DA NORD A SUD. LA DIFESA E LA PACE NEL MONDO

Da nord a sud. La difesa e la pace nel mondo

Partecipano: Angelino Alfano, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO. In occasione dell’incontro intervento di saluto di Nicola Renzi, Segretario di Stato per gli Affari Esteri, gli Affari Politici e la Giustizia della Repubblica di San Marino. Introduce Roberto Fontolan, Direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

 

ROBERTO FONTOLAN:
Questo nostro incontro ha come tema: “Da Nord a Sud. La difesa della pace nel mondo”. Dopo l’89, l’anno fatidico di Berlino, è durato poco il tempo di un mondo con meno muri e meno crisi. Negli anni ’90, per noi europei il grande dramma della crisi dei Balcani, delle guerre balcaniche, e poi l’Iraq, la prima guerra irachena nello stesso decennio, e poi siamo arrivati velocemente, troppo velocemente, al 2001, quando siamo rimasti scioccati, nel mondo, per lo spettacolare orrore di un nuovo terrorismo, di quello che ci è parso un nuovo terrorismo su larga scala. Insomma, in questo periodo è cambiata la percezione dei nostri contesti, sono tornati prepotentemente nella lista delle priorità, al centro di tutti i tavoli delle diplomazie, dei confronti e anche di tante società, i temi e le parole come “sicurezza”, “difesa”. Lo sguardo, quindi, si volge ai grandi organismi internazionali, quelli che anche in questi giorni abbiamo ricordato qui come quelle strutture, quelle modalità con cui il mondo, che usciva dalla Seconda guerra mondiale, ha cercato di ricostruire degli spazi di dialogo, di negoziato, di pace. E tra questi, naturalmente, accanto alle Nazioni Unite, all’ONU, c’è la NATO, uno dei più grandi, dei più importanti organismi che il mondo si sia dato proprio per affrontare una nuova fase storica. Insomma, sentiamo oggi più di qualche anno fa, il grande bisogno di sicurezza. Come lo affrontiamo? Quei grandi strumenti sono ancora adeguati? Difendere le nostre democrazie, le nostre società, che cosa vuol dire oggi? E qual è l’idea che sostiene questa difesa? Quale Occidente oggi parla? Occidente che in alcuni incontri qui, qualcuno ha definito come un’eccezione: pensavamo che fosse al centro ma oggi forse l’Occidente, l’Europa, con le sue grandi idee, sta diventando un’eccezione, quasi una periferia, per usare un linguaggio caro a Papa Francesco. Insomma, discuteremo di queste cose con due ospiti di straordinaria importanza, per il ruolo che hanno e anche per l’amicizia che ci hanno dimostrato venendo qui. Vorrei introdurre, prima di tutto, Jens Stoltenberg, il Segretario Generale della NATO. È la prima volta che viene al Meeting, ma noi lo incaselliamo nella nostra Hall of Fame, nella nostra galleria di personalità di straordinaria importanza, di straordinaria responsabilità nel mondo che hanno visitato il Meeting nel corso dei lunghi anni della sua storia. E’ veramente un grande onore potere avere qui lui oggi. Il Ministro Alfano, per il nostro mondo del Meeting è più noto, perché credo che con oggi siamo a dieci presenze al Meeting. Forse non lo sa neanche lei, Ministro, ma noi sì. E quindi celebriamo insieme questa decade, questo compleanno di dieci presenze, testimoni di una grande amicizia, di un grande affetto per il Meeting da parte dell’attuale Ministro degli Esteri, che è stato qua in varie vesti nel corso di questi anni. Apriremo tra pochissimo questa nostra riflessione, soprattutto la loro riflessione e i loro discorsi. Prima di questo vorrei presentarvi, vorrei invitarvi caldamente ad accogliere il Segretario di Stato per gli Affari Esteri, gli Affari Politici e la Giustizia di San Marino, Nicola Renzi. Nicola Renzi, partner del Meeting da moltissimi anni è di casa qui. Prego, grazie della sua presenza. Rivolgerà l’indirizzo di saluto da parte di San Marino a queste due grandi personalità con cui condividiamo questa conversazione.

NICOLA RENZI:
Grazie a voi, grazie a tutti voi sinceramente. Sono molto grato al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli, ringrazio il suo Presidente Emilia Guarnieri per aver offerto alla Repubblica di San Marino l’opportunità di intervenire alla kermesse internazionale, che da decenni promuove con successo e riscontro unanimi. Il Meeting per San Marino è una finestra sul mondo, una straordinaria occasione di promozione, di dibattito e di relazione. È entrata oramai a far parte del palinsesto istituzionale della Repubblica del Titano, che nella programmazione degli eventi di fine estate, lo addita quale appuntamento primario. A conferma dell’amicizia che ci unisce, si pone il mio odierno indirizzo di saluto al Panel, che attraverso le voci più accreditate nel panorama internazionale, sono oggi chiamate a pronunciarsi sul tema della sicurezza, della difesa e della pace, in un contesto di minacce e difficoltà crescenti a livello europeo e internazionale. La voce di un piccolo Stato non può e non deve essere meno forte del messaggio univoco e trasversale che chiama gli Stati a promuovere una crescente mobilitazione per rafforzare la difesa e la sicurezza fra i popoli e le nazioni. La Repubblica sostiene con convinzione le politiche adottate a livello globale e regionale europeo ed è concretamente impegnata al proprio interno nel contrasto di ogni minaccia che attenti la serenità dei popoli e intacchi la fiducia nelle istituzioni. Una delle principali minacce sappiamo essere rappresentata oggi dal Terrorismo internazionale. Da qui la necessità di strutturarsi attraverso una propria strategia di sicurezza da adottare a livello preventivo, così come da opporre in caso di aggressione alla sfera dei diritti fondamentali, nell’assoluta convinzione che alla base delle politiche di difesa e di sicurezza dovranno sempre e comunque prevalere i percorsi democratici e la difesa prioritaria dei diritti dei civili in casi di conflitti violenti. Le sfide e le crisi oggi attraversano i continenti e con intensità crescente pongono anche la nostra Europa a un crocevia preoccupante di tensioni e di emergenze. In questo scenario, anche la Repubblica di San Marino non può sentirsi al riparo e non deve scongiurare alcuna estraneità ai fenomeni propri della radicalizzazione fondamentalista e del terrorismo violento. Il contesto induce in particolare un approccio al concetto di difesa mai affrontato in passato, attraverso l’imponenza delle odierne misure. San Marino è da sempre terra di dialogo e di pace, roccaforte della sua plurisecolare cultura di libertà. Permettetemi di definire inusitato il pur indifferibile percorso che è chiamato a perseguire con vigore nell’esclusivo interesse della piena difesa dei suoi cittadini. San Marino sta allineandosi ai più ampi parametri di sicurezza, adottati a livello internazionale e sta adattando il proprio sistema normativo e strategico anche per una sempre più stretta cooperazione fra Stati, convinto che l’impegno di ogni Paese non si calcoli in termini aritmetici o di superiorità, ma si misuri sulle reali capacità di riconoscere e di affermare i percorsi di pace e rispetto dei diritti. È, infatti, del periodo più recente l’azione energica e determinata per l’adozione di una strategia nazionale di prevenzione e di protezione, elaborata per mettere in sicurezza un Paese che mai come ora sente forti le ricadute dei fenomeni che attentano la sicurezza dei cittadini, assicurando al contempo condizioni di protezione effettiva e permanente. L’impegno al contrasto di fenomeni di tal genere ha richiesto inevitabilmente l’approntamento di misure straordinarie e il conferimento di altrettanti poteri eccezionali in capo ad unità appositamente istituite; misure e poteri che incidendo sulle libertà e sui diritti, hanno richiesto, anche in Repubblica, un’attenta valutazione, affinché non venga in alcun modo sospeso lo stato di diritto, trattandosi di principi potenzialmente contrastanti, quali la libertà e la sicurezza. L’adozione di un piano di sicurezza nazionale non può prescindere dal contestuale recepimento delle più evolute convenzioni internazionali adottate in materia. Oltre all’adesione ai trattati internazionali maggiormente ratificati, mi preme citare, tra i più recenti, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla Cyber criminalità, il cui tema è proprio la tutela dai crimini informatici, così come una delle prime firme a Nicosia, nel maggio scorso, della convenzione sulle infrazioni riguardanti i beni culturali, adottata nel quadro dell’azione dell’organizzazione di Strasburgo per la lotta contro il Terrorismo e la criminalità organizzata. In questa azione di progressivo potenziamento della sfera della sicurezza interna e internazionale, San Marino riconosce sensibili passi compiuti da Paesi quali l’amica Repubblica italiana, dalla cui difesa discende anche una maggior sicurezza per la Repubblica, così come da organismi sovranazionali, quali la NATO, oggi rappresentata a Rimini dal suo Segretario Generale. Mai come oggi è grande il bisogno di pace. Barcellona qualche giorno fa e i conseguenti tragici episodi riconducibili a matrici terroristiche, ci hanno richiamato una volta in più alla necessità di un movimento di sicurezza globale, che discenda da una rinnovata azione politico-culturale. Un’azione che si ponga oggi a protezione dell’insicurezza e delle paure diffuse ma che guardi all’immediato futuro e che offra valori e strumenti efficaci per i nostri giovani, spingendoli a rifiutare con forza il ricorso agli strumenti di morte e educandoli alla nostra cultura, alla cultura della vita. In questo spirito, a nome del Governo sanmarinese, rinnovo una sincera gratitudine al Meeting ed una felice prosecuzione dei successi delle giornate trascorse. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie. E ora do la parola ad Angelino Alfano, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Ho già presentato prima tutti i motivi per cui siamo grandi amici con il Meeting, quindi adesso sentiamo il suo discorso su questo tema.

