ESPERIENZE CHE EDUCANO

Esperienze che educano

Partecipano: Joshua DuBois, Direttore White House Office of Faith-Based and Neighborhood Partnership; Lucía Figar de Lacalle, Consejera de Educación de la Comunidad de Madrid; Timothy Scully, Docente di Scienze Politiche alla Notre Dame University. Introduce José Medina, Preside della North Cambridge Catholic High School, Boston.

 

JOSÉ MEDINA:
Buon pomeriggio. Nello spettro degli interessi umani di questa società, l’educazione ha un posto di rilievo molto particolare: certamente, nel mondo ci sono tanti bisogni che descriverei come strutturali. C’è bisogno di pace, di giustizia, di sanità, di vivere una vita dignitosa. Ma è la dimensione educativa, non solo a livello della scuola ma dentro tutte queste dimensioni strutturali, che permette all’uomo di crescere e prendere coscienza del proprio io, della propria persona e del posto che gioca dentro la società e il mondo. In questo senso, educazione e società sono molto legate. Negli ultimi decenni, l’educazione è stata anche usata come strumento privilegiato per introdurre dei cambiamenti nel mondo. Cominciando dalla Russia, ma anche nella vita degli Stati Uniti. La Chiesa cattolica, in particolare, ha dato una grande importanza all’educazione. Negli ultimi decenni è diventato molto importante, molto ovvio, molto chiaro che essere educati è quasi un diritto dell’uomo: ed è stato proprio da questo punto che è nata la scuola pubblica, ad esempio, negli Stati Uniti d’America. Ma adesso è diventato più difficile capire a che cosa bisogna educare, che cosa sia l’educazione e chi abbia la responsabilità ultima di decidere cosa si insegna e come si educa. Oggi abbiamo l’opportunità di parlare con tre personalità coinvolte, in modi diversi, nel mondo dell’educazione, in due paesi: Spagna e America. Abbiamo il piacere di avere con noi Joshua DuBois, Direttore dell’Ufficio di iniziative religiose e di quartiere per il Presidente degli USA alla Casa Bianca. Joshua è un pastore pentecostale, ha studiato alla Boston University e a Princeton. Dal 2004 ha lavorato con il Presidente degli USA, Barak Obama. Rappresenta un punto del legame tra la Presidenza degli USA e le associazioni non profit che lavorano in America nei settori della sanità e dell’educazione. Grazie di essere venuto.

