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CIBO E SALUTE: DAI SUPERFOOD AI VEGANI, DAL BIOLOGICO ALLO STREET FOOD
Cibo e salute: dai superfood ai vegani, dal biologico allo street food
Partecipano: Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio di Tutela del Grana Padano; Enrico Corali, Presidente di ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare); Pompeo Farchioni, Presidente e Amministratore di Farchioni Olii Spa; Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti; Giancarlo Paola, Amministratore Delegato di GMF – Gruppo Unicomm. Introduce Camillo Gardini, Presidente di CdO Agroalimentare.
CAMILLO GARDINI:
Buonasera a tutti, benvenuti. Iniziamo questo incontro dal titolo ”Cibo e salute: dai superfood ai vegani, dal biologico allo street food”. Abbiamo pensato a questo incontro nell’ambito di questo Meeting, perché vediamo quanto è cresciuta e quanto, anche positivamente, è stata posta attenzione al cibo che mangiamo. Sempre di più vi è questa attenzione, mai come in questo momento e questo fatto mette riflessi e pone condizionamenti anche a chi si trova a produrre, a chi si trova a commercializzare, a chi si trova a distribuire. E chiede a tutti noi un’attenzione maggiore e anche una maggiore consapevolezza.
Alcuni presupposti rispetto a quest’incontro: abbiamo ricevuto una grande eredità, il titolo del Meeting parla di “Quello che tu erediti dai tuoi padri riguadagnatelo per possederlo”. Abbiamo una grande eredità dell’agroalimentare italiano, abbiamo una cultura, un paesaggio e cibi unici per il nostro Paese.
Se guardiamo, però, le sole tradizioni alimentari che abbiamo ereditato e le guardiamo solo in maniera statica, immobile, rischiamo di imbalsamare queste tradizioni. Sarebbe quindi una brutta copia quella che andiamo a riprodurre.
La strada non è questa. La strada è quella di tendere a valorizzare tutto quanto abbiamo e andare dietro a quello che le tendenze e i consumi evidenziano.
Il cibo del futuro non è quello del passato, oggi viviamo e mangiamo in maniera completamente diversa. Questo è oggettivo. Quindi l’eredità che abbiamo ricevuto dobbiamo riguadagnarla e rispondere in modo nuovo, questo nuovo possesso che ci chiama a fare dei passi.
Per vedere, per approfondire questo tema abbiamo al tavolo importanti protagonisti del settore agroalimentare italiano, che ringrazio per aver aderito al nostro invito e presento brevemente: Enrico Corali, Presidente ISMEA (propongo un applauso), Giancarlo Paola, Amministratore Delegato del Gruppo Unicomm, ma anche Amministratore Delegato di Grandi Magazzini Fioroni, ma anche Direttore Commerciale del Gruppo Unicomm, Pompeo Farchioni, imprenditore e Presidente del Gruppo Farchioni; Stefano Berni, Direttore Generale del Grana Padano e amico storico del Meeting e Roberto Moncalvo, Presidente della Coldiretti.
Iniziamo adesso i nostri lavori. Il primo intervento lo chiediamo a Enrico Corali, che è Presidente ISMEA; ringraziamo anche il Ministero dell’Agricoltura, di cui ISMEA è ente diciamo di funzione e gli chiediamo due parole su ISMEA, probabilmente non tutti sanno che cosa ISMEA fa, ma chiediamo anche quali sono le tendenze, cosa vuol dire street food e anche cosa vuol dire e se il biologico è una tendenza inarrestabile, elemento che fa parte del nostro titolo. La parola al dr. Enrico Corali.
ENRICO CORALI:
Grazie dell’invito e grazie a tutti. Mi permetto di non rispondere alle tue domande perché nel leggere il programma del Meeting di Rimini e così via, tenderei, poi lo faranno gli altri interlocutori, sicuramente meglio di me (ci sono poi anche delle slide che vengono proiettate sulle tendenze del cibo come merce, come quantità e qualità merceologica, vedrete il tipo di consumatore che si approccia sempre di più al cibo biologico, alle tendenze; mentre c’è diciamo la stagnazione dei consumi per quanto riguarda cibi tradizionali, è in grande crescita (+20%) il biologico, sono in crescita anche le altre tendenze- street food, vegani- ma sono cose che presumo questo uditorio sappia già, come saprà certamente che il consumatore tipo biologico, è – vedrete dai dati che verranno proiettati -mediamente una famiglia plurireddito, relativamente ricca e situata prevalentemente al nord). Guardando l’argomento, il titolo dell’iniziativa e probabilmente anche l’uditorio che mi sta di fronte, proverei a cercare così brevissimamente, di dare una lettura un po’ sganciata dall’aspetto merceologico del cibo, per capire – si parla di cibo e salute, sicuramente il cibo ha un’importanza fondamentale sulla salute – ma secondo me è possibile che il cibo abbia un’incidenza (non so quale, se poi i miei relatori mi potessero dare una mano a capirlo), su un altro aspetto (e sarò breve da questo punto di vista).
Mi ricordo Friedrich Nietzsche diceva, per esempio, che un filosofo, un pensatore, che ha avuto l’esperienza di più malattie, partoriva sicuramente una filosofia diversa da una persona che è stata sana. Perché? Lui diceva: “Il gusto, il piacere, le sensazioni che ogni volta dà l’idea della guarigione nel nostro corpo, nella nostra mente, porta inevitabilmente a generare una filosofia che dice sì alla vita, piuttosto che una filosofia che tende a dire no alla vita”. E nel pensiero di questo filosofo c’era un po’ l’idea che il cervello, contrariamente a quello che si possa pensare, non è il motore di tutte le nostre idee, di tutti i nostri movimenti, di tutte le nostre sensazioni, ma in molti casi, in maniera più o meno conscia, è un organo mosso, non un motore del nostro organismo. Per esempio, quello della persona che pensa, rigenerata da più volte dall’idea di una guarigione, partorisce una filosofia – che lui diceva – che dice sì alla vita, piuttosto che. Tant’è che, sempre per fare esempi di questo tipo, consigliava agli allievi e ai giovani filosofi: “Mai filosofeggiare prima di aver fatto una corsa, prima di aver fatto una nuotata in acque fresche, prima di non aver preso una boccata d’aria con una sgroppata a cavallo”, perché anche questa idea di pienezza, di possesso, di potenza, genera un tipo di filosofia positivo, che serve alla vita e non invece che la denigra. Citando, e qui arrivo un po’ al dunque, citando i suoi denigratori della propria filosofia, diceva sono persone che sono abituate a delle grosse ingurgitate di birra (non artigianale) e la birra non artigianale, provocando questo gonfiore, dà un senso di spossatezza che dà e genera idee pigre, e quindi non è in grado di seguire ancora una volta queste idee innovative di gioia e di assenso e non dissenso alla vita.
Ecco la domanda che io mi faccio e vi faccio, è un po’ questa: con il cibo che, questi cambiamenti nel modo di alimentarsi, che pensiero produrremo? Qual è il frutto di questi pensatori del nostro pensiero, del nostro cervello, stimolato da questi cambiamenti alimentari? Saranno cibi…, il nutrirsi bene di carne darà la sensazione al nostro cervello, l’idea di una filosofia dell’assenso alla vita o una filosofia che tende a negarla? Ecco, questo è…, banalizzo un po’ le cose, ma nell’ambito di questo Meeting, nell’ambito probabilmente delle idee che accomunano molte persone che stanno di fronte a me, mi piacerebbe discutere anche di questo aspetto: qual è la magari inconsapevole proiezione nel nostro pensiero, che dà un certo tipo di alimentazione. Io ovviamente non sono in grado, non sono un appassionato di Nietzsche, non ho sicuramente una risposta, magari qualche mio interlocutore mi da una mano a risolvere questo problema, io ne sarei grato. Credo di essere rimasto nei tempi, grazie a tutti.
CAMILLO GARDINI:
Sei stato bravissimo, però chiediamo a Enrico Corali, proprio perché è stato bravo, se ci dice due parole, visto che i grafici non li vedono i nostri amici partecipanti. Se ci dici due parole solo sull’ISMEA e due parole solo su alcune tendenze che hai descritto, ma solo due.
ENRICO CORALI:
Sì, due parole su ISMEA. ISMEA è l’Istituto che ha subito profonde modificazioni, ha subito profonde trasformazioni. Oggi ha incorporato varie società del Ministero, che è l’ente che si occupa a livello nazionale di tutte le forme di finanziamento nel capitale, piuttosto che no, agevolato, all’agricoltura e all’agroindustria e anche l’ente che garantisce un po’ tutti gli investimenti lungo tutta la filiera. Per la prima volta vi è un istituto nazionale che è attivo con tutti gli strumenti che rientrano diciamo sotto l’ombrello degli aiuti di Stato, dei possibili aiuti di Stato, su tutta la filiera che va dalla produzione alla distribuzione. E’ stata un’opera, grazie al Ministro Martina, di razionalizzazione e di accorpamento.
Le tendenze ve le ho già riassunte prima. Ovviamente c’è un mercato nuovo, biologico, che sta compensando il calo della domanda, oppure della stagnazione dei consumi agroalimentari. In particolare, credo che non sia, se ritorniamo al discorso di prima, una questione di moda – per rispondere alla domanda se c’è una questione di moda, oppure no – credo che sia proprio nell’ambito di una evoluzione di costumi culturale, questo diverso approccio. Quindi sicuramente il fenomeno del biologico ed altri cascami simili, vicini (il vegano, piuttosto che lo street food) è nell’ambito di una, almeno nell’Occidente, di una trasformazione di tipo culturale di lungo periodo, che ha dei capisaldi che sono un’attenzione alla salute (speriamo anche mentale, non solo fisica), un’attenzione all’ambiente e alla filiera corta, alla salubrità e, dicendo queste cose, posso forse immaginare qual è la proiezione escatologica, filosofica di un uomo che si nutre in questo modo.