ANGELINO ALFANO:
Buon pomeriggio. Diceva Roberto Fontolan, e io non ho la contabilità, che è la mia decima partecipazione al Meeting di Rimini, ma devo dire che se è la decima non la sento addosso perché sono qui con tutta la gioia e con tutto l’orgoglio di esservi amico. Vorrei però ricordare la prima occasione, vorrei ringraziare per la prima occasione Maurizio Lupi, che mi portò qui. La prima occasione fu per l’Intergruppo per la Sussidiarietà, che ha rappresentato un grande investimento di valori in Parlamento, che ha attraversato tre o quattro Legislature. Fu un gesto coraggioso da parte allora di Maurizio Lupi e di Enrico Letta e quell’esperienza ha anche lasciato tracce nelle pagine delle nostre Gazzette ufficiali, perché ha prodotto leggi. Oggi sono qui a parlare assieme al Segretario Generale Stoltenberg, ed è per me un privilegio e un onore, di sicurezza e di pace. Signor Segretario Generale, noi parliamo oggi di sicurezza, proprio negli stessi momenti in cui a Legnano si celebrano i funerali di Bruno Gulotta, una delle tre vittime italiane dell’attentato di Barcellona. Vorremmo rivolgere questo pensiero e questo applauso a questo ragazzo di Legnano che insieme a Luca Russo, i cui funerali si celebreranno domani a Bassano e ad una signora di 80 anni che aveva lasciato l’Italia alcuni decenni fa e che aveva anche il passaporto italiano, nient’altro avevano come colpa se non quella di essere in una delle città più belle d’Europa e del mondo a godersi esattamente la propria libertà; la propria libertà di viaggiare, la propria libertà di essere felici, la propria libertà di fare un viaggio con la propria fidanzata, o con una comitiva di amici o con la moglie e i propri bambini. Sono stato domenica a Barcellona, sulla Rambla, sul luogo della strage. E lì, in una distesa di fiori e di lumini che commemoravano le vittime che si erano, di fatto, trovate lì per caso, mentre la furia omicida si scatenava, ho visto che c’era un mosaico di Joan Mirò e ho ricordato una frase del maestro spagnolo, una bellissima frase che avevo nel cuore: “Più sconvolgente trovo la vita – diceva Joan Mirò – e più reagisco con una esplosione di libertà”. Io penso che di fronte a quello che è successo, la più grande reazione che noi possiamo avere è reagire con una esplosione di libertà, riaffermando il nostro desiderio di essere liberi e la nostra forza per essere liberi. Il lavoro dei terroristi è esattamente questo, quello di provare a metterci paura, provare a toglierci la libertà, provare a farci cambiare il nostro stile di vita e attraverso il cambiamento dello stile di vita, provare a farci sentire meno liberi. Cari amici, l’1 gennaio del 1941, Franklin Delano Roosevelt, nel parlare ai propri concittadini sullo Stato dell’Unione, pronunciò un memorabile discorso che è rimasto negli annali del liberalismo e negli annali delle democrazie moderne. È il discorso delle libertà fondamentali: la libertà di parola, la libertà di culto, la libertà dal bisogno, la libertà dalla paura. La libertà dalla paura è esattamente il bisogno di sicurezza. Noi desideriamo la libertà e sappiamo che la libertà non si può vivere appieno se si ha paura. E dunque sappiamo che chi ha paura non è libero, non è pienamente libero. E la domanda di fondo a cui dobbiamo rispondere è come una istanza eterna possa trovare una risposta moderna. L’istanza eterna è l’istanza di sicurezza, il bisogno di sicurezza come traduzione pratica del desiderio e del bisogno di libertà, dell’istinto di ciascuno di noi ad essere liberi e come questo bisogno, che è un bisogno eterno, che è un bisogno grande quanto l’uomo perché l’uomo nasce libero, desidera mantenere quella libertà, si possa poi tradurre in termini di risposta moderna e come quel bisogno di libertà abbia avuto nella storia declinazioni e tradizioni diverse. Da che l’uomo vive in società, ha avuto la necessità di qualcuno, a cominciare da se stesso, che organizzasse la risposta al bisogno di sicurezza. E abbiamo avuto la risposta al bisogno di sicurezza che si è tradotta in muri, si è tradotta in ponti levatoi, si è tradotta in isolamenti, perché quella ha significato in molte epoche della storia, la sicurezza. Questo ha significato sicurezza: recintarsi, chiudersi, proteggersi, difendersi attraverso la separatezza, attraverso la separazione. Oggi siamo cittadini, noi, siamo cittadini di una rivoluzione. Non ne abbiamo la piena consapevolezza e men che meno ce l’hanno i miei figli, uno è nato nel 2001, l’altro è nato nel 2006, sono nativi digitali. Io, che vengo dalla generazione che ha fatto i primi esperimenti con il Commodore 16 o con il Commodore 64, so bene che prima non c’era questa digitalizzazione. Questa digitalizzazione ha infranto un altro elemento, antico quanto è antico l’uomo e quanto è antico il suo bisogno di sicurezza: quello delle frontiere. La rivoluzione digitale ha cancellato ogni forma di frontiera. E allora io vi voglio innanzitutto segnalare un grande paradosso: nell’epoca della rivoluzione digitale, quella rivoluzione che cancella ogni frontiera, ritorna e riemerge prepotentemente, come possibile risposta al bisogno di sicurezza, il tema delle frontiere. Pensate alla campagna elettorale americana e al tema del muro con il Messico, pensate alle minacce che ogni tanto ci vengono dall’Austria: “Edifichiamo un muro al Brennero!”. Pensate a talune vicende dell’Ungheria e alle questioni che riguardano comunque il tema della frontiera. Pensate a come la frontiera europea abbia avuto la necessità di essere, in un qualche modo, meglio protetta con un accordo con la Turchia. E pensate a quanto lavoro stiamo facendo su quella frontiera, che è una frontiera nella quale non è possibile edificare un muro, che è la frontiera del mar Mediterraneo che separa le acque territoriali internazionali tra noi e la Libia e l’altra sponda dell’Africa.
Dunque, nel tempo che cancella le frontiere riemerge, come risposta al bisogno di sicurezza, il tema delle frontiere. Questo è il paradosso nel quale la società moderna è prigioniera nel dare la risposta all’esigenza di essere più sicuri per mantenere il grado di libertà che abbiamo conquistato. E questo è anche un elemento che io segnalo a voi, non per via romantica, ma come elemento concreto che aggancia questo nostro dibattito alla intitolazione splendida del Meeting: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo”. Provo a essere sintetico. Io ho sempre avuto una sensazione esistenziale di debito della mia generazione rispetto alla generazione di mio nonno e in parte di mio papà. Io sono nato nel 1970 e ho conosciuto solo la pace. Mio papà è nato nel 1936 e ricorda da bambino lo sbarco degli americani in Sicilia. Mio nonno ha conosciuto le guerre e il padre di mio nonno ha conosciuto le guerre e così il padre del padre di mio nonno e così a salire: tutte le generazioni italiane ed europee fino alla mia, fino alla mia generazione che ha conosciuto solo la pace. Ecco, in questo tempo di terrorismo, in questo tempo di insicurezza, io credo che la missione delle generazioni che hanno conosciuto solo la pace è quella di difendere la pace e la libertà come modo di riguadagnarsi ciò che abbiamo ereditato dai nostri padri e riguadagnarcelo per possederlo. Noi abbiamo la missione di difendere la libertà perché l’attacco alla libertà si sta sviluppando secondo strade e con metodi che non sono quelli delle guerre che i nostri genitori hanno conosciuto, quelli delle guerre dichiarate da ambasciatori che in feluca consegnavano la dichiarazione di guerra. No, adesso la nostra libertà subisce un attacco da uomini che uccidono in nome di Dio, ma tutti noi sappiamo che Dio è amore e che nessuna religione predica l’odio e che nessuna religione indica come luogo e come modo per avvicinarsi a Dio quello di uccidere altri uomini. E dunque noi sappiamo che quel rivolgersi a Dio di chi uccide altri uomini è il modo per tenere prigioniero, per tenere in ostaggio un Dio per giustificare i propri crimini, i propri delitti, i propri assassini, i propri morti. Noi sappiamo che la sicurezza non può derivare in questo tempo di guerra asimmetrica, in cui la guerra non ti viene dichiarata da un altro Stato, ma ti viene dichiarata da un Califfato, ti viene dichiarata da uomini che si sono indottrinati e che reperiscono su internet il kit del terrorista, che prima di tutto è un kit ideologico. Noi sappiamo che per reagire a questo attacco, non è sufficiente una risposta solo militare, ma è necessaria una risposta anche militare. Noi sappiamo che non è sufficiente una risposta solo culturale, ma sappiamo che è indispensabile una risposta culturale. Noi sappiamo che non è sufficiente una sola risposta di polizia ma sappiamo che è indispensabile una risposta di polizia. Noi sappiamo che è necessaria una risposta legislativa con leggi sempre più efficaci, ma che non è sufficiente: ciò che è necessario è la risposta coordinata utilizzando tutte queste leve. E’ necessaria, ma sarà sufficiente? Bene, non lo sappiamo, perché noi sappiamo di vivere in un tempo che esclude il rischio zero, noi viviamo in un tempo della storia in cui il rischio zero non esiste e che ogni lavoro e ogni sforzo che noi stiamo facendo serve per comprimere il