Costituzione e Regioni, un’eredità al vaglio di due tentativi di riforma

Press Meeting

Rimini, 22 agosto 2017 – Alla fine, in Italia, il tema politico-istituzionale dominante rimane questo: come applicare e migliorare il dettato costituzionale, la principale eredità democratica del Paese. E la questione delle competenze e dell’autonomia delle Regioni ne è un fattore ancora irrisolto, affrontato sino ad oggi con continui “stop and go”. Siamo fermi alla riforma del titolo V, che risale al 2001. Così oggi al Meeting di Rimini, sia Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, sia Stefano Bonaccini, alla guida della Regione Emilia-Romagna, stimolati dalle domande di Enrico Castelli, vice direttore di TGR RAI (Salone Intesa Sanpaolo B3, ore 19), hanno avuto buon gioco per spiegare le loro strategie per vagliare e trasformare l’eredità della Costituzione, nell’incontro “Quali eredità politiche ci consentono di portare avanti l’Italia?”.
«Il referendum del 22 ottobre», ha spiegato Maroni, «non è un’azione dirompente, ma uno strumento di democrazia, perché voglio che il popolo lombardo si esprima. Sono andato spesso a Roma, abbiamo aperto la trattativa, non è bastato. Mettiamo tutti insieme dal Nord per ottenere questo straordinario risultato. Io spero che si capisca che c’è un opportunità straordinaria, per i giovani e per le imprese. Voglio ottenere il riconoscimento della specialità della Regione Lombardia. La Lombardia è regione speciale, la regione che ha il residuo fiscale più alto, ogni anno 54 miliardi, mi accontento di 27 miliardi. Sono contento che si svolga un referendum analogo in Veneto. Modifichiamo la costituzione per ottenere quella riforma che da Roma non può venire». «Sarà voto elettronico per la prima volta», ha aggiunto Maroni: «Soldi buttati via? I computer rimarranno in dotazione delle scuole per didattica».
«Anche noi vogliamo più autonomia», ha ribattuto Bonaccini, «condivido l’obiettivo, ma se si vogliono indietro tutte le tasse questa è secessione. Non mi disturba che Lombardia e Veneto vogliano fare il referendum consultivo, il punto è su quali competenze. Stiamo trattando per istituire un fondo per l’autonomia, e che si arrivi a questo percorso con un voto del Parlamento. Possiamo farcela, in poche settimane. Noi siamo determinati a provarci». Il presidente dell’Emilia-Romagna, che è pure presidente della Conferenza delle Regioni, ha poi detto di lavorare per politiche integrate tra le Regioni, come è successo per l’accordo sullo smog siglato con Lombardia, Veneto e Piemonte: «Le Regioni devono lavorare di più insieme senza preclusioni a discutere su possibili integrazioni istituzionali». Bonaccini ha criticato, invece, proposte come quella di dividere l’Emilia dalla Romagna perché ne minerebbe la forza economica.
All’incontro, il presidente della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, ha precisato che l’autonomia istituzionale è un’eredità di Alcide De Gasperi: «La sua è l’idea di un’autonomia che è utile allo Stato e al livello locale, pensata anche come modello per il rapporto tra gli Stati e l’Europa. Oggi dobbiamo ancora approfittare di quanto permette l’articolo 116 della Costituzione, nella scia del regionalismo italiano. Dobbiamo stringere un’alleanza attorno al principio di sussidiarietà, perché l’autogoverno perché possa esprimere al meglio le proprie eccellenze».
Autonomia, per Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, vuol dire anche «avere reale voce in capitolo nella legge di bilancio. Dobbiamo sottolineare», ha detto, «che le Regioni hanno saputo fare un percorso più virtuoso che non il governo nazionale, nel quadro di finanza pubblica, con più efficienti spending review. La riforma istituzionale deve partire dalle Regioni, con la valorizzazione delle autonomie locali. Le Regioni hanno dimostrato di saper fare un percorso virtuoso sulla spesa, sull’equilibrio nella sanità, sull’abolizione dei vitalizi. Ma abbiamo bisogno di un governo e di un parlamento autorevoli. Anche in un parlamento che rimarrà in carica 5 o 6 mesi».

(A.M.)

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