Opera senza autore

Redazione Web

Rimini, martedì 18 agosto – La plenaria delle 17:00 al Meeting di Rimini di oggi è dedicata all’arte contemporanea. Giuseppe Frangi, presidente dell’Associazione Giovanni Testori, conduce il pubblico sulle strade dell’arte del nostro tempo in rapporto alla meraviglia e al sublime. Letizia Bardazzi, presidente dell’Associazione Italiana Centri Culturali, introduce il relatore e mette in evidenza la continuità del tema con il viaggio nell’arte contemporanea a cura di Casa Testori, hub culturale per la valorizzazione dell’arte contemporanea, attiva al Meeting dal 2015.

Frangi sceglie il percorso intimo e inteso di Gerard Richter, pittore tedesco nato a Dresda nel 1932 presentandolo al pubblico attraverso la traccia del film del 2018 Opera senza autore, di Florian Henckel von Donnersmarck (disponibile su Amazon Prime). «Anche se il film non è stato riconosciuto dall’artista», precisa Frangi, «ripercorre i momenti fondamentali della sua intensa e ardita vicenda artistica», a partire dal rapporto con la zia Marianne Schönfelder, affetta da schizofrenia, che, ancora bambina, cade vittima della strategie genetiche naziste e muore nel 1943. Dopo il ’45, il giovane Gerard inizia il percorso accademico di pittura e si distingue per le sue opere artistiche, ispirate al realismo tipico dell’ideologia sovietica in cui si forma. Tutte le opere della sua prima formazione vengono distrutte, e lui stesso le censura, dopo che nel 1961 decide di trasferirsi nella Germania Ovest. I motivi che lo portano fuori dall’ideologia sovietica non sono ideologici, bensì artistici, dopo che ha conosciuto al Documenta di Kassel l’impeto di autori quali Polloc e Fontana.

A Düsseldorf si iscrive all’accademia più oltranzista, dove si misura con la maestria di Joseph Beuys, che lo porta ad “azzerare” il suo percorso. Tutto questo avviene in una lotta ben descritta dalla citazione «Esistere significa ogni giorno lottare, non cedere a quello che già conosci, per la forma e per la sopravvivenza». Da quel momento la sua produzione si mette in linea con artisti del ‘900 che vivono la creatività artistica come qualcosa che accade e avvertono l’opera d’arte come momento di rivelazione del reale. «I miei quadri sono più intelligenti di me» è una delle sentenze più ricorrenti di Richter. L’azzeramento che Richter accetta lo porta alla mancanza di certezza su quello che bisogna dipingere. Quindi, da lì in poi, è una sorta di casualità che emerge dal lavoro. Ciò è ben visibile nell’opera n. 1 del suo catalogo (https://www.gerhard-richter.com/it/), datata 1963: il tavolo che lievita nello spazio.

Dopo questo, l’avvio di una sequenza straordinaria di proposte che si impongono attraverso le foto. L’artista riconosce i soggetti come i momenti in cui la realtà gli si offre. «Quindi la pittura viene chiamata ad obbedire a qualcosa che già esiste», sottolinea Frangi, «sgravandosi di ogni soggettività». Dalle foto spunta la zia vittima della purificazione nazista che lo tiene in braccio: ne deriva l’opera che porterà alla Biennale di Venezia del ’72 con il titolo “Mutter und kind”, lo sfumato che diventa nuova cifra della pittura. È interessante il titolo che l’artista sceglie, perché «riconosce nella relazione con la zia qualcosa che ha a che fare con l’eterno», con qualcosa di sconosciuto, ma svelato. Attraverso la fotografia si sente chiamato a fare i conti con la storia. Nel 1966 lavora su scatto fotografico fatto sulla moglie nuda che scende le scale. Il dettaglio è che la donna è incinta di tre mesi: ancora una volta la biografia si interseca con la pittura. Riaffiora proprio in quegli anni il problema del tema che diventa esplicito nel 1972, quando a Venezia scopre l’Annunciazione di Tiziano. È così che ritroviamo nella sua produzione la donna a cui viene annunciato qualcosa: «Il tema riaffiora in maniera implicita: quell’incontro con l’annunciazione gli rimane dentro». Altra opera significativa è il ritratto della figlia Betty che si volta improvvisamente, come chiamata. Poi il ritratto delle terza moglie che posa per la Das Lesen e ancora la riflessione come centralità dell’annuncio.

«Dispero della mia incapacità, ma la speranza viene alimentata ogni volta che appare un frammento, l’accenno iniziale di qualcosa che mi ricorda quello che ho desiderato». Frangi sceglie l’ultima citazione per mettere in evidenza il percorso di avvicinamento al sublime che Richter offre attraverso l’arte di oggi.

(G.L.)

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