Chi siamo
CRISTIANI NEL MONDO ARABO
Incontro con S. Ecc. Mons. Paul Hinder, Vicario Apostolico per l’Arabia. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.
MODERATORE:
Buona sera a tutti, abbiamo sentito con grande angoscia, in questi giorni, le notizie del dramma dei cristiani in India e penso che molti di noi abbiano sempre nel cuore anche la difficile situazione, la sofferenza grande dei cristiani in Iraq, così come si è sviluppata in questi anni.
Insomma, sembra che nel nostro mondo essere cristiani, testimoniare la fede stia diventando sempre più difficile. Da dove partire allora? Come restare certi e saldi? Come non lasciare intimidire la speranza che è per tutti, per ogni uomo, la speranza portata dal cristianesimo? Quale protagonismo, per rievocare il titolo del nostro Meeting, è possibile se le condizioni sono così difficili?
Ecco, in questa ora abbiamo la fortuna o la grazia di avere qui con noi un testimone davvero eccezionale. Oggi ascolteremo da lui il racconto della straordinaria e quasi del tutto sconosciuta realtà della Chiesa che vive nella terra del profeta dell’Islam, l’Arabia, la penisola araba. È qui con noi sua Eccellenza Paul Hinder, Vicario Apostolico per l’Arabia, una persona, come sentirete, che ha molte, molte cose da raccontare, anche se non le può raccontare tutte.
Per cominciare questo nostro incontro volevamo proporvi di vedere insieme a Mons. Hinder alcune foto che un po’ illustrano la realtà così poco conosciuta del suo incarico, della sua vita in questo mondo. Improvviseremo un po’ qualche spiegazione, ci darà Sua Eccellenza qualche spiegazione di quello che vedremo e poi proseguiremo con la nostra conversazione, però è un’occasione anche per rendersi conto visivamente di che cosa è questa realtà. Prego sua eccellenza.
Foto
MODERATORE:
Per introdurre la nostra conversazione, devo dire che quando alcuni anni fa l’avevo sentita raccontare per la prima volta, in un incontro internazionale della rivista Oasis, a Venezia, l’avevo sentita raccontare quel che accade negli Emirati la Settimana Santa, ero rimasto sbalordito.
Adesso abbiamo visto alcune di queste foto: 60.000-70.000 persone che partecipano ai riti della Settimana Santa, ad Abu Dhabi, a me sembra una cosa sbalorditiva, anche perché è un mondo che credo pochissimi di noi conoscano. Eccellenza, se vuole raccontare un po’ di questa cosa, anche le tante nazionalità che ci sono, l’universo in cui la sua chiesa vive. Intanto, scusi, Vicario Apostolico, per noi un po’ profani, vuol dire Vescovo?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
È un Vescovo di una quasi diocesi in un territorio dove è difficile dirigere una diocesi normale per diverse ragioni. Nella mia zona evidentemente la ragione principale è che non ci sono cristiani locali, tutti sono migranti, tutti, dal fedele che è arrivato ieri, fino al vescovo.
E poi è un territorio che copre sei paesi, cioè tutta la penisola araba, eccetto il Kuwait, che per ragioni storiche ha un vicariato apostolico a parte, con Mons. Camillo Ballin, un italiano comboniano.
Allora, noi siamo sottomessi direttamente al Papa tramite la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, una figura prevista dal diritto canonico per queste situazioni particolari. La stragrande maggioranza oggi giorno sono diocesi normali, però da noi non è possibile, non abbiamo seminari minori né maggiori, non abbiamo la possibilità di inserire un clero, perché tutti sono stranieri e devono lasciare probabilmente, almeno la gente ordinaria, deve lasciare il paese all’età di 60 anni, allora si crea una situazione di cambiamento continuo anche della nostra chiesa stessa, siamo al 100% una chiesa pellegrina.
MODERATORE:
Ecco allora lei governa, non so se si può dire così, una specie di diocesi, una quasi diocesi – possiamo definirla in questo modo? – che è enorme, è quella più grande del mondo in termini geografici?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Almeno in termini geografici, perché copre un terreno di 3 milioni di chilometri quadrati, è un continente quasi.
MODERATORE:
Ecco allora, in questa Settimana Santa che cosa succede, come arriva tutto questo popolo alla sua cattedrale in queste celebrazioni?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Quando ho raccontato quella storia, era, mi sembra, il primo anno da quando sono vescovo ausiliare. Ero stato invitato ad andare a Dubai, che è la parrocchia più grande del vicariato, non sappiamo quanti cattolici abbiamo nelle parrocchie, neanche in tutto il territorio.