JOSHUA DUBOIS:
Grazie, padre, per questa introduzione calorosa. A nome del Presidente Obama e del Governo degli USA, vorrei salutare il Meeting di Rimini, gli altri amici qui seduti e tutti coloro che sono in sala. È veramente un piacere, per me, essere qui per riflettere su un importante argomento, quello dell’educazione. È importante, per me, essere qui ad apprendere da ciascuno di voi. Nel tempo a mia disposizione, ho potuto vedere che questo Meeting è di fatto un Meeting per l’amicizia tra i popoli: sono veramente lieto di essere stato invitato. Non avreste potuto scegliere argomento migliore di questo, un argomento al quale il mio superiore, il Presidente Barak Obama, è veramente affezionato, quello dell’educazione. La Casa Bianca, naturalmente, ha a che fare con importantissimi conflitti di politica estera. Ma nello stesso tempo dobbiamo focalizzarci sul riportare la nostra economia in una posizione di crescita costante per affrontare tantissime sfide, sia a livello interno che esterno. In questa situazione, noi, e soprattutto il Presidente, ritorniamo sempre a quel compito che sembra essere il più fondamentale di tutti, cioè la formazione dei nostri bambini, dei nostri ragazzi. Non deve sorprendere che molto spesso chi ha il potere si occupi di quanto succede nelle classi, perché è lì che anche loro hanno iniziato la strada. Infatti, tutti i Presidenti, tutti i Membri del Congresso, tutti i leaders religiosi con cui ho a che fare nel mio incarico, ogni leader di qualsiasi statura, nel mio Paese e nel vostro, a un certo punto si è trovato seduto dietro banchi di legno sorprendentemente simili: matite appuntite, menti sveglie, occhi pronti a ricevere tutte le conoscenze che avrebbero poi forgiato la loro intelligenza e la loro coscienza.
E quindi, devo dire che l’educazione è anche un grande elemento equalizzatore, un elemento che offre le stesse opportunità di formazione individuale a tutti gli studenti del mondo. Potrei dire una cosa di questo genere ma non avrei del tutto ragione, perché il sogno di un’educazione di qualità è ancora un sogno, purtroppo molto lontano, per milioni di bambini di tutto il mondo, incluso il mio Paese. Secondo le ultime statistiche pubblicate dall’UNESCO, sono 72 milioni i bambini in età scolare che non sono iscritti a scuola, 764 milioni di adulti, quasi un miliardo, quindi, mancano dell’alfabetizzazione più basilare. Ci sono problemi tipo le ineguaglianze razziali e le diseguaglianze tra i generi, che continuano ad esistere in tutto il mondo: soltanto 59 Paesi del mondo hanno una parità tra i sessi nel campo dell’educazione. Poi, la violenza sessuale, ambienti scolastici privi di sicurezza, difficoltà sanitarie che interessano in maniera spropositata le ragazze che frequentano le scuole primarie e secondarie. Allora, tutto questo significa più che una litania di statistiche pura e semplice: la crisi dell’educazione forse è uno dei problemi morali più urgenti dei nostri tempi. Ecco, proprio parlando di questo Meeting, si applica bene il Libro dei Proverbi 22 6, che ci dice: “Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere, anche quando sarà vecchio, non se ne allontanerà”. C’è poi un saggio sull’educazione di Emerson che dice che il grande obiettivo dell’educazione deve essere commisurato all’obiettivo della vita, deve essere un obiettivo morale, deve essere l’insegnamento della fiducia in sé, per ispirare il giovane, infondergli interesse e curiosità per la propria natura, rendendolo familiare con le risorse della sua mente e insegnandogli che lì, proprio nella sua mente, sta tutta la sua forza, infiammandolo, anche, con un senso di pietà nei confronti della grande mente in cui abita.
Però, se non c’è una formazione del tipo cui si fa riferimento nel Libro dei Proverbi, cosa succede? Se l’infiammazione della mente cui fa riferimento Emerson e la familiarità con il sé sono cose impossibili per via del fatto che uno ha fame, per via del fatto che il sistema educativo nazionale è degradato, per via del fatto che ci sono dei pregiudizi di genere, una situazione di insicurezza o guerra che rendono il tutto impossibile, cosa possiamo fare? Allora io dico che i bambini che mancano di un’adeguata educazione oggi, saranno poi gli adulti che vivranno sofferenze nel domani. Inoltre, crescerà il numero di queste persone tra le fila di coloro che appunto avvertono e provocano sofferenze. Come ha detto anche il Presidente Obama, l’educazione non è soltanto un grande problema morale, è anche un problema di natura economica: è un problema economico perché il tasso di disoccupazione, per coloro che non hanno mai frequentato l’università, è quasi doppio rispetto a quelli che invece hanno avuto un’istruzione di tipo superiore. E’ un problema economico, anche perché otto su nove posti di lavoro nel nuovo decennio avranno bisogno di un’istruzione di carattere superiore. Quindi, sia i nostri valori che la nostra economia globale hanno bisogno di un impegno di tipo globale nei confronti dell’educazione del singolo.
Cosa dobbiamo fare per risolvere questa crisi, per affrontarla? A questo punto, umilmente, desidero proporvi alcune cose: in tutto il mondo, nei budget dei vari Paesi, l’educazione deve diventare prioritaria. A questo riguardo, noi negli Stati Unti stiamo affrontando grosse sfide e siamo molto indietro rispetto a Paesi in condizioni simili, per quanto riguarda degli indicatori importanti. Il presidente Obama e anche il Ministro dell’Educazione hanno introdotto un’iniziativa unica nel suo genere: si chiama “Race to the top”. E’ un’iniziativa che cerca di infondere, di iniettare un elemento di competitività e standard elevati, approcci che siano mirati ai risultati. Sono sicuro che ci siano iniziative simili anche in altri Paesi del mondo: dobbiamo continuare secondo questa linea e fare ancora di più per imparare gli uni dagli altri, per condividere le pratiche migliori, per aumentare le risorse devolute all’educazione dei nostri figli. Se riusciamo a collaborare a livello di sicurezza, a livello di energia, di politiche monetarie, anche a livello di dialogo interconfessionale, allora perché, mi chiedo, non c’è più collaborazione internazionale anche per quanto riguarda le problematiche dell’educazione?
Allo stesso modo, aumentando gli investimenti nazionali nel campo dell’educazione, dobbiamo occuparci del lavoro di sviluppo internazionale: 35 Stati più fragili rappresentano più di un terzo di tutti i bambini che non frequentano la scuola. In momenti di catastrofi e di bisogno internazionale in tempo di crisi, per esempio il bisogno provocato da tempeste, terremoti, carestie, non dobbiamo trascurare le esigenze di base di tanti Paesi in via di sviluppo. Di fatto, l’educatore afroamericano Carter G. Woodson ha fatto riferimento proprio a questo concetto, dicendo che l’educazione dei nostri figli è il reale e miglior nutrimento di tutti. Dobbiamo anche riconoscere il ruolo dei genitori nell’educazione globale: è stata una priorità per il nostro Presidente e anche per il Ministro dell’Istruzione Arne Duncan, che ha proposto addirittura di raddoppiare i fondi nazionali per il coinvolgimento genitoriale, facendo in modo che i genitori vengano maggiormente coinvolti nel nostro sistema scolastico. I genitori di tutto il mondo sono coinvolti nelle attività dei propri figli, giorno dopo giorno, e capiscono meglio di chiunque altro quelle che sono le esigenze uniche dei propri figli. Dobbiamo fare quello che possiamo per amplificare le voci di questi genitori, per far sì che veramente facciano sentire la propria voce. E infine dobbiamo riconoscere, sostenere e anche promuovere il ruolo delle organizzazioni religiose nel supportare la formazione individuale e l’educazione.
Ecco, questo non significa prendere le distanze dall’educazione pubblica ma semplicemente riconoscere l’importanza veramente centrale dei gruppi di matrice religiosa nella formazione della coscienza, nel soddisfare le esigenze dell’uomo e nel tutelare la dignità di ciascun essere umano. Questo riconoscimento, questo sostegno, questa promozione sono compito centrale del mio Ufficio presso la Casa Bianca, l’ufficio che si occupa di iniziative religiose e di quartiere. Siamo stati costituiti come Ufficio, proprio perché il Presidente Obama sa che non tutte le esigenze dell’uomo potranno essere soddisfatte dai programmi governativi, da strategie politiche: invece, che si tratti di una chiesa locale che magari gestisce un programma di doposcuola per ragazzi che hanno problemi, o di una sinagoga che magari fornisca consulenza e orientamento scolastico per l’ammissione all’università, le organizzazioni religiose sono per molti versi la spina dorsale delle nostre comunità, attraverso il sostegno intellettuale ed emotivo che danno ogni giorno a tantissimi bambini. La Chiesa cattolica ha veramente aperto la strada, da questo punto di vista, e di questo le siamo eternamente grati. Il mio Ufficio è dedicato proprio al sostegno di organizzazioni tipo quelle a cui ho fatto riferimento: le sosteniamo nel loro lavoro e nella opera educativa: io incoraggio tutte le forme di collaborazione internazionale, anche per una condivisione delle conoscenze.
Le esigenze educative globali sono enormi: sia il Governo che le organizzazioni religiose non possono evitare di collaborare a questo importante compito. In effetti, questo dialogo è più che mai necessario. So qual è l’importanza di una collaborazione nel campo dell’educazione, lo so di prima mano, perché parte della mia infanzia l’ho passata in una zona, veramente devastata dal punto di vista economico, del Sud dell’America. Si chiama East Nashville e si trova nello Stato del Tennessee. Mia madre è stata single per un certo periodo di tempo, io andavo ad una scuola elementare di nome “Tom Joey Elementary School”, che si occupava soprattutto di ragazzini a rischio. La mia scuola non aveva grandi risorse: i banchi erano vecchi, di computers non c’era nemmeno l’ombra, e gli insegnanti erano bravi, ma veramente tirati all’osso. Il personale faceva quanto di meglio potesse fare per noi, però, guardando a ritroso, è chiaro che la formazione, l’educazione che ho ricevuto alla Tom Joey Elementary School non era niente rispetto a quella che invece ricevevano i bambini più ricchi di altre parti della città. Ma quello che non ho ricevuto a scuola, l’ho ricevuto poi non troppo lontano, seguendo un programma di doposcuola presso la parrocchia locale. Il nome della chiesa era Pain Chapel, così chiamata in nome di Daniel Pain, un gigante della Chiesa afroamericana che aveva combattuto per la libertà alla fine del diciottesimo secolo. E’ stato proprio lì, alla Pain Chapel, nel doposcuola, che ho imparato elementi importanti di storia, di astronomia e di matematica; è stato lì che hanno cominciato a formarsi i miei valori e la mia coscienza; è lì che ho imparato ad amare me stesso e tutti coloro che stavano attorno a me. Quindi, laddove il mio sviluppo personale si interrompeva, cioè a scuola, veniva poi ripreso presso la Pain Chapel. Non è che un piccolo esempio, se vogliamo, dell’importante ruolo che la religione svolge nel forgiare la vita di milioni di bambini in tutto il mondo. Credo che bisogna applaudire a questo lavoro, a questa attività della Chiesa, che va sostenuta anche per porre rimedio al tessuto educativo del nostro globo, della nostra terra, non semplicemente per scopi temporali, ma anche per obiettivi destinati a durare nel tempo. Ecco, Sua Santità Giovanni Paolo II ha detto, nella sua esortazione apostolica Familiaris Consortio: “L’educazione della coscienza morale, che rende ogni uomo capace di giudicare e di discernere i modi adeguati per realizzarsi secondo la sua verità originaria, diviene così una esigenza prioritaria ed irrinunciabile”. Quindi, impegnandoci in questo dialogo, riusciremo meglio a capire l’importanza fondamentale dell’educazione e condivideremo questa consapevolezza per migliorare i bambini di tutto il mondo. Sono davvero lieto di poter avviare questa conversazione critica con tutti quanti voi. Grazie.