CAMILLO GARDINI:
Molte grazie, molte grazie. Ha posto una domanda, Enrico Corali, non so se riusciremo a dargli risposta con questo convegno, però teniamola presente voi relatori: se questa modalità nuova di pensare produrrà anche una modalità nuova anche di guardare la vita. Questo è il tema che ponevi: di mangiare se fa guardare in maniera diversa la vita.
Passo la parola adesso a Giancarlo Paola, lo dicevo prima, è amministratore delegato diciamo di GMF ma anche direttore commerciale UNICOM, è un uomo della distribuzione, è un uomo che quindi conosce i consumi alimentari. A lui abbiamo posto alcune domande, che riguardano quello che accade tutti i giorni nei punti vendita, quindi nei luoghi dove viene effettuato l’acquisto. E quindi gli chiediamo cosa succede riguardo ai super food, riguardo a quanto spendono gli italiani per varie categorie nei consumi alimentari, prodotti more or less, quindi con o senza, e perché siamo diventati così diversi e che cosa succederà nel prossimo futuro secondo lui.
GIANCARLO PAOLA:
Buon pomeriggio a tutti. Intanto io rispondo alle tue domande, quindi ti do una buona notizia. Ti ringrazio per l’invito a questa bellissima edizione del Meeting che ha un titolo bellissimo, che tutti dovremmo fare nostro come esempio per i nostri figli e per le future generazioni.
Io proverò a dare oggi un mio contributo a questo incontro, che è il contributo appunto del mondo della distribuzione, della grande distribuzione, essendo un manager di un’azienda che opera da oltre cinquant’anni in questo settore, in sette regioni d’Italia. E lo provo a dare naturalmente dando qualche numero, ma facendo qualche riflessione su quello che noi oggi osserviamo ma soprattutto quello che osserviamo da alcuni anni. Perché noi a un forum del CDO dell’agroalimentare di alcuni anni fa, proprio insieme al dottor Gardini e al professor Frascarelli, che oggi è anche qui con noi, provammo, analizzando i dati di vendita della distribuzione, a segnalare quelli che secondo noi erano i prodotti che avrebbero interessato i consumi in futuro. Beh, oggi posso dire, nel preparare questa relazione l’altro giorno pensavo che parlavamo al futuro di quello che oggi è presente; quindi avevamo visto bene, così come hanno visto bene tanti.
Una prima riflessione però da fare è che rispetto al passato quando erano quasi sempre le grandi aziende, le multinazionali (di cui tutti voi conoscete i marchi) a proporre dei nuovi prodotti che andavano a soddisfare dei bisogni più o meno latenti nei consumatori, negli ultimi anni è stata la domanda a forzare l’industria ad andare su determinate categorie. E aggiungerei anche – e questa è una bella notizia – che spesso sono state le piccole medie-aziende ad arrivare prima a proporre dei prodotti che interessavano i nuovi consumatori, come conferma che non serve essere grandi, ma basta essere veloci in un mondo che cambia.
Allora, io intanto, essendo un operativo, provo a sintetizzare, a semplificare i concetti, però almeno dobbiamo parlare di modelli di consumo? Dire come nascono questi modelli di consumo penso sia necessario.
Non sono altro che l’interazione naturalmente di alcuni cambiamenti che avvengono, che sono sociali, economici, tecnologici (tecnologici, soprattutto negli ultimi anni) hanno consentito di condividere delle esperienze attraverso le relazioni sui social. E quindi è chiaro che questo mutamento, questo cambiamento sociale e demografico si ripercuote sui cambiamenti anche dell’alimentare e della nostra cucina.
Intanto è notevolmente aumentata la consapevolezza che il benessere fisico dipende da ciò che mangiamo, quindi la salute come prima medicina per stare meglio. Questo è ormai un vissuto abbastanza comune, e ci sono delle macrotendenze (io ne ho portate alcune). Basta pensare che il 40% degli Italiani dichiara di avere un regime alimentare controllato, uno su tre sta riducendo l’utilizzo degli zuccheri e c’è un forte orientamento verso i prodotti free from (more or less, come li chiamava prima Camillo, che poi magari spiegheremo meglio).
E poi c’è una grossa contraddizione, solita di noi Italiani: l’Istat ci diceva qualche mese fa che dal 2001 al 2016 in Italia sono aumentati sia i sovrappeso – le persone in sovrappeso sono circa il 35% se ricordo bene – e sia le persone obese, che sono circa il 10%.
Un’attenzione a queste cose, che poi stranamente non leggiamo ancora in quelli che sono gli altri aspetti della nostra vita.
Intanto una buona notizia: che la crescita della spesa alimentare nel 2016 è cresciuta, di poco ma è cresciuta, rispetto allo scorso anno, così come è cresciuta la spesa familiare di tutti i consumi generali, circa 2.520 euro, ma rispetto al 2011 siamo ancora indietro, non abbiamo recuperato perché erano 2.634.
Ma questa spesa alimentare sta cambiando sostanzialmente la sua composizione. C’è una riduzione del consumo di carne, (abbastanza diffuso, già da qualche anno) e c’è una crescita sia dei prodotti del reparto frutta e verdura e anche dei prodotti vegetali in genere e anche dei prodotti ittici.
Io vi faccio però qualche esempio molto pratico, ma serve per capire le tendenze, perché poi i trend non sono altro che questi atteggiamenti.
In Italia però a fronte del comparto di frutta e verdura che cresce, non sono cresciuti tutti i prodotti. Infatti nella stagione del 2015- 2016 una stagionalità rispetto di alcuni anni prima, perdono vendite alcuni prodotti storici della nostra dieta alimentare a vantaggio di altri che consumavamo comunque, per carità, ma in modo ridotto. Ad esempio lo sviluppo della frutta con guscio disidratata (che vi porto in questo esempio in questa diapositiva) e sicuramente una crescita che non ci aspettavamo fino a pochi anni fa. Se pensate alle bacche di goji (come tutti sanno, lo dico per chi non lo sapesse, sono dei semi di una salvia ispanica che viene coltivata nell’America Centrale) che da alcuni anni presenti in tutti gli assortimenti della grande distribuzione e ha dei venduti abbastanza interessanti. Io con qualche dato interno alla nostra azienda vi dico anche, faccio degli esempi di frutta esotica come l’avocado, il mango, il ginger, il lime, tutti prodotti che erano presenti nei nostri mercati, ma in modo marginale, giusto perché ci devono essere. Spesso fino a qualche anno fa, li buttavamo e non riuscivamo a venderli. Oggi sono molto richiesti e naturalmente noi siamo ben contenti di offrirli ai nostri consumatori.
La stessa cosa sta succedendo, per gli aromi e per le spezie. Tutti conoscevano il pepe, lo zenzero e la cannella, forse un po’ meno la chia che la curcuma. La chia, proviene dalla salvia ispanica ed è coltivata in America del Sud e in questo momento è un prodotto molto richiesto dai consumatori.
Scusa, prima mi sono sbagliato: la chia proviene dalla salvia ispanica e non le bacche i goji, che sono le bacche che vengono dalla Cina. Aveva confuso la slide perché non leggo piccolo. Comunque la chia proviene dalla salvia ispanica che proviene dall’America del Sud. Le bacche di goji sono prodotte in Cina sull’Himalaya e sul Tibet.
Queste tendenze, come ad esempio la riduzione di zucchero, però all’interno delle categorie hanno poi delle dinamiche diverse. Ad esempio la categoria dello zucchero perde volumi per quanto riguarda quello classico, raffinato, mentre aumenta quello di canna. Così come sta aumentando la richiesta di stevia che è una pianta dolcificante (anche questa del Sud America), che in questo momento è molto diffusa in Giappone e negli Stati Uniti.
Anche nella pasta, che è uno degli alimenti principali della nostra dieta, stiamo valutando e verificando una serie di cambiamenti notevoli. Si vende meno pasta tradizionale di semola e all’uovo e si vende molto di più pasta integrale, senza glutine o di farro.
La stessa cosa sta succedendo nel latte: si vende meno latte fresco e UHt (normale) e si beve e si consuma molto di più di latte senza lattosio e bevande a base di soia.
La forte crescita naturalmente di questi consumi, come dicevo in premessa, ha spostato l’attenzione dell’industria verso la produzione di questi prodotti.
Il laboratorio immagino, l’Osservatorio Immagino che fa parte di GSI (ex INDICOD-ECR), per chi conosce questi enti, ha analizzato circa ottantamila etichette di prodotti e sul 18,7% di questi prodotti, si trova la parola “senza”, quindi, c’è il claim “senza” e rappresentano diversi miliardi di vendita.
In ordine più importanti sono questi che vedete senza conservanti, senza coloranti, senza OGM, e a scendere.
Questa analisi delle etichette, però, dà quelle più presenti, ma i prodotti che stanno facendo registrare le vendite maggiori sono, poi, i famosi free-from.
I free-from sono dei prodotti a cui sono stati diminuiti o addirittura tolti determinati componenti (quindi il classico senza sale, naturalmente il prodotto senza sale, senza olio di palma, senza zuccheri).
Sono prodotti, naturalmente, che hanno qualcosa in meno di quelli standard, però costano di più. Questa è una contraddizione nostra per cui costano di più, perché spesso, per carità, i cicli produttivi sono diversi. Però il grosso lo fanno i prodotti senza zuccheri, senza grassi, quindi i prodotti light i prodotti senza grassi.
Il fatto che costa di più è una cosa un po’ strana, no?
Se pensiamo oggi; dovessimo dire ai nostri antenati che i cibi per dimagrire costano di più di quelli per ingrassare, non sarebbe una cosa facile, però questa oggi è la tendenza perché i consumatori, che guardano questi prodotti sono disposti anche a pagare qualcosa in più per portarli a casa.
Nelle macro tendenze, come dicevo, ci sono anche quelle degli integratori e dei cosiddetti “superfood”.
