Le prospettive dell’economia globale e i paesi del Mediterrane

Press Meeting

Rimini, 22 agosto 2015 – “Oggi il Fmi funge da istituzione finanziaria per i paesi che non riescono a finanziarsi sul mercato o che si finanzierebbero a tassi troppo elevati”. Con questa affermazione Carlo Cottarelli, direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale ha aperto l’incontro in Sala Neri Conai delle ore 15,00 sollecitato dalle domande di Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere.
Il relatore precisa che “la filosofia del Fmi è, nell’ultimo decennio, cambiata. Adesso si ha più attenzione verso le situazioni di povertà dei paesi aderenti, perché la distribuzione del reddito influisce sulla capacità di crescita del paese in quanto stimola la domanda interna”. Anche l’area euro non sta vivendo un periodo facile per la bassa crescita. “L’euro, come moneta, è molto giovane”, spiega Cottarelli, “e lo shock economico/finanziario del 2008 ha colpito un soggetto ancora fragile. Tuttavia esso ha costituito per molti paesi una cintura di protezione dalle tempeste finanziarie e ha contenuto gli interessi sul debito”. Le difficoltà dell’Europa sono legate alle differenti economie che presentano costi del lavoro, strutture di welfare, tassazioni diverse.
“In Italia – afferma ancora Cottarelli – la strada da proseguire è quella delle riforme, attraverso la riduzione del carico fiscale e la riduzione della spesa pubblica. Nel primo semestre del 2015 si nota una ripresa degli investimenti nel Paese. Bisogna portare a termine la riforma della pubblica amministrazione, delle partecipate, della giustizia e del lavoro per favorire una vera competitività del mercato. Sul lavoro occorre correlare maggiormente gli aumenti di produttività locali agli aumenti salariali, senza dimenticare di mantenere per i prossimi anni le detrazioni sui contratti di lavoro per incentivare l’occupazione”. Per Cottarelli inoltre non bisogna ricorrere alla flessibilità del 3% del disavanzo pubblico rispetto al Pil, secondo le regole europee: “Ciò non è auspicabile per il livello del debito pubblico che ci troviamo ad affrontare, anche se questa flessibilità fosse destinata alla riduzione delle tasse”.
Sollecitato dal moderatore sul destino dell’Europa e il caso Grecia, Cottarelli ricorda che “la spesa accentrata all’interno della UE rappresenta il 2% del Pil, mentre negli stati federali, come gli Stati Uniti d’America, normalmente è circa del 60%. Questo significa che bisogna accentrare di più alcune politiche, ad esempio quella sui sussidi di disoccupazione o il sistema di difesa comune, come è stato fatto per la vigilanza sull’unione bancaria”. Interessante un dato riportato dall’economista: la stretta correlazione fra crescita europea e i paesi del Nord Africa e del Maghreb: una riduzione del Pil del 1% in Europa comporta la stessa percentuale in questi paesi, l’1% di export in meno in Europa equivale ad un 2,5% in meno nei paesi nord-africani. “Nonostante queste dinamiche e le guerre intestine che hanno colpito queste regioni le prospettive di crescita in questi paesi rimangono comunque positive”.
La Grecia – ha continuato il direttore Fmi – è in parte un caso a sé e in parte una situazione sistemica che ha coinvolto anche altri paesi del bacino del Mediterraneo. La penisola ellenica rispetto ad altri paesi come ad esempio il Portogallo ha un deficit primario pari al 10% del Pil e quindi sarebbe dovuta rientrare nei parametri europei anche solo per questo indebitamento (“come se una famiglia spendesse ogni anno di più del proprio reddito”), quindi “solo con riforme serie la Grecia può ritrovare una via per lo sviluppo”.
Lo sviluppo – ha concluso il relatore – deve essere sostenibile per cui il Pil resta un indicatore essenziale ma non può essere l’unico elemento di valutazione. La storia ha dimostrato che ci può essere una crescita drogata che dopo poco tempo porta ad una crisi. “La distribuzione del reddito – ha aggiunto – è un altro criterio con cui valutare le potenzialità di sviluppo di un paese. Ecco perché gli investimenti nel campo educativo e della cultura hanno un ritorno più significativo nel tempo rispetto ad altri settori. Attivare l’associazionismo per intervenire in alcuni settori del welfare può essere una soluzione rispetto allo statalismo, anche se ciò dipende dalla cultura e dalla capacità di gestione di ogni paese”.

(G.G.- A.S.)

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