COOPERARE PER CRESCERE

Partecipano: Luigi Marino, Presidente Confcooperative; Giuliano Poletti, Presidente Lega Coop. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.

 

MODERATORE:
Questo è un punto di forza, qualcuno lo chiama un’anomalia, comunque è un punto di forza, come abbiamo visto anche negli ultimi mesi, questo sistema funziona, e bisogna riprendere coscientemente i punti di forza che ci sono. Questo non distoglie il fatto che la politica deve fare il suo lavoro, ma la politica, senza un popolo che si mette a lavorare con fiducia, con impegno e con coscienza, non può fare neanche tanto. Abbiamo invitato Luigi Marino, presidente di Confcooperative e Giuliano Poletti, presidente della Lega Coop, perché siamo convinti che il sistema delle cooperative, per tradizione e attualmente, dà un grandissimo contributo. Vogliamo sentire le loro esperienze, dove loro vedono i punti di forza che il sistema delle cooperative può dare a questo Paese, il contributo specifico al bene comune. Quindi la prima domanda che rivolgo a tutti e due è questa: oggi, proprio in questo momento, qual è il contributo delle cooperative allo sviluppo di questo Paese? Non abbiamo il successo immediato, ma siamo in una fase di sviluppo. Cominciamo con Luigi Marino.