coefficiente di rischio, serve per ridurre il rischio, serve per dare la certezza a ciascuno di noi che si è fatto tutto quello che è possibile fare per ridurre il rischio nella consapevolezza che il rischio zero non esiste. Vede, caro Stoltenberg, noi abbiamo grande considerazione e stima della NATO e del lavoro che lei sta facendo dentro la NATO e al tempo stesso siamo molto orgogliosi di essere italiani. Siamo orgogliosi di essere italiani, perché noi siamo un grande Paese, secondo contributore in importanti missioni (dall’Afghanistan al Kosovo) e siamo un Paese che oltre a contribuire alla risposta militare, ha una sua risposta, una propria risposta nazionale al bisogno di sicurezza dei nostri connazionali. Perché, in un tempo in cui il rischio zero non esiste, noi, fin qui, siamo stati un Paese sicuro, che ha saputo essere al tempo stesso solidale e sicuro. Noi abbiamo salvato centinaia di migliaia di vite umane e siamo stati al tempo stesso un Paese sicuro. Un Paese nel quale i cattolici festeggiano il proprio Giubileo della Misericordia, un Paese nel quale dopo gli attacchi di Parigi, di Charlie Hebdo, le Comunità ebraiche nazionali ci hanno ringraziato per lo stato di sicurezza dei luoghi dell’ebraismo in Italia e in cui le Comunità musulmane, alle quali chiediamo di fare sempre di più, hanno cominciato a denunciare dall’interno i soggetti che si radicalizzano, ponendo a rischio la nostra sicurezza nazionale. Questo è stato il frutto e se il frutto si riconosce dall’albero, come la nostra cultura ci insegna (anzi, l’albero si riconosce dal frutto), se il frutto è la sicurezza, l’albero è una grande democrazia che ha salvato vite umane ed è riuscita a tenere i propri concittadini al sicuro. E se questo è il frutto, noi non dobbiamo disperdere il frutto.
Ecco perché di fronte alla solidarietà che noi abbiamo dato al mondo, di fronte al mondo, mettendo l’Italia dalla parte giusta della storia e di fronte ai risultati di sicurezza, io continuo a dire che la risposta italiana è stata la risposta migliore e che questa risposta non può essere cestinata e che non può essere accettato il derby, l’antagonismo tra rigore e umanità, tra diritti umani e solidarietà. Noi abbiamo saputo tenere insieme diritti umani e severità, rigore e umanità e non dobbiamo buttare nel cestino questa grande conquista. È la nostra conquista, è la conquista italiana. Non possiamo e non dobbiamo buttarla nel cestino. E chiediamo, sul fronte delle risposte, un punto molto importante. Noi siamo un Paese che ha scritto a caratteri cubitali nella propria Costituzione il riconoscimento della libertà di culto, perché l’uomo prega da quando esiste. Non c’è bisogno che uno Stato conceda il diritto di pregare. Ciascuno di noi ha un bisogno interiore di guardare le stelle che non ha la necessità di essere concesso dallo Stato. Se questo è il diritto naturale alla preghiera, questo si esprime in una straordinaria tolleranza che è, secondo Il trattato sulla tolleranza di Voltaire, un filo conduttore di un Occidente liberale e democratico. E se tutto questo è vero, noi abbiamo però il diritto e il dovere di dire con grande forza, che noi che siamo tolleranti, non possiamo essere tolleranti con gli intolleranti, con quelli che non tollerano le nostre regole giuridiche, con quelli che non tollerano il nostro ordinamento, con quelli che non tollerano i nostri costumi nazionali e il nostro stile di vita. Quello che noi siamo riusciti a realizzare in Italia è esattamente questo e di questo andiamo molto orgogliosi ed è per questo che non vogliamo cliccare su “Cestino”, sulle conquiste di sicurezza di questi nostri anni. Come Ministro dell’Interno, sono molto, molto soddisfatto di essere stato quello che ha avviato il sistema delle espulsioni su larga scala per motivi di sicurezza nazionale di soggetti che si sono radicalizzati nel territorio nazionale. Al tempo stesso, se questa è la nostra risposta nazionale, sul piano generale, noi abbiamo la necessità di dare quella risposta moderna, quell’istanza eterna che non può essere (e così mi avvio verso le conclusioni della seconda parte della mia riflessione) che non può essere quella di una volta. Se la rivoluzione digitale ha cancellato tutte le frontiere, non ci sarà nessuna frontiera fisica, nessuna barriera fisica che ci terrà al sicuro. Non è quella la risposta giusta. La risposta deriva dal coordinamento di quelle misure di cui parlavo prima: la risposta militare, quella culturale (quella culturale che ci fa dire che è obbligatorio separare chi prega da chi spara), la risposta legislativa, la risposta di sicurezza interna. Ed è questo il motivo per cui noi puntiamo molto su un ideale che è quello di una Unione Europea che si renda più forte, più protagonista anche in politica estera, attraverso un sistema comune europeo di difesa. Ne abbiamo parlato poco fa con il segretario generale della NATO, abbiamo affrontato alcuni temi con lui pochi minuti fa e ne abbiamo parlato in altre due occasioni di incontro precedenti che noi abbiamo avuto. Uno dei nostri padri fondatori, Alcide De Gasperi, morì con il dolore al cuore, perché non aveva visto nascere la Comunità Europea di Difesa e ancora negli archivi storici si trovano le sue lettere agli altri esponenti della Democrazia Cristiana, che dovevano negoziare in Europa la ipotesi di nascita nei primi anni cinquanta della Comunità Europea di Difesa, in cui lui diceva che l’architettura europea aveva bisogno di questo completamento per essere solida. Aveva ragione lui. La storia ci offre alcuni decenni dopo, sessant’anni dopo e più, l’occasione di rimediare, perché non esiste un protagonismo dell’Europa, non esiste una forte politica estera europea se non c’è una politica di difesa europea. E voglio dirlo molto chiaramente: noi ringraziamo la NATO per quello che sta facendo e vediamo ciò che ho appena detto, ossia un rafforzamento della difesa europea, non in una logica antagonista alla NATO, non in una logica dialettica alla NATO, ma in una logica complementare, in cui l’Europa deve avere il coraggio e la forza di fare di più. Quando il Presidente degli Stati Uniti d’America ci invita a fare di più nel Mediterraneo, non ha torto. Se l’Italia e l’Europa vogliono riguadagnare una leadership nel Mediterraneo, devono investire nella difesa europea, perché in politica estera valgono le stesse regole della fisica. Non dobbiamo meravigliarci, se non abbiamo noi la capacità di investire nel fianco sud della nostra Europa, che qualcuno prenda la leadership nel Mediterraneo e magari quel qualcuno non sarà l’Europa. Ecco la ragione per la quale noi dobbiamo essere molto chiari: abbiamo di fronte lo scacchiere libico, lo scacchiere mediorientale e abbiamo di fronte un mare, il mare Mediterraneo, che se lo guardiamo al planisfero, immaginate il planisfero, se guardiamo il mare Mediterraneo, sembra un lago, di fronte ai grandi oceani, eppure, ancora una volta in quel mare Mediterraneo, si giocano i destini del mondo. Ancora una volta, la sicurezza globale e l’equilibrio geopolitico globale, financo sui temi dell’energia ed altro ancora oltre la sicurezza e i flussi migratori, si giocano in quel mare che Giorgio La Pira definiva la prosecuzione del lago di Tiberiade. Di chi è questo lavoro? A chi compete questo compito? Compete agli Stati Uniti o compete a noi europei? Noi ringraziamo la NATO. Il 5 settembre si aprirà a Napoli un hub della NATO per coordinare le politiche sulla sicurezza nel Mediterraneo e sarà proprio in Italia, sarà proprio a Napoli. E lo guiderà un generale dell’esercito italiano e ringraziamo la NATO per questa scelta che per noi è strategicamente davvero importante.
Tutto questo ha bisogno di un affiancamento, un affiancamento che sia un affiancamento europeo e per questo affiancamento noi lavoriamo e lavoreremo, sapendo che la nostra scelta, la scelta degasperiana è una scelta che rimane viva. La scelta di De Gasperi, che ha segnato la tradizione e la storia repubblicana italiana è una scelta chiara: aderire alla NATO e costruire l’Europa. Queste due scelte sono le scelte di allora che restano vive oggi. Chiedetevi perché, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il Patto di Varsavia è venuto meno e la NATO no. Perché la NATO non è stata guidata da un solo Paese e non è stata un’opera militare. È stata un’opera di sicurezza globale che ha dato sicurezza e stabilità al mondo. Noi abbiamo, dunque, come generazione di uomini liberi, una grande sfida che è la sfida della sicurezza globale. Ciascuno la può affrontare dal proprio punto di vista. Sapendo una cosa (e concludo da dove ho cominciato): che ancora una volta per riaffermare la nostra libertà dobbiamo riaffermare il diritto a non avere paura, la libertà dalla paura. E che per realizzare questo grande desiderio e questo grande bisogno di libertà, vi è bisogno dello sforzo di tutti e di ciascuno, per dire una cosa con grande chiarezza: noi dobbiamo ai nostri padri una libertà per la quale non siamo morti noi, ma sono morti loro. Dobbiamo ai nostri figli una battaglia per la libertà per rendere loro cittadini di un mondo più libero e più sicuro, più libero dalla paura e più sicuro dai fanatici che la mettono in pericolo. Vi ringrazio.

