La vita: un mistero

Redazione Web

Rimini, mercoledì 19 agosto – Rispondere ai bisogni dei pazienti con un criterio di comprensione, alla luce di quello che accade facendo esperienza della realtà. Tre storie, una diversa dall’altra, ma con un interrogativo in comune: che cos’è l’uomo perché te ne curi? Ciò diventa lo scopo della sanità, la cura di ogni singolo istante della persona.

Questa la sintesi dell’incontro dal titolo “La vita: un mistero”, in collaborazione con il quotidiano Avvenire. I tre ospiti, medici con importanti incarichi a livello nazionale e internazionale, sono stati presentati da Marco Maltoni, direttore Unità Cure Palliative (Forlì) e Associazione Medicina e Persona. Sono: Theo Boer, Lindeboom professor of Health Care Ethics at Kampen Theological University; Antonio Pesenti, Dipartimento di Anestesia-Rianimazione al Policlinico di Milano; Elvira Parravicini, neonatologist and director of the Neonatal Comfort Care Program at Columbia University Medical Center, New York.

Boer, dopo dieci anni trascorsi nella commissione governativa olandese, che autorizza l’applicazione dell’eutanasia a pazienti che ne fanno richiesta, ha dato le dimissioni, perché preoccupato dalla deriva che aveva preso la situazione: «Oggi i Paesi Bassi sono il primo paese che ha autorizzato l’eutanasia. Dal 2002 al 2019 i casi autorizzati sono passati da 1883 a 6631 con un incremento del 150% e una applicazione della terapia definitiva non solo a malati terminali, ma anche a persone con disturbi psichiatrici, disabili o bambini autistici. L’eutanasia», ha aggiunto, «e la sua estensione, paradossalmente, non ha favorito la diminuzione dei suicidi, cresciuti nel periodo del 35%. I medici contrari all’eutanasia che non si riconoscono più in questo metodo sono in aumento». Boer ha concluso: «L’offerta genera la domanda e attrae le persone alla mentalità che l’eutanasia sia la soluzione a tutti i problemi; per questo sono preoccupato per la proposta di legge che vorrebbe estendere la possibilità di richiedere la morte per tutti gli anziani malati con più di 75 anni».

Pesenti, come medico rianimatore, è stato in prima linea durante la pandemia di Covid e promotore della rete europea delle anestesie della Lombardia, per consentire di avere più posti a disposizione per le cure. «Devo ringraziare», ha detto, «i numerosi volontari che in vario modo hanno donato le loro energie durante l’emergenza. In Lombardia i morti sono stati 36mila, che rappresentano l’1-2% del milione e 800mila persone infettate. Nella provincia più colpita, Bergamo, il 40% della popolazione è stata a contatto con il virus. All’inizio», ha proseguito, «i posti in terapia intensiva erano 720, che sono diventati 1400 solo per i malati di Covid, durante la fase acuta. Quello che voglio dire (anche per il futuro) è che non tutti i ricoverati possono beneficiare della terapia intensiva. Ricerca e innovazione devono progredire, la malattia epidemica è un problema di salute pubblica, ma la terapia intensiva non è l’unico rimedio alla salute: un altro è curare il malato prima del suo ingresso in ospedale, potenziando la sanità di base sul territorio, anche partendo in ambito scolastico».

Particolarmente toccante la testimonianza della neonatologa Elvira Parravicini, promotrice del programma, a livello internazionale, della “comfort care”, le cure palliative neonatali a bimbi con aspettativa di vita limitatissima: «Sono partita da Monza nel 1994 per trasferirmi a New York nella terapia intensiva del grande ospedale per assistere tanti bambini piccoli e malati. Al mio arrivo le posizioni erano due, l’accanimento delle cure anche con l’ausilio della terapia intensiva, o il fine vita in quanto l’esistenza non ha più valore. Ho cercato subito un’alternativa, perché questa mentalità non mi stava bene. Partendo dall’assunto che la vita è data», ha proseguito, «occorre seguire il corso della vita rispettando i piccoli, anche se la medicina non può salvar loro la vita. Da qui è nato il programma “comfort care”, che inizialmente è partito senza finanziamenti, e oggi prosegue come progetto indipendente all’interno del Columbia Medical Center grazie a oltre un milione e mezzo di dollari attraverso varie donazioni. Quello che si vuole fare è estendere questo programma al resto del mondo, oggi 19 stati americani, poi Italia, Russia, Australia, Burundi e altri hanno manifestato interesse e quindi è in progetto un corso di formazione accreditato specifico per questi paesi».

La dottoressa Parravicini ha concluso il suo intervento con la storia di Samuel, che è emblematica della procedura di cura adottata per tutti i piccoli pazienti. «Samuel», ha raccontato, «nato con una grave malformazione cardiaca, ha trascorso le poche ore di vita circondato dall’amore dei genitori e della famiglia: con un destino segnato, è stato accudito e lavato, prima di spegnersi fra le braccia amorevoli della mamma».

(G.G.)

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