LUIGI MARINO:
Caro presidente, alla tua domanda rispondo con un’altra domanda: perché nasce una cooperativa? Una cooperativa nasce per risolvere dei problemi che richiedono la presenza di un’impresa, ma di un’impresa particolare. Le cooperative non nascono per guadagnare attraverso il capitale. Le cooperative non nascono per comandare attraverso il capitale. Le cooperative non nascono per investire il capitale che circola. Anzi, le cooperative sono spesso sottocapitalizzate, sono cioè delle imprese che camminano sulla fune della sottocapitalizzazione e quindi hanno bisogno di interventi per sostenere la patrimonializzazione, perché senza una adeguata patrimonializzazione le cooperative non possono competere sul mercato. Qual è il valore che arricchisce la cooperazione come dicevi tu, in questo momento, che aiuta lo sviluppo del Paese? Il fatto che la cooperativa porta un valore, il valore di un’impresa che non si unisce per il capitale, mettendo insieme delle energie umane, delle persone, e quindi la cooperativa è un’impresa per eccellenza della sussidiarietà, la cooperativa è un’impresa per eccellenza della promozione sociale. Quanti operai, migliaia di operai, di produttori agricoli, di artigiani, di commercianti, anche di professionisti, sono diventati dei capitani d’industria attraverso le cooperative. La cooperativa quindi non è un costrutto ideologico, non è un’invenzione intellettuale, è un’invenzione pratica per risolvere i problemi di tutti i giorni della gente che ha bisogno di poter vivere decorosamente con la propria occupazione, con una adeguata remunerazione o dei prodotti o del lavoro che svolge all’interno di un impresa. Qualcuno dentro e fuori il movimento cooperativo vorrebbe che la cooperazione per competere debba fare un po’ come la mossa del cavallo sugli scacchi: andare avanti e muoversi di lato, in una corsia laterale, la corsia delle imprese di capitale. Noi invece riteniamo che la grande forza che il movimento cooperativo ha acquisito in questi ultimi anni sia dovuta al fatto che le cooperative in grande misura sono rimaste se stesse cioè hanno fatto la loro corsa, la corsa che spetta ad imprese diverse, che hanno al centro la mutualità, la solidarietà, la partecipazione. Noi quindi pensiamo che per raggiungere ulteriori risultati, per far crescere il nostro Paese, non si possa che perseguire fino in fondo e coerentemente, i sani principi della cooperazione, non farsi allettare dalla facile finanza, operare nell’economia reale, come ha fatto la cooperazione in questi anni, cercare di realizzare la massima partecipazione dei soci cercare di avere una governance democratica, eletta dai soci non da tecnostrutture esterne. Io non ho pregiudiziali ideologiche o moralistiche, il rapporto tra salvezza e ricchezza non passa attraverso la forma giuridica della società, si può raggiungere la salvezza essendo ottimi imprenditori privati ed ottimi imprenditori e, viceversa, si può non raggiungere la salvezza né gli uni né gli altri. Pensiamo però che non si possano mescolare le cose, non si possa dire di fare una cosa raggiungendo l’obiettivo attraverso per esempio esternalizzazioni delle proprie attività ad esempio in alcune cooperative di lavoro, in società che hanno la stessa missione. Noi crediamo che la cooperazione raggiunga i propri obiettivi se rimane autentica, fedele e coerente alla propria missione. C’è un dato che vorrei portare, anzi, vorrei riallacciarmi al titolo che tu hai proposto per questo incontro: cooperare per crescere. Sono diversi i livelli di significato che ha questo titolo. Un primo livello è quello personale: la crescita di un Paese è anche la crescita di ogni persona. Io credo che attraverso le cooperative, lo spero, ogni persona che ne fa parte possa crescere personalmente, sul piano dell’umanità, perché è costretta a parlare con altri simili e prendere decisioni importanti con altre persone, non attraverso la forza del capitale. In secondo luogo cooperare per crescere riguarda una comunità. Dove ci sono cooperative noi sappiamo che c’è uno sviluppo più forte di crescita in termini di occupazione, di ricchezza, di equa ridistribuzione di questa ricchezza. Quindi cooperare per crescere della comunità, e tocco un tema caro a tutti noi, un tema di sussidiarietà, la cooperazione è sussidiarietà, ed una comunità non può non crescere attraverso la sussidiarietà. Mi riferisco in particolare ad alcuni istituti della cooperazione. In una comunità, in una cooperativa si può entrare con facilità, si deve entrare con facilità, proprio perché non gioca il capitale ma gioca la persona, la comunità. In secondo luogo la disponibilità, l’indivisibilità del patrimonio, che è un pegno per le future generazioni, si accumula per le future generazioni. È quello che alcuni, forse ne parleremo dopo, l’intassabilità parziale degli utili che vanno in riserva indivisibile, per accumulare sul territorio della ricchezza che poi passa di generazione in generazione. Infine, cooperare per crescere nel Paese, perché la cooperazione è fatta di economia reale. In modo particolare, noi e la Lega delle cooperative, abbiamo raggiunto il 7,5 % del PIL cooperazione italiana, dieci anni fa era il 2%, abbiamo superato il milione e duecentomila addetti, qualche anno fa eravamo cinquecento mila addetti. Abbiamo un numero enorme di soci, abbiamo raggiunto negli ultimi due anni il massimo degli utili che le cooperative hanno mai raggiunto nella loro storia. Ebbene questi dati, credo che poi Confcooperative e Lega in questi dati rappresentino l’85%, forse qualche cosa anche di più, sono stati realizzati in un momento, caro presidente, di difficoltà dell’economia, non è un momento di lancio dell’economia:, quello che vi ho detto, i parametri che vi ho detto vanno dal 2001 al 2006, in tempi di economia certamente non brillante. Gli economisti, quei pochi che seguono i fenomeni cooperativi, perché molti altri sono fortemente distratti anzi li ignorano, vogliono ignorare i risultati ottimi che ha raggiunto la cooperazione, dicono che la cooperazione ha una funzione anticiclica, nei momenti di difficoltà dell’economia o di restringimento dell’economia esce la forza della cooperativa. Io lo dico con le mie parole non certamente da bocconiano, io credo che le cooperative hanno priorità diverse dalle altre imprese di capitali e quindi hanno logiche gestionali diverse da quelle delle altre imprese di capitali. Le cooperative non hanno come le altre imprese di capitale lucrativo l’ansia di dare valore agli azionisti, per questo in tempi difficili noi cresciamo. Il nostro obiettivo è quello di valorizzare non gli azionisti, non il capitale, è quello di valorizzare il lavoro del socio, la remunerazione dei prodotti dei soci, l’occupazione, l’utenza, pensando di fare per esempio case a più basso prezzo. Questo è il nostro obiettivo, quindi noi non abbiamo l’ansia che hanno le altre imprese, e le buone performance delle imprese cooperative in Italia dimostrano che le cooperative italiane hanno effettivamente svolto la loro missione mutualistica. Volevo solo aggiungere, vedo che il tempo è già scaduto, questi due dati. Del milione e duecentomila addetti nella cooperazione, oltre il 50% sono donne e il 18% sono immigrati, questi non sono dati che abbiamo ricavato come spesso vedo girare sui giornali in modo approssimativo, ce li dà l’INPS, sono buona cooperazione, sono dati certificati dell’INPS. Allora la cooperazione è, come dire, una prova di Lisbona, di quello che i governi hanno deciso a Lisbona, di dare più spazio attraverso le imprese all’emancipazione femminile e a una dignitosa presenza sul nostro territorio di lavoratori extra comunitari.

MODERATORE:
Grazie, Giuliano

GIULIANO POLETTI:
1. Il significativo contributo che le imprese cooperative assicurano allo sviluppo del Paese in termini di produzione di ricchezza, crescita dell’occupazione, sviluppo dell’associazionismo economico è testimoniato da una serie di indicatori positivi, migliori rispetto alla media delle altre tipologie di impresa.
Le imprese cooperative rappresentano, oggi, circa il 7% del PIL e contano più di un milione di occupati.
Nell’ultimo decennio, le cooperative che aderiscono a Legacoop hanno più che raddoppiato il valore della produzione, che a fine 2007 ha superato la soglia dei 53 miliardi di Euro, ed hanno incrementato l’occupazione complessiva di oltre l’80%, giungendo a superare i 440.000 occupati. Anche i soci sono in costante crescita ed oggi sono quasi 8 milioni.