In tutto il territorio, probabilmente, sono intorno ai due milioni, a Dubai, la parrocchia di St.Mary Church sicuramente ne conta più di centomila anche se non tutti possono raggiungere la chiesa per diverse ragioni. Allora io sono stato invitato a presiedere le funzioni della settimana santa nell’anno 2004 e sono rimasto stupito. La messa della Coena Domini, il giovedì santo: tutto pieno; per l’ufficio della passione del Signore, il Venerdì Santo, abbiamo dovuto fare tre volte la via crucis, con migliaia e migliaia di persone. Non sappiamo esattamente quanti, ma qualcuno che conosce bene la cosa, mi ha detto che giovedì sera c’erano intorno a trentamila fedeli, evidentemente non potevo contarli e anche la vigilia pasquale e il giorno di pasqua erano così tanti.
È chiaro che questa situazione è dovuta al semplice fatto che a Dubai città abbiamo una sola chiesa, è come davanti alla galleria del San Gottardo, quando inizia la stagione del turismo, ci sono le colonne e questa è la situazione davanti alle nostre chiese per le grandi feste, qualche volta anche durante l’anno. Se avessimo più possibilità di costruire chiese anche nelle grandi città, saremmo un po’ più equilibrati. Però rimane il fatto che la persone, soprattutto di provenienza asiatica, sono di una pietà, di una fede profonda, con un impegno che veramente mi stupisce, non soltanto riguardo alle pratiche religiose, ma anche di impegno personale. Come qui in questi giorni ho visto tanti volontari, così è da noi, perché noi viviamo in gran parte con il volontariato, tutto il catechismo è sulle spalle di laici, donne e uomini, che consacrano il loro tempo libero, il venerdì, forse anche il sabato, per il catechismo a migliaia di bambini. Come ho detto in una intervista, io, anche in questa situazione che qualche volta è un po’ difficile, mi sento rafforzato dai fedeli che mi danno la gioia della fede, la gioia della chiesa.
Come ho detto al Santo Padre durante l’ultima visita a Roma: “Santo Padre, io non ho cercato di essere vescovo, anzi, non ho voluto essere un vescovo, però se devo essere un vescovo, preferisco di esserlo in Arabia e non nella mia patria a causa della vivacità e dell’impegno di questi fedeli”.
MODERATORE:
E come è composta la realtà di questi fedeli che vivono nella sua diocesi, nella sua quasi diocesi? Come sono queste grandi espressioni nazionali e culturali? Lei ha citato questa grande presenza di orientali, dalle Filippine, dall’India, però ci sono anche tante altre comunità nazionali.
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Sì, è presente quasi il mondo intero. È chiaro che in maggioranza sono asiatici, dalle Filippine, dall’India e dagli altri paesi dell’Asia poi dalle nazioni arabe intorno, che hanno delle minoranze cristiane: Libano, Siria, Egitto, Iraq, Giordania, Palestina e poi europei, americani, sempre di più anche latino-americani provenienti dai paesi specializzati nel campo petrolifero e poi africani, un po’ di tutto.
Cerchiamo di organizzare un po’ la pastorale, almeno durante certi tempi forti dell’anno, anche in funzione di questa provenienza, ma siamo obbligati a fare un rito un po’ cattolico, nel senso che dobbiamo trovare una lingua comune che, in genere, è l’inglese, anche se come avete visto il giorno di pasqua facciamo delle messe in altre lingue.
MODERATORE:
Insomma l’inglese è come il nuovo latino, in un certo senso, per questa nuova cattolicità. Ecco, come definisce la vostra situazione: piena libertà, libertà condizionata, non libertà?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Sicuramente è una libertà condizionata. Io distinguo molto tra libertà religiosa, nel senso dei diritti umani e anche di libertà di culto e libertà religiosa nel senso della libertà individuale della persona di scegliere quale credo seguire o di non credere del tutto. Quest’ultima non esiste.