ROBERTO FONTOLAN:
E ora do la parola al Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, cercherà di collocare questa grande organizzazione, uno dei più grandi organismi di interazione e di dialogo e di cooperazione del mondo dentro questo contesto di attualità. Mr. Stoltenberg ha una lunga biografia di uomo politico, è stato due volte Primo Ministro della Norvegia che è il suo Paese, oltre che Ministro in vari Ministeri e anche un leader del Partito socialista, del Partito laburista norvegese. Bene, allora benvenuto ancora una volta. Come dicevo, lei fa parte della lunga schiera di grandi personalità internazionali che siamo sempre molto onorati di ospitare. Grazie, prego.

JENS STOLTENBERG:
Molte grazie e buon pomeriggio a tutti. Vorrei innanzitutto ringraziare lei, il moderatore Roberto Fontolan, per la bella introduzione e per averci invitato. Vorrei anche ringraziare il Ministro Angelino Alfano per tutte le dichiarazioni molto interessanti che ha fatto. Ho prestato molta attenzione al suo intervento e ho apprezzato molto i riferimenti alla cooperazione che c’è tra la NATO e voi, che siete uno dei membri più importanti. E’ un grande onore per me essere qui a questo evento, il Meeting per l’Amicizia tra i Popoli a Rimini. E’ la prima volta che vengo a Rimini. E’ veramente un piacere essere qui a questo Meeting, ma ho anche capito che la prossima volta mi fermerò anche in vacanza a Rimini.
Ammiro moltissimo l’impegno che vedo qui nel mettere assieme, portare assieme le persone, nello spirito del dialogo aperto, del rispetto reciproco e dell’ottimismo. Il mondo avrebbe veramente bisogno di una buona dose dello spirito del Meeting di Rimini proprio adesso. Voglio inoltre ringraziare l’Italia per tutti i suoi contributi all’alleanza. Siete il secondo contributore più grande a tutte le operazioni e missioni della NATO. I soldati italiani prestano servizio nei nostri contingenti multinazionali in Lettonia; i caccia italiani svolgono anche delle operazioni di pattugliamento aereo congiunto in Bulgaria. Inoltre siete a capo delle missioni di pace in Kosovo. Le truppe italiane giocano un ruolo chiave nella lotta al terrorismo sia in Afghanistan e anche in Iraq. Siete anche la sede del nostro comando delle forze della Nato a Napoli, fra cui anche il nuovo hub per il Sud. L’Italia è una voce importantissima per il dialogo e per la diplomazia. E vi ringrazio veramente tantissimo per questi contributi alla sicurezza. Oggi vorrei condividere alcune riflessioni con voi, riflessioni riguardo al ruolo che la NATO gioca nel preservare la pace e nel promuovere la stabilità. Siamo un’alleanza difensiva di ventinove membri e siamo uniti da valori condivisi: democrazia, libertà individuale e lo stato di diritto. Il nostro impegno per la pace è impresso nel nostro Trattato fondativo e si tratta di un trattato che, fatalità, è entrato in vigore esattamente sessantotto anni fa, proprio oggi, il 24 agosto 1949. Quindi oggi, di fatto, celebriamo un anniversario per la NATO. Negli ultimi sessantotto anni l’obiettivo della Nato è rimasto lo stesso: preservare la pace. E lo facciamo promettendo di difenderci gli uni con gli altri. Alla base della nostra alleanza troviamo l’art. 5 che sancisce questo per la difesa, sancisce chiaramente che un attacco nei confronti di uno degli alleati, sarà considerato come un atto nei confronti dell’intera alleanza. Tutti per uno e uno per tutti. Questo impegno ci ha permesso di mantenere la pace in Europa per circa settant’anni, cioè uno dei periodi più lunghi di pace e di stabilità nella turbolenta storia dell’Europa. Mentre la nostra mission di pace è rimasta la stessa, cioè preservare la pace, il modo in cui la portiamo avanti dipende dal contesto di sicurezza. E oggi ci troviamo ad affrontare le sfide più grandi della sicurezza per una generazione. Abbiamo la Russia, più assertiva, e abbiamo l’instabilità nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Adesso vorrei parlare di queste sfide individualmente.
Cominciamo dalla Russia. La Russia è il più grande vicino della NATO. La NATO non cerca lo scontro con la Russia. In realtà, dopo la fine della guerra fredda, abbiamo lavorato alacremente per forgiare un partenariato strategico con la Russia, tuttavia il comportamento aggressivo della Russia ha minato la fiducia, la stabilità e la sicurezza in Europa. Nel 2014 la Russia ha annesso illegalmente la Crimea; è la prima volta dalla seconda guerra mondiale che una nazione europea ha preso un territorio in un altro Paese con la forza. E la Russia continua a destabilizzare l’Ucraina orientale. Si tratta di un conflitto in cui quasi diecimila ucraini sono stati uccisi. E questo ha cambiato enormemente il nostro contesto di sicurezza. La NATO ha un approccio a due livelli nei confronti della Russia: difesa e dialogo. Credo fortemente nel dialogo. L’anno scorso mi è stata concessa un’udienza con Sua Santità Papa Francesco che ammiro profondamente e concordo pienamente con Sua Santità, quando ha detto che il dialogo è ciò che porta la pace; la pace è impossibile senza dialogo. La NATO continua a cercare relazioni sempre più costruttive e prevedibili con la Russia, per preservare la pace e per creare migliori relazioni tra la NATO e la Russia. E anche per incoraggiare la Russia ad agire nel rispetto delle norme e delle regole della comunità internazionale. La trasparenza e la prevedibilità sono cruciali, specialmente quando la tensione “sale alle stelle”. Con più forze militari e più esercitazioni lungo i nostri confini, il rischio di fraintendimenti o di incidenti aumenta. E dobbiamo fare tutto il possibile per prevenire degli sbagli o degli errori di giudizio – non vogliamo che questi avvengano – e nel caso avvenissero, dobbiamo assicurarci che non si entri in una spirale fuori controllo. Quindi al di là delle nostre differenze, continuiamo ad impegnarci nel dialogo politico con la Russia. Ma nessuno deve mettere in dubbio la prontezza e la risolutezza della NATO nelle sue attività di difesa degli alleati. Questo è quello che vuol dire la deterrenza, cioè il mantenimento della pace. Fin dal 2014 l’alleanza della NATO ha rafforzato significativamente la sua difesa collettiva, non per scatenare un conflitto ma per prevenire un conflitto. Tutte le nostre misure sono difensive, trasparenti, proporzionate e in linea con i nostri obblighi internazionali.