2. Questi risultati sono stati raggiunti grazie all’impegno di generazioni di soci e di lavoratori che, rinunciando all’arricchimento personale, hanno dedicato la loro intelligenza e le loro competenze a costruire un solido patrimonio imprenditoriale utile a tutta la collettività, conciliando mercato e solidarietà, sviluppo economico e qualità sociale, efficienza e responsabilità, mettendo sempre al centro della loro attività la persona e le sue esigenze. È ispirandosi a questi principi che le cooperative, nel corso della loro storia ultracentenaria, hanno difeso e sviluppato un’occupazione stabile e dignitosa, tutelato il potere d’acquisto e la salute dei consumatori, garantito l’accesso al bene casa a larghe fasce di popolazione, accresciuto le potenzialità di imprenditori associati, inserito nel mondo del lavoro soggetti svantaggiati, contribuito allo sviluppo di un welfare partecipato e responsabile.

3. La specificità della forma cooperativa parte dalla motivazione di base che la origina: la cooperativa è una società di persone, non una società di capitali. La cooperativa non nasce per remunerare il capitale del socio, ma per dare una risposta ad un bisogno, erogare un servizio che si realizza nello scambio mutualistico tra socio e cooperativa.
È evidente che la funzione prima della cooperativa è quella di far partecipare il cittadino – in veste di lavoratore, utente, imprenditore- alla vita dell’impresa; per cui c’è una valorizzazione dell’individuo non tanto e non solo come apportatore di manodopera, ma come persona in grado di conoscere i processi, di apportare un suo specifico contributo e, di conseguenza, di assumere una propria responsabilità.
Chi decide di costituire una nuova cooperativa, o di entrare a far parte come socio di una che già esiste, lo fa perché vuole trovare una risposta ai propri bisogni basata sull’assunzione di responsabilità e sull’impegno condivisi con altre persone.
Naturalmente, i bisogni evolvono di pari passo con i cambiamenti sociali. Ma la cooperativa, come forma di impresa che persegue il soddisfacimento di quei bisogni attraverso la scambio mutualistico tra i soci, conserva a pieno la propria validità.
Oggi si può pensare di costituire una cooperativa perché la cooperativa, per la sua natura di impresa che persegue la stabilità, è tendenzialmente volta non solo a dare una risposta alla domanda di lavoro, ma a dare una risposta di qualità, di stabilità, di rispetto dei diritti dei lavoratori. La cooperativa consente alla persona che sceglie questa strada di esprimersi non solo come lavoratore dipendente, ma come protagonista pieno della vita d’impresa e quindi dell’organizzazione della propria attività e del proprio lavoro. Oggi può scegliere tranquillamente la forma dell’impresa cooperativa chi aspira ad una maggiore responsabilità, ad essere protagonista delle proprie scelte di vita e non, invece, dipendente dalle scelte o dalle opzioni che qualcun altro, dirigente d’impresa o proprietario, farà coinvolgendo anche il futuro di altri soggetti.

4. La durata nel tempo. L’impresa cooperativa ha una logica intergenerazionale, ha comportamenti imprenditoriali diversi rispetto a quelle di altre imprese.
I manager delle imprese cooperative non hanno l’ “assillo della trimestrale”; debbono, piuttosto, produrre la condizione imprenditoriale per cui il socio possa avere il giusto scambio -di lavoro, di utenza o di servizio- e immaginano che questa impresa non potrà mai essere venduta. Non c’è, quindi, la volontà di accumulare valore in termini di scambio monetario, bensì in termini di uso; e, quindi, probabilmente investono di più, ma lo fanno perché l’impresa sia più efficiente, sono disposti ad accumulare in termini di conoscenza investendo di più sulle persone.
L’obiettivo di durare nel tempo produce dunque questo effetto, così come produce l’effetto di un diverso rapporto con la legalità.
È infatti del tutto evidente che nell’impresa cooperativa il vantaggio del singolo socio è dato dallo scambio che questo realizza con la cooperativa, ben diverso dallo scambio che realizza un capitalista proprietario di un’impresa; nel caso di una cooperativa, un effetto positivo potenzialmente prodotto da un comportamento illegale andrebbe ripartito tra un grande numero di soci; nel caso di una impresa di capitali probabilmente si concentrerebbe sul manager o sul proprietario. E questo induce ad un comportamento diverso nella relazione con la legalità.