Esiste soltanto per certe religioni. Io posso farmi senza problemi musulmano in questi paesi, ma la libertà individuale non è un concetto che esiste in questo mondo arabo, per diverse ragioni che non voglio spiegare, perché ci condurrebbe troppo lontano. I diritti umani, diciamo, sono condizionati. La libertà di culto esiste in tutti i paesi eccetto uno, il più grande, dove non è ancora lecito operare un culto pubblico, visibile. In Arabia Saudita non abbiamo ancora delle chiese, ma in tutti gli altri paesi della zona abbiamo i nostri luoghi che, di solito, sono messi a disposizione dei governi. All’interno di questo compound del territorio parrocchiale siamo liberi, possiamo anche fare delle processioni e delle celebrazioni, come avete visto, in quanto non disturbiamo gli altri. Il principio, un po’ più modificato, vale anche per l’Arabia Saudita, dove almeno la posizione ufficiale del re è che il culto e le preghiere in privato e in piccoli gruppi sono lecite. È possibile farlo ma sempre con la condizione di non disturbare nessuno, non fare come nell’albergo dove sono io che fino all’una del mattino c’è il rumore.… non so di che cosa. La liturgia in questo senso no, così come mettere la macchina davanti alla casa di qualcuno di locale, che si sente ferito quando non c’è più posto per la sua macchina. Tutte queste piccole cose devono essere rispettate quando lo facciamo. Il problema è che non ci sono chiese, la nostra è una chiesa che deve organizzarsi con laici che guidano queste piccole comunità. Da noi, negli Emirati Uniti, nel Bahrein o nell’Oman ci sono dei posti dove possiamo fare tutto, l’abbiamo visto nelle fotografie.
MODERATORE:
Quindi, se capisco bene, la libertà non coincide con la libertà religiosa, come ha detto lei all’inizio, cioè con la libertà di scegliere.
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Sì, è per quello che anche un’opera missionaria nel senso classico è quasi impossibile, eccetto riguardo ad appartenenti non cristiani, non musulmani. Cioè se un indù dell’India, che vive negli Emirati Uniti, chiede di diventare cristiano, di essere battezzato, noi possiamo accettarlo, non è un problema, però mai un birmano, quello metterebbe tutto a rischio, perché non è lecito secondo la legge musulmana che un musulmano diventa cristiano in questi casi.
MODERATORE:
Come sono considerati gli stranieri che spesso sono anche cristiani?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
L’importante è dire che tocca a tutti non soltanto ai cristiani. Noi abbiamo indù, abbiamo buddisti, abbiamo un po’ di tutte le specie di religioni, molto spesso il problema è legato all’appartenenza sia nazionale sia della razza. Perché è anche vero che come in altre parti del mondo esiste anche una certa specie di razzismo tra le diverse fasce, che può rendere difficile qualche volta il rapporto, però non metterei tutto sulle spalle della questione della religione. Io conosco cristiani che hanno una buona posizione, anche riguardo al Governo, nell’amministrazione, sono consiglieri ben stimati; ci sono pakistani che sono stimati poco. Allora dobbiamo stare attenti di non cadere in quella trappola di vedere tutto sotto uno stesso angolo: i cristiani sono perseguitati e gli altri no. In questa zona dell’Arabia non è una persecuzione attiva, nel senso come l’abbiamo in questi giorni in Orissa o in altre parti. Se c’è una persecuzione coincide con queste condizioni che rendono difficile un’opera, un lavoro pastorale libero. In certi paesi, invece, non c’è la vera libertà di culto, io sono preoccupato pensando che in Arabia Saudita esiste più di un milione di cristiani cattolici e non c’è la possibilità che noi ce ne occupiamo in modo regolare. Allora questo evidentemente è il lavoro per il futuro. Noi stiamo lavorando discretamente, io come ho detto a lei e ad altri, io non faccio pubblicità di queste cose, perché più discretamente noi lavoriamo, più sicuro è un successo relativo. È per questo anche che mi limito a queste poche osservazioni, non aspettatevi da me che io vi racconti grandi cose, perché metterebbero a rischio la vita di questi nostri fratelli e sorelle che lì vivono. Il servizio che potete farci è di pregare per loro, di rendervi conto che esiste una chiesa vivissima, anche se non è tanto visibile. Allora io direi del vostro titolo: “Protagonisti o nessuno”, io direi che nella nostra situazione, noi siamo protagonisti, nel senso del vangelo, proprio perché noi siamo nessuno.
MODERATORE:
È molto bello questo rovesciamento del titolo. Abbiamo visto nelle foto questa inaugurazione della chiesa a Doha, della quale effettivamente si era parlato, anche i giornali ne hanno parlato dappertutto. E pensate che questa chiesa ha…
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Si, 2500 posti seduti, possiamo metterci facilmente 4000 persone con quelli che stanno in piedi.
MODERATORE:
È vero che è senza nessun segno visibile all’estero no? E quanto c’è voluto per costruirla, come sono andate le trattative?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
La costruzione è andata velocissima.
MODERATORE:
Lì costruiscono tutto in modo veloce.
