste cooperative, ma la maggior parte sono soci. Settemila persone, socie di queste imprese sociali, che ricevono reddito in cambio di prestazioni. Un’altra caratteristica è che di queste settemila persone, cinquemila sono donne e duemila sono maschi, quindi una prevalenza di lavoro femminile. Queste persone hanno capitalizzato le imprese per diciotto milioni di euro, quindi, sono soci, lavoratori, imprenditori, nel senso che comunque per avere il loro reddito, hanno messo del loro in termini di passione, in termini di lavoro ma anche in termini di denaro. Di più, queste cooperative fanno anche raccolta prestito e complessivamente abbiamo cinque milioni e mezzo di raccolta prestito da parte dei soci. Gli stipendi: chi conosce i contratti delle cooperative sociali sa che è un contratto tra i più bassi, tra i più poveri. Ebbene, la capacità di aderire a queste imprese li mette nella condizione che i cinquanta euro di risparmio che magari si riesce a fare lo depositano in cooperativa. E’ un panorama di cooperative che ha ovviamente i limiti di qualsiasi impresa ma si raffigura con questa identità.
E qual è la mission che in qualche modo mettiamo a disposizione? Innanzitutto, lo scopo costituente di queste cooperative, che per semplificare si chiamano sociali. Sono vere cooperative, cioè sono imprese costituite da chi trae dei benefici, quindi devono favorire i loro soci che ne devono trarre dei vantaggi. Lavoro in cooperativa perché penso di avere la migliore condizione possibile di lavoro: questa è la tradizione della cooperazione italiana, della cooperazione mondiale. La novità tutta italiana è che accanto a questo termine si è aggiunto questo termine, sociale, che è stato una rivoluzione perché, oltre a fare i miei interessi, oltre a essere socio e avere tutti i diritti di fare i miei interessi, ho una vocazione anche a fare gli interessi di ciò che è fuori di me. Tra tutte le cooperative, le cooperative che si chiamano di inserimento lavorativo hanno questa missione in maniera esponenziale, perché al loro interno devono riuscire ad occupare persone che con molta probabilità sarebbero persone assistite dallo Stato, dai Comuni, ecc. Dei settemila occupati, pensate, duemilasettecento sono le persone cosiddette svantaggiate.
C’è una legge, la legge 381, che definisce i criteri di svantaggio: si tratta di persone segnalate dai servizi sociali, dai servizi sanitari, dai SERT. Si tratta dunque di un’impresa che al suo interno fa integrazione e nello stesso tempo rivolge questa attività di mutualità anche all’esterno: la prima cosa che noi offriamo, dunque, è questa capacità di dare un valore aggiunto alle normali attività. Ricordo una cosa che ci è stata detta da Chiamparino una volta: a me va bene, fate inserimento, però dovete fare le attività come tutte le altre imprese perché sulla qualità del servizio non c’è sconto. Non posso tollerare che non si faccia a regola d’arte ciò che è previsto per la pulizia di questa stanza, solo perché c’è inserito un soggetto disabile. Se volete avere successo, dovete avere la stessa qualità delle imprese che fanno questo di mestiere. Con questo imperativo, le imprese si sono sviluppate: oggi in Piemonte le più importanti imprese di servizi sono cooperative sociali di inserimento lavorativo. Di questi duecento milioni di euro, circa novanta sono cooperative di inserimento lavorativo e cooperative di servizi. L’altra cosa è la professionalità di queste imprese: sono imprese che non aprono e chiudono, sono imprese che mediamente sono nate tra gli anni ’80 e gli anni ’90 e che possono dare nel loro curriculum certe referenze. Per ultimo, le capacità professionali e organizzative, la capacità di organizzare le persone per curare altre persone – in termini educativi, come questo consorzio che si candida per il progetto Continassa – o per curare le persone nelle loro fasi di vita. Io sono particolarmente soddisfatto per due motivi: un partner finanziario come Banca Prossima ci ha messo del suo per aiutare queste imprese a capire la strategia del mettersi insieme; la Juventus sta intuendo che effettivamente possiamo essere dei partner affidabili. Grazie.

ROBERTO LEONARDI:
Un grande club calcistico, una multinazionale e delle imprese sociali che semplicemente discutono e pensano di donare qualcosa a una città, secondo me, è una cosa già straordinaria, solo che questi signori parlino tra loro e mettano a disposizione delle idee. Se poi anche le mettono in pratica, questo diventa una magia nuova. Per chiudere, io turbo la quiete dell’Amministratore Delegato di Banca Prossima, Marco Morganti, a cui diamo l’incarico di chiudere la serata.