L’altra grandissima sfida che ci troviamo ad affrontare proviene dall’instabilità violenta del Sud dell’Europa. È un’instabilità che ha forzato milioni di persone ad andarsene, a lasciare i propri Paesi, come voi in Italia sapete fin troppo bene. E’ un’instabilità che ha anche alimentato l’estremismo e ha ispirato azioni di terrorismo. La settimana scorsa siamo stati testimoni di un altro attacco brutale, questa volta a Barcellona. Questo è avvenuto dopo altri attacchi simili a Nizza, a Berlino, a Londra e in altri luoghi. Questi attacchi utilizzano armi a bassa tecnologia: veicoli, camion, coltelli, con effetti devastanti. E nelle nostre società, libere, aperte è davvero difficile prevenire qualsiasi attacco. Non possiamo semplicemente chiudere e blindare le nostre città, però non dobbiamo nemmeno accettare il terrorismo come la nuova normalità. Non dobbiamo permettere che i nostri valori e le nostre società libere siano messi a repentaglio. Le nostre società hanno affrontato la minaccia del terrorismo anche prima e noi ne abbiamo avuto la meglio. Molti di voi qui sono troppo giovani per ricordare, però negli anni settanta e anche negli anni ottanta, gruppi terroristici come l’ETA o l’IRA e le Brigate Rosse furono responsabili di molti più morti di quelli che vediamo oggi. All’epoca sembrava una sfida impossibile da superare, però ce l’abbiamo fatta! E possiamo farcela ancora, se rimaniamo saldi nei nostri valori, se siamo resilienti e determinati e se siamo forti e uniti. Grazie alle nostre azioni militari di polizia e dei servizi segreti non ci sono stati più attacchi della portata e della complessità pari a quelli dell’11 settembre. Al Qaeda è lungi dall’essere la forza che era un tempo e lo Stato Islamico ha perso la maggior parte dei suoi territori in Iraq e in Siria, però la minaccia è ancora lì e c’è ancora molto da fare. Insieme abbiamo molti strumenti a disposizione nella lotta contro il terrorismo e dobbiamo utilizzarli tutti. Dobbiamo lottare contro la radicalizzazione a casa, abbiamo bisogno dei nostri servizi segreti, della polizia che facciano le indagini, che ci proteggano, abbiamo bisogno di sforzi politici, diplomatici ed economici per porre fine ai conflitti e per negoziare e sostenere la pace. Sì, abbiamo bisogno anche di forze militari per contrastare e sconfiggere gruppi come lo Stato Islamico. In questo sforzo collettivo, la NATO non può fare tutto, però ha un ruolo importante da giocare. Affrontare le cause del terrorismo e dell’instabilità non è solo quello che noi possiamo fare a casa ma sta anche in quello che noi possiamo fare al di là dei nostri confini. Ed è questo il motivo per cui la NATO mantiene il proprio impegno di prevenzione in Afghanistan, perché questo Paese non torni a essere un luogo di protezione per i terroristi ed è il motivo per cui formiamo agenti in Iraq per contrastare ordigni esplosivi improvvisati. Inoltre continuiamo a dare più sostegno nel Medio Oriente e nel Nord Africa, con una gamma di programmi di formazione e di difesa con partner che comprendono anche la Tunisia e la Giordania. Ci stiamo adesso preparando per aiutare anche la Libia a costruire istituzioni per la sicurezza e stiamo lavorando con l’Unione Europea per gestire la crisi dei rifugiati e dei migranti nel mar Egeo e nel centro del Mediterraneo e anche nel promuovere la stabilità nei Paesi vicini a noi, perché, per dirla in maniera semplice, se i nostri vicini sono più stabili, noi siamo più sicuri. E qui la NATO può giocare un ruolo cruciale basandosi su decenni di esperienza e di partenariati con più di cinquanta nazioni e di organizzazioni in tutto il mondo. E’ solo attraverso un lavoro di squadra che possiamo davvero fare dei progressi veri e duraturi verso la pace. Quindi, signore e signori, sessantotto anni fa, oggi, il Trattato della NATO entrava in vigore. Da allora la NATO ha lavorato alacremente per preservare la pace e per promuovere la stabilità in Europa e oltre l’Europa. Oggi affrontiamo le minacce per la sicurezza più gravi per una generazione, però sono sicuro che prevarremo contro tutte le sfide perché i nostri valori sono più forti: la libertà, la democrazia e le società aperte avranno sempre la meglio sull’odio, sulla violenza e sull’intolleranza. E uniti, dietro i nostri valori comuni, non c’è nessuna minaccia che possiamo non affrontare e non c’è nessuna sfida che non possiamo superare. Quindi grazie ancora a tutti per l’invito a questa piattaforma importante per il dialogo e per la pace. Vi ringrazio molto.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie Mr. Stoltenberg per questo disegno, per quest’orizzonte che ci ha delineato, anche problematico. Abbiamo compreso che lo sguardo a quest’orizzonte nasce da una consapevolezza molto forte dei valori storici e attuali per i quali quest’organizzazione, una delle grandi organizzazioni del nostro mondo, deve continuare questo impegno.
Ora abbiamo alcuni minuti per qualche riflessione ulteriore. Vado dal Ministro Alfano che ha sottolineato molto il tema della libertà religiosa e, nell’attuale contesto, oltre il 75% della popolazione mondiale (ce lo ricordano sempre diversi amici che vengono sempre qui al Meeting e studiano le condizioni della libertà religiosa), vive in condizioni nelle quali la libertà religiosa non è assicurata o addirittura, in molti casi, è conculcata, se non impedita. Che cosa possiamo fare per cambiare? Tra l’altro questo è un dato che sta peggiorando nel tempo, perché le statistiche parlavano qualche anno fa del 75% e oggi mi diceva l’amico Brian Grim che parlerà domani qui, siamo al 79%, naturalmente ci sono tantissime differenze e tantissimi contesti diversi ma è un dato veramente preoccupante. La libertà religiosa è uno dei temi centrali, mi pare, della riflessione contemporanea.