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Però le trattative sono state un processo molto lungo, cominciato sotto il mio predecessore Mons. Bernardo Cremoli, che ha fatto delle cose stupende in tutto il vicariato. Io sono in ammirazione per lui, quando vedo ciò che ha fatto durante i suoi 29 anni, perché tutte le chiese ora esistenti sono state fatte, costruite o ricostruite quando lui era vescovo. Allora i piani sono stati fatti già al suo tempo, quando sono arrivato come ausiliare ne abbiamo parlato, rivisti i piani con l’architetto, però le trattative con il governo, con l’emiro sono state iniziate forse 15 anni fa. Poi ci voleva pazienza, ci voleva l’aiuto di certi diplomatici che hanno lavorato fortemente a nostro favore, anche non cattolici, per aiutarci ad ottenere questo terreno, ad ottenere questo permesso di costruire questa chiesa. Noi non siamo gli unici, ci sono anche le altre denominazioni cristiane che hanno ottenuto questo diritto.
MODERATORE:
Ecco questo mi porta a farle una domanda sul tema del dialogo, perché questa trattativa per la costruzione di una chiesa, di una cosa così importante, certamente implica un atteggiamento più generale di rapporto con queste autorità e anche di rapporto con un’altra religione, con un’altra cultura, no? Qual è il suo punto di vista sul cosiddetto dialogo interreligioso, che è uno dei temi che in questi anni 2000 è diventato prorompente, incandescente?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Sì, non c’è altra strada. Dobbiamo metterci o rimanere in contatto, in dialogo in quel senso, non c’è altra strada. È come nel mondo politico, fin quando si parla non si uccide. Però non aspettatevi troppo da un dialogo, diciamo una specie di unificazione delle religioni, il dialogo deve sempre partire da una chiara identità, sia la nostra sia quella degli altri. Non si tratta di arrivare ad un compromesso religioso. Si tratta di capire meglio cosa crede l’altro, prima di tutto cosa credo io. Qualche volta il dialogo, un certo dialogo religioso è debole perché già il punto di partenza è sbagliato. Io penso che già la mia propria identità, in quanto cristiano, deve essere chiara e devo anche dirlo, non nel senso di attaccare l’altro, però coraggiosamente dire: questo io credo. E vi dico che non è sempre così facile, nel mondo dove io sono, professare apertamente la propria fede, perché noi abbiamo, soprattutto in quanto europei, la tendenza ad attenuare, a non ferire gli altri, però se Gesù Cristo è il figlio di Dio vivo per me, io devo dirlo, anche se l’altro lo prende forse come un insulto sulla base del Corano. È una questione di onestà: io mi aspetto lo stesso dall’altro. La posizione della chiesa cattolica è un po’ più facile, generalmente perché abbiamo una voce comune; è molto più difficile con i musulmani, perché loro non hanno un magistero centrale, che può definire chiaramente cosa è l’Islam, anche se ci sono delle Università, come al Cairo o altrove. Ma non c’è qualcuno che definisce per tutti una dottrina chiara, chiaramente definita per l’Islam. Per quello dobbiamo anche stare attenti di non considerare una voce, diciamo liberale, come la voce di tutto l’Islam. Ma anche l’altro lato è vero: non prendere una voce radicale per la voce di tutto l’Islam. Dobbiamo sempre distinguere e fare il discernimento. Io personalmente non sono specialista in islamologia, non aspettatevi da me…. per questo ci sono altre persone; io sono in contatto sul posto con persone che hanno una certa posizione teologica, diciamo con l’Islam, non soltanto con il nostro paese ma diciamo a livello del mondo musulmano, diciamo delle autorità morali; ora sono anche consultore del Segretariato per il dialogo interreligioso della Santa Sede, che mi apre certe porte. Per darvi un esempio, l’altro ieri ho ricevuto l’invito di un musulmano abbastanza importante del Bahrein, che mi invita in quanto vescovo a partecipare ad una cena festiva, per l’inizio del Ramadan, ma con la volontà di costruire un rapporto. Io l’ho già sentito, gli ho già scritto, non lo conosco personalmente, però sono piccoli passi importanti e capita durante il Ramadan e poi vado come vescovo con la croce, non c’è difficoltà quando sono invitato da una personalità musulmana importante. Allora su quel livello non è una difficoltà maggiore, il problema è di trovare un linguaggio per intenderci, per capirci, perché gli stessi termini non dicono sempre lo stesso per ambedue le parti, quella è la difficoltà. Sfortunatamente non sono stato in grado di raggiungere quella conferenza a Madrid, che si è fatta sull’invito del re dell’Arabia Saudita. Mi aveva invitato, ma avevo già un impegno a Sidney, per la giornata mondiale della gioventù, che non potevo più cancellare. Il mondo si muove e io credo anche con onestà. È chiaro che un musulmano ha la sua posizione e l’interesse di difendere la sua religione, come facciamo noi, però le iniziative fatte per esempio dal re dell’Arabia Saudita, io personalmente sono convinto che siano oneste, che lui voglia riunire le grandi religioni perché, rispetto a certe preoccupazione mondiali, trovino almeno una certa risposta in comune, riguardo alla famiglia, a certi valori basilari delle nostre società, come giustizia e pace. Penso che le religioni, la nostra, la musulmana, l’ebraica, le altre abbiano la responsabilità di mettersi insieme, non per trovare una comune religione, ma per lavorare nella stessa direzione per il bene della comunità.