JOSÉ MEDINA:
Padre Timothy Scully è Professore di Scienze Politiche a Notre Dame e Direttore dell’Istituto per le Iniziative a riguardo dell’Educazione. Conosciuto tra molti dei suoi studenti come un professore molto simpatico e bravissimo, ha vinto anche tanti premi dati dagli studenti, quelli che veramente contano per coloro che insegnano. E’ molto più conosciuto in America, perché ha fondato un Programma che introduce il mondo dell’educazione cattolica a 1200 professori che lui ha l’incarico di educare e aiutare ad entrare dentro questo mondo. Grazie di essere venuto.

TIMOTHY SCULLY:
Molte grazie, amici miei. Grazie a Josè e grazie anche a Joshua per questi commenti. E grazie per avermi invitato qui oggi a condividere con voi qualche cosa della nostra esperienza come educatori cattolici negli Stati Uniti. In particolare, vorrei condividere con voi la storia di quello che noi riteniamo essere un piccolo miracolo dello Spirito Santo, Quella che noi chiamiamo l’Alleanza per l’Educazione Cattolica, correntemente abbreviata in ACE. Si tratta di un gruppo di persone che sta crescendo, con tanti programmi, una comunità di leader dinamici, pieni di fede, molto impegnati, e dirigenti didattici dell’Università di Notre Dame, che lavorano per rivitalizzare la scuola cattolica, primaria e secondaria e il relativo sistema in America che per anni ha servito generazioni di poveri immigrati, quelli che hanno fatto gli Stati Uniti. Nel condividere la storia di questo ACE, dovrei condividere con voi anche un’altra cosa, la storia delle scuole cattoliche negli Stati Uniti. E forse anche un po’ della mia personale esperienza come sacerdote e come educatore. Sono molto grato per l’opportunità di condividere con voi questa storia, perché le scuole cattoliche e questo piccolo lavoro fatto dallo Spirito Santo che noi chiamiamo ACE sono divenute una passione, oltre che una grande fonte di gioia e di significato nella mia vita. E devo anche dire, stranamente, che siamo cugini di Comunione e Liberazione, siamo tutti comunionisti.
Prima, un paio di parole sulla mia persona. Come è stato detto, sono Professore di Scienze Politiche all’Università di Notre Dame, nel cuore dell’America, insegno e scrivo di Politica Comparativa, più in particolare mi occupo di partiti politici e di costruzione delle istituzioni democratiche in America Latina. Questo è quello che faccio di giorno, diciamo. Però, negli ultimi diciassette anni mi sono dato sempre più da fare e mi sono sempre più impegnato per venire incontro alle necessità delle scuole elementari e secondarie cattoliche negli Stati Uniti. Io, peraltro, sono il prodotto di scuole cattoliche, le ho fatte per tutta la mia vita, dalle elementari fino all’Università. Quindi, devo la mia istruzione alle Suore Francescane e ai Gesuiti, che hanno preparato il terreno della mia vocazione al sacerdozio. E anche la mia istruzione all’Università di Notre Dame, che è servita a confermare questa vocazione e che mi ha portato ad essere un sacerdote dell’Ordine della Sacra Croce. In particolare, lo zelo missionario della Sacra Croce, come il fatto di essere educatori nella fede, é ciò che mi ha attratto a questa grande comunità religiosa e che continua a rallegrare il mio ministero nell’essere al servizio dell’istruzione cattolica.
Prima di raccontarvi la storia del movimento ACE, volevo spiegarvi brevemente il background di tutto il sistema delle scuole cattoliche negli Stati Uniti. Forse saprete, ne ha fatto già riferimento Joshua, che le scuole elementari e secondarie cattoliche negli Stati Uniti rappresentano il sistema di scuole private più grande di tutto il mondo. Queste scuole forniscono un’istruzione di grandissima importanza, di grande impatto, ad almeno 2,3 milioni di bambini americani, soprattutto bambini nella fascia di basso reddito, bambini svantaggiati e delle minoranze nelle più grandi metropoli americane, dove le scuole statali non sono mai riuscite a venire incontro alle necessità dei più deboli. Più del 50% dei bambini delle minoranze, nei nostri principali centri urbani in America, non riusciranno neanche a finire la scuola superiore, ed è gravissimo. I bambini che studiano invece felicemente nelle scuole cattoliche, hanno il doppio delle possibilità di finire la scuola secondaria, e due volte e mezza di maggiore probabilità di finire anche l’Università. Quindi, sono scuole che funzionano, che sono state fatte per venire incontro alle necessità dei bambini più bisognosi. Queste scuole cattoliche sono sorte, in parte, come reazione alle scuole dominate dai protestanti, che anche molti cattolici americani frequentavano nel XIX Secolo o agli inizi del XX, ma che venivano percepite come dichiaratamente anticattoliche.
Nonostante non abbiano avuto accesso a fondi pubblici, proprio a causa di questo anticattolicesimo, le scuole americane cattoliche sono fiorite lo stesso, grazie alla lungimiranza degli Ordini religiosi e grazie ai sacrifici fatti dagli immigrati europei, gli immigrati italiani cattolici in America. Ciò che questi gruppi hanno costruito è stato veramente un miracolo: un sistema scolastico che riusciva ad offrire incoraggiamento, nonostante la presenza di una cultura spesso molto, molto ostile, e che offriva la grande esperienza della comunità di fede, di amicizia e, al contempo, l’opportunità per i bambini di partecipare più pienamente sia alla società americana che alla Chiesa in generale. Quarant’anni dopo, il picco di iscrizioni, che era stato di 5 milioni di studenti nelle scuole cattoliche, è crollato: oggi hanno metà degli studenti che avevano in passato, anche se la popolazione cattolica in America è in forte aumento e le scuole pubbliche peggiorano sempre più. A livello nazionale, nell’ultimo anno abbiamo chiuso 200 scuole cattoliche urbane e 1500 nell’ultimo decennio: è gravissimo, è una vergogna. I confratelli e le consorelle che hanno costruito e che lavoravano in queste scuole, continuano a diminuire come numero. Nel 1950, il 95% del personale docente delle scuole era religioso. Oggi questo numero è sceso di moltissimo e ci sono sempre più laici, una trasformazione totale delle risorse umane di queste istituzioni, un passaggio dal religioso al laico.