5. C’è un dato, poi, che riguarda il radicamento territoriale. L’impresa cooperativa nasce per rispondere a bisogni tipici dei cittadini che le danno vita; e quindi vive direttamente sulla propria pelle le problematiche sociali, vive le questioni dei territori e degli ambienti; specularmente, la cooperativa è vissuta come soggetto che merita fiducia da parte dei decisori locali. Questo elemento produce un comportamento diverso anche rispetto alla possibilità di delocalizzare; è chiaro che una impresa cooperativa ha una relazione più forte con il territorio, una sorta di obbligo a garantire lavoro nel posto e non scegliendo altre strade.
Non avere scorciatoie – quali possono essere la delocalizzazione oppure la speculazione o comunque la riduzione dei diritti del lavoro- costringe le cooperative ed i loro manager a comportamenti logicamente più etici, più corrispondenti a quei tipi di bisogni. In cooperativa non si cerca il guadagno facile e rapido; si lavora per una prospettiva nel tempo. Per accrescere un patrimonio imprenditoriale e di esperienza che potrà essere utile ad altre persone.

MODERATORE:
Tu hai appena accennato che c’è un radicamento culturale della cooperazione, delle cooperative, forte, storicamente radicato nella tradizione socialista, nella tradizione cattolica, però vediamo che in questa continuità, che tuttora porta i suoi grandi frutti, c’è una discontinuità, cioè le cooperative sono sempre state in grado di affrontare i problemi storici che si sono posti al momento. Quindi la seconda domanda che vi volevo porre è questa: di fronte ai problemi che si prospettano e anche in parte sentiamo già, quali sono le prospettive che avete di cambiamento, di trasformazione, sia al vostro interno sia per quanto riguarda la politica, cioè che cosa prospettate per voi stessi come cambiamento che dovrete affrontare e qual è il tipo di sostegno che chiedete al paese?
Cominciamo sempre da Luigi