MODERATORE:
Questo è un livello del dialogo. Abbiamo visto in quelle immagini centinaia e migliaia di persone. Nella vita quotidiana, nella dimensione normale dell’esistenza, nel lavoro, tra questi mondi si può parlare di un dialogo tra le persone? Tra le persone comuni? C’è un livello di integrazione, di convivenza tra questi mondi, tra questa grande minoranza cristiana e la grande maggioranza musulmana?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Qui dobbiamo distinguere un po’ in quali paesi. È chiaro che la situazione demografica è differente. Per esempio va meglio negli Emirati Uniti, dove almeno il 75% della popolazione sono stranieri, solo un quarto al massimo sono locali, a Dubai sono forse appena il 20%. Allora qualche volta nella vita quotidiana non è evidente e poi la metà sono donne, che non sono visibili facilmente in pubblico, almeno in certi paesi, non è evidente quindi di essere in contatto vivo con famiglie musulmane quando si costruiscono certe amicizie. Per esempio il Ramadan è una buona occasione di fare una visita, di fare un gesto, e poi ci sono dei musulmani che ci fanno un gesto, un segno per le grandi feste come il Natale o Pasqua. Sono piccoli passi, ma anche nella vita quotidiana, quando io vado dal barbiere, io vado da un musulmano indiano, che sa che io sono cristiano, perché io vado con l’abito religioso, non sa che cosa è un vescovo, però non importa. In questo senso ci sono nella pratica della vita quotidiana dei rapporti, come ho già detto prima. Io vado regolarmente dal consigliere religioso del presidente degli Emirati Uniti, con cui ho un rapporto ottimo, qualche volta mi fa anche delle domande, mi ricordo una volta che mi ha chiesto: che cosa ha voluto dire il cardinale Touran quando ha parlato del libro del Corano come libro santo e ha accennato che il carattere della Bibbia come libro santo non è da capire allo stesso modo? Allora mi chiedono la mia interpretazione, cioè mi interpellano in quanto rappresentante del papa, forse anche a causa del titolo di vicario apostolico. In queste riunioni io molto spesso, poiché il nunzio non risiede ad Abu Dhabi, mi presentano come il rappresentate del papa, allora devo stare attento perché quello che dico non è colto soltanto come la mia opinione, ma come l’opinione della chiesa. Allora lì ci sono delle possibilità enormi, è chiaro che io devo stare attento, anche in modo diplomatico: non mettere a rischio anche ciò che abbiamo, è la mia ferma volontà. Ciò che vorrei aggiungere è che è importante anche qui, in Europa: dobbiamo considerare, malgrado le difficoltà che esistono, dobbiamo considerare anche il mondo dei musulmani come una religione: per loro è una fede, è un impegno riguardo a Dio. È chiaro che esiste la doppia morale come in ogni altra parte del mondo, forse anche di più, però per la maggioranza di questi musulmani la religione è una parte integrale della loro vita e dà loro forza. Non voglio negare le difficoltà all’interno di certi paesi, sta crollando anche questa sicurezza in certe parti, però è importante per noi avere questo rispetto per un mondo che è un mondo di fede, di un’altra fede, ma non soltanto un movimento di potere, di politica o di terrorismo. Queste sono minoranze, pericolosissime ma non rappresentano la massa della gente, che ha la stessa sete della pace, della giustizia, la preoccupazione dei figli, di come guadagnare il futuro e assicurare i valori basilari di una società. Anche loro soffrono il crollo del mondo tradizionale, sentono bene che qualcosa sta cambiando, qualcosa che provoca in parte anche il radicalismo, il fondamentalismo, invocato spesso come una protezione sbagliata, ma è importante per noi capire questa minaccia per tante persone.