E’ un miracolo che le scuole cattoliche siano riuscite comunque a sopravvivere a questo profondo cambiamento. Inutile dire che ci sono stati ovviamente molti costi e molte perdite per il fatto che le scuole cattoliche non avessero più un aiuto, sotto forma di lavoro, dia parte dei religiosi, di queste persone di fede che lavoravano per poca ricompensa e che offrivano invece, con il loro lavoro, un grande valore aggiunto. Gli insegnanti laici devono essere formati nelle fede, in modo da essere testimoni convincenti per i bambini e le famiglie di cui si occupano a scuola. I laici hanno oltretutto delle famiglie e devono essere pagati con una retribuzione equa. I costi dell’istruzione hanno subito così aumenti continui, e ora le scuole cattoliche stanno diventando sempre più inaccessibili per i poveri o per le famiglie di basso e medio reddito. E’ sempre più difficile per i cattolici poveri o gli immigrati avere accesso a questa educazione di stampo religioso, che invece era stata per tutti nelle generazioni precedenti. E qui è importante sapere e notare che gli Stati Uniti, tra le democrazie avanzate, sono l’unico Paese nel mondo che nega ai genitori la libertà di scegliere le scuole religiose con aiuti pubblici. E parliamo di un Paese che era stato fondato proprio sull’idea di libertà religiosa. Secondo noi, questa è una grave ingiustizia, una questione che attiene veramente ai diritti civili: e ci stiamo dando da fare per cambiare la politica negli Stati Uniti, in modo che i finanziamenti per le scuole siano per gli scolari, per i bambini, a prescindere dal fatto che i bambini vadano in una scuola pubblica, in una scuola cattolica, in una scuola ebrea o in una scuola del tutto privata.
Questo è il vero contesto delle scuole cattoliche negli Stati Uniti, quello che il nostro ex Ministro dell’Istruzione chiamava “un tesoro nazionale”: un tesoro che sta scomparendo davanti ai nostri occhi. Noi riteniamo che tra dieci o vent’anni al massimo, se non saranno fatti grossissimi sforzi, le scuole cattoliche saranno scomparse dalla maggior parte delle città americane. Ne rimarrà solo un piccolissimo numero, e saranno accessibili solamente alle famiglie più abbienti, come lo sono oggi le scuole private per le élite. Questa è la situazione, era già così per le scuole cattoliche una ventina d’anni fa, quando è nata quest’idea di mettere in piedi il movimento ACE. Allora mi rivolsi alla mia consulente spirituale che, all’epoca, già lavorava per la Conferenza Episcopale negli Stati Uniti. Le chiesi che cosa Notre Dame poteva fare per aiutare le scuole pubbliche. Suor Lourdes mi disse che potevamo trovare dei modi per coinvolgere i leader che stavano come studenti nelle nostre aule e in tutto il Paese, per toglierli da quei banchi e farli andare sulle cattedre di altre classi come insegnanti. Questo andava fatto soprattutto per le scuole cattoliche più bisognose. La sua idea mi convinse e subito coinvolsi un altro amico e un altro amico: tutti insieme decidemmo di andare avanti con questo processo. Il mio grande amico Sean si era recentemente laureato a Notre Dame e anche alla London School of Economics, adesso è sacerdote della Sacra Croce: insieme decidemmo di vedere dove lo Spirito Santo ci voleva portare con questo progetto.
Prima di tutto, dovevamo sapere se i nostri studenti avrebbero risposto alla chiamata di diventare insegnanti nelle scuole cattoliche delle città americane. Quindi, abbiamo messo un grande annuncio, un’intera pagina nel nostro giornale di Notre Dame che si chiama The Observer, che diceva a caratteri cubitali: “Siete stufi di fare i compiti? Allora cominciate a farli fare agli altri, diventate insegnanti!”. Questo annuncio includeva anche i dettagli per venire a una riunione informativa. Non sapevamo quante persone sarebbero venute e nemmeno come avremmo formato questi insegnanti, ce ne servivano tantissimi, ma non sapevamo come li avremmo poi formati, dove li avremmo mandati a insegnare. Non sapevamo nulla ma dovevamo cominciare da qualche parte, e abbiamo deciso di cominciare con gli studenti dell’Università, per vedere se c’era un interesse per questa sorta di missione e di lavoro. La risposta è stata fortissima: a quella prima riunione informativa nel ‘93, quindi, diciassette anni fa, si sono presentati più di duecento studenti dell’Università di Notre Dame. Ci siamo subito resi conto che avevamo trovato la strada giusta: loro erano assetati, affamati di diventare insegnanti, volevano fare esperienze forti, di fede, di servizio per la comunità.
Però adesso veniva la parte difficile, dovevamo mettere in piedi un programma che venisse incontro a questa loro fame di servizio, ma anche alle necessità delle nostre scuole cattoliche e degli studenti svantaggiati che le frequentavano. Quindi, ci siamo rivolti allo Spirito Santo e, con una buona dose di improvvisazione, abbiamo messo in piedi questo programma a cui abbiamo dato il nome di ACE. Ci siamo resi conto che altri programmi di preparazione degli insegnanti fornivano poco supporto agli insegnanti neofiti, li lasciavano spesso isolati, abbandonati a se stessi nei primi anni difficili della carriera didattica. Sapevate, ad esempio, che più del 35% degli insegnanti che insegnano per il primo anno nel nostro Paese, formati come insegnanti, lasciano la classe e non tornano al secondo anno? Più del 35% abbandona il lavoro. Per cui, abbiamo deciso che dovevamo appoggiare questi giovani insegnanti, metterci al loro servizio e abbiamo creato un programma basato su tre pilastri: far crescere come insegnanti giovani uomini e donne, per un servizio professionale che avrebbero vissuto nel contesto della comunità e dell’amicizia, nella disponibilità di condividere, nutrire la loro fede e la loro vita spirituale. Sebbene i primi momenti del programma siano stati difficili, abbiamo dovuto improvvisare, siamo comunque riusciti ad arrivare a un modello molto particolare per formare docenti cattolici e giovani leader dinamici, impegnati nella missione di rivitalizzare le scuole cattoliche. Brevemente, abbiamo dovuto preparare educatori professionali.