I superfood, mentre sono cibi che, grazie ad alcune proprietà naturali e ad alcuni principi attivi, garantiscono dei benefici alla nostra salute. Molti li considerano addirittura sostitutivi della medicina in alcune diete alimentari, però, negli ultimi mesi, vi ho portato i dati a giugno 2017, i prodotti del benessere e della salute crescono ancora quest’anno come son cresciuti anche negli scorsi anni e stanno assumendo delle dimensioni di fatturato veramente molto interessanti.
“I superfood fanno veramente bene?” mi chiedeva il dottor Corale.
Io non sono né un medico, né un nutrizionista, però la scienza sembrerebbe dire di sì. In realtà, la nutrigenomica, che è una scienza che i questi ultimi anni è molto seguita, sta proprio studiando, diciamo, le reazioni e le azioni che questi alimenti hanno sul rischio di malattie e, quindi, sul nostro DNA.
Quindi, ci sta qualcosa naturalmente di vero, di scientifico. È anche vero il contrario, però: che, in base al nostro patrimonio genetico, abbiamo delle reazioni diverse in base ai cibi che assumiamo.
Che il cibo quindi diventi, diciamo, la prima medicina per stare meglio, in realtà nel 400 a.C. più o meno, lo diceva il padre della medicina.
Perché Ippocrate diceva che “ fai che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”. Quindi, non è che abbiamo fatto una grande scoperta. Forse lo sapevamo da tempo. E’ che oggi ci sono le basi scientifiche per dimostrarlo e quindi forse ne siamo più consapevoli rispetto a qualche anno fa.
Una tendenza che va di pari passo con quella della salute, e visto che Camillo ha fatto un accenno anche all’importanza del nostro patrimonio agroalimentare, è sicuramente quella del localismo e quella della sostenibilità.
Quindi localismo e sostenibilità sono altri due valori che i consumatori di oggi cercano nei prodotti e questo è naturalmente una cosa molto importante per il nostro paese se consideriamo che siamo leader mondiali noi come prodotti certificati e, secondo il Censis, diciassette milioni di famiglie acquistano in modo continuativo, diciassette milioni di persone, acquistano in modo continuativo i prodotti nostri, sia IGP e DOP.
Peraltro oggi più di ottocento forse, c’è chi ne sa più di me, però abbiamo oggi una cultura ancora più importante in questo settore.
Peraltro dobbiamo dire che l’attenzione alla tavola è un’altra, diciamo, cosa che sapevamo tutti.
Qualcuno diceva qualche anno fa, hanno fatto questa battuta non ricordo di chi, “dopotutto siamo pur sempre una repubblica fondata sulla tavola”, quindi non sul lavoro ma sulla tavola, perché a tavola, naturalmente gli italiani alla tavola danno una importanza maggiore rispetto al resto del mondo e siamo primi per la preoccupazione di una alimentazione sana.
Questo è un elemento che conferma queste tendenze perché, evidentemente, nel nostro modo di essere, abbiamo sempre avuto una attenzione forte alla qualità della alimentazione ed è una tendenza naturalmente positiva da cavalcare.
Io finisco con quattro o cinque riflessioni.
Il localismo, l’ho appena detto, agisce anche sulla sostenibilità, perché oltre a dare una mano alle aziende piccole e locali, si spostano meno cibi nel nostro paese, quindi si produce anche meno inquinamento.
I prodotti del benessere danno linfa alle medie aziende perché questi prodotti il consumatore non vuole necessariamente la marca, piuttosto si fida della certificazione. Quindi generalmente sono prodotti biologico o piuttosto che altri, senza glutine, certificati da enti accreditati e seri. E, quindi, per il consumatore già quella è una garanzia. E, quindi, questa è una buona opportunità anche per le aziende non grandissime.
Un altro elemento importante, diciamo, è quello dei superfood che, proprio perché il consumatore è disposto a spendere di più, questi prodotti portano un valore aggiunto a chi fa il nostro lavoro, quindi a tutta la catena.
E poi l’e-commerce, naturalmente non è oggi il momento di parlare di e-commerce, però tutti i siti della vendita online, quasi tutti, i più importanti, hanno la possibilità di scegliere i prodotti in base alle caratteristiche.
Questo aiuterà sicuramente di più lo sviluppo di questi prodotti perché chi vuole mangiare senza sale, filtra tutti i prodotti senza sale e ha l’opportunità di comprali tutti insieme in un unico modo, in modo molto più veloce. E, quindi questo, dal mio punto di vista, aiuterà sicuramente lo sviluppo di questi consumi.
Cosa sta facendo la distribuzione rispetto a questi orientamenti?
Beh, prendendo una frase storica di Gandhi (“La vita non è aspettare che passi la tempesta ma imparare a ballare sotto la pioggia”), noi ci siamo adeguati a quelle che sono le esigenze dei consumatori perché sta proprio insito nel ruolo della grande distribuzione.
Quindi noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo intanto allargato gli spazi di questi prodotti diminuendo prodotti di categorie che negli ultimi anni sono in forte calo (le caramelle, le merendine, tutti i prodotti con zucchero in generale, le bibite gasate), quindi, togliendo alcuni di questi prodotti, si sono creati degli spazi per rifare gli assortimenti in base a queste nuove esigenze e in alcuni casi sono stati pure raggruppati nello stesso spazio, perché c’è da parte di alcuni consumatori la voglia di trovarli vicini per fare una spesa più veloce.
Peraltro l’orientamento degli assortimenti lo dice chiaro: questi sono i dati di ERAIAL nell’anno 2016, crescono in numerica, i prodotti biologici (degli assortimenti della grande distribuzione, sto parlando); crescono i prodotti premium, e all’interno dei prodotti premium normalmente si trovano queste linee (queste nella nostra azienda, naturalmente) sono delle linee, che hanno come caratteristica i free from, che dicevamo prima piuttosto che i prodotti arricchiti, come i superfood.
Sul localismo non aggiungo altro perché siamo aziende che, le aziende distributive italiane sono quasi tutte radicate nel territorio quindi sui localismi, hanno sempre investito e dato la giusta importanza all’economia locale e questa è un’altra grossa opportunità per il nostro paese.
Volendo aggiungere qualcosa a quello che diceva Camillo in premessa: “vivere nel passato non fa vivere il presente – anche nella alimentazione naturalmente perché c’è una evoluzione anche nel nostro campo – ma vivere dimenticando il passato non fa vivere il futuro o non lo fa vivere bene”.
Perché è chiaro che in futuro tutti vorremmo stare bene, essere sani consumare bene, però noi per arrivare preparati a quel futuro dobbiamo immaginare come sarà quel futuro. Quindi queste tendenze ce lo stanno già dicendo. E per fare le strategie e le attività giuste, per arrivare preparati a quel futuro, bisogna impegnarsi oggi. E quindi, diciamo, analizzare questi trend e capirli è un plus per le aziende che mirano a restare nel mercato per i prossimi anni. Grazie
CAMILLO GARDINI:
Grazie a Giancarlo Paola; ha completato il quadro iniziato da Enrico Corali.
Ora abbiamo tre interventi di imprenditori. Imprenditori con storie diverse, con realtà di prodotto diversi.
Il primo imprenditore è Pompeo Farchioni che è presidente del gruppo Farchioni da dieci generazioni. Forse oltre dieci generazioni la famiglia Farchioni gestisce aziende nel settore agricolo e nel settore agroalimentare. Producono diciamo diverse qualità di prodotti, diversi prodotti.
Chiediamo a Pompeo: come avete fatto a mantenere una tradizione così continua nella vostra azienda senza imbalsamare i prodotti, ma continuando a crescere, a sviluppare l’impresa. Come riuscite ad assecondare i consumi e che cosa avete come progetti per il futuro.
POMPEO FARCHIONI:
Beh, una serie di domande che ci vorrebbe un pomeriggio per rispondere. Comunque cerchiamo di essere il più rapidi possibile. Allora innanzitutto mi presento: io sono Pompeo Farchioni, presidente del gruppo Farchioni. Il gruppo Farchioni non è solo olio, per questo ve lo presento.
Chiaramente iniziamo con la mia famiglia. La famiglia, perché? Perché, come diceva Camillo, noi, non la prossima generazione, non quella dei miei figli, ma quella dei miei nipoti, che già qualcosa stanno assaggiando (i miei nipoti a cinque anni assaggiano, poi capirete perché vi dico questo), assaggiano gli olii, assaggiano tutto, perché il nostro mestiere e il mestiere va coltivato sempre e comunque, fin da piccoli , quindi va assaggiato tutto e va annusato tutto. Noi siamo degli animali, quindi, dobbiamo utilizzare il naso , dobbiamo utilizzare i nostri sensi, e noi ancora di più per poi trasferire il tutto ai consumatori. Quindi, questa è la famiglia che si occupa in questo momento in maniera attiva delle nostre aziende, i prodotti che noi abbiamo, che sono i nostri quattro marchi principali. Noi ci occupiamo un po’ di tutto quello che l’agricoltura nell’arco di cinquanta chilometri intorno a noi produce, chiaramente poi cercando di acquistare anche al di fuori di questa zona, ma in particolare in questa zona.
Quindi, un mulino a grano per fare farine particolari per pani, in particolare quei pani soffiati molto belli anche visivamente, lo dicevamo, anche molto buoni che si producono in particolare sulla zona romana; gli olii chiaramente, gli olii della Farchioni che sono – il Farchioni e Il Casolare – le due linee nostre principali; la birra, Mastri Birrai Umbri, che è l’ultimo nato poi vi spiegherò un po’ anche lì il perché è nato e qual è un po’ la situazione e l’innovazione. E la cantina “Terre de la custodia” dove noi produciamo vini umbri (Rosso Montefalco, Sagrantino, Grechetti), quindi i vini caratteristici del cuore dell’Umbria.
Questo per dirvi un pochino qual è il trend della nostra azienda negli ultimi anni. Il trend è dato, sì, dal fatto che aumentiamo i fatturati, aumentiamo le vendite, ma non è questo. Noi diciamo sempre che non siamo stati bravi noi, è stato bravo il consumatore a capire noi chi siamo.
Noi non abbiano fatto granché, poi certo l’imprenditore una spintina la dà sempre, ma è il consumatore che è venuto verso di noi.