MODERATORE:
Ecco, ma questo aspetto che lei ha sottolineato adesso, questa importanza così fondamentale di una esperienza religiosa, di un’esperienza di fede così radicata e così diffusa, è una cosa che noi qui in Europa capiamo oppure no? In sostanza che cosa dovremmo imparare di più per affrontare, per dialogare, per rapportaci in questo universo? In che cosa sbagliamo, se sbagliamo qualche cosa qui, in questa parte del mondo, in questa visione, in questa cultura europea occidentale?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Ci sono quelli che guardano con un occhio innocente la realtà e pensano che possiamo intenderci facilmente, ma non è così. Forse ora non è più così, ma qualche anno fa, in qualche parte dell’Europa, si diceva che non importa cosa sia questa realtà musulmana o cristiana, l’importante è che ci intendiamo. Mi sembra questa una illusione. Dobbiamo essere onesti, però rispettarci. Un altro rischio, secondo me, è la tendenza ad una arroganza che abbiamo nella nostra cultura, non soltanto riguardo all’Islam. Io credo che noi europei, io sono europeo, abbiamo la tendenza a pensarci come la cima dello sviluppo dell’umanità, la nostra cultura è sempre in avanti, se parliamo degli altri abbiamo la tendenza a dire che non sono ancora arrivati dove siamo arrivati noi, e questo non è giusto. È chiaro che la cultura e la civilizzazione americana oggi ha marcato il mondo intero, soprattutto sul livello tecnico, non c’è dubbio. Però io non sono sicuro che tutti debbano passare esattamente dalla stessa storia. Forse ci sono altri modi di digerire questa dicotomia tra il mondo tecnologico moderno e il passato della propria storia e religione. Anche io sono convinto che il mondo dei musulmani o delle altre religioni deve aprirsi di più ad un ragionamento, ad un processo della ragione come il nostro, però non è detto che automaticamente questo debba condurli allo stesso secolarismo che abbiamo in Europa. Forse abbiamo sbagliato noi. Dovremmo almeno avere l’umiltà di relativizzare la nostra propria posizione, pur essendo convinto che abbiamo da contribuire con la nostra tradizione cristiana in Europa, però con un po’ più di umiltà e senza troppa arroganza.
MODERATORE:
Nel rapporto spesso pieno di difficoltà ma anche pieno di interesse, c’è una nozione che a me pare che qui da noi in occidente, per dir così, sia stata abbastanza chiara. Se ne è parlato per molto tempo, è la nozione di reciprocità, la dico in modo molto banale: se apriamo una moschea in Italia allora deve essere aperta una chiesa in Arabia Saudita. La dico in modo molto stringato, ma sostanzialmente c’è questa nozione della reciprocità, se ne è parlato per molti anni ed è stato oggetto di tantissime sessioni di questo famoso dialogo. Io so che lei ha una posizione un po’ diversa di questa nozione, forse addirittura critica. È vero? Ci può spiegare?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
È chiaro che anche io sono contento se mi permettono di costruire una chiesa. In tutti i paesi io non sono a posto se un giorno il re dell’Arabia Saudita non mi permette di costruire delle chiese. Però io credo che, se insistiamo sulla reciprocità in un senso quasi matematico, la cosa non funzioni. Prima di tutto il concetto di una democrazia di stile occidentale è il risultato di un lungo processo, a partire dalla rivoluzione francese fino alla piena accettazione da parte dalla chiesa cattolica. Abbiamo sentito in questi giorni, in un incontro, i problemi posti dal non expedit, e come fosse difficile accettare una democrazia nello stile moderno, Abbiamo fatto questo passo durante un lungo processo. Io dico che noi, ora, dobbiamo lasciare anche un po’ più di tempo a questi paesi, che escono da una situazione diversa, e non è, secondo me, possibile imporre una democrazia, con tutti i diritti umani, fra qualche anno. Nel frattempo non credo che possiamo attuare il principio “occhio per occhio”, sia nel negativo sia nel positivo. Una moschea a Roma allora un’altra chiesa a Riad, una moschea a Londra, allora una chiesa a Sala …Non possiamo procedere in questo modo: contare numericamente. Ciò che dobbiamo, piuttosto, è di convincere la gente. Voi, a partire dalla vostra propria tradizione, avete un rispetto per l’essere umano che deriva dal suo essere in rapporto con Dio. Nella vostra propria tradizione dite che tutti non credono nello stesso modo in Dio. E per quello che c’è nel Corano il rispetto per esempio dei cristiani e degli ebrei. Allora se questo è vero nella vostra tradizione, dovete rispettare questa gente che costruisce le strutture nel vostro paese. Il miracolo economico di Dubai è fatto sulle spalle degli stranieri: nessun locale ha toccato una pietra con le sue mani, tutto è fatto dagli stranieri. Allora perché non dare alla stessa gente quella soddisfazione di vivere anche l’altra dimensione essenziale della nostra vita umana, che è il rapporto con Dio nella religione rispettiva? E a questo ragionamento, secondo la mia esperienza, sono aperti almeno quelli che hanno una certa educazione, anche se hanno forse ancora la difficoltà di accettare la dichiarazione dei diritti umani universali definita dalle Nazioni unite o quella della Rivoluzione francese e dell’Indipendenza degli Stati Uniti. Ciò non impedisce, e lo dico chiaramente, che anche i nostri politici, quando parlano a questi capi di Stato, possano e debbano menzionare questa situazione, però non secondo una reciprocità numerica, soltanto astratta, ma spiegando il perché. Poi possiamo procedere, passo dopo passo, a rispondere ai bisogni spirituali, religiosi basilari degli esseri umani che lavorano in questi paesi.