Per questo, abbiamo deciso che dovevamo offrire un programma accademico di alta qualità, che sarebbe servito a formare questi giovani per una loro riuscita in queste classi non sempre facili. Abbiamo quindi messo in piedi e migliorato un modello innovativo di formazione degli insegnanti, che è basato su due sessioni molto intense, estive, al campus di Notre Dame; poi c’è un tirocinio nelle scuole cattoliche e un lavoro universitario teorico, sempre alla presenza di tutor supervisori. Alla fine di queste due estati veramente stancanti, ricevono un Master come insegnanti dall’Università di Notre Dame. E poi, il miracolo. Diciassette anni dopo, di queste migliaia di studenti che lavorano nelle nostre scuole, il 75% è ancora lì che lavora, il 70% di questi insegnanti nelle scuole cattoliche rimane. Per quanto riguarda il pilastro comunità, per far sì che questi nuovi insegnanti abbiano il supporto di cui hanno bisogno, abbiamo scelto di mettere insieme gli insegnanti in gruppi di quattro, sette uomini o donne che vivono insieme in comunità cristiane sparse nelle principali città americane. Li abbiamo invitati ad un modello aperto di vita cristiana, basato sulla preghiera e sulla condivisione del servizio. Ritenevamo che questo approccio, nonostante le difficoltà inerenti al sistema – perché c’erano anche spiritualità diverse, nelle persone – avrebbe fornito il tipo di amicizia, di condivisione di esperienza, di fede condivisa e di supporto reciproco per questi giovani, nei primi periodi così interessanti della didattica, per nutrire e rafforzare il loro ruolo. Praticamente, gli insegnanti ACE sono al servizio gli uni degli altri, condividono la fede, l’amicizia e l’esperienza come giovani insegnanti. Più profondamente, facciamo sì che la comunità sia uno dei pilastri proprio perché la comunità è il contesto primario per diventare umani.
Nella nostra esperienza dell’incontrare amici qui a Rimini, questo focus sulla comunità e sull’amicizia è stato una fonte immediata di risonanza e di familiarità per una comprensione comune di come viviamo la Chiesa. Sono i motivi per cui gli insegnanti ACE formano amicizie che durano per tutta la vita e di solito finiscono anche con lo sposarsi, legami umani forti che ci fanno percepire l’ACE non come un programma di servizio ma piuttosto come un movimento. E per concludere, al cuore della nostra esperienza come comunità ACE, e anche come programma di servizio alle scuole cattoliche, c’è un terzo pilastro, quello più importante, la nostra fede in Gesù Cristo e nel suo modello come Buon Maestro. Fondamentalmente, siamo giunti a capire che gli insegnanti ACE seguono la chiamata a diventare discepoli. La prima cosa che facciamo in ogni nuova classe, con gli insegnanti ACE, è condividere l’invito fatto da Cristo ai primi discepoli nel Vangelo di Giovanni: “Venite e vedrete, venite e vedrete”. Parlando con loro dell’identità spirituale della nostra comunità dentro ACE, utilizziamo sempre il linguaggio del Vangelo. Ci rivolgiamo a loro come a dei discepoli e seguiamo da vicino il modello di Cristo come Maestro. Queste immagini, queste fonti hanno strutturato l’identità della nostra comunità e si manifestano, durante il programma di due anni, in una sequenza di ritiri, liturgie, servizi di preghiera. Questi insegnanti ACE hanno avuto grandissimo successo, e al termine del programma ACE, c’è un senso di fede fortissimo che si concretizza nel servizio a quelli che hanno pochi privilegi, ai deboli, ai vulnerabili. Nelle motivazioni di ognuno, c’è sempre il desiderio di restituire il dono che hanno ricevuto. Molti percepiscono il proprio servizio non come un lavoro, una professione, ma molto più come una vocazione. E visto che è così difficile entrare, su sei che se ne candidano ne accettiamo uno, cerchiamo anche di coltivare la futura leadership della Chiesa nel nostro Paese.
C’è un’ultima cosa molto importante: l’ACE è un’attività eucaristica, al cuore della nostra preghiera c’è sempre l’Eucarestia. La spiritualità dell’ACE pone l’Eucarestia al centro delle nostre vite, di ogni nostra giornata, è la fonte della vita della Chiesa. Ogni sera, nel programma estivo, gran parte dei partecipanti e dei lavoratori condividono in una celebrazione serale molto intima l’Eucarestia. Concludo raccontandovi dove ci ha portato più di recente questo viaggio. Abbiamo presto capito che la sfida maggiore per le scuole, religiose o no, è la leadership, la qualità della leadership della scuola. Ecco perché abbiamo deciso di mettere in piedi un secondo programma, un programma nazionale di scuole basate sui principi cristiani. Perché gestire una scuola privata richiede tante diverse competenze, a differenza di una scuola pubblica. Prima di tutto, bisogna avere i soldi, bisogna fare entrare i finanziamenti. Negli Stati Uniti abbiamo migliaia di persone che vengono da noi per ricevere formazione per la gestione di scuole pubbliche e private. Abbiamo creato un servizio di consulenza per ciò che riguarda le scuole e lavoriamo con scuole di tutti i generi, in giro per gli Stati Uniti: da quelle religiose a quelle che si occupano di aspetti più concreti, pratici. Abbiamo quindi messo in piedi anche delle scuole, cominciando noi, però con la consapevolezza che le scuole religiose hanno bisogno dell’appoggio dello Stato. Stati come la Florida, l’Ohio, la Pennsylvania, l’Arizona hanno riconosciuto la giustizia del finanziamento pubblico per le scuole cattoliche, per le scuole religiose: e sono questi i luoghi degli Stati Uniti dove noi andiamo ad aprire delle scuole. Ne abbiamo aperte tre, quest’autunno, in Arizona, a Tucson. Abbiamo anche lanciato una nuova campagna nazionale per raddoppiare la partecipazione dei latini alle scuole negli Stati Uniti, perché c’è un grande vantaggio ad andare in una scuola cattolica per i più svantaggiati, per gli esclusi, gli emarginati: lo possiamo dimostrare concretamente.
Come aumentare le possibilità di accesso ai nostri gruppi di migranti arrivati più di recente? Perché, se perdiamo la comunità latina degli Stati Uniti, se non li facciamo partecipare ai frutti, alla vita civile americana, se li lasciamo fuori, sarà la prima volta che, come Chiesa americana, non saremo riusciti a venire incontro alle necessità degli immigranti: sarebbe molto grave. Dopo diciassette anni, siamo ancora agli inizi, ci sono un sacco di cose da fare per appoggiare le scuole cattoliche e tutte le altre iniziative basate sulla fede: per rafforzare questo grande tesoro nazionale, abbiamo bisogno di partner anche nell’amministrazione Obama. Cerchiamo opportunità per formare relazioni, per condividere iniziative con gruppi come CL, con un forte legame all’istruzione, alla didattica, all’educazione. Voi siete quelli che danno vita anche a noi e nuova speranza per questa vita, quelli che ridanno vita al messaggio del Vangelo. Quindi, spero di poter continuare con voi la conversazione che qui è appena iniziata, per trovare assieme nuove opportunità per rafforzare la nostra amicizia e per essere tutti discepoli di Cristo. Grazie.