Noi abbiamo fatto sempre cose che ci piaceva fare e che ci piaceva dare al consumatore come se le consumassimo per noi e piano piano ci stiamo accorgendo che questa è stata da sempre una politica vincente, che ci ha portato ad avere sempre più consumatori fidelizzati.
La maggior parte, noi siamo nel nostro settore l’azienda che ha più consumatori fedeli e questa è una cosa che come vi dirò dopo ci esalta. Ci esalta, ma allo stesso tempo, diciamo così, ci fa sentire una grossa responsabilità, tant’è che, come dicevamo prima, noi non diciamo solo “siamo una marca”, non diciamo solo “vi diamo dei prodotti”, ma diciamo che siamo stati i primi nel mondo ad utilizzare il QAS.
Il QAS sarebbe una certificazione, che parla di qualità ambiente e sicurezza.
Su questo ce ne facciamo una grande gloria, perché? Perché per noi è fondamentale, è fondamentale per noi. Noi viviamo dove produciamo, mangiamo quello che produciamo. E se noi siamo questo noi questo lo dobbiamo dire. Non faremo mai niente contro l’ambiente perché noi viviamo in quell’ambiente. Non faremo mai niente contro quel cibo, perché noi ci nutriamo di quel cibo. Ecco, questa è la cosa importante per un imprenditore. Tu devi credere in quello che fai e poi prendere la tua linea e nella tua linea, nella linea della famiglia, portare questi concetti.
Quindi un excursus un po’ sui nostri prodotti tanto per farvi un po’ ricordare: il Farchioni, “Terre de la custodia” e la birra e la farina.
Questo è il casolare, l’altro nostro prodotto, di alta fascia, ma più che di alta fascia il nostro prodotto particolare, l’ultima innovazione (l’ultima per dire relativa, ha più di vent’anni), ma quella che ci ha fatto cogliere il consumatore in zone, dove il consumatore non sapeva dove acquistare questo prodotto in grande distribuzione.
Questa, vabbè, ritorniamo sempre al concetto di birra.
Questi sono i nostri vini, vediamo le farine, ok.
La presentazione è finita, ma è stato soltanto per farvi ritornare in mente, quali sono le aziende del nostro gruppo.
L’altra domanda che tu mi fai è perché siamo riusciti o stiamo cercando o fino ad adesso siamo riusciti a tramandare le nostre aziende.
Beh fondamentalmente, io dico questo, come tutti i mestieri, noi siamo stati fortunati. Nella mia famiglia siamo tutti nati con la camicia, addirittura io dico che sono nato anche con la giacca, sinceramente.
E questo perché? Perché è un mestiere anche tramandare quello che sei, ma con un concetto molto chiaro che una famiglia di imprenditori non deve mai perdere di vista: quello che fai non è tuo, quello che fai è per la comunità. E la comunità è la famiglia, la comunità è il tuo Comune, la comunità è la tua Regione, la comunità è la tua Nazione e, se ci vuoi mettere in maniera un po’ esagerata, anche un pizzico di miglioramento per quello che potrebbe essere il mondo.
Quello è l’esempio che devi dare.
Se tu dai quell’esempio e se la famiglia è d’accordo con tutti questi concetti, che è vero che dirli così sembra molto di retorica, no? sai in fin dei conti è normale, che dici? l’imprenditore che deve dire? Deve dire che il figlio deve lavorare, che deve saper lavorare, ma non è così semplice.
Questo è fondamentale. Se tu capisci questo, e questo la famiglia lo prende, poi la famiglia lo trasmetterà e deve sapere che quello che fa non è suo. Può godere di quello che fa e quello che fa gli porta benessere, perché deve portare benessere e deve portare utile, ma deve essere della comunità.
Le aziende quando arrivano a certi livelli, scusate se lo dico in maniera molto forte, non sono le tue! Non sono dell’imprenditore e l’imprenditore le deve mettere sul piatto del proprio paese! Non puoi tradire la tua comunità. Noi siamo partiti con cinquanta/sessanta dipendenti; oggi ne abbiamo oltre duecento. Non possiamo, i miei figli non possono tradire la loro comunità .
Certo, è ovvio che tutto questo deve essere cresciuto insieme, deve essere approvato da tutta la famiglia perché senno essere retorica e dirlo è relativo.
Se la famiglia ha questo filo conduttore, poi è chiaro bisogna provare a fare cose nuove e non solo, più ci sono i giovani più bisogna provare a fare cose nuove ma perché sono i consumatori stessi che te lo dicono.
Da noi sembra ma non è niente nato per caso.
Noi ancora oggi pensiamo che (e lo pensano anche i miei figli ma perché è questo il concetto che siamo riusciti in maniera più importante a tramandare), il consumatore va sempre seguito e accontentato.
Non è vero che le mode sono stupide. Le mode sono fondamentali, le mode sono importanti, ma perché sono vostre, sono del consumatore.
Io sono qui e i miei figli e tutta le mie aziende, i miei uomini, noi abbiamo il vanto, insieme con i miei figli, di aver fatto un gruppo di dieci dirigenti in un deserto. L’Umbria è un deserto, purtroppo, e noi siamo riusciti a mettere insieme dieci uomini che, oltre alla famiglia, la pensano tutti come noi.
Il consumatore è lui che ti dice cosa devi fare. Uno dice “l’innovazione, la cosa…” ma basta che ti guardi intorno.
Ti guardati intorno: guarda le famiglie, di che cosa hanno bisogno? Che cosa vorrebbero? Come lo vorrebbero?
E te lo dicono loro: sono loro a indicarti l’innovazione.
E poi il tuo territorio, no?
Quando noi abbiamo fatto la birra, anche la birra, sì, è nata per un pensiero per una cosa, ma fondamentalmente io ho uno de miei figli che beve quasi solo birra. E allora è chiaro che poi magari l’idea è stata un po’ convulsa, un po’ di tutti, un po’ di nessuno. Sai, son quelle paternità che in una famiglia non sai mai a chi dare; le dai al primo, al secondo, al terzo? Ma non è importante. Quello che è importante è che anche lì è nato da un consumatore che tu avevi in famiglia. Ti sei accorto che quello poteva essere un business importante. Poteva essere il fatto di soddisfare le esigenze di un consumatore, che tu avevi dentro casa, chiaro magari con qualcosa di particolare. A quel punto ti sei messo a pensare: ma io come faccio a non copiare le multinazionali? Come faccio a dare al consumatori un qualcosa di diverso? Semplice! Allora, prendo il consumo che lui vuole, lo traferisco qui da me e vedo qui da me che cos’ho. Cos’ho io ? Ho l’orzo Umbro, com’è? buono? Sì, buono, è di buona qualità, non il migliore del mondo, ma di buona qualità. Però ho il farro Umbro che è il migliore del mondo, ho la lenticchia di Castelluccio, che è la migliore del mondo, ho la famosa cicerchia che si produce quasi solo in Umbria, un po’ nelle Marche.
Quindi, questa è cosa nostra e nella cosa nostra vediamo se noi possiamo dare al consumatore una cosa nostra.
È il famoso detto che noi diciamo, autarchia aperta, che non è nient’altro che prendere tutto quello che tu produci, portarlo alla massima espressione e alla massima valutazione e poi cercare come sempre di esportarlo.
Nonostante, cioè, oltre a questo, quando poi parliamo di cibo, di consumi di cibo, quello che riguarda il “sotto casa”, quello che riguarda il “chilometro zero”, ma in un certo senso su questo ci inserirei anche quello che riguardano i vegani.
Allora, partendo dai vegani e poi arrivando all’altro pezzo, come si fa a non voler bene e a non accettare un’idea vegana? Signori, è impossibile.
Cioè, come si fa a dire che un gruppo di persone che vogliono bene a tutto il prossimo, al punto tale di amare qualsiasi animale vivente sulla terra, chiaramente, è impensabile dire che questo pensiero è un pensiero, che non è un pensiero giusto. Certo, io dico sempre ai vegani una cosa fondamentale: cari vegani io di spirito sono totalmente con voi, ma di corpo, scusate signori, ma ognuno il suo!
E la stessa cosa dico per il ragionamento “sotto casa”.
Il ragionamento del “chilometro zero” e “sotto casa” è fantastico, ma è giusto che ci sia, ma anche perché non ho capito se devi comprare la verdura, o se devi comprare un frutto o una pesca ma perché non compri quella umbra se è bella. Perché devi comprare per forza quella che viene da Israele. Però se io voglio un pompelmo particolare nessuno mi deve proibire di comprare il pompelmo di Israele. Questo è un altro ragionamento. Non devo essere talebano e dire “no, io mangio solo questo”. Io se mangio della verdura cerco di comprarla sotto casa perché devo andare da un altro ortolano e non da quello sotto casa che posso controllare. Se io devo comprare dei prodotti posso venire sotto casa ma attenzione, io devo capire e amare tutto. Se voglio provare un olio che fanno in Israele, io lo devo comprare perché ho voglia di prenderlo. E magari è più buono del mio, ma non dice niente questo. Io devo confrontarmi sempre.
Quindi, bene il discorso del chilometro zero, ma sempre aperti al confronto, altrimenti noi ci esponiamo, specialmente noi italiani a non esportare. Perché fondamentalmente noi siamo i più grandi esportatori di qualità.
Anzi, noi in Umbria, proprio per l’olio, noi siamo un grande esempio. Noi vendiamo tantissimo olio in Umbria, molto di questo olio che vendiamo è umbro, molto è italiano, però molto non è nè italiano, né umbro. Ma per un motivo semplicissimo, perché noi cerchiamo di prendere tutto l’umbro che si produce e esportarlo perché in esportazione lo vendiamo carissimo e quindi cerchiamo di venderne il più possibile, vendendone il più possibile fuori, in Umbria manca. Quindi il consumatore umbro è proprio costretto anche per una questione di quotazione di prezzi. Sai, l’offerta e la domanda, l’offerta fa il prezzo e sono costretti anche ad utilizzare prodotti, che non sono sotto casa che sono locali, ma a beneficio, però, di tutta la società perché altrimenti non si potrebbe vendere a 10 euro, 11 euro un olio se fosse consumato solo all’interno della nostra regione. Quindi questo è un po’ le cose.