ANGELINO ALFANO:
La prima considerazione mi viene frequentemente andando a Messa. Io credo che molti dei presenti frequentino la Messa e a volte noi sentiamo letture nell’ambito della Liturgia della Parola che ci raccontano in qualche modo delle difficoltà delle prime comunità cristiane. Dopodiché abbiamo conoscenza storica delle persecuzioni dei primi cristiani e pensiamo di avere studiato i libri di storia o pensiamo di avere ascoltato le letture. No. È come se leggessimo dei brani di cronaca, di attualità. È questa la cosa incredibile, le persecuzioni, in ragione della fede, sono all’ordine del giorno. E direi di più, pochi anni fa Santa Romana Chiesa ha elevato agli altari un prete, caro Segretario Generale della NATO, un prete che si chiamava Don Pino Puglisi. Questo prete è stato portato agli altari perché è stato ucciso in quanto prete, è stato ucciso per la sua predicazione cristiana dalla mafia a Palermo, ed è diventato santo. Non è solo quella che noi immaginiamo la persecuzione nei confronti dei cristiani, è un qualcosa che è nelle viscere di coloro i quali ritengono che la professione di fede e la libertà di parola nella professione di fede sia una aggressione, una inimicizia nei confronti di determinati interessi. Da siciliano volevo sottolineare che le persecuzioni ai cristiani si sono verificate anche di recente dalle nostre parti. Ho istituito poche settimane fa, proprio in collaborazione con il Vaticano, un osservatorio al Ministero degli Esteri, alla Farnesina, l’Osservatorio sulle minoranze religiose. Ho usato fin qui l’aggettivazione cristiana, ma noi sappiamo che le persecuzioni religiose non sono solo nei confronti dei cristiani. Noi sappiamo che il tema delle minoranze religiose è un tema essenziale delle libertà moderne. Cosa ho voluto fare? Ho voluto costituire questo Osservatorio del quale fanno parte una serie di esperti per realizzare una sorta di meccanismo nazionale italiano automatico quasi early warning, di allerta precoce, che permetta a noi del Ministero degli Esteri di avere informazioni da tutto il mondo in tempo reale riguardo a singoli casi o a casi ovviamente più ampi di persecuzione religiosa o di privazione della libertà religiosa. Tutto questo si dovrà sviluppare con un sistema che ha ovviamente il canale diplomatico come canale fondamentale e lo scopo che noi abbiamo è quello di dare il contributo italiano. La politica estera italiana è una politica estera che, nonostante io sia il 37° Ministro degli Esteri della Repubblica italiana, non è certo cambiata trentasette volte. Ha alcuni pilastri fondamentali: ha il pilastro fondamentale della relazione transatlantica e dell’adesione alla NATO, ha il pilastro fondamentale della fede nell’integrazione europea, ha il pilastro della vocazione mediterranea, e un altro grande pilastro storico della politica estera italiana è quello che riguarda la tutela dei diritti umani. Dentro questa tutela dei diritti umani io penso che la questione delle libertà religiose e della tutela delle minoranze religiose sia essenziale. E sia essenziale perché va alla radice della libertà di ogni singola persona che intende pregare il proprio Dio. E va a toccare esattamente quell’elemento vitale che si chiama diritto naturale. Noi tutti siamo stati educati al rispetto del diritto positivo che è il diritto posto nella società dai legislatori attraverso i meccanismi di ogni singolo ordinamento, ma noi tutti siamo stati educati all’idea che c’è un diritto naturale che precede il diritto positivo. Ecco, noi abbiamo un lavoro da fare per ricordare a tutto il mondo e in ogni circostanza che un elemento essenziale de diritto naturale è il diritto a pregare. Ciascuno ha il diritto a pregare il proprio Dio e ciascuno ha il diritto e il dovere di pregare il proprio Dio nel proprio Paese e il dovere di rispettare le regole del Paese in cui vive. Ma noi nel sistema della cooperazione internazionale abbiamo il diritto e il potere, per certi versi, di intervenire per difendere la libertà religiosa, sapendo una cosa, che mi ricollega all’argomento di cui stiamo parlando: che più sapremo difendere la libertà religiosa e più sarà sicuro il mondo in cui viviamo.

