46. Prima che venga notte

Press Meeting

Un sentimento di ironia e insieme di inquietudine ha dominato il teatro D2 questa sera, per la messa in scena della piéce Prima che venga notte, iniziata alle 19.45. La performance è tratta dagli articoli di Marina Corradi pubblicati sul settimanale Tempi, collegati da un fil rouge di canzoni. La scenografia è essenziale: una lampada e una poltrona sulla sinistra, e, al lato opposto del palco, i due musicisti. E tutto è occasione per riflettere sul titolo del Meeting: “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”.
Walter Muto (chitarra) e Carlo Pastori (fisarmonica) hanno suonato loro brani originali, oltre a canzoni più conosciute come Futura, Cosa sarà di Lucio Dalla, Come è bella la città di Giorgio Gaber e altre di Nino Ferré. Le attrici della Compagnia Almadeira Valeria Guanziroli, Marta Martinelli e Cecilia Ravaioli hanno interpretato il ruolo di tre donne in conflitto con i mariti, sempre insoddisfatte e inclini a lamentarsi del mondo che le circonda. Il trio femminile, vestito di nero, entra in scena gridando che è stata tolta la gioia di mettere al mondo i figli alle donne, per lo stress, per i corsi pre-gravidanza.
È stata persa la naturalezza della vita, sembra essere il primo messaggio di questo spettacolo, proteso a criticare una società che, per eccessiva “civilizzazione”, ha perduto anche i valori umani che la vita contadina invece preserva. “Le donne sono naturalmente in grado di partorire”, gridano ad un certo punto le tre donne, mentre i musicisti presi nel laccio dello spettacolo dal trio di attrici, usano gli strumenti musicali a mo’ di attrezzi ginnici, creando l’atmosfera di una palestra, mentre in sala si ride per la labilità del confine tra i ruoli di musicista e attore comico.

“I bambini non sono cattivi, sono solo vivi”, intona Pastori, mentre Cecilia Ravaioli (oltretutto incinta non solo per finzione scenica) si accinge ad iniziare, illuminata dalla lampada, seduta sulla poltrona, un monologo annoiato sulla propria vita e sui problemi con il marito: “Dopo sedici anni siamo ancora insieme, però”, racconta.
Un abbaiare di cani si alza dal fondo della sala e non le permette di parlare, mentre il pubblico ricomincia a ridere. Entrano in scena le altre due attrici. Marta Martinelli, alta, sottile e bionda, interrompe di nuovo Ravaioli con un ballo ed una musica orientaleggiante e decontestualizzata che la fa arrabbiare.

Continue descrizioni di paesaggi di campagna, onirici, interrompono di volta in volta i dialoghi nevrotici tra le attrici. L’irrompere della bellezza del mondo, lo stupore per la vita donata, spezzati da questi dialoghi ansiogeni, rendono schizofrenica la scena.

Donne stanche della vita piatta, monotona, troppo comoda della modernità, a volte – per un segno, per un’epifania – sembrano ritornare all’atteggiamento di infanti, attonite di fronte alla bellezza del mondo. Il punto di vista del fanciullo diviene l’espressione più adulta e matura, mentre quello dell’adulto si rivela come la più puerile e scontata, ribaltandosi la definizione dei ruoli. A sprazzi l’atteggiamento più autentico entra a rompere la monotonia della vita con il suo porsi imbarazzante.

Pastori intona la canzone: “Vieni, vieni in città… che stai a fare in campagna…”, “come se fosse facile dire Milano…”, “È difficile in uffici di plastica fare vincere la poesia…”. Lo sguardo del bambino, la vittoria della vitalità sulla morte sono il dinamismo di questa serata di spettacolo, mentre le attrici, sul finire della piéce, gridano sbalordite di quanto grande sia avere un figlio. “Il tempo non uccide, ma colma di verità la speranza” è il messaggio finale di Pastori.

(A.F.)
Rimini, 23 agosto 2010