LUIGI MARINO:
Si, grazie. Ma di fronte alle cose che chiedevi tu, presidente, diceva anche Giuliano, ci sarebbe una domanda da fare: la politica e la società italiana comprendono il ruolo della cooperazione innanzitutto? Io debbo dire che, negli ultimi quindici anni, riscontro solo che le cooperative sono state ripetutamente attaccate, e che non hanno un buon nome e che al di là degli addetti ai lavori, al di là dei soci delle cooperative e anche non tutti, quello che si pensa della cooperazione non è sempre in termini positivi, anzi spesso, bisogna che lo riconosciamo, la cooperazione viene associata a un’impresa assistita, un’impresa agevolata. E d’altronde in questi anni abbiamo avuto, caro presidente, diverse a ondate di attacchi al movimento cooperativo. Una prima ondata è stata alla fine degli anni ottanta, quando ci veniva detto, appunto, che le cooperative sono assistite, e quindi in una economia di mercato che cresce, che evolve, sono destinate ad essere spazzate via. Poi invece le cooperative sono cresciute comunque e allora si è avuta una seconda generazione di attacchi, a metà degli anni novanta, che diceva pressoché questo: sì, le cooperative possono operare là dove l’economia di capitali non è appetibile, in alcuni settori dove non c’è appetibilità, quindi è una attività un po’ residuale, un po’ marginale. Negli altri casi le cooperative non possono reggere o comunque devono essere omologate. Poiché invece le cooperative sono andate avanti, sono cresciute in redditività e in dimensione, è arrivata la terza generazione di attacchi, quella attuale, quella che stiamo vivendo, la più difficile, la più pericolosa, la più esiziale per il movimento cooperativo, la più mortale. E’ un attacco, che ribalta, come dire, l’accusa, e dice: poiché siete diventati grandi e in alcuni casi forza strutturale in alcuni settori, non siete più cooperative, dovete essere omologate, dovete essere normalizzate ad altre imprese di capitali. Ripeto, questa è la fase attuale, che è poi arricchita anche dalla polemica sulla cooperative rosse. Io non vorrei mai più dire cooperativa rosse, ma per capirci in questo momento non posso fare dei giri di parole, perché con Poletti ci siamo detti che non dovremmo più dire né cooperative bianche né cooperative rosse. Tanto per incominciare a unire i nostri sforzi, è meglio che non annacquiamo il rosso e, come dire, non arrossiamo il bianco, quindi è meglio far scomparire queste denominazioni. Però, per capirci, in merito a questi discorsi c’è stata anche questa polemica forte, politica. E poi il contenuto del contenzioso di Bruxelles. Noi abbiamo un forte contenzioso a Bruxelles, che è stato alimentato da Federdistribuzioni, che comprende certi nomi, la Esselunga, alcune grandi aziende estere della distribuzione che operano in Italia, lobby potentissime, che muovono i governi, non quattro soldi, nomi veramente potenti, che riescono ad incidere fortemente sulla tecnocrazia di Bruxelles. Bruxelles è una tecnocrazia, bisogna che mi sfoghi, Bruxelles, l’Europa, quella per la quale anch’io negli anni giovanili ho combattuto e combatto, un’Europa dei popoli, della gente, che capisca le diversità, le differenziazioni, che unisca la gente nelle diversità, che applichi i principi di sussidiarietà: l’Europa non è questa, è una Europa fatta di tecnocrazie e le tecnocrazie sono sempre sensibili al potere finanziario e al potere economico. E anche il contenzioso di Bruxelles si riduce poi a questo: siccome siete divenuti tanto grandi da essere competitivi con noi, voi non siete più cooperative. Questo è la morale. Allora noi, a partire da Bruxelles e da queste vicende, abbiamo tratto due considerazioni. La prima è che nel nostro continente e anche nel nostro Paese la cultura di governo che ci amministra è monodirezionale, guarda solo all’impresa di capitali, lucrativa. La piccola e media impresa, il lavoro autonomo, cooperativo, no no no, tutte favole che si dicono nei convegni la domenica, perché il lunedì, quando si ricomincia a lavorare, si lavora su altri testi e questo vale per Soloni dell’economia come per i governanti, passando appunto per le tecnostrutture. Siamo appiattiti sul pensiero capitalistico, non si riesce a far capire le differenze che ci sono nel mercato e guardate che oggi quasi nessuno mette in dubbio le differenze religiose, culturali, etniche, anzi il dialogo inter-religioso viene richiesto, come dire, il federalismo è tutto sommato anche un esaltazione del principio delle diversità territoriali. Ma quando si parla di mercato siamo alla notte di Hegel, tutte le vacche devono essere nere, tutte devono essere omologate all’impresa di capitali e per questo paghiamo prezzi pesantissimi alla democrazia economica dell’Italia e dell’Europa. Questo abbiamo capito, quindi non è una battaglia solo del movimento cooperativo quella di Bruxelles, è una battaglia di tutte le forze autenticamente democratiche, che amano la sussidiarietà, che amano la libertà, che amano la diversità. Il secondo tema che abbiamo capito è che il mondo attorno a noi, a noi cooperatori, non si accontenta più dell’enunciazione che i nostri sono valori belli, eterni, che i nostri sono principi esaltanti, no, li vuole giustamente vedere messi in pratica. Vuole dalle cooperative autenticità, vuole vedere cooperative vere. E qui debbo dire che talvolta le cooperative e i cooperatori offrono il destro, perché se la partecipazione dei soci alla vita della cooperativa è molto ridotta, se lo scambio mutualistico tra cooperatore e cooperativa non è percepibile, non è visibile, si vaporizza; se il management delle cooperative di fatto diventa un padre padrone, le cose non vano bene. E questo