JOSÉ MEDINA:
Abbiamo lasciato il meglio per ultimo, con Lucía Figar de Lacalle, spagnola di Madrid. Lucía ha lavorato alla Presidenza del Governo, ha lavorato nel Parlamento Europeo e adesso ha la responsabilità dell’educazione nella Comunità di Madrid. In Spagna, negli ultimi anni, tutta la responsabilità educativa è stata passata alle Comunità, per cui lei è responsabile da zero anni a dopo l’Università. Grazie di essere venuta.

LUCÍA FIGAR DE LACALLE:
Buon pomeriggio. In primo luogo vorrei dirvi che per me è motivo di grande orgoglio essere qui e partecipare al conosciutissimo Meeting di Rimini, un vero privilegio, essere stata invitata da Comunione e Liberazione a partecipare a questa tavola rotonda. Sono anche orgogliosa di condividere questo incontro con dei veri e propri protagonisti. Care amiche e cari amici, sarò succinta per non togliere tempo al dibattito e al confronto. Comincerò col dire che l’educazione in Spagna ha davanti delle sfide molto importanti: tutti i rapporti internazionali lo evidenziano, soprattutto l’ultimo rapporto PISA, che colloca la Spagna in fondo alla classifica dell’OCSE per quanto riguarda il fallimento scolastico. Anche altri indicatori mostrano che siamo ben al di sotto della media europea, per quanto riguarda la letteratura, la matematica, le scienze. Ci dicono che abbiamo un 30% di fallimento scolastico e questo ci allontana dagli obiettivi prestabiliti dal Consiglio Europeo, arrivare entro il 2020 a meno del 15%.
Non entro nel merito di tutti questi ragguagli, ma vorrei comunque dire che secondo me questa pessima situazione dell’educazione spagnola ha una spiegazione nella corrente di pensiero che ha ispirato le leggi educative spagnole negli ultimi 25 anni: numerose leggi, che però hanno risposto ad una stessa visione educativa. L’universalizzazione dell’educazione in Spagna, che è stata una conquista fondamentale, arrivata tardi rispetto ad altri Paesi europei, è stata corredata da una normativa educativa i cui sostenitori hanno voluto soprattutto capire i fattori sociali che causano un rendimento non equilibrato dei discenti. Questo ragionamento è stato però portato a livelli estremi: nel desiderio di ottenere l’equità, hanno provocato risultati omologati. Per non colpire la personalità del discente, hanno messo in questione l’autorevolezza del corpo docente. Con la volontà di giustificare i bassi risultati, hanno sottovalutato il merito, come se si trattasse semplicemente del risultato dell’avidità o dei privilegi.
Una volontà egualitarista si è intromessa in modo eccessivo, soprattutto da parte dello Stato. Questo ha soffocato il pluralismo e l’autonomia dei centri scolastici e, in definitiva, la capacità di scelta delle famiglie. Questa corrente di pensiero, che non è stata specifica della Spagna ma in altri Paesi europei è stata corretta, in Spagna negli ultimi tempi si è acuita. Qual è il risultato oggi? Abbiamo un sistema educativo insostenibile per la nostra economia, inaccettabile per i nostri allievi, indifendibile nella nostra democrazia. Perché dico che è insostenibile per la nostra economia? Perché avere un 30% di fallimento scolastico significa rinunciare al talento e alle capacità di quasi un terzo dei giovani. Inaccettabile, poi, nella nostra democrazia, perché è aumentata la diseguaglianza, proprio nel ridurre le possibilità di promozione sociale, proprio attraverso l’apprendimento scolastico e l’educazione. Inaccettabile per i nostri discenti e per le famiglie, perché si è leso un diritto dei genitori, quello di scegliere il modello educativo per i figli.
I Governi regionali in Spagna, quindi noi, la nostra realtà, sono i responsabili dell’attuazione della politica educativa. Non possiamo certo cambiare le leggi nazionali, questo spetta al Parlamento, e vorrei che un giorno ci fosse un cambiamento nella normativa nazionale, con il massimo consenso, che mutasse il panorama che ho descritto. Tuttavia, possiamo fare molte cose nel quadro delle nostre competenze, in veste di Governo regionale. È quanto il Governo della Comunità di Madrid, sotto la Presidenza di Esperanza Aguirre, ha fatto negli ultimi anni. Insisto: non spetta a noi cambiare la legge nazionale ma abbiamo la possibilità di organizzare l’educazione e di apportare comunque modifiche importanti.
Allora, “esperienze che educano”, questo è il titolo della tavola rotonda. Vorrei sottolineare alcuni aspetti importanti, il fattore comune di tutte le iniziative e le riforme che abbiamo portato avanti: cercare di allargare gli spazi di libertà, aumentare la libertà educativa nella nostra Regione. In primo luogo, abbiamo scelto come opzione chiave di migliorare il panorama dell’educazione attraverso Centri a gestione privata con fondi pubblici, per allargare l’offerta di posti in strutture di questo tipo all’interno della Comunità di Madrid. Questi Centri sono sostenuti con fondi pubblici ma hanno una gestione privata. Noi abbiamo aumentato i posti scolastici, offrendoli a Centri che funzionavano privatamente al 100%, dove prima i genitori dovevano sostenere il 100% delle spese. Abbiamo accolto anche nuovi Centri in difficoltà, all’interno di questo programma, convenzionandoli. Da sette anni a questa parte, abbiamo offerto pubbliche sedi affinché cooperative, centri religiosi potessero portare avanti i propri progetti educativi con il sostegno e il supporto dei fondi pubblici. Anche il problema delle sedi e dei terreni è importante, in Spagna: abbiamo offerto questi luoghi gratuitamente a organizzazioni religiose, cooperative, altre strutture, perché creassero centri sostenuti da fondi pubblici ma a gestione privata.
Negli ultimi sei anni, abbiamo aperto 79 nuovi Centri di questo tipo nella Comunità di Madrid. Oggi la distribuzione fra scuola pubblica, scuola convenzionata e scuola privata è questa: la scuola pubblica rappresenta il 52%, la scuola convenzionata, il 33% e la scuola privata, il 15% circa. All’interno di questi Centri convenzionati, oltre i 2/3 offrono un’educazione cattolica. Comunione e Liberazione gestisce due Centri, e spero che possano essere di più in futuro. Questa politica di espansione della scuola è stata motivata dall’istanza delle famiglie, non è stata una decisione autarchica del Governo. Sono state le famiglie che lo hanno chiesto, perché c’erano molti nuclei familiari di Madrid che non trovavano posto nei Centri convenzionati dove si offre un’educazione cattolica. Per questo abbiamo voluto accompagnare questa istanza delle famiglie con una maggior offerta di posti scolastici in questo tipo di strutture.
Abbiamo anche creato la fascia 0/3 anni, che non è obbligatoria né gratuita in Spagna ma che è sempre più richiesta dalle famiglie: a 3 anni, abbiamo il 100% dei bambini secolarizzati, certo, la scuola si comincia a 6, ma a 3 anni abbiamo già il 100% dei ragazzi iscritti. Per questa fascia infantile, abbiamo un assegno scolastico che arriva ai 2/3 delle famiglie e che copre più o meno il 50% delle spese educative. Un altro fattore recente, di due anni fa, entrato in vigore quest’anno, è stato l’introduzione della possibilità di dedurre le spese educative a livello dell’imposizione fiscale locale sul reddito. Dato che in Regione abbiamo competenza su una fascia, il Governo di Madrid ha esercitato tale competenza consentendo di dedurre le spese educative. Certo, non arriviamo al 100%, abbiamo cominciato in modo più discreto, per quel che consentiva la Legge Finanziaria, ma il desiderio è di ampliare questa iniziativa. Però siamo l’unico Governo Regionale in Spagna che abbia consentito un assegno scolastico per la fascia infantile e la possibilità di dedurre le spese educative a livello di imposizione locale sul reddito. Abbiamo così reso effettivo un principio fondamentale: la libertà di scelta delle famiglie. E insisto su questo: non occorre una legge nazionale, possiamo farlo e lo abbiamo fatto all’interno delle nostre competenze. E abbiamo anche allargato lo spazio che consente ai Centri di competere, di differenziarsi, di avere una propria autonomia, di esercitare il pluralismo, abbiamo consentito che Centri pubblici e Centri convenzionati, che sono le due strutture sostenute dal bilancio regionale, potessero differenziarsi, sviluppare programmi innovativi di successo come il bilinguismo.