L’ultima cosa quella dell’innovazione. L’innovazione, allora, qualsiasi prodotto anche millenario (mi sembra di aver sentito dire, secondo me sono tanti, che sono sei, settemila anni che si produce olio e vino, mi sembra, non lo so). Innovare. Si può sempre innovare. Si può innovare una bottiglia, si può innovare con un nuovo versatore. E l’innovazione, anche su questi prodotti molto maturi, deve essere costante, continua, perché il consumatore, con queste piccole innovazioni si sente gratificato. Si sente che tu sei vicino ai suoi bisogni.
Poi, va beh, c’è l’idea folgorante che ti porta ad avere uno spazio e una spinta in più, ma fondamentalmente è sempre la cura per il tuo prossimo. Più tu curi il prossimo, più tu pensi a curare il prossimo senza curarti dell’utile, perché l’utile viene fuori da solo, il consumatore te lo riconosce. Guardate, non c’è cosa più certa di questa. Tu fai un prodotto buono, stai tranquillo che prima o poi il consumatore te lo riconosce e te lo paga quello che deve pagartelo per farti avere il tuo reddito. Quindi l’innovazione è qualcosa che ogni momento, ogni secondo, deve andare avanti. Io ho degli amici qui in sala che, non lo sapevo, dal cocomero che pesa otto chili hanno fatto un cocomero che pesa un chilo, un chilo e mezzo (quanto? più o meno, non mi ricordo bene).Gli ho detto, ma a che serve? Ma come a che serve! Ma la piccola famiglia… oggi le famiglie sono più piccole e vogliono il cocomero più piccolo. Eccolo qua, questa grande innovazione. Il consumatore chiede una cosa e tu gliela dai. Semplice. Grazie signori.
CAMILLO GARDINI:
Dieci generazioni portate bene. Il vegano di spirito però è da brevettare perché è troppo bello, un applauso super a Pompeo perché ci interpreta tutti.
Stefano Berni, direttore generale del consorzio Grana Padano. Un bel momento per il grana. Prezzo del latte buono, ma soprattutto prezzo dei formaggi duri molto buono.
Quindi la prima domanda è: cosa succede, perché una crescita così nei consumi e anche nei prezzi? Se Pompeo ha duecentocinquanta anni di storia, il formaggio grana ne ha più di mille forse, e quindi una grande tradizione. Cosa significa mantenere la tradizione? Cosa significa anche fare innovazione con un prodotto come questo e quali progetti per il futuro per il grana?
STEFANO BERNI:
Ringrazio Pompeo di essersi corretto perché quando si è messo a parlare troppo bene dei vegani dico, mi toccherà dire qualcosa di contrario, essendo io oltre tutto verbalmente incontinente (cioè, dico quello che penso). Poi invece ha detto che con lo spirito apprezzava la filosofia dei vegani, ma non la condivideva, perciò non dirò niente per recuperare.
Al di là del momento, ci sono i cicli che vanno e che vengono, però, il tema di oggi io lo trovo molto importante e stimolante, perché io fino ad oggi non sono riuscito a capire se sono i consumatori che dettano i bisogni o se sono i produttori dei bisogni che cercano di convincere i consumatori.
Secondo me forse sono un po’ vere tutte e due, ma più la seconda. Vi faccio un esempio perché mi stato stimolato da un intervento prima dal rappresentante della GDO quando ha parlato delle bacche di Goji.
Io sono stato uno di quelli folgorati da questa idea salvifica delle bacche di Goji. Mia moglie me le somministrava, anzi mi imponeva anche di mangiarmele. L’altro giorno ho letto una rivista scientifica, che considero seria, si chiama Focus (non ho neanche il timore). C’è scritto che per avere l’effetto promesso io avrei dovuto mangiare sette chili di bacche di Goji al giorno. Allora, in quel caso sono coloro che hanno inventato il valore aggiunto nell’importazione, nella vendita della bacche di Goji che hanno creato un bisogno o era davvero il consumatore che chiedeva a cuore aperto, proprio con affanno, voglio le bacche di Goji, non ne posso fare a meno?
Parto da qua per dire… non voglio né essere troppo ironico, né banalizzare. E’ vero che la richiesta che si fa oggi al cibo non è solo quella del gusto, della appetibilità e della compagnia. Il cibo è compagnia, anche, non è solo gusto e appetibilità. Si comincia a chiedere, molto meno di quanto ci vorrebbero convincere, secondo me, si comincia a chiedere anche al cibo di fare bene o quanto meno di non fare male. Di fare bene all’ambiente, di fare bene alla salute e di essere quindi sostenibile.
Perciò questa è comunque una nuova frontiera. Che nasca spontaneamente come movimento autonomo del consumatore o che venga indotta da interessi di chi ha voglia di sviluppare frontiere nuove più costose, più alto valore aggiunto (ricordatevi sempre: a più alto valore aggiunto), è comunque una frontiera che va affrontata e come tale va fatto con trasparenza.
Però il consumatore non chiede che il cibo (o almeno gran parte dei consumatori o quantomeno quelli che interessano a me), non chiede che il cibo sia un farmaco, perché non può essere un farmaco. Un cibo può essere grasso, può essere salato, può essere alcolico e un consumatore consapevolmente decide di mangiare un cibo grasso, un cibo salato, un cibo alcolico.
C’è però una cosa che il consumatore chiede e che poco o niente gli viene data, che è la lealtà. La lealtà dell’informazione. Il consumatore accetta di consumare quel che ritiene più buono, quello che ritiene che gli faccia bene, ma non accetta bugie, che invece deve subire. E qui mi riferisco in particolare a chi si occupa di distribuzione (ma non solo) e chi si occupa di norme a favore del consumatore.
Bisogna trovare il modo di regolamentare e verificare la correttezza dell’informazione. Vi ho fatto la battuta della bacche di Goji, ma ce ne possono essere tante altre analoghe. La correttezza delle informazioni.
Oggi vengono sparate delle informazioni (o sull’etichetta o sui siti a cui le etichette spesso rinviano) e il consumatore è indotto a credere ciò che viene scritto sull’etichetta o sui siti. Ma spesso vengono scritte delle cose solo parzialmente vere; non vengono scritte tutte e quindi non si dà quell’informazione leale e corretta che è l’unica cosa che chiede davvero, secondo me, il consumatore.
E quindi si creano queste nuove tendenze, si formano delle categorie di pensiero, che poi alla fine si trasformano in percorsi commerciali veri e propri nell’interesse ovviamente di chi segue e chi spinge e stimola questi percorsi. Ad esempio, il biologico secondo me, tra tutte le tendenze è una tendenza molto seria, è una risposta adeguata, duratura, fondata. Secondo me avrà sempre più spazio in ragione d’essere.
Ci sono invece altre tendenze che rispetto (che sia chiaro), però sono molto meno equilibrate, sono radicali e quindi sono categorie di pensiero più radicate nella psicologia, nella convinzione, ovviamente che nella scelta alimentare. Ovviamente col rispetto di ogni scelta alimentare che non condivido, come dicevo prima quella dei vegani, dei frigan, dei crudisti, dei fruttariani, che rispetto come filosofi dell’alimentazione, ma non come corretti applicatori di una scienza alimentare.
Poi ci sono due cose nuove (che oggi non sono state dette ma che ovviamente tutti conoscono), che è la velocità che si dedica al mangiare.
C’è una riduzione di tempo progressivo che la famiglia dedica alla preparazione e al consumo dei pasti, ma c’è un altro fatto nuovo che spesso dimentichiamo: il 35% nel 2016 della spesa alimentare è stata consumata fuori casa nei 300.000 punti di ristorazione sparsi sul territorio nazionale. Evidentemente lì c’è anche un costo di servizio, quindi, circa il 26-27% del peso, in termini quantitativi, è consumato fuori casa.
Quindi, bisognerà anche verificare quando si dice che cala la spesa dei consumi alimentari della famiglia italiana, se è la spesa degli acquisti fatti presso i negozi, la distribuzione o se in questo c’è anche la spesa dei pasti sostenuti fuori casa. Il 35% è tanto.
Che cosa succede a questo 35%? Succede che la scelta degli ingredienti è subita. È molto subita dagli avventori. Io stesso. Quindi occorrerebbe più trasparenza. Occorrerebbe più trasparenza anche nei confronti di chi si deve rivolgere ai consumi fuori casa e vi faccio un esempio.
Imprenditore della Brianza, inizi del mese di luglio (quindi un esempio recente), che gestisce alcuni ristoranti e che si fornisce presso il caseificio di un amico di circa quindici forme di grana Padano tutti i mesi. Si presenta i primi di luglio da questo caseificio e compra solamente otto forme di grana Padano. Al che, il gestore del caseificio (caro amico, fra l’altro), gli chiede: “Hai deciso di chiudere alcuni ristoranti dei tuoi, brianzoli, tutti nella Brianza?” “No – dice- non chiude nessun ristorante per luglio, per ferragosto, rimangono aperti tutti quanti”. Dice “Beh, allora perché hai ridotto così?” “Ma no, guarda mi hanno fatto assaggiare l’altro giorno un prodotto similare che assomiglia al grana Padano che costa 50 euro in meno a forma. Io ho preso sette forme di quello, tanto in cucina nessuno viene a vedere cosa ci metto, il formaggio è anche abbastanza buono, il gusto rispetta quella che è l’esigenza del piatto preparato, che esce dalla cucina e che va sulla tavola, mentre il grana padano lo uso quando devo dare lo snack, l’aperitivo, quando mi chiedono un pezzo di formaggio magari al posto del secondo. Allora lì devo presentarmi con un prodotto che abbia dignità, blasone, che abbia credibilità e che dia garanzia. Però – dice questo gestore – risparmio 350 euro al mese, in dodici mesi, mi pago le vacanze, mie e di mia moglie, questo inverno, perché risparmio quasi 4.000 euro”.