può avvenire sia nelle grandi, Poletti, che nelle piccole cooperative. Nelle piccole, avviene esattamente la stessa cosa, non c’è un problema di dimensione, c’è un problema di qualità. Il management deve essere scelto dai soci, gli azionisti sono i cooperatori, i cooperatori, i cooperatori debbono scegliere i loro dirigenti, non farseli calare dall’alto o i dirigenti divenire a loro volta dei padri padroni della cooperativa. Noi offriamo il destro alle accuse di una cooperazione che si è autonormalizzata o automologata alle imprese di capitali. E poi c’è, per finire, la pregiudiziale della dimensione cooperativa, perché tutte queste battaglie poi si riducono, come dicevo prima, ad asserire: quando siete piccoli, marginali, non date fastidio, quando diventate grandi, strutturali, dovete diventare come noi. La dimensione quindi gioca un fattore rilevante in questa polemica. Io dico subito che la pregiudiziale della dimensione delle cooperative è veramente un pretesto con la quale si vuole attaccare la cooperazione sia da parte dei concorrenti sia da parte della politica per altri fini. In Italia non esiste il gigantismo cooperativo, noi portiamo sempre, mi permetto di dire insieme a Poletti, un dato delle prime venticinque cooperative agroindustriali d’Europa: non ne esiste una italiana. Conserva Italia e Granarolo, che pare che siano delle cose straordinarie nel nostro Paese, sono dei nanerottoli rispetto alle cooperative agroalimentari europee, più grandi, tutte sostenute dagli stati. Quindi le cooperative italiane hanno il dovere di crescere per se stesse e per far crescere il Paese, per svolgere la loro funzione mutualistica. Poi questo tema della dimensione, ripeto, è sciocco, perché la cooperativa che dà un servizio sociale in un comune di montagna o anche in un piccolo comune di pianura, la sua dimensione se la trova. Ma la cooperativa che deve valorizzare i prodotti dei propri soci sui mercati internazionali, deve essere un un giocatore globale, deve giocare a tutto campo, deve quindi evidentemente aumentare la dimensione. Ma, come diceva Poletti, se vuoi fare innovazione, se vuoi fare esportazione, internazionalizzazione devi ovviamente pensare ovviamente alle grandi imprese. Allora tutto il resto è melensaggine, la cooperativa piccola che è bella, è buona, è autentica, la cooperativa grande invece è cattiva, tutte robe che non servono. La verità è una sola, che si vuole attaccare la cooperazione perché diventa un concorrente, perché porta dei risultati positivi, perché ovviamente è un competitor sul mercato. E per finire, quando si parla di cooperative anche tra addetti ai lavori, tra economisti informati sulla cooperazione, se chiedete a questi quali sono queste favolose agevolazioni che le cooperative hanno, tutti vi rispondono: non pagano le tasse, le cooperative non pagano le tasse, per questo fanno questi risultati. Invece le cooperative pagano tutta l’IVA, pagano tutta l’ICI, quella che deve essere evidentemente pagata, pagano tutte le tasse, le imposte sulla previdenza, i contributi previdenziali. Solo per quelle cooperative a mutualità prevalente c’è una parziale detassazione degli utili che vengono portati a riserva indivisibile e quindi sia nella vita che nella morte della cooperativa indisponibile ai soci; indisponibile, rimangono lì, dentro quell’azienda e se l’azienda si scioglie vengono devoluti a pubblica utilità, a fondi mutualistici ecc. Sarebbe meglio dire che i soci che realizzano quell’utile sono tassati al 100%, perché quell’utile non lo toccheranno mai più nella storia della loro cooperativa, sia, come ci auguriamo, che duri nel tempo sia che si fermi. Ho proposto, visto che è stato ripreso anche da altri, anche nel mondo della Lega, l’idea di estendere questa straordinaria agevolazione anche alle imprese di capitali, lucrative. Intanto pagherebbero più tasse, perché quello che dichiarano le società di capitali nel nostro Paese è veramente da guinness dei primati, di tutte le tasse che si pagano nel nostro Paese neppure il 10% deriva dalla tassa sugli utili delle imprese. Mettendoci dentro la grande banca, mettendoci dentro le grandi aziende l’ENI, l’ENEL, tutto, meno del 10%. Sapete che la quota maggiore deriva dall’IRPEF, cioè sulla tassa sul reddito delle persone fisiche, mentre le cooperative con questo sistema sono obbligate a pagare tutte le tasse. Ebbene, perché non estendiamo questa cosiddetta agevolazione a tutte le imprese lucrative? Con gli stessi vincoli delle imprese cooperative, con le stesse modalità che adottano nella normativa fiscale le cooperative? Perché non lo fanno? Perché non lo si fa? Per un problema di bilancio dello stato? No,no, no, perché quanto verrebbe dichiarato pareggerebbe molto probabilmente, perché per dichiararlo dovresti pagare un pochino di tasse in più, molto probabilmente pareggerebbe il vantaggio fiscale che si riuscirebbe a realizzare. Le cooperative hanno dei vincoli, hanno delle forti diversità: l’indivisibilità del patrimonio, il voto a testa, tutto quello che un’impresa lucrativa, che è legittimata ampiamente ad operare nel mercato non può evidentemente accettare. Quindi il problema è questo, fare capire alla politica, all’opinione pubblica di questo Paese e del nostro continente che, nella democrazia economica, c’è bisogno di diversità e questa diversità, l’apporto di questa diversità, è quantitativamente, qualitativamente rilevante nel movimento cooperativo. Il movimento cooperativo deve essere valorizzato perché realizza, proprio in virtù di questa diversità, in alcuni settori elementi di evoluzione, di crescita che non sono possibili, non è possibile che siano realizzati dalle altre imprese di capitali.