MODERATORE:
Ecco, avviandoci verso la conclusione vorrei chiedere: in che modo si può fare esperienza della fede in Cristo nella Terra Santa del profeta dell’Islam?
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Io ricorro sempre al fondatore della mia famiglia religiosa, che è un italiano: San Francesco d’Assisi. Lui fu il primo fondatore di un ordine a mettere un capitolo tra i saraceni, cioè tra i musulmani. E nella prima regola lui ha scritto un bel passo, io voglio leggerlo (sicuramente è conosciuto già da tanti qui presenti): “Un modo è che i fratelli non suscitino liti o controversie, ma siano soggetti per amore di Dio ad ogni umana creatura e confessino di essere cristiani”. E questa è la nostra situazione, non abbiamo la possibilità di una missionarietà attiva, però io dico molto spesso, riferendomi a San Francesco, alla mia gente: siete voi, con la vostra vita autentica in quanto cristiani, con il vostro coraggio di rivelarvi come cristiani, siete voi le pagine vive del Vangelo. Un modo di non litigare però di confessare di essere cristiani. Poi un altro modo, secondo elemento, è che “quando vedessero che piace al Signore, annuncino la parola di Dio, affinché quelli credano in Dio onnipotente, Padre Figlio e Spirito Santo, creatore di ogni cosa, Figlio redentore e salvatore, e siano battezzati e diventino cristiani, poiché chi non rinascerà dallo Spirito Santo non può entrare nel Regno di Dio”. Vediamo qui che San Francesco non ha negato questo aspetto, non lo ha nascosto, non ha detto andiamo avanti senza parlarne, però ha detto: quando vedono che piace al Signore, possono farlo. Per noi, nella situazione nostra, non è ancora venuto quel momento che possiamo farlo apertamente. Però forse un giorno verrà. E lo lascio, ed è importante per tutta la mia attività, a qualcun altro. Io non sono il capo della Chiesa, il capo della Chiesa è il Signore Gesù Cristo. Io sono il suo lavoratore e rappresentante, in quanto guida della Chiesa locale. Però se Lui non si occupa della sua propria opera, che cosa possiamo fare noi? È anche importante per l’Europa, però dobbiamo avere il coraggio di crederci, di credere che ci protegge, e quando dobbiamo passare sulle acque come San Pietro, non guardare troppo sulle acque movimentate, ma guardare Lui. E possiamo essere sicuri che Lui non mancherà di tendere la Sua mano. Questa, penso, è l’esperienza di tanti fedeli nel mio vicariato, l’ esperienza che il Signore c’è, anche nelle situazioni più difficili, in certi paesi, Lui è là, è lì, con la Sua mano.
MODERATORE:
In tutto il mondo arabo il cristianesimo è largamente minoritario e, come sappiamo, in questi anni tormentati molti cristiani hanno abbandonato l’Iraq, la Palestina, persino il Libano, che per tanti anni è stato il paese modello di una convivenza, persino in Libano sta lentamente sgretolandosi questo equilibrio. Spariranno le radici cristiane dal Medio Oriente? In qualche occasione è stato profetizzato: il cristianesimo diventerà un fenomeno totalmente straniero.