Oggi abbiamo 1/3 delle scuole pubbliche della Comunità di Madrid con insegnamento in spagnolo e inglese. Non si tratta di lezioni di inglese: tutto l’insegnamento viene impartito in lingua inglese. E abbiamo aperto questo programma di bilinguismo anche ai Centri convenzionati, in modo tale che abbiamo un 15% di queste strutture che ricevono un finanziamento dal Governo Regionale. È un programma di largo successo, estremamente richiesto dalle famiglie, quindi lo allargheremo ulteriormente nei prossimi anni. E poi abbiamo avviato anche altri programmi innovativi, che hanno a che vedere con le nuove tecnologie e che afferiscono alla differenziazione del curriculum, perché i Centri educativi possano concretizzare il progetto in cui hanno fiducia, perché ottengano risorse del Governo Regionale e possano differenziarsi, competere e rendere reale il diritto delle famiglie di scegliere il modello educativo che desiderano per i loro figli. Se vogliamo concretizzare la libertà di scelta, ci deve essere una pluralità di Centri, con reale autonomia nelle strutture, perché quello che vogliono le famiglie sono cose diverse. Abbiamo anche voluto rafforzare il ruolo delle famiglie, rafforzando il ruolo dei consigli scolastici. Tutti questi programmi innovativi attuati sono dipesi da una votazione, non solo ai vertici della struttura, non solo tra il corpo docente. abbiamo fatto partecipare le famiglie perché secondo noi è molto difficile che questi progetti abbiano successo se non rispondono al desiderio delle famiglie.
Quando abbiamo scelto i Centri convenzionati, abbiamo sempre fatto dipendere queste scelte dal fatto di avere un riscontro favorevole da parte della maggioranza delle famiglie coinvolte: così ci siamo garantiti che quello che abbiamo attuato risponda ai desideri e alle necessità reali degli utenti. Il programma, quando verrà attuato, sarà così più valido, avrà più successo, andrà a buon fine, perché avrà il sostegno dei nuclei familiari. Abbiamo fatto qualcosa di nuovo in Spagna, cioè diffondere l’informazione, che è importante affinché le famiglie possano concretizzare il loro diritto di scegliere il modello educativo per i figli. La libertà di scelta può esistere teoricamente, ma poi ci devono essere gli strumenti per rendere tutto questo vero. Quindi abbiamo cominciato a diffondere le informazioni significative che esigevano i genitori di Madrid, iniziando dal rendimento delle varie strutture educative nelle varie fasce, a livello elementare e di secondo ciclo. Cinque anni fa questa iniziativa aveva scatenato molte polemiche, ora invece la situazione è consolidata, i genitori possono raffrontare le varie strutture educative della stessa zona. Hanno informazioni importanti per la loro decisione, cominciando con i risultati scolastici dei discenti ma poi c’è anche la conoscenza, l’accesso diretto ai principi educativi: vogliamo che tutte queste informazioni siano esplicite, pubbliche: i programmi che attua la struttura educativa, l’attività sportiva, tutto deve essere reso pubblico e i genitori devono utilizzare questo strumento informativo per fare la scelta migliore, per esercitare il diritto della libertà di scelta nelle condizioni migliori.
La realtà è che noi, come Governo Regionale, consideriamo irrinunciabile la libertà di scelta, è uno dei principi base della politica educativa. La realtà è che, nell’esplicitare questa convinzione, siamo riusciti anche a migliorare la qualità dell’insegnamento. La libertà di scelta è stata un fine ma anche uno strumento per migliorare i risultati generali del sistema. Perché quando c’è libertà, quando c’è competenza, quando c’è autonomia, quando si liberano le forze e la creatività, i progetti dei professori, delle famiglie, migliora anche la qualità generale. Oggi la Comunità di Madrid è riuscita ad aumentare il proprio score, quanto a fallimento scolastico. Abbiamo risultati nettamente migliori rispetto alle altre Regioni spagnole, in linea con i principali Paesi europei. Ho un dato molto recente: in settembre, quando inizia il corso educativo, l’86% di famiglie di Madrid ha ottenuto un posto nel Centro dove aveva fatto richiesta. Grazie a progetti innovativi e autonomi, sono bilingue 1/3 delle scuole pubbliche e un 15% dei Centri convenzionati, grazie ai fondi dati dal Governo Regionale. Rimane, certo, molto da fare, la strada è ancora lunga. Ma io volevo trasmettervi la decisione e la fermezza di un Governo Regionale che non ha nelle proprie mani né i grandi programmi statali né la possibilità di cambiare le leggi, ma che, muovendosi e agendo all’interno delle proprie competenze, migliora la libertà di scelta dei genitori e la qualità dell’insegnamento.
Un’ultima annotazione, per sottolineare l’importanza che ha la scuola cattolica a Madrid e in Spagna: non si può spiegare né capire l’educazione in Spagna, tanto meno a Madrid, senza tenere presente il ruolo svolto dalla scuola cattolica, una scuola che offre in primo luogo un servizio qualificato per l’educazione di bambini e adolescenti. I genitori chiedono questa azione della Chiesa per esercitare il proprio diritto nei confronti dei figli, affinché possano ricevere l’educazione che meglio risponde alle loro convinzioni. E’ una scuola che sta affrontando in modo esemplare le importantissime sfide educative, correlate all’esercizio di una funzione in una società sempre più pluralistica. Negli ultimi 10, 15 anni, in Spagna abbiamo avuto un’ondata di studenti immigrati, oggi sono il 17%: è un fenomeno, quello migratorio spagnolo, che ha pochi anni di vita. La Chiesa ha accolto moltissimi di questi bambini e adolescenti immigrati, creando possibilità di dialogo interculturale all’interno di un progetto educativo ancorato e basato sul Vangelo. Esemplare, anche nel fatto di adattarsi. E parlo di Centri educativi con secoli e secoli di storia, che si sono adattati al bisogno educativo del XXI Secolo: il bilinguismo, ad esempio, le nuove tecnologie, alcuni aspetti del curriculum. La scuola cattolica è stata esemplare nel rispondere a molte istanze dei genitori e nel far fronte a un calo del numero di religiosi e sacerdoti nelle scuole. È già realtà, osservare l’efficacia con cui professori laici stanno assumendo progetti educativi della scuola cattolica. La Chiesa in Spagna ha profuso molti sforzi al fine di formare docenti laici che assumano il proprio incarico, identificandosi pienamente con il carisma e gli ideali dell’istituzione religiosa. Sono persone responsabili del progetto educativo. Insisto, si tratta di uno sforzo materiale, spirituale, personale di molti religiosi della Chiesa cattolica e delle scuole cattoliche, che ci ha consentito, in questa fase di espansione dei Centri convenzionati, di far sì che molti dei nuovi progetti fossero nelle mani di religiosi e di laici, che molti più bambini potessero ricevere un’educazione cattolica nella nostra Regione. E’ quello che volevo raccontarvi: ribadisco il mio ringraziamento agli organizzatori del Meeting di Rimini e un grande grazie a Comunione e Liberazione.