GIULIANO POLETTI:
Io mi esimo dal riprendere gli argomenti che Luigi ha proposto, perché sono assolutamente condivisibili e vorrei riflettere un attimo insieme su cosa fare adesso. Il quadro è questo, c’è una situazione generale molto problematica dal punto di vista economico, c’è una difficoltà nel nostro Paese che credo sia sotto gli occhi di tutti, ci sono i vincoli, i vincoli del debito dello stato, i vincoli dell’essere in Europa e dell’essere dentro l’area monetaria dell’Euro, poi ci sono le specifiche problematiche che qui Luigi citava, riferite alle questioni cooperative. Che cosa si può e che cosa bisognerebbe e che cosa vogliamo fare? Io credo che per il mondo cooperativo la prima sfida sia quella di essere sempre se stesso, misurandosi con le sfide della società e dell’economia. La sua scommessa economica, la capacità di dimostrare di essere in grado di stare sul mercato e di farsi misurare in termini di efficienza, il mondo cooperativo l’ha data, i numeri sono lì a dimostrarlo. Bisogna continuare su questa strada, l’Italia ne ha bisogno. Ho letto recentemente che bisogna fare una norma per riuscire a fare un’impresa in un giorno, benissimo, l’Italia ha il record mondiale di numero di imprese, ogni tre abitanti italiani c’è un’impresa. Si chiama così, più che altro forse bisognerebbe dire c’è una partita IVA, e cominceremmo a distinguere se una partita IVA è esattamente un’impresa, perché in Italia ci sono qualcuno dice centomila, qualcun altro dice settecentomila, un milione di non imprese che sono lavoratori autonomi, che sarebbero tranquillamente dei lavoratori dipendenti, ma che sono autonomi per la banalissima ragione che gli oneri previdenziali che si pagano per un lavoratore dipendente sono significativamente più alti di quelli che si pagano per un lavoratore autonomo e quindi si fa finta di essere lavoratori autonomi per pagare di meno sulla previdenza. Una riforma rivoluzionaria in questo Paese, che caverebbe di lì mille imprese, anzi un milione di imprese, settecentomila imprese, sarebbe quella di dire che gli oneri previdenziali sono tendenzialmente uguali. Perché questo è un Paese simpatico da questo punto di vista, produce questo primo scalino: abbiamo bisogno di fare, il problema che abbiamo è di fare nuove imprese? Secondo me il problema che abbiamo è di fare delle imprese che assumano una dimensione media, capace di competere nelle nuove dimensioni dell’economia e quindi mediamente più grandi, mediamente più patrimonializzate, mediamente più in grado di fare alleanza tra di loro, di fare rete tra di loro, di fare alleanze in dimensione europea, di crescere da questo punto di vista. Questo è un obiettivo, ma è un obiettivo anche per le cooperative, anche per la cooperazione. La cooperazione ha bisogno di crescere lungo questa direttrice. Quindi c’è bisogno di sostenere questa idea di impresa. C’è poi un’altra questione che a me pare essenziale, e questa credo che la dobbiamo rivolgere un po’ a tutta la società italiana, a cominciare dalle istituzioni. E’ il tema della legalità, c’è un problema di fiducia, l’Italia ha bisogno di fiducia. Se i cittadini non si sentono sulle spalle la possibilità di fare e la responsabilità del fare, non ci saranno leggi, non ci saranno regolamenti, non ci saranno incentivi, non si andrà da nessuna parte. Il problema dell’Italia certo è un problema di fiducia, ma il primo problema di fiducia è riferito al fatto che ogni cittadino dovrebbe poter sapere che ci sono delle regole e che le regole vengono rispettate e si fanno rispettare, perché guardate che la questione sta diventando, come posso dire, socialmente incredibile. Ve la ridico da imolese. A Imola, cinque anni fa o dieci anni fa, quando veniva il rosso al semaforo ci si fermava, pareva che ci fosse scritto così nel librino che ti davano quando vai a fare l’esame della patente, con il rosso ci si ferma e c’era il semaforo e basta. Adesso ci hanno messo la telecamerina sopra il semaforo, perché altrimenti con il rosso si passa lo stesso, ma non è che è cambiata la regola, la regola è ancora quella che con il rosso ci si ferma. Addirittura mi hanno raccontato che hanno dovuto dipingere le telecamerine dello stesso colore dei semafori, perché siccome avevano fatto la sciocchezza di mettere la telecamerina gialla sopra un semaforo verde, l’automobilista sveglio guardava sul semaforo e se vedeva la telecamerina si fermava, ma se non c’era la telecamerina andava dritto. Proviamo a pensarci in termini di atteggiamento personale, soggettivo: che rispetto abbiamo noi della nostra vita e della vita degli altri quando la mettiamo a rischio con delle banalità di questo tipo, cioè quanto è andato in profondità il senso di un poco rispetto di noi stessi e di pochissimo rispetto di tutti gli altri e che poco senso ha il termine legalità da questo punto di vista? Ho usato il semaforo per non parlare della mafia, perché parlare della mafia viene bene a tutti e tutti quanti dicono che non va bene, che bisogna combatterla ecc. ecc., ma quando c’è il semaforo rosso, e ci siamo tutti con il volante in mano, allora la cosa si complica un po’. Bisogna costruire un nuovo senso civico, bisogna ricostruire un’idea di comunità, bisogna ricostruire un senso del rispetto degli altri, la cooperativa è una scuola di questa idea di vita, quindi se uno mi dicesse che cosa chiederesti tu al governo italiano, risponderei di lavorare perché in tutte le sedi il tema della legalità, del rispetto delle regole, sia la prima regola, sia la condizione imprescindibile per l’azione di ogni cittadino e di ogni impresa. Perché io sono convinto che dentro quella condizione anche la prospettiva delle cooperative è una prospettiva migliore. Guardate, le illegalità nel mercato sono una quantità inenarrabile, chi non paga i contributi, chi non paga le tasse, chi non applica le regole sulla sicurezza, ce ne sono di tutti i tipi, di tutti i generi. Io penso che per l’impresa cooperativa un mercato regolato e legale sia un mercato migliore, un mercato migliore per l’utente, per il consumatore, per il lavoratore e anche per l’impresa cooperativa che vuol stare in quel mercato secondo una logica positiva. Ecco, io penso che noi dobbiamo guardare a questa fase avendo davanti questa idea, l’idea di costruire fiducia, di dare certezza dal punto di vista della legalità, del senso comune del vivere e del convivere e dall’altra parte di volere continuare a scommettere sull’idea lunga. Io credo che questo sia lo schema di ragionamento, noi dobbiamo chiedere anche alla politica di smetterla con le piccole sciocchezze quotidiane. Ne cito una così ci intendiamo. Adesso va di moda il problema dei prezzi, è vero, è un problema, i prezzi crescono, benissimo, abbiamo scoperto che il problema è semplice, si risolve facilmente, e non ci avevamo pensato prima, cosa volete che vi dica, il problema è semplice: volete un litro di latte? Andate nella stalla a prenderlo e lo pagate di meno, se volete una banana la storia si complica un po’, perché il prezzo del carburante è cresciuto, se andate a prendere il latte però c’è la nebbia e tamponate, ci vogliono duecentocinquant’anni per ammortizzare il costo dell’ammaccatura della macchina, quindi anche per andare a prendere il latte bisogna pensarci. Perché si fa questo ragionamento? Perché tutto deve essere eclatante, tutto si deve risolvere in un colpo solo, tutto deve essere semplice. Non è vero niente, i prezzi staranno in linea se si faranno cento piccole cose davvero tutti i giorni. Se i camion stanno fermi in tangenziale tre ore, la frutta costa di più, se l’energia elettrica costa il 30% in più, la frutta costa di più, se per aprire un negozio ci vogliono diciotto mesi, diciotto anni, la frutta costa di più. Stiamo parlando di questo, allora la politica ci facesse il piacere di accettare l’idea che ogni cittadino ha, e cioè che la sua vita non finisce domani mattina, e anche chi governa deve qualcosa alle future generazioni. Guardate, il danno più grande che abbiamo fatto noi a queste nuove generazioni, è questo, ci siamo mangiati un pezzo del futuro, Abbiamo distrutto un pezzo importante della ricchezza delle future generazioni. Io la dico così, è venuto il momento di dire se serve meno ai padri per poter dare di più ai figli.

