DIO SALVI LA RAGIONE

Press Meeting

“Io mi sento con voi di essere più vicino a Dio”. Tocca nel vivo il pubblico del Meeting Wael Farouq, il docente egiziano di scienze islamiche, che ha deciso in autonomia di pubblicare, anche nel suo paese, “Il senso religioso” di don Luigi Giussani. Aggiungendo così una seconda edizione in lingua araba a quella presentata al Meeting lo scorso anno.
Farouq è intervenuto oggi pomeriggio all’incontro di presentazione del libro “Dio salvi la ragione”, che raccoglie alcuni interventi di intellettuali di fama internazionale, a partire dalla provocazione del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Libro di cui è coautore. Protagonisti del convegno, che ha visto una larghissima partecipazione del pubblico, altri due degli autori: Sari Nusseibeh, preside dell’università Al Quds di Gerusalemme e Joseph Weiler, costituzionalista ebreo di fama internazionale.
“La verità è come la faccia di una bella donna”, ha detto nella sua introduzione don Ambrogio Pisoni, citando don Giussani: ti scuote, non puoi fare finta di niente. “Dio salvi la ragione”, ha continuato, “è un grido che nasce da un fatto: Dio ha già salvato la ragione facendosi uomo”.
Farouq dà voce a un Islam troppo poco conosciuto in occidente. Cita Benedetto XVI, quando dice che nichilismo e fondamentalismo sono accomunati dal comune disprezzo per Dio e per l’uomo: il primo perché nega la verità, il secondo perché vuole imporre la sua verità. La violenza nasce da qui. Com’è possibile vincerla? La ricetta, Farouq, la prende ancora da Papa Ratzinger: è “il comandamento dell’amore”, così attuale oggi. L’amore richiama la presenza dell’altro: l’uomo non può essere razionale senza il rapporto con l’altro.
Il rapporto dell’islam con la ragione è però un rapporto difficile. Sia gli intellettuali modernisti che i tradizionalisti, sono prigionieri di formule di epoche passate: “non vivono il rapporto con il presente e si creano un’identità cui appartenere”. La tradizione del grande Averroè è stata seppellita e trasferita, come il suo cadavere, fuori dal mondo musulmano, e così i suoi libri, che non hanno avuto influenza sulla vita del suo popolo. Ma fu lo stesso Maometto, ricorda anche Farouq, a richiamare al rapporto fondamentale con i propri fratelli: “Non sarete credenti, finché non vi amerete vicendevolmente”.
Secondo Sari Nusseibeh, islam, ebraismo e cristianesimo sono un unico filone, che si è espresso in forme diverse. “La tradizione islamica”, ha detto, “è impregnata di spirito razionale quanto il cristianesimo”. Altrimenti non si spiegherebbe il suo grande sviluppo. Un altro punto toccato da Nusseibeh è il dilemma del rapporto tra fede e ragione, che riguarda tutte le religioni, non solo i musulmani. “Il problema toccato da Benedetto XVI non ha a che vedere con la ragione in quanto tale ma con la ragionevolezza, che significa vivere con moderazione” il proprio credo. L’opposto del fanatismo.
“Io sono una persona di fede perché sono una persona ragionevole. Ecco il matrimonio felice fra il messaggio di Benedetto XVI e quello di don Giussani”. Joseph Weiler, ebreo, docente di Diritto europeo alla New York University, ha ridotto di 2/3 la sua relazione, ma ha aggiunto a braccio la conclusione di cui sopra, dove ha messo tutto il senso del suo intervento. “Molti cristiani – si era rammaricato poco prima – hanno interiorizzato la divisione tra fede e ragione e hanno paura di dire pubblicamente ‘sono una persona di fede’ perché pensano che questo equivalga ad affermare ‘non sono una persona razionale’. È una resa al laicismo”.
Weiler (al Meeting con tutta la famiglia, dopo che l’anno scorso l’aveva fatta vedere in foto) vuole che i cattolici siano cattolici e non politically correct, “perché il rispetto non si dimostra né si guadagna con i compromessi sul nucleo essenziale della propria fede”. Così, se non ha condiviso l’interpretazione di papa Benedetto del Dio vendicatore di Isaia (“La vendetta di Dio è la Croce”), perché “per un ebreo una vendetta è una vendetta”, pure non esita a riconoscere “che le parole del Papa non hanno avuto nulla di irrispettoso verso di me, i miei antenati e la nostra fede eterna”. Stesso discorso ha fatto per Giovanni Paolo II, che davanti al Muro del Pianto depose una preghiera e si fece il segno della croce: “Non offese nessuno. Non avrebbe potuto essere altrimenti. La sua preghiera di riconciliazione si sarebbe rivelata falsa se anche lui si fosse comportato in un modo falso”. Pur “tagliando” drasticamente il suo intervento, due argomenti Weiler ha voluto salvare: il tema della libertà religiosa e quello delle radici dell’Europa. “La Chiesa insegna che la fede può svilupparsi solo nella libertà”, ha ricordato, ed ha aggiunto “che questo significa che al centro della libertà religiosa risiede la libertà di dire no a Dio”. “Garantire una libertà religiosa così intesa, significa difendere gli esseri umani in quanto agenti morali autonomi e sovrani. Di conseguenza, una minaccia alla libertà religiosa costituisce un attacco più profondo alla libertà individuale”. A questo proposito, Weiler ha ricordato un aneddoto su don Giussani che gli è stato raccontato dalla presidente del Meeting, Emilia Smurro. È la storia di una ragazza ebrea, che frequentava il liceo Berchet di Milano, che don Giussani non volle convertire a tutti i costi, ma che invitò, invece, a vivere fino in fondo la sua religione, perché, le diceva, dal suo modo di fare e di essere non traspariva nulla della sua fede.
Quanto all’Europa, Weiler ha ironizzato sul Preambolo della Convenzione, che fa risalire all’umanesimo l’uguaglianza degli uomini, la libertà, il rispetto della ragione. “Secondo loro – ha dedotto – il rispetto per la ragione non si può associare alla religione e in Europa religione significa cristianesimo o tradizione giudaico-cristiana”. Per Weiler, il rapporto Europa-cristianesimo è inscindibile e nessuno, cristiano o no, europeo o no, avrebbe nulla da guadagnare se questo legame si rompe. “Non si dà Europa senza cristianesimo né cristianesimo senza Europa e la Chiesa non rimarrebbe la stessa se dovesse perdere le sue radici europee”.
Ambrogio Pisoni, con poche battute, ha concluso invitando a “rimanere nel solco aperto a Ratisbona da papa Benedetto, perché da lì non si può tornare indietro” e, rivolto ai suoi ospiti, ha parafrasato alcuni versetti del Vangelo: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace davvero agli uomini che amano la ragione”.

A.Cap -D.B.
Rimini, 22 agosto 2007