Antiobitici, che … passione!

Redazione Web

Antiobitici, che … passione!
L’abuso di questi farmaci li sta rendendo inefficaci, con gravi conseguenze a livello mondiale. Analisi e proposte in una tavola rotonda al Meeting di Rimini

Rimini, 21 agosto 2022 – L’antibiotico è diventato un po’ come il pezzo di pane di una volta: non si nega a nessuno. Molti medici lo prescrivono con frequenza, tanto più che sono gli stessi pazienti a richiederlo e a mostrarsi contrariati davanti ad un pur motivato rifiuto. Così l’armadietto del bagno di casa si riempie di antibiotici usati solo in parte e prende piede la medicina fai-da-te, affidata al passa parola e fuori da ogni controllo. Le conseguenze sulla salute individuale e della collettività sono molte e anche pericolose.
Negli ultimi anni operatori sanitari e pazienti insieme sono diventati, certo inconsapevolmente, dei selezionatori di ceppi di microorganismi sempre più resistenti alle cure, verso i quali le armi disponibili iniziano ad essere inefficaci. L’antibiotico-resistenza oggi è uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale con importanti implicazioni sia dal punto di vista clinico (aumento della morbilità, della mortalità, dei giorni di ricovero, possibilità di sviluppo di complicanze, possibilità di epidemie), sia in termini di ricaduta economica per il costo aggiuntivo richiesto per l’impiego di farmaci e di procedure più onerose, per l’allungamento delle degenze in ospedale e per eventuali invalidità.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno, nel mondo, quattro milioni e mezzo di persone muoiono per malattie infettive che resistono agli attuali antibiotici. Secondo le stime, sempre dell’Oms, nel 2050 le vittime potrebbero salire a dieci milioni.
Di questo fenomeno e delle risposte che il mondo della medicina sta ricercando e offrendo si è discusso in Sala Neri Generali, in una tavola rotonda dal titolo “Una sanità disarmata contro le nuove malattie?”. Coordinati da Pasquale Chiarelli, direttore generale Azienda Ospedaliera di Terni, vi hanno preso parte: Giorgio Benigni, amministratore delegato Becton Dickinson Italia; Marina Panfilo, componente del gruppo di lavoro sull’antimicrobico-resistenza di Farmindustria; Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano, professore associato di Igiene Generale e Applicata presso la sezione di Virologia del dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano, Camillo Rossi, direttore sanitario ASST Spedali Civili Brescia, Dipartimento Salute della Fondazione per la Sussidiarietà.
Rossi ha aperto la discussione affermando che l’abuso di antibiotici è un problema di comunicazione e di educazione all’uso corretto degli strumenti e delle armi della medicina, «che, se usati male, diventano subito vecchi e risultano inefficaci». Al punto da dubitare se avremo armi adatte per affrontare nuovi germi e nuovi problemi nonostante gli sforzi e i continui risultati della ricerca.
Benigni ha parlato della capacità del Ssn italiano di reggere ad urti imprevisti come quello del Covid e ha ricordato che l’Italia è al sesto posto al mondo per la durata della vita media. «A questo però non corrisponde un adeguato impegno finanziario dello Stato» ha detto, «visto che solo il 6-7% del PIL viene investito nella spesa sanitaria, contro il 17% destinato alle pensioni. Un divario di cui si dovrebbe discutere in questa campagna elettorale». Secondo Benigni, sono quattro i fattori necessari per essere all’altezza della sfida. Innanzitutto una stabilità politica «che deve assicurare alle aziende che i piani di esecuzione vengano implementati correttamente». Poi, una stabilità di tipo organizzativo nel management sanitario. In terzo luogo, la chiarezza delle norme e una semplificazione profonda della normativa che regola i rapporti tra sanità pubblica e privata. «La legge del play back, del 2015, dopo sette anni ancora non ha i decreti attuativi», ha denunciato Benigni, dicendo che fatti come questo tengono lontani gli investitori stranieri dall’Italia. Infine, la riduzione dei tempi necessari per mettere sul mercato nuove tecnologie.
Panfilo partecipa ad un progetto di Farmaindustria, che ha messo in campo diciannove esperti per fornire, a proposito dell’antimicrobico resistenza, consigli e raccomandazioni a medici, politici e persone comuni. La dottoressa ha insistito sulla fermezza del medico nel rifiutare antibiotici ai pazienti che ne fanno irragionevole richiesta e ha fatto osservare come nel 2020, l’anno del Covid, siano stati usati meno antibiotici che nel 2019, quando il Covid non c’era, ma dilagava l’influenza. «Ma con l’influenza», si è chiesta, «si devono usare antibiotici?». Anche lei, infine, ha insistito sugli aspetti economici, chiedendo una giusta remunerazione per le aziende che fanno ricerca.
Pregliasco ha messo in guardia dal rischio dell’eccessiva semplificazione delle terapie con le coperture antibiotiche. «Quel che serve», ha detto, «è un costante monitoraggio che si ha soltanto con una continua vicinanza alla persona. Bisogna avere passione per l’approccio verso il singolo e una responsabilità trasversale che parte dalla conoscenza e dalla responsabilità di ognuno di noi».
Una particolare sottolineatura Pregliasco l’ha riservata alla sorveglianza, negli ospedali, sulla circolazione di batteri e virus, che spesso infettano pazienti ricoverati per altre patologie. Infine, ha sollevato la questione dell’uso eccessivo degli antibiotici negli allevamenti di animali.
Sulla necessità di una collaborazione fra quanti si occupano della salute, strutture pubbliche o aziende private, tutti sono stati d’accordo. Benigni ha detto che ci sono grandi opportunità che però non vengono sfruttate a causa di lungaggini burocratiche («380 giorni per espletare una gara pubblica») che non si vogliono snellire. Per Panfilo non debbono esistere compartimenti stagni e la collaborazione che Farmaindustria ha favorito fra varie figure professionali e aziende pubbliche e private ha dimostrato che c’è «entusiasmo quando si riesce a lavorare insieme». Pregliasco ha ricordato che una certa separazione è causata dalla stessa impostazione del nostro sistema sanitario e che per superarla «occorre un lavoro corale che sviluppi servizi vicini alla persona».
Chiarelli, infine, ha chiesto agli ospiti come aiutino a crescere i propri collaboratori. «Noi ci preoccupiamo che i nostri dipendenti, venendo al lavoro, si sentano bene», ha riposto Benigni. Un benessere che, secondo Panfilo, per le aziende farmaceutiche vuol dire soprattutto tutelare la salute dei propri dipendenti. Pregliasco ritiene decisivo «stimolare la passione e la voglia di fare verso degli obiettivi». Nella sua vita ha detto di aver scoperto l’importanza del volontariato, «che può fare molto. C’è infatti bisogno di persone che portino avanti messaggi semplici e importanti, che alzano il livello della qualità della vita».
(D.B.)

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