ROBERTO FONTOLAN:
Dicevo prima a Mr. Stoltenberg che al Meeting guardiamo le persone anche al di là del loro ruolo, seppur importantissimi e decisivi ruoli, e quindi chiediamo, ci chiediamo sempre qualcosa che ha a che fare con l’esperienza di uomini che pure hanno queste grandi responsabilità e perciò avevo questa domanda da proporgli: come ci si sente in questo ruolo di così grande responsabilità nei confronti della sicurezza del mondo? Prende tanti sonniferi? Riesce a dormire la notte? Si sveglia sereno al mattino?

JENS STOLTENBERG:
Sì, ho un sonno ottimo. Dormo nel mio letto, ma dormo anche in aereo, dormo in macchina, quindi so bene come dormire. Penso che se uno lavora alla NATO questo sia davvero un vantaggio. Però forse la cosa più importante è che mi sento davvero umile nel poter prestare il mio servizio alla NATO. Perché è un lavoro di grande significato. Il mio ruolo principale, ogni giorno, è cercare di aiutare a contribuire alla pace e ovviamente non è che lo faccio da solo. La NATO è un’alleanza di 29 diverse nazioni, proteggiamo quasi un miliardo di persone che vivono nei paesi NATO. E’ uno staff eccellente quello che mi aiuta tutti i giorni. Quindi dormo e mi sveglio felice, consapevole del fatto che i nostri successi si sono verificati nei ruoli più importanti della NATO, nel prevenire i conflitti, nel preservare la pace per le persone che vivono nelle nazioni della NATO. E dalla creazione della NATO circa settant’anni fa abbiamo avuto uno dei più lunghi periodi di pace nella nostra zona dell’Europa. Certo, poi ci sono tantissime sfide, quelle che ho menzionato nel mio discorso, gli effetti degli attacchi terroristici, l’instabilità dei nostri vicini, il nord Africa, il Medio Oriente e così via. E dobbiamo affrontare tutte queste sfide, capire come affrontarle, però sono contento e sono sicuro che la NATO sarà in grado di preservare la pace per i suoi alleati anche in futuro, perché siamo stati in grado di adattarci e di cambiare man mano che cambiava anche il mondo. L’ultima cosa che vorrei dire è che sono anche contento, perché uno dei più grandi vantaggi dell’essere Segretario Generale della NATO è che sono invitato in tantissimi posti, che incontro tantissime belle persone, per esempio sono stato invitato a Rimini e ho potuto incontrare tutti voi e grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Volevo tornare dal Ministro Alfano chiedendogli qualcosa sul tema della Russia. Abbiamo sentito quant’è complesso questo tema, c’è una visione della NATO, c’è anche una visione dell’Italia dei rapporti con la Russia? A che cosa state lavorando, il nostro Paese a che cosa sta lavorando per diminuire quest’atmosfera di tensione e forse cercare di passare a un altro tavolo di dialogo meno teso, meno difficile?