MODERATORE:
Grazie, indubbiamente, indubbiamente le cooperative danno un contributo grande, alla cultura, alla vita personale, al benessere. C’è un fattore che spesso viene poco considerato e cioè il radicamento sul territorio, perché paradossalmente è un punto di forza enorme, per tutte le ragioni che abbiamo sentito e non voglio ripetere. Il radicamento sul territorio ti permette anche di affrontare dei problemi singolari, specifici che altrimenti non sono visti. Il radicamento sul territorio ti permette di fare un’integrazione anche di extra comunitari che altrimenti non sarebbe possibile. Quindi, in una società che sembra idrolizzare tutte le varie forme di mobilità, questo è un punto di forza enorme, che va valorizzato. Un altro punto di forza che secondo me è importantissimo, quello che voi due avete detto, è che la persona viene coinvolta, viene responsabilizzata. La democrazia ha bisogno di forme così, se no c’è il rischio che si svuota l’impegno della persona, Quindi c’è anche un contributo a livello culturale di formazione, di coinvolgimento personale. Noi siamo per una diversità, per un pluralismo di forme economiche che devono tutte concorrere e uno dei punti di forza in questo è il movimento cooperativo. Anche noi pensiamo che le agevolazioni fiscali sugli utili che vengono in questo caso reinvestiti nelle aziende dovrebbe essere qualcosa da prendere molto sul serio, perché è inutile che parliamo di società sottocapitalizzate se non agevoliamo questo reinvestimento, quindi da questo punto di vista le cooperative, paradossalmente, diventano anche un modello, un riferimento interessante per le società, per le società di capitali. Tutto questo va visto, come diciamo ormai da anni, in un quadro di sussidiarietà. Perché la sussidiarietà, in faccia certo ai tecnocrati, è l’unica possibilità per creare veramente un bene per le persone. Non è che dobbiamo fare solo cooperative, ma le cooperative sono un richiamo a questo principio forte e per questo io mi auguro che tutti i contenziosi con Bruxelles…. io non so poi quale sarà la soluzione, ma una cosa è certa, la cooperativa come forma economica va salvaguardata.
Io ringrazio tantissimo Giuliano Poletti e Luigi Marino per essere stati con noi questa mattina e penso che i loro sono stati due interventi Interessanti e di incoraggiamento per tutti quelli che fra voi lavorano nelle cooperative, un contributo interessante di confronto per chi lavora in altre forme economiche e spero che di fronte a tutti i problemi che abbiamo, le cooperative vadano avanti a crescere. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2008

Ora

11:15

Edizione

2008

Luogo

Sala Neri
Categoria
Incontri