Allora, questo esempio, che è un esempio vero successo meno di cinquanta giorni fa, vi racconta come occorrerebbe essere molto in generale più seri e rigorosi nel dare l’informazione al consumatore, il quale magari nel menù di quei ristoranti di questo imprenditore brianzolo, trova grana Padano, perché quando lo chiede glielo portano; poi nelle sue cucine da un mese e mezzo ha deciso di usare un similare italiano però fatto diverso, con delle regole diverse, molto meno costoso, tant’è che lo paga cinquanta euro in meno a forma. Quindi la scelta degli ingredienti deve essere meno subita, occorre più trasparenza nei confronti del consumatore.
La sfida del futuro è la consapevolezza di questo stato di cose e questa è la chiave della crescita che prima ci chiedeva Camillo. La nostra crescita è orientata soprattutto verso l’estero. Noi ormai come grana Padano, essendo DOP più consumato al mondo, esportiamo ormai il 40% della nostra produzione. E tutta la nostra crescita è verso l’estero perché in Italia siamo aggrediti dai prodotti similari che la grande distribuzione dovrebbe aiutarci e non ci aiuta abbastanza, perché ce li mescola insieme al grana Padano. Trasparenza, eh!
Più di una volta è successo che abbiam dovuto far cambiare delle confezioni della grande distribuzione perché usavano gli stessi colori della scatola in cui c’era il grana Padano con un formaggio similare che era lì di fianco (che non c’era scritto grana Padano, quindi non c’era una frode, ma c’era una emulazione, una evocazione che pure non è una cosa legale).
Quindi credo che la consapevolezza sia la chiave di questa nostra crescita la consapevolezza nostra e del consumatore soprattutto perché orientata all’estero.
Per quanto riguarda le innovazioni noi siamo una DOP, abbiamo delle regole rigide che durano da mille anni che devono essere rispettate, però l’innovazione è il servizio che noi diamo al consumatore. Stiamo crescendo tantissimo nel segmento del grattugiato, del senza crosta, dei bocconcini. Forse perché c’è meno tempo, come dicevo prima, per dedicarsi alla preparazione alimentare, forse perché si usa tutto quello che c’è in quella confezione, ma è l’unico segmento che sta crescendo: l’innovazione nel caso di un prodotto DOP può essere solamente (non certo nella rivoluzione di una ricetta che dura da mille anni e ci fa essere il numero uno al mondo per questo perché così per fortuna voi ci apprezzate e perché abbiamo queste rigide regole che rispettiamo con rigore), ma l’innovazione è nel packaging, è nel modo di proporlo, nel modo di consumarlo e nel modo di andare incontro, come diceva Farchioni, a quello che chiede il consumatore. Il consumatore non ha più tempo di stare lì a grattugiarselo, non ha più tempo di usare la crosta, pulirsela, mettersela nel brodo, quindi tante volte è costretto a buttarla lì. Errore gravissimo, non si butta mai via la crosta del formaggio, semmai o la si cuoce o la si mette nel brodo che è eccezionale però la velocità induce anche a questo. Credo di aver risposto, Camillo, a quello che hai chiesto.
CAMILLO GARDINI:
Grazie Stefano. Bene. Arriviamo a Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, la più grande organizzazione dei produttori agricoli italiani. A lui chiediamo se queste nuove tendenze cambiano solo i comportamenti dei grandi prodotti, dei grandi gruppi alimentari o se condizionano anche le singole imprese agricole e quindi se questo cambiamento sta condizionando anche proprio le scelte organizzative delle imprese che Roberto Moncalvo rappresenta. Così anche cosa significa tradizione- innovazione per una realtà come Coldiretti e cosa significa anche pensare al futuro e quindi progetti per il futuro.
ROBERTO MONCALVO:
Grazie Camillo, grazie CL per aver invitato Coldiretti a questa manifestazione. Allora, intanto parlare dopo interventi così belli è impegnativo doppiamente, allora io provo a riflettere con voi, anche sulla base di alcuni esempi di storia personale, qual è il ruolo degli agricoltori in tutto questo percorso. Sono stati citati, a partire dall’intervento di Gancarlo Paola e poi man mano anche negli altri, i cambiamenti nel mercato stesso. Enrico Corali ha fatto nel suo intervento di apertura i cambiamenti sul mercato e soprattutto cosa ci aspettiamo di qui al prossimo periodo. Ma in tutto questo come, che ruolo hanno gli agricoltori? Chiedo ad ognuno di voi di fare con me un passo indietro per capire come sono coinvolti gli agricoltori in questo percorso. Il passo indietro che vi chiedo di fare è di una ventina di anni più o meno. Qualcuno di voi aveva qualche capello bianco in meno, qualcuno di voi forse era in fasce o non era nemmeno nato perché il pubblico è bello, attento e anche variegato in termini di età. Io avevo diciassette anni e facevo la quarta liceo e in quegli anni di cibo si parlava soprattutto nelle pubblicità, si parlava soprattutto nelle pubblicità dei grandi marchi e una figura come quella dell’agricoltore era una figura un po’, scusatemi il termine, sfigata. A me alle medie, negli anni 90 prendevano in giro perché ero figlio di agricoltori. Anni 90, non preistoria. Succedeva ne ’93 che in Italia si celebra un Referendum per eleminare il ministero dell’agricoltura. Quindi era un Paese che aveva messo l’agricoltura in un angolo, lo aveva messo alla società per certi versi anche una parte delle istituzioni. Ciononostante per fortuna gli agricoltori continuavano fare il loro mestiere, tanti imprenditori dell’agroalimentare continuavano a fare il loro quindi il mondo è andato avanti. Sono passati vent’anni, oggi far l’agricoltore non è più un mestiere da sfigati, è un mestiere come gli altri. Anzi, se parlo con i miei coetanei che hanno fatto chi l’ingegnere, chi qualche altro mestiere mi dicono “tutto sommato sei più fortunato tu a fare l’agricoltore che non noi a fare gli ingegneri”. Quindi al di là delle battute c’è comunque la consapevolezza che l’agricoltore è un mestiere che ha una sua dignità e possiamo dire di più: è un mestiere che ha una certa importanza rispetto all’equilibrio del Paese, dell’ambiente, del paesaggio oltre che della sicurezza alimentare e dell’economia vera, quella che genera posti di lavoro, che genera possibilità di futuro per il Paese. Allora se voglia dire che cosa è successo in questi vent’anni in modo molto semplificato, forse anche approssimativo, ma credo sicuramento non errato, è accaduto che in questi vent’anni a parlare di cibo sono stati molto più di quanto accadesse in passato chi con il cibo ci lavora tutti i giorni. Sono cresciute in modo esponenziale ormai e anche quotidianamente sulle televisioni, molti imprenditori di Coldiretti vanno a raccontare la loro storia. Quindi il cibo raccontato attraverso la storia di imprenditori agricoli spesso giovani, magari che hanno riscoperto l’attività in agricoltura dopo aver fatto esperienze in altri settori, quindi nuovi agricoltori, che scelgono di fare questa attività o il cibo raccontato attraverso le storie di successo dell’imprenditoria agro industriale o magari del mondo della cucina, della ristorazione. Lo chef era un mestiere altrettanto sfigato venti anni fa. Oggi è un mestiere su cui si celebrano trasmissioni televisive che forse arrivano quasi a banalizzare la questione. Vedete come tutto sta cambiando. Gli agricoltori in tutti questo sicuramento ci sono stati dentro e sicuramente in alcune di questi fenomeni hanno aiutato a determinarli. O ne cito due che sono già stati citati negli interventi di chi mi ha preceduto. Il tema del biologico è un tema che esiste nella misura in cui esistono agricoltori che applicano le tecniche biologiche di produzione. Senza agricoltori che ci credano la filiera viene meno e quindi c’è stato un interesse tale per cui oggi in Italia ci sono il 22% degli agricoltori biologici europei. E quindi di nuovo è una tendenza che si riassume in numeri e in cambiamenti anche di intere porzioni di territorio del nostro Paese. La tendenza che è stata definita in modo diverso dal chilometro zero al localismo negli interventi di chi mi ha preceduto di nuovo ha visto gli agricoltori coinvolti. Nel 2007 ottenevamo come Coldiretti il primo decreto legislativo sui Farmar’s market, i mercati degli agricoltori. Oggi con Campagna Amica ne gestiamo milleduecento in Italia, ventimila agricoltori coinvolti, due miliardi di fatturato. Diecimila posti di lavoro nell’ultimo anno e mezzo. C’è un fenomeno che all’inizio sembra un racconto, una tendenza ma che poi diventa posti di lavoro e qui gli agricoltori ci sono stati. Allora possiamo dire che sicuramente gli agricoltori, più in generale chi si occupa di cibo quotidianamente, sono stati determinanti in questo passaggio prima di attenzione culturale e anche quotidiana al tema del cibo e della agricoltura. Ovviamente oggi lo sono anche rispetto alle tendenze che si creano. È stato detto in modo altrettanto importante che molte delle nuove tendenze nascono da esperienze di piccole o medie imprese, a volte agricole che chiudono la filiera, a volte di filiera agro alimentare di territorio che arrivano alla birra artigianale piuttosto che a qualche altro prodotto importante o nuovo da portare sul mercato. Allora che cosa sta accadendo? Io credo che prima di tutto sta accadendo che ci stiamo rendendo conto che per le mani abbiamo qualcosa di importante. Cioè tutto ciò che vent’anni fa ci sembrava inutile da lasciare in qualche modo come una questione scontata o non importante per un futuro in Italia oggi diventa una questione di cui è importante parlare e su cui molti giovani stanno mettendo le mani quotidianamente come scelta di lavoro e di vita. L’Italia è il paese leader anche per numero di imprenditori under 35 che lavorano in agricoltura. Quindi ci sono tendenze che oggi sono diventate numeri, cioè sono diventate occupazioni. Ma soprattutto oggi ci siamo resi conto analizzando bene, seguendolo quotidianamente il nostro settore che abbiamo un settore che è sicuramente distintivo, molto particolare rispetto all’agricoltura di tanti altri paesi nel mondo. Lo è per il biologico, lo è più in generale per la biodiversità. Pompeo Farchioni sa che in Italia abbiamo saputo mantenere, anche grazie allo sforzo di esperienze illuminate dell’agroindustria, abbiamo saputo mantenere come agricoltori 533 varietà di ulivi diversi coltivati. Se voi andate in Spagna, che è il paese che fa la concorrenza sulla quantità, non certo sulla qualità dell’olio in termini generali, se ne coltivano una decina. C’è qualcosa di profondamente diverso che noi abbiamo saputo mantenere, e su cui abbiamo saputo comunque costruire un’economia che ha una sua sostenibilità. Quindi c’è una sostenibilità ambientale ma c’è una sostenibilità anche di natura economica che si sta man mano generando. Siamo il paese che è stato detto leader per numero di denominazione di origine ma anche più in generale per prodotti alimentari tradizionali censiti dalle regioni, ne abbiamo 5000 in Italia che è un patrimonio pazzesco ed ognuno di questi figlio di lavoro di agricoltori, lavoro di artigiani, di cuochi che hanno saputo mantenere le ricette inalterate nel tempo. Quindi c’è un patrimonio importante che è culturale, ma che è anche economico e che ha a che fare con il modo con cui noi mangiamo quotidianamente e quindi anche con la nostra salute; ma la l’agricoltura che stiamo tutti insieme da punti di vista diversi sostenendo nel nostro paese è un’agricoltura che ha anche alcuni altri valori aggiunti come quello della sostenibilità sociale. Questo è l’unico paese al mondo che ha una legge stretta, rigida, che abbiamo voluto profondamente di lotta al caporalato. Voi dite “ Beh questa legge c’è per il problema del caporalato italiano, è vero. Magari andate a vedere come funziona l’agricoltura in tanti altri paesi del mondo e, ahimè, non solo in paesi in via di sviluppo, ma anche in qualche paese molto sviluppato, magari come la Germania che vuole sempre insegnarci come dobbiamo stare composti a tavola scoprirete, che ci sono problemi importanti. E è facile parlare di come si raccoglie il pomodoro in Cina, purtroppo, con lo sfruttamento del lavoro minorile, o di come gran parte dell’orto-frutta che magari in queste settimane sta mettendo in ginocchio la pesca prodotta in Romagna e un’ortofrutta raccolta con persone, spesso donne, o anche bambini in condizione di schiavitù in paesi oltre il mar mediterraneo dell’Africa del Nord.