ANGELINO ALFANO:
Grazie della domanda. E mentre lei faceva una considerazione di natura umana e personale al segretario generale della NATO, io pensavo che qui in sala c’è presente un caro amico, che credo voi conosciate molto bene qui al Meeting di Rimini, che svolge una funzione importantissima alla NATO, perché è il Presidente dell’Assemblea Parlamentare della NATO ed è un italiano. L’Italia da decenni non aveva questo incarico, è la prima volta dopo decenni che un italiano presiede l’Assemblea Parlamentare della NATO che unisce le delegazioni parlamentari dei Paesi appartenenti alla NATO, creando una sorta di Parlamento, e il Presidente di questo organismo, dell’Assemblea Parlamentare della NATO, è l’onorevole Paolo Alli che, come dire, voi conoscete molto bene, e che svolge una funzione davvero molto importante. Io credo che questa sia una delle più importanti funzioni che italiani svolgono in un contesto internazionale. Rispondo alla domanda: io credo che nel rapporto con la Russia ci sia una cifra identitaria della politica estera italiana. Noi siamo un Paese legatissimo alla dimensione transatlantica, noi abbiamo nel nostro rapporto con gli Stati Uniti d’America un elemento essenziale della politica estera, e la nostra presenza dentro la NATO è un elemento che rende questa identità ancora più visibile e forte. In questo 2017 si ricorda il 70° anniversario del viaggio di Alcide De Gasperi a Washington, da cui nacque questa relazione transatlantica e da cui nacque il piano che portò anche allo sviluppo della nostra Europa e specificamente del nostro Paese. Questo è il nostro rapporto con gli Stati Uniti d’America. Ma il nostro atteggiamento da Paese mediterraneo che non ha mai avuto un blocco ideologico di chiusura, pur nella lealtà al rapporto transatlantico, io lo racconto così: in piena guerra fredda noi avevamo il tema dell’approvvigionamento energetico. Era finita la Seconda Guerra Mondiale, ma non era finita la guerra fredda, anzi eravamo in piena guerra fredda. In quel momento noi avevamo il tema di come riscaldare le case degli italiani e di come approvvigionare il nostro Paese realizzando gasdotti. Bene, in piena guerra fredda l’Italia, ripeto in piena guerra fredda, l’Italia non ha avuto problemi o preoccupazioni ad avere un rapporto commerciale con l’Unione Sovietica, a fare riscaldare le case degli italiani dal gas che proveniva dall’Unione Sovietica, per la quale Unione Sovietica noi siamo diventati dei clienti molto affidabili perché abbiamo sempre pagato la nostra bolletta. E loro sono diventati per noi degli approvvigionatori energetici assolutamente affidabili. Allora, veniamo all’oggi. Ora noi abbiamo una questione che è quella della Crimea, dell’Ucraina. Come abbiamo reagito? Noi abbiamo reagito con grande lealtà nei confronti del sistema delle sanzioni che una buona parte della comunità internazionale ha deciso di adottare. Noi siamo stati leali alle sanzioni, corretti con l’Europa, corretti con la Comunità internazionale e abbiamo pagato un conto per quelle sanzioni. Abbiamo pagato un conto perché i nostri fornitori nazionali sono stati sostituiti, noi lavoriamo perché ciò non sia definitivo, da altri fornitori di altri Paesi, ma abbiamo difeso la questione di principio delle libertà in Crimea, abbiamo difeso la questione di un’aggressione che abbiamo ritenuto fuori dalla legalità internazionale. Questo è stato il nostro approccio concreto. Ma al tempo stesso noi siamo sostenitori che le sanzioni non sono a rinnovo automatico, se no nasce una sorta di dipendenza dalle sanzioni. E non sono neanche il fine: le sanzioni sono il mezzo. Sono lo strumento per ricondurre a un ordine di legalità internazionale le cose che noi riteniamo non abbiano funzionato. Ed è questa la ragione per la quale noi stiamo spingendo per l’applicazione degli accordi di Minsk, che sono quelli che sono stati siglati per realizzare una pace duratura e un ripristino delle condizioni di legalità e di sicurezza in quella zona, esattamente dove la violazione si è verificata. Realizzandosi questi accordi, noi saremo i primi a dire che le sanzioni possono essere tolte. Nel frattempo noi abbiamo tenuto dei rapporti commerciali molto solidi, esattamente come ha fatto la Germania, come hanno fatto tutti gli altri Paesi con la Russia, che è un nostro partner. Vi dico due cose. La prima, tutto ciò che noi abbiamo fatto in termini di sanzioni non ha portato la Russia ad avere nei nostri confronti un atteggiamento escludente e negativo, al punto che poco più di un mese fa il Governo russo ha affidato a una grande impresa italiana una commessa che sfiora i 4 miliardi di euro e non è un lapsus mio. D’altro canto non dobbiamo dimenticare una cosa nella partnership NATO – Russia, che a Pratica di Mare fu realizzato un accordo che fece nascere il Consiglio NATO – Russia. Io credo che quell’evento di Pratica di Mare sia uno dei più importanti lasciti della politica estera dei governi Berlusconi, perché quell’evento che fece nascere il consiglio NATO – Russia, fece nascere una modalità di dialogo che deve funzionare con il bel tempo e con il cattivo tempo e che quindi è un ombrello che salvaguardia anche in caso di maltempo. Il canale del dialogo va sempre tenuto aperto, anche ricordando, ed è la seconda cosa che volevo dirvi e concludo, che non bisogna mai dimenticare che la Russia fa parte di un’alleanza globale contro il terrorismo internazionale e che non va mai sminuito e svilito il senso di quella partecipazione della Russia all’alleanza globale anti terrorismo. Quindi muoversi sul filo dell’equilibrio è un qualcosa di buon senso. Io so che al tempo dei “vaffa” e al tempo delle “ruspe” il buon senso sembra vintage, ma a me la parola buon senso continua a piacere.

ROBERTO FONTOLAN:
Mister Stoltenberg, oggi probabilmente nessuno più si illude, la democrazia non si esporta con la guerra, ma allora, e lo chiedo anche all’uomo politico Stoltenberg, come oggi possiamo non solo difendere ma anche diffondere la democrazia, c’è un ruolo della NATO in questo? Lo chiedo perché la NATO non si occupa soltanto di difesa e di militare, fa molte altre cose.

JENS STOLTENBERG:
L’obiettivo principale della NATO è difendere i propri alleati. Tuttavia la NATO sta difendendo anche alcuni valori. Nel nostro Trattato fondativo viene sancito chiaramente che i nostri valori principali sono la libertà, le libertà individuali e lo stato di diritto. E questi valori fondamentali sono anche i valori fondamentali di qualsiasi società democratica. Quindi, la NATO è un’alleanza di 29 democrazie e per avere una forte NATO a difesa della nostra società democratica, concordo pienamente con il ministro Alfano sul fatto che le persone devono essere sicure per sentirsi libere perché non c’è una vera democrazia senza libertà.
Quindi la NATO sta contribuendo alla democrazia in parte grazie alla difesa che fa dei nostri Paesi, in parte cercando di aiutare, non con la forza ma con la cooperazione, a costruire istituzioni democratiche in altri Paesi. Per esempio, stiamo aiutando l’Afghanistan a creare istituzioni governative non corrotte anche a difesa delle istituzioni democratiche, per difenderle dalla violenza dal terrorismo, dai talebani. La NATO si è impegnata molto nel fermare le guerre etniche negli anni ’90 in Bosnia ed Erzegovina, vicino all’Italia, in Serbia e nel Kossovo. Anche lì la questione era fornire aiuto e dare pace per dare fondamenta alla democrazia. Quindi il ruolo della NATO è sì difensivo nei confronti di 29 democrazie con quasi un miliardo di persone che vivono in società democratiche, però la responsabilità della NATO sta anche nel lavorare con i suoi partner in tutto il mondo per creare delle società libere e democratiche. Questo farà bene a loro ma farà bene anche a noi perché se abbiamo dei vicini liberi democratici e stabili anche noi potremo essere più sicuri. E dato che sono qui a Rimini a questo Meeting, posso dire che tutto questo sta anche nella libertà di religione, perché quando l’atto fondamentale della NATO parla di libertà fondamentali, queste comprendono anche la libertà religiosa, la libertà di credere nel Dio in cui ognuno vuole credere. Quindi la NATO è un’alleanza per la democrazia, per la pace e per la libertà, grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie. Nel salutarvi tutti, ricordo che sostenere il Meeting si può in tanti modi, partecipando agli incontri, frequentandolo in questa settimana e aiutandolo anche nelle varie postazioni “Dona ora”. Nel salutare i nostri due ospiti, sono sicuro che il Ministro Alfano sicuramente compirà anche l’undicesima visita probabilmente l’anno prossimo. A Mr. Stoltenberg ricordo la sua promessa di tornare qui in vacanza ma noi non lo lasceremo fare solo vacanza e perciò speriamo di vederlo qui con noi anche l’anno prossimo. Grazie al Segretario di Stato per gli Affari Esteri di San Marino e a tutti voi per la vostra presenza.

Data

24 Agosto 2017

Ora

15:00

Edizione

2017

Luogo

Salone Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri