Jannacci, Testori, Gaber. Le periferie del nostro cuore

Redazione Web

Jannacci, Testori, Gaber. Le periferie del nostro cuore

Tre protagonisti della vita culturale del Paese che hanno dato voce alle tante periferie di Milano

Rimini, 21 agosto 2023 – Tre grandi anime legate da tre anniversari significativi: i cento anni dalla nascita di
Giovanni Testori, i venti e i dieci dalla morte di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Ma c’è un altro
denominatore comune che unisce queste figure: hanno vissuto da dentro e dato voce alle tante periferie di
Milano. All’interno del convegno “Jannacci, Testori, Gaber. Le periferie del nostro cuore”, moderato dal
giornalista Massimo Bernardini, il musicista Paolo Jannacci e il giornalista di Casa Testori Associazione
Culturale Giuseppe Frangi hanno portato il ricordo della loro amicizia con questi tre grandi milanesi. Tre
assenze diventate presenze grazie alle splendide voci della musicista Andrea Mirò e dell’attore Michele
Maccagno.
“Un giorno come un altro…”. Ma non è un giorno come un altro quello che si è chiuso sul palco di Sala Neri,
al Meeting per l’amicizia fra i popoli. La voce profonda e calda di Andrea Mirò interpreta magistralmente
una piccola e dimenticata canzone di Giorgio Gaber e Renato Angiolini del 1964. “La gente passa e va…”,
ma in tanti non riescono ad entrare nella sala gremita. “E la città non lo sa…”.
Il racconto della periferia, intesa come autentico cuore della città, è stato importante per Jannacci, Testori e
Gaber. Tutti e tre hanno amato profondamente Milano e le sue periferie, le contraddizioni, i vuoti, le ferite.
Giovanni Testori viene da una condizione borghese, da una famiglia di industriali tessili che a Novate
Milanese – un piccolo paese immediatamente alle porte di Milano – ha la fabbrica. «La vocazione di Tesori
artista è molto precoce e nasce dalle periferie», esordisce Frangi. «I suoi romanzi li scriveva o nei bar o sui
tram». Tutti i giorni con il treno attraversava la periferia ritratta nei suoi testi – Maccagno offre un assaggio
eloquente tratto da “Il fabbricone – e lo faceva con la capacità di farsi amico di questa popolazione
immedesimandosi nei suoi abitanti, senza mai darne una visione patetica, accogliendo le contraddizioni, i
drammi, anche l’infamia che alcuni personaggi hanno dentro.
Paolo Jannacci ricorda il padre e Giorgio Gaber: «Erano due disgraziati, però, che disgraziati!». Due corsari,
due matti. Al Famedio, dove è sepolto – all’interno del Cimitero Monumentale a Milano è il luogo destinato
a celebrazione e ricordo dei milanesi che hanno reso illustre la città e l'Italia – la lapide recita “Enzo
Jannacci, medico e artista”. «È la sintesi di quello che è stato mio padre. Lui scherzava sul fatto di essere un
saltimbanco, anche se sentiva di aver fatto qualcosa per il momento artistico nazionale. Ma la vocazione di
cercare di aiutare gli altri come medico era la cosa che lo emozionava di più e lo faceva sentire più leggero.
Chi cercava aiuto era chi viveva nelle periferie e il papà si sentiva più pronto verso questa fascia di
popolazione relegata in un angolo. Il pathos nasceva in periferia, le idee nascevano lì. In centro ci arrivavi
con le cose fatte». Poi Jannacci si mette al piano e interpreta i due brani di un 45 giri del 1964: “Ti te se no”
– “Tu non lo sai, perché non vai mica in giro… Che bello che dev’essere fare i signori… !” – e “El purtava i
scarp del tennis”.
L’approccio con la periferia porta questi grandi creativi a un coraggio sperimentale. Provano ad
avventurarsi nell’invenzione di una nuova lingua per portare l’umanità della periferia dentro i testi.
Maccagno ne dà testimonianza portando sul palco del Meeting un pezzo tratto da “sdisOrèA”, l’Oreste
brianzolo di Giovanni Testori. Infine, Mirò con pianoforte e voce riporta tutto al punto di partenza: “Come è
bella la città” di Gaber, un’altra lettura della città come luogo paradossale. “Se tu vuoi farti una vita, devi
venire in città”. Piccolo extra a grande richiesta di un pubblico attento, commosso e grato: “Tintarella di
luna” a due voci (Mirò e Jannacci) e tre mani. Uno spettacolo di amicizia da riguardare e rigustare.

(P.C.S.)

 

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