Noi invece siamo un paese che si è dotato di questo tipo di norma, ma allora vedete che esiste un paese che pur con tutti i margini di miglioramento che ancora abbiamo e su cui dobbiamo investire, perché nessuno nasce perfetto, ma è un miglioramento continuo che dobbiamo fare, ha scelto una strada che ci rende distintivi in termine anche di risultati concreti e di numeri, c’è un numero importante che ha a che fare con la salute dei cittadini. I residui chimici nei prodotti penso di nuovo all’ortofrutta che il prodotto dell’estate, ma anche a tutti gli altri prodotti agroalimentari, il residuo dei prodotti chimici testato dagli esami ufficiali degli organi di controllo sul prodotto italiano è mediamente cinque o sei volte sotto la media europea venti/ venticinque volte sotto la media dei paesi terzi. Allora c’è una capacità di lavorare in agricoltura che diventa sicurezza alimentare poi per chi scegli il prodotto italiano. Allora tutto questo percorso fa si che oggi ci sia una agricoltura distintiva, sicuramente, difficile da replicare, non tanto perché è la migliore al mondo di per sé, non tocca a noi darci la patente di superiorità rispetto agli altri, ma sicuramente una modalità di intendere l’agricoltura distintiva e difficile da replicare perché non esiste un paese al mondo che con la frequenza dei casi che abbiamo in Italia noi abbiamo un legame bellissimo tra Agricoltura, Cibo e paesaggio, pensate ai grandi dipinti dal ‘500/’600, possiamo tornare in dietro tanto nel tempo, il paesaggio italiano è un paesaggio dove si vede sempre la mano dell’agricoltore, il lavoro dell’agricoltore, allora questa cosa qua, unita a un patrimonio culturale artistico diffuso oltre a quello delle grandi città e al nostro artigianato fa sì che l’agricoltura sia un passaggio importante, non a caso l’agricoltura insieme al passaggio di cibo è un settore che per molti trimestri negli anni passati mentre il paese viveva il grosso della crisi dava segno più all’occupazione, mentre gli altri settori davano segno meno, e oggi comunque genera in percentuale più occupazione di quanto stiano facendo gli altri settori, se tutto questo è vero, ci sono dei numeri. Allora ecco che tradizione ed innovazione sono due termini su cui dobbiamo fare un esercizio di coraggio nel modo con cui li guardiamo e di innovazione con cui li guardiamo: qua non si tratta di essere tradizionali o di essere innovatori, qua si tratta di interpretare nel più fedele modo possibile il titolo del meeting di quest’anno noi abbiamo un’eredità dai nostri padri che abbiamo man mano saputo mettere a fuoco in questi ultimi anni in modo molto forte che è annegata pienamente nella nostra tradizione agroalimentare e poi abbiamo la necessità di lavorare per riguadagnare e per possederla, come? Attraverso sicuramente l’innovazione. L’innovazione, è stato detto, può essere un’innovazione di processo, un’innovazione del packaging, del modo con cui propongo il grana padano, propongo una bottiglia d’olio, ma ci sono altre due ricette fondamentali che di nuovo sono state già citate negli interventi che mi hanno preceduto: legalità, rispetto delle regole, è una questione fondamentale lo è quando parlo di caporalato perché c’è di mezzo la vita e lo sfruttamento delle persone, lo è anche quando parlo di rispetto delle regole che ad esempio hanno a che fare con l’origine di un prodotto o con il fatto che quel prodotto sia o non sia un prodotto di denominazione d’origine, qui Stefano Berni, lo ha raccontato con un esempio importante, allora innovazione legalità e l’ultima parola trasparenza. Perché c’è una serie di necessità di trasparenza che ancora non trovano riscontro nelle norme, se la ristorazione prende un peso così grande noi dobbiamo sempre più pensare a norme che garantiscano la trasparenza nella ristorazione, è fondamentale, pensate a quanto siamo attenti ormai quando andiamo a mangiare il pesce a capire se ci stanno servendo il pesce congelato oppure no, allora quanto sarebbe altrettanto importante ad esempio riconoscere se in un risotto c’è un riso che è stato cucinato da crudo oppure se è un riso precotto, perché poi c’è differenza anche nel momento in cui io mi gusto quel risotto allora sapere informazioni di questo tipo è fondamentale, soprattutto è importante quando ci sono di mezzo le denominazioni d’origine, fare in modo che se io scrivo risotto mantecato al grana padano poi ci sia il grana padano e non ci sia un similare, perchè ha a che fare con la sana e trasparente informazione al consumatore, ma che ha a che fare anche con un modo che non costa nulla allo stato, ma per difendere l’economia nazionale, che non vuol dire chiudere le frontiere, assolutamente, vuol dire sapere che abbiamo un’economia nazionale che da lavoro e che va difesa. Per poterla difendere bisogna riconoscerla, per riconoscerla serve che nell’etichetta ci siano alcune informazioni chiare, l’origine del prodotto agricolo per tutti i prodotti nella filiera, abbiamo visto che sull’arte, sui formaggi abbiamo ottenuto, per tutto quello che non è DOP l’origine obbligatoria in etichetta è diventata operativa maggio 2017 e noi stiamo vedendo che senza danni in termini economici per i consumatori il prezzo del latte nelle campagne sta risalendo e stiamo dando un’opportunità alle stalle di rimanere in montagna dove già troppe se ne sono andate negli ultimi anni e avere una stalla in montagna vuol dire avere presidio di un territorio, evitare l’abbandono e dare la possibilità di fluire la montagna nel nostro paese e noi sappiamo che in Italia c’è un 50% di territorio che è fatto di aree svantaggiate: colline e montagne. Questi sono un po’ i percorsi che credo vedono l’agricoltore protagonista in un percorso che in questi ultimi anni ci ha visto sempre di più camminare passo passo con il consumatore da un lato cercare di proporre qualcosa di nuovo e dall’altro cercare di ascoltare quelle che erano le necessità del consumatore, penso che questa strada sia una strada che è iniziata e non si può fermare e credo che aiuterà la nostra Italia a scrivere alcuni momenti positivi per la nostra economia, per la nostra occupazione, ma anche per il nostro ambiente e per la nostra salute.
CAMILLO GARDINI:
Grazie Roberto Moncalvo, un ultimo giro, un minuto ciascuno ai nostri relatori perché in questo binomio cibo e salute avremmo il piacere di sapere cosa significa nella loro dieta alimentare per cui a iniziare da Enrico Corali: Come vivi il binomio cibo-salute? Cos’è cambiato nel tuo periodo ultimo di consumi?
ENRICO CORALI:
Secondo me niente.
CAMILLO GARDINI:
La Birra?