MARCO MORGANTI:
Ringrazio, questo è un fuori programma ma non potevo non farlo questo brevissimo intervento. Quella che avete visto è proprio una manifestazione dell’economia che si apre, lo dico per i molti ragazzi che ci sono, fatta di imprese responsabili. Juventus poteva fare così o diversamente, ha deciso di fare così perché si è posto il tema della sostenibilità. Pensate quanto è facile trasformare una iniziativa come questa in una specie di luna park scintillante, lustrini e paillettes, c’è la squadra che fa sognare gli italiani, è tutto uno spettacolo. Questa è una delle ragioni di fallimento di tanti interventi che ci sono stati in giro per le città. Le città italiane sono piene anche di stadi che non servono, che sono stati fatti male e che sono semplicemente dei contenitori di tifosi, perché sono gestiti peggio. Questo è un atto che non si ferma al fare un grande intervento immobiliare dentro una città, vuol dire cercare una relazione con la città e avere anche l’intelligenza di farlo non con mezzi propri ma coinvolgendo i soggetti più adatti a farlo, questo tipo di intervento, che sono poi i soggetti dell’economia sociale.
Quindi da una parte questo garantisce al progetto una maggiore sostenibilità di quella che si avrebbe se fosse soltanto un bellissimo stadio o, meglio ancora, dei bellissimi annessi e connessi ad uno stadio particolarmente bello e scintillante. Dall’altra, c’è una società che abbiamo scoperto – in realtà lo sapevo, è stato bello sentirlo raccontare, penso che la gran parte di voi non lo sapesse -, una società come la Bosch, una società mondiale che è una fondazione, per cui è naturale fare questa evoluzione: da società per azioni, società familiare solidamente capitalistica, a una aggregazione di interessi comunitari. Non saprei come definire diversamente una fondazione che possiede una multinazionale che produce dalle pale eoliche al trapano col quale appendete un quadro in casa vostra. Il terzo pezzo: economia sociale è il patrimonio di questo Paese, al quale ciascuno di noi può lavorare. Noi ci viviamo, io ci prendo lo stipendio perché i prestiti di Banca Prossima vanno a questo mondo, la raccolta del denaro da parte di Banca Prossima viene da questo mondo, noi esistiamo perché esiste quell’economia lì ed è un’economia di cui bisogna imparare a capire le dimensioni e l’onnipresenza.
Perché quando una realtà come quella si aggrega intorno a questa idea, mette insieme settemila lavoratori, duecento milioni di fatturato e cinque milioni di utile, vuol dire che è un sistema che funziona economicamente e che dà lavoro, probabilmente collocandosi tra i primi due o tre produttori di lavoro, due o tre soggetti di impiego del suo territorio, forse il primo. Ma voi lo sapete questo? Ma noi lo sappiamo? Ce lo ricordiamo? Allora, una delle cose che mi piacciono di più di questo progetto è che mette insieme quanto c’è di più scintillante, di più conosciuto, di più protagonistico come lo sport professionistico, lo mette insieme ad una grande multinazionale che tutti conoscono e ad un soggetto che non dico sia Cenerentola, ma certamente non è conosciuto per quello che vale, per la sua onnipresenza, perché quello che c’è a Torino lo trovate tale e quale a Padova, a Bologna, a Firenze e tra un po’ ci sarà anche a Napoli e a Palermo. Allora, e concludo, l’economia che ci piace è questa, dove la responsabilità sociale non è un giochetto, non è un maquillage, dove le aziende possono essere le prime sul mercato e nella competizione e sono fondazioni, e dove la cooperazione sociale ha delle dimensioni industriali. Di tutto questo Banca Prossima è soltanto, in certi momenti della sua vita, e vorrei che lo fosse sempre di più, il lievito, l’enzima che fa succedere certi passaggi. Non può limitarsi a prestare o a raccogliere soldi, deve essere anche un po’ un ingegnere dell’economia sostenibile. Per questo sono contento di quello che succede e mi piace soprattutto, concludo, che questa cosa succeda a Torino, come potrebbe succedere a Roma e a Milano. Credo che iniziative così mettano automaticamente in mora, ma nel senso più positivo del mondo, tutti quelli che non le hanno ancora fatte, perché è difficile immaginare che la cosa che è stata descritta qui da chi ha parlato prima di me sia possibile solo a Torino, sicuramente è possibile anche in altre parti di Italia. E allora, tirarsi su le maniche tutti quanti, lavorare in questa prospettiva. Grazie.

ROBERTO LEONARDI:
Grazie ai relatori e grazie a chi ha avuto la pazienza di aspettare fino a quest’ora. Grazie, buonasera.

Data

27 Agosto 2014

Ora

19:00

Edizione

2014

Luogo

Sala Mimosa B6
Categoria
Focus