JOSÉ MEDINA:
Due domande brevi per i nostri relatori. La prima domanda è specialmente per Joshua: una delle cose che ho visto mancare nelle iniziative di fede, era proprio il nominare la scuola come una delle cose che il Governo potrebbe appoggiare. In un certo senso, si sente che il Governo vuole appoggiarvi in tutto tranne che nella scuola. Vorrei capire storicamente perché questo accada e quale sia il compito dello Stato rispetto all’educazione. È quello di legiferare e dire come bisogna fare le cose o è quello di appoggiare ciò che nasce dentro al tessuto sociale, come Lucía ci raccontava della Comunità di Madrid?

JOSHUA DUBOIS:
A questo proposito, in America c’è tutto un dibattito, al Congresso, in Parlamento, in generale in tutta l’opinione pubblica americana. Alcuni dicono che, visto il nostro principio costituzionale, c’è una chiara separazione tra Stato e Chiesa, e proprio per questo bisogna stare attenti a finanziare scuole religiose. Ci sono invece altri filoni – ne ha parlato il collega Scully in modo molto chiaro – che dicono che i soldi devono andare dove vanno gli studenti, a prescindere da dove essi vadano. Il Presidente prende molto sul serio la difficile situazione della scuola pubblica ma questa preoccupazione non esclude altri aiuti alla scuola privata. Sicuramente possiamo fare molto di più: a questo proposito, presto rivedremo la normativa americana sull’istruzione, ci sarà una nuova legge. Sicuramente, il grande dibattito tra scuola statale e scuola privata continuerà e non finirà tanto presto. Nel frattempo, vedremo come fare avere più finanziamenti alle scuole religiose per i trasporti, il doposcuola, le attività extrascolastiche, i possibili interventi per riuscire a dare servizi. Non è la situazione ideale, anche perché ci sono opinioni contrastanti, però penso che possiamo fare di più per appoggiare le scuole di matrice religiosa, anche se il dibattito andrà avanti. Grazie.

TIMOTHY SCULLY:
Joshua ha parlato della revisione della normativa della legge sull’istruzione. Io voglio aggiungere una cosa: non c’è stato nessun Presidente contemporaneo in America più propenso alle riforme scolastiche, più aggressivo di Barak Obama. E’ stato straordinario, gli dobbiamo dare merito, grandissimo Obama! Se mi consentite, voglio anche aggiungere che c’è margine per una partnership molto più approfondita con tutte le scuole di matrice religiosa in America. Adesso non voglio entrare nei dettagli della chiusura dell’operazione di scholarship a Washington D. C., una cosa che secondo noi – parlo per la scuola cattolica americana – non doveva accadere. È importante parlare di più di famiglie, genitori, libera scelta, concorrenza: il ruolo adeguato dei genitori è un loro sacrosanto diritto di scegliere la scuola che vogliono per i loro bambini, a prescindere che si paghino o meno le tasse. Grazie.

LUCÍA FIGAR DE LACALLE:
Per quanto attiene alla seconda domanda (non sono la persona giusta per rispondere alla prima, sulle ragione storiche del Governo americano), io ho chiaro quale sia il compito dello Stato nell’educazione: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la stessa Costituzione riconoscono il diritto alla libertà religiosa e insistono sul fatto che i genitori abbiano il diritto di scegliere e di orientare l’educazione dei propri figli. Quindi, la complementarietà delle istituzioni è una collaborazione nella missione educativa dei genitori. L’argomentazione di sottrarre il diritto ai genitori, al fine di dare a tutti i bambini le stesse opportunità nel quadro di una scuola unica, mira a togliere alle famiglie questo diritto e la relativa responsabilità.

JOSÉ MEDINA:
Ritornando su questa questione, l’educazione è stata sempre utilizzata come strumento di cambiamento nella società. Non solo nei paesi comunisti, come strumento di cambiamento ideologico per cambiare la società, ma anche nella nostra America, la questione razziale è stata affrontata la prima volta proprio attraverso la questione educativa. Questo poi è diventato problematico e apre la domanda che Lucía riferiva adesso: è l’educazione lo strumento per il cambiamento della società? Qual è il compito dell’educazione oggi? È quello di creare dei cittadini? E se è questo, chi decide chi sia il cittadino o cosa si insegna? L’educazione è un diritto dei genitori che non può essere deciso dallo Stato?

JOSHUA DUBOIS:
Il sistema educativo che un Paese sceglie finisce per essere uno strumento per rafforzare l’uguaglianza o la disuguaglianza: nel nostro Paese, l’educazione e l’istruzione sono ciò che più rafforza la segregazione e la disuguaglianza nella nostra società, le differenze. E non esagero. Il modo con cui abbiamo scelto di finanziare le nostre scuole, i bambini delle minoranze, gli svantaggiati, gli esclusi, non permette di andare a scuole funzionali: questa è un’ingiustizia e va cambiata. Le scuole di matrice religiosa non sono per forza la risposta alla riforma del sistema scolastico americano, sicuramente fanno parte della risposta. Neanche la scelta della scuola da parte dei genitori è la risposta definitiva ma è una parte della risposta, quindi, sono decisamente d’accordo con il nostro Presidente: dobbiamo darci tutti da fare e tutti devono poter partecipare, dobbiamo trovare le risorse per svolgere la missione che ci è data da Dio di educare i bambini. C’è un vantaggio che può essere dimostrato in modo empirico per queste scuole di matrice religiosa, soprattutto parlando di bambini di immigrati o di minoranze: è stato dimostrato da tanti studi, già negli anni ’60, che queste scuole sono le migliori per includere questi bambini, che le scuole cattoliche hanno un valore inestimabile per l’educazione di questi bambini. Mi sento incoraggiato dalla riforma della normativa sull’istruzione che ci sarà e spero che si tengano più in considerazione le esigenze delle scuole di matrice religiosa, me lo auguro davvero.

TIMOTHY SCULLY:
Lo abbiamo visto più volte nella storia del nostro Paese, non c’è nulla che abbia un ruolo più forte nel rafforzare la disuguaglianza o l’uguaglianza del sistema scolastico. Lo abbiamo visto tante volte, in America, nei vari passaggi e nelle varie crisi; abbiamo avuto grosse fratture, gran parte delle quali nate attorno all’educazione e alla scuola: è importante avere un’educazione uguale per tutti, altrimenti sorgono conflitti. Non mi sento di dire che risolvere i conflitti di pubblico e privato sia una cosa semplice, però questo Presidente, almeno, è disposto a parlarne e a fare qualcosa. Lui stesso è andato in una scuola cattolica, per un breve periodo, in Indonesia: pochi lo sanno, ma Obama è andato in questa scuola ed è stato un grande sostenitore dell’Arcidiocesi di Chicago. E’ un discorso che l’America vuole affrontare, garantendo però, al contempo, il forte appoggio alla crescita del nostro sistema statale. Quindi, farò tesoro di questo dialogo e parlerò con il Presidente.

JOSÉ MEDINA:
Grazie, buon pomeriggio.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

23 Agosto 2010

Ora

15:00

Edizione

2010

Luogo

Sala A2
Categoria
Incontri