S. Ecc. Mons. PAUL HINDER:
Io non sono profeta. È chiaro che tutta la situazione attuale del Medio Oriente, soprattutto in quei paesi dove ci sono conflitti, vede il numero dei cristiani ridursi a causa della emigrazione, che ha diverse ragioni, non soltanto ragioni religiose. È possibile, sfortunatamente è possibile. Guardiamo storicamente la situazione nel Nord dell’Africa, dove c’era una Chiesa cattolica fiorente prima dell’Islam, che è crollata in relativamente pochi anni. In questi paesi ,dei quali noi parliamo, ci sono delle minoranze, e si parte dal caso particolare del Libano, che hanno resistito durante 1400 anni, e dobbiamo avere rispetto davanti a questi nostri fratelli e sorelle, che hanno mantenuto la fede in una situazione particolare, qualche volta difficile, anche di persecuzioni violente. E ora cosa capita? Il nostro contributo, a parte la preghiera, la solidarietà spirituale e umana, sicuramente è di fare una migliore politica. Perché è un fatto, la situazione in Medio Oriente in parte è conseguenza della storia moderna, prodotta in gran parte dai poteri d’Europa, la Gran Bretagna, la Francia, recentemente gli Stati Uniti e altri, che hanno la loro responsabilità. L’Iraq, nella forma attuale, è il risultato di una politica dell’ovest, nel penultimo secolo, nell’ultimo secolo, cioè nell’età del colonialismo. Allora dobbiamo stare attenti a non chiudere gli occhi davanti alla nostra propria responsabilità. Ora, tornando alla sua domanda, io spero che i cristiani dell’Iraq possano tornare, prima di tutto che possano rimanere quelli che ci sono ancora e che tanti altri possano un giorno tornare in sicurezza. Io spero che quelli nel Libano non siano forzati a prendere la fuga, a causa dell’oppressione che ora esiste, in questo cambiamento dell’equilibrio molto fragile che sempre è esistito nel Libano. Io spero, e torno a quello che è stato detto nell’altra grande sala ieri, che il conflitto palestinese-israeliano trovi una soluzione giusta per ambedue parti, perché quella è una ferita aperta, che condiziona tutto. Lo vedo anche nei miei contatti: quasi non c’è un solo incontro con musulmani ,anche della mia zona, che non faccia riferimento alla Palestina, alla questione palestinese e poi ora all’Iraq. E non sono solo loro che non vogliono o che hanno delle difficoltà, ci sono anche dei poteri dietro, diverse categorie che hanno la loro responsabilità al fine di aiutarci a correggere o a condurre ad un buon esito la cosa che è cominciata male. E i cristiani sono i primi a soffrirne, perché i cristiani, anche se non sono europei, sono molto spesso presi come i partigiani degli americani o europei, anche se da noi almeno il 90-95% dei cristiani sono asiatici o arabi o africani. Però, nella mente del posto, i cristiani molto spesso sono messi in quel cestino. E ciò non è vero. La Chiesa è molto più mondiale, la Chiesa cattolica non è una chiesa europea. Allora quando capiranno, forse tornerà loro la ragione. Io ho letto una volta un articolo locale, molto interessante, di un arabo che ha detto che il contributo dei cristiani arabi alla cultura araba è enorme, per la lingua, per l’arte, per la filosofia, ed ha detto che è nel nostro interesse arabo che i cristiani rimangano; e se scoprono e tutti condividono questo punto di vista, io vedo un futuro per i cristiani, anche di antica tradizione, per il mondo arabo. La nostra situazione è evidentemente diversa, perché noi siamo migranti di presenza recente. Però tornando a questi paesi dove ci sono tradizioni antiche, io, malgrado tutta la speranza che sopravvive, mi chiedo se non ci sia veramente un diavolo dietro, che vuol far finire tutta la storia in senso brutto.
MODERATORE:
Bene. Io vorrei chiedervi di ringraziare veramente profondamente, Sua Eccellenza. Vorrei solo sottolineare questi tre aspetti che ci sono stati richiamati: il primo è quello della nostra responsabilità di vicinanza e di amore per questi nostri fratelli, che oggi abbiamo imparato un po’a conoscere, un po’ più da vicino, grazie alla presenza di Sua Eccellenza; la seconda è che se è possibile lì, è possibile a chiunque in qualunque condizione; la terza è di nuovo un ringraziamento alla grande cortesia, grande onore che ci ha fatto Monsignor Hinder nel lasciare la sua regione per venire a trascorrere alcuni giorni qui con noi. Avete visto come in lui, ed è l’impressione, insomma la mia convinzione, sia proprio l’incarnazione delle grandi virtù cristiane, della pazienza, della temperanza e della trasparenza. In questo senso lo ringrazio ancora una volta e vi auguro, auguro a tutti voi una buona serata. Grazie.
(Trascrizione non rivista dai relatori)