ENRICO CORALI:
No, ma la birra sempre. No, ma facendo una vita particolarmente sportiva io da questo punto di vista, mi sono sempre controllato. Però due cose al volo veramente che ci tenevo a dire: riprendo un po’, Moncalvo citava i quadri del ‘500, io mentre sentivo l’intervento (tutti bellissimi, veramente, ma ho seguito con particolare interesse l’intervento del dottor Farchioni) questo imprenditore, che è un po’ sentire moltissimi imprenditori italiani che raccontano questa storia con questa passione con questo legame, esco da questi incontri sempre con una fiducia nel nostro paese, ma in particolare, veramente mi veniva in mente quando hai evocato i quadri del ‘500, è un personaggio, lo vedrei in questa verve, in uno dei capitani di ventura o di personaggi del due/trecento toscano che Dante metteva, ovviamente, in Paradiso però volevo interloquire con quel bellissimo intervento su due cose: una, io concordo col dottor Berni che nell’innovazione io credo che la parte determinante non la faccia la domanda del consumatore, ma sia l’offerta, adesso non voglio tirar fuori le teorie economiche da questo punto di vista che le innovazioni tendono a collocarla da parte dell’offerta, però anch’io faccio un esempio banale, se fosse il consumatore a determinare in qualche modo la richiesta ci deve essere un consumatore che in qualche modo è appassionato di una situazione di schiavitù se ha in qualche modo richiesto questo tipo di strumento e per questo che tendo a dire che sia più l’offerta che la domanda. La cosa invece che mi distingue dall’intervento del dottor. Farchioni è sempre su questo tema che ho cercato all’inizio di introdurre: l’esempio del consumatore vegano per cui uno è in spirito con il consumatore vegano, ma con il corpo diciamo, da tutt’altra parte secondo me, la fa troppo semplice, perché continua a tenere separate corpo e spirito come se avessero autonomia e indipendenza nei voleri e nelle determinazioni. Io non sono d’accordo su questo, e qui vi invito a riflettere sul significato profondo di mens sana in corpore sano questa è la cosa che volevo dirvi.
CAMILLO GARDINI:
Bene, Giancarlo Paola, cambiamento di attitudini di consumo cibo salute.
GIANCARLO PAOLA:
Caro Camillo, sono vittima di una moglie che ci prova da sempre. 100 g di zucchero in una ricetta ce ne metteva 10, perché diceva che ce ne dovevano essere 10. Beviamo da due anni latte senza lattosio, nessuno in famiglia è allergico al lattosio, quindi io quel poco che resto a casa, due giorni a settimana, subisco queste cose, non mi costa evito discussioni però vivo questo free from a casa.
CAMILLO GARDINI:
Ha tutta la nostra comprensione.
GIANCARLO PAOLA:
No, io però penso che su alcune cose che hanno delle basi scientifiche, è sbagliato ignorarle, cioè che oggi noi dovremmo assumere, secondo le scienze, 5 grammi al giorno di sale e che nella nostra dieta, noi ne consumiamo 12 è una cosa che mi deve far riflettere, per cui se riusciamo ad eliminarlo da alcuni alimenti in cui magari ce lo aggiungiamo noi perché lo assumiamo già in altri che sono buoni con il sale e che devono essere fatte con il sale: se pensiamo i salumi, i prosciutti. Però almeno su alcune cose penso non faccia male osservare determinate cose, almeno quelle scientificamente provate, andrebbero osservate per cui ci proviamo un po’ tutti.
CAMILLO GARDINI:
Grazie, Pompeo, vi ricordo un minuto.
POMPEO FARCHIONI:
Devo rispondere un attimo, ricordo che l’Umbria è terra di Santi e di eroi molto più che la toscana, ma per bisogno: non c’era niente, quindi o espatriavi e andavi a fare la guerra o rimanevi nella tua terra, ma eri …, non solo, ma la comunità più famosa di eremiti viveva dal 1200 al 1500 nelle grotte e nelle colline umbre sopra Spoleto addirittura talmente rivoluzionaria che i Papi dell’epoca, andavano personalmente, o mandavano i loro migliori vescovi, a controllare che gli eremiti non facessero troppi proseliti. Quindi sai l’eremita era quello che mangiava solo vegano, assolutamente, c’è una vecchia storia, e anche lì lo dico scusatemi, per quello che riguarda i cibi e poi per finire, secondo me, io dico, sii umano, quindi pecca, poi ti confessi e chiaramente espii.
CAMILLO GARDINI:
Stefano, a te, come hai cambiato i consumi?
STEFANO BERNI:
Cioè mi chiedi cosa faremo nel futuro? Allora nel mondo dei senza, senza qui senza là, noi invece faremo il tutto, cioè riporteremo tutto, noi davamo per scontato che il nostro prodotto facesse bene, ma alla gente bisogna che glielo raccontiamo meglio, quindi cominceremo a dire tutto. Cominceremo a dire che il sale nel grana padano non fa male, che il grana padano abbassa la pressione arteriosa, sia la massima che la minima, che non contiene lattosio, ma non contiene neanche galattosio, (differentemente dai prodotti che la moglie impone della Tosati, ma sono pieni di Galattosio, quindi sappia la moglie che quei prodotti della Tosati fisicamente sono pieni di galattosio, nel grana padano non c’è neanche il galattosio) ha molti grassi insaturi, ovvero quelli buoni, grazie al trattamento naturale che contiene proteine, lipidi, prontamente digeribili più digeribili che in qualsiasi altro alimento in natura per la lunga stagionatura, contiene la vitamina B12, il Fosforo, lo Zinco, il Rame, che è la fonte di calcio più biodisponibile che c’è presente proprio per la alta digeribilità, quindi cominceremo a dire queste cose, noi le consideravamo un dovere, le abbiamo sempre proposte senza raccontarle ai consumatori adesso per distinguerci dai millantatori, dagli imbroglioni, dai falsari, da coloro che cercano di fruttare le tendenze mentendo cominceremo a dire la verità e a dirla tutta e scusateci se magari dal 2018 un po’ vi annoieremo invece che con gli spot simpatici, ironici, come sono stati (che hanno colpito visti i consumi che ci sono stati negli ultimi anni), con degli spot didattici che andranno a spiegare e a dire scientificamente le cose che vi ho detto adesso, che ripeto, davamo per scontato, ma che ora siamo costretti a raccontarvi per intero perché sono cose che fanno bene.
CAMILLO GARDINI:
Roberto, i tuoi consumi?
ROBERTO MOLCAVO:
Non ho ancora fatto così tanti errori, a 37 anni sono troppo giovane devo ancora sbagliare tanto prima di diventare saggio e dare consigli, allora una cosa però la voglio dire: dieta mediterranea. Noi abbiamo avuto bisogno di uno scienziato americano che venisse qui in Italia a sistematizzare il nostro modo di mangiare. Dici, ma siamo scemi? No. Era talmente parte della nostra tradizione come tante cose facciamo che sono tramandate dai nostri nonni e dai nostri genitori che per noi era naturale, ora arriva Bloomberg quest’anno e fa un’analisi sulla longevità e sulla salute e sull’aspettativa di vita in 176 paesi e viene fuori che l’ Italia è il primo paese al mondo grazie alla dieta mediterranea. Porcaccia! Vedete che qui c’è qualcosa di importante, che cosa dice la dieta mediterranea: mangiamo un po’ di tutto con le giuste quantità e il giusto mix, rispettando la stagionalità, rispettando il territorio, facendo anche qualche peccato ogni tanto, ma ritornando poi sulle nostre posizioni, no questo è il patrimonio da cui partiamo allora forse invece di bacche goji riscopriamo il “superfood della nonna” noi, li abbiamo chiamati così ironicamente, ma sono tutti quei prodotti a partire da vecchie varietà della nostra ortofrutta che hanno al loro interno le stesse qualità, le stesse proprietà anche salutistiche e che sono figlie, del sapere dei nostri agricoltori e delle nostre produzioni di territorio e soprattutto ricordiamoci da cittadini che abbiamo un grande potere, da soli non sconvolgiamo il mondo, ma possiamo dare una grande mano; due esempi e chiudo: olio di palma. In sei/otto mesi a prescindere dal fatto che faccia bene o faccia male, non ne voglio neanche parlare, sta sparendo dalle ricette di tantissimi gruppi che ritenevano che fosse un ingrediente insostituibile, perché c’è stata una sensibilità da parte di tanti cittadini che hanno iniziato a premiare quelle ditte che non lo utilizzavano più, quindi i cittadini possono anche fare, da soli no, perché devi avere dall’ altra parte qualcuno che risponde però si aprono degli spazi. La pasta con il grano duro italiano al 100%, con questo vi saluto, fino a tre anni fa sembrava che non si potesse produrre; i grandi marchi soprattutto alcuni ci dicevano, senza il grano degli altri paesi magari del Canada è impossibile fare buona pasta del grano duro oggi ( e mi potrai dare conferma) le uniche nel segmento della pasta, che cala leggermente il consumo, l’unica quota che cresce è quella del prodotto con grano duro 100% nazionale. Perché? Perché siamo l’unico paese al mondo che essicca la pasta al sole e non con il … che un principio chimico probabilmente cancerogeno.
CAMILLO GARDINI:
Bene, abbiamo imparato molte cose. Quindi sappiamo che scegliere i cibi sia al ristorante che quando compriamo e facciamo la spesa al supermercato è un atto importante, un grande compito dei produttori, un grande compito dei distributori è migliorare la collaborazione. Prima Stefano Berni diceva “ il compito del grana è il compito di tutti noi appartenenti alla filiera”. Riprendo solo una frase di Pompeo per finire, lui diceva che un’impresa grande non può essere più solo della famiglia che la possiede, ma deve essere un’impresa di tutti. Io dico, ogni impresa deve concepirsi come un’impresa di tutti, anche se piccola, anche se solo una piccola impresa agricola di sei ettari mono- componente. Deve concepirsi come un bene per tutti. E se vive così la proprietà avendo magari tutto il possesso, tutta la proprietà anche giuridica dell’azienda, è in grado di guardare al proprio futuro con grandissima possibilità di crescita per questo vi invito a visitare la mostra che è abbiamo realizzato nel padiglione A1: “ Voi siete il sale della terra” perché racconta questo in maniera dinamica e propositiva è una proposta che riguarda tutti quanti e non solo gli imprenditori, ma anche chi lavora da dipendente, ma chi lavora anche da dipendente nello stato così come la mostra dimostra. Io prima di finire vi invito ad aderire all’aiuto al sostenimento del meeting attraverso donazioni, vi è nei padiglioni le postazioni che si chiamano dona ora e si può diciamo fare donazioni solo nei posti desk dedicati.
Ringrazio tutti per la partecipazione e i relatori per il loro autorevole contributo.