Rimini, 25 agosto 2017 – Si svolge alle ore 17:00, in Auditorium Intesa Sanpaolo B3, l’incontro “Tra nichilismo e jihadismo: la sfida di ricostruire la civiltà nello spazio pubblico”. Stefano Alberto, professore di teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, introduce e coordina gli interventi di Brian Grim, presidente del Religious Freedom & Business Foundation, e di Olivier Roy, joint chair RSCAS, chair in Mediterranean Studies all’EUI (European University Institute).
«Nichilismo e jihadismo sono parole che hanno effetti tangibili nella nostra quotidianità: gli eventi di Barcellona sono, purtroppo, gli ultimi di una lunga serie». È l’esordio di Alberto, che prosegue: «Entrambi i termini indicano la riduzione della vita a qualcosa di mostruoso: il nulla da una parte e la volenza dall’altra». Che cosa vuol dire tutto questo alla nostra società sempre più secolarizzata? Qual è la funzione della religione nello spazio pubblico? «Dobbiamo cercare di capire se la religione fa parte del problema o della sua soluzione».
A Grim spetta la presentazione sintetica delle prospettive in atto e dell’impatto che la libertà religiosa può avere sulla società civile. «Perché il marito della Vergine Maria, madre di Gesù, era un imprenditore? Ciascuno ha un compito, e quello di Giuseppe era proprio quello di provvedere a far crescere, con le sue risorse spirituali e umane la famiglia che gli era affidata». Ognuno di noi si impatta col mondo a partire proprio da quelle risorse e con quelle risponde a un compito. Il professore racconta, quindi, l’esperienza di un imprenditore dell’Indonesia: «Si è trovato in una realtà multireligiosa e debole dal punto di vista sociale: centinaia di bambini, figli dei suoi operai, non erano mai stati registrati all’anagrafe per le difficoltà derivanti dal disagio socio-culturale dei loro genitori». Questi non avevano i mezzi economici per accedere al matrimonio, perciò non erano nelle condizioni di «garantire uno stato civile ai propri figli». Quando se n’è accorto, l’imprenditore ha favorito momenti di matrimonio di massa: «È stato possibile introdurre uno spazio di civiltà». La seconda riflessione parte dalla domanda: «Avete mai pensato a come realizzare la parabola del buon samaritano?». Grim ha raccontato l’esperienza dell’associazione britannica Empowerment+Interfaith: un percorso di formazione in Launching Leaders con lo scopo di mettere in rapporto persone di religioni diverse, creando, di fatto, avvicinamento e dialogo. Entrambe le riflessioni sono state accompagnate da un video.
Roy propone al pubblico l’analisi del fenomeno “terrorismo”, che dal 1997 interessa l’Europa. «Lo studio dei profili dei giovani che hanno compiuto le numerose stragi delinea delle caratteristiche ricorrenti: sono stranieri di seconda generazione, usano lingue europee, la maggior parte non ha una formazione religiosa e nessuno ha mai militato in gruppi politici. Tutti hanno un passato di piccola delinquenza, sono immersi nella cultura europea, e molti sono coppie di fratelli. Tuttavia non ci sono padri: tutti sono orfani o abbandonati, o sono in rotta con le loro famiglie. Rifiutano di ricevere una cultura». Ancora più significativo è che essi «vivono la morte come parte del progetto terroristico, facendosi ammazzare dai poliziotti». Che cosa dice tutto questo alla nostra società contemporanea, profondamente secolarizzata? «La santa ignoranza», risponde il relatore, «è il concetto con cui io tento di descrivere due cose. Da una parte, “la svalutazione della cultura” da parte di chi vive la fede: per molti nuovi credenti la cultura non esiste che sotto forma di paganesimo. Dall’altra i non credenti non sono anticlericali, semplicemente non capiscono come si possa essere credenti e sono del tutto indifferenti». E non esiste una “zona grigia” tra credenti e no. Chi crede deve esprimere il suo credo nello spazio privato. Che cosa fare? La società civile deve lottare contro questo nichilismo. Riaprire uno spazio di spiritualità sia per chi crede, sia per i giovani che hanno bisogno di assoluto. «Per esempio sarebbe opportuno», conclude Roy, «creare delle facoltà teologiche sia cristiane, sia islamiche, fisicamente vicine, non per creare integrazione, ma per vivere la stessa esigenza critica dell’esegesi».
(G.L.)