GUERRA AI CRISTIANI

Guerra ai cristiani

Partecipa Joaquin Alliende-Luco, Presidente Internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre. Introduce Mario Mauro, Rappresentante personale della Presidenza dell’OSCE contro razzismo, xenofobia e discriminazione nei confronti dei cristiani.

 

MARIO MAURO:
Buongiorno a tutti, chiedo scusa per il leggero ritardo con il quale incominciamo questo incontro. È un incontro che ha un titolo provocatorio ma per molti versi rappresenta anche la cifra di questo inizio, nel senso che al centro del palinsesto del programma del Meeting vi sono molti, numerosi incontri sul tema della libertà religiosa, in particolare del fenomeno della persecuzione dei cristiani. Ora tutte queste iniziative, le iniziative cioè che in questa circostanza il Meeting propone, tengo a sottolinearlo, non sono parte di una strategia simile a una crociata identitaria, la voglia cioè di ricordare che anche i cristiani sono perseguitati per minare in qualche modo quelle che possono essere le fondamenta di un dialogo, hanno invece il significato esattamente opposto. Li proponiamo alla nostra riflessione perché siano utili anche alla nostra conversione e lo dico perché Guerra ai cristiani è un titolo che si giustifica con i fatti, non con affermazioni di carattere ideologico. Se gli anni novanta, cioè la fine del Novecento, si sono drammaticamente conclusi all’insegna di massacri in cui tantissimi ad esempio credenti e mussulmani hanno perso la vita, penso alla strage di Srebrenica, penso alla mattanza senza fine della guerra civile algerina, dove nel manifestarsi delle strategie dei gruppi fondamentalisti, quindi attraverso l’utilizzo di Dio, nel nome di Dio, a quel progetto di potere ha fatto eco in questi primi dieci anni del nuovo terzo Millennio una sistematica aggressione alla presenza delle chiese cristiane in almeno cinquanta paesi del mondo, come testimonia il monitoraggio fatto in questi anni soprattutto, e vi chiedo qui un caloroso saluto, dall’istituzione Aiuto alla Chiesa che Soffre, che qui è rappresentata dal suo presidente Joaquin Alliende-Luco, con il quale io sento di avere molto in comune. Prima ragione, perché è nato nell’anno di mio padre ed è esattamente una paternità quello che io avverto nel rapporto con padre Joaquin, perché per poter parlare ed andare al fondo di queste cose bisogna vivere al di fuori dell’odio. L’impatto con queste persecuzioni, con queste aggressioni è di una tale violenza, che solo maturando un giudizio che tenga conto di ciò a cui siamo chiamati come compito nella vita possiamo in qualche modo far fronte al rigurgito d’odio che evidentemente, inevitabilmente ci prenderebbe. Ma dicevo dei dati riguardo la persecuzione dei cristiani e il dato degli ultimi dieci anni, consolidato attraverso le ricerche e le informazioni che anche organismi affatto vicini alle chiese cristiane hanno prodotto, ci dice che su cento persone che perdono la vita per episodi d’odio legati alla religione, settantacinque sono cristiani. Credo che il dato di per sé giustifichi quindi il titolo del nostro incontro Guerra ai cristiani. Questa persecuzione si manifesta, come ho detto, in almeno cinquanta paesi del mondo. Una organizzazione non governativa americana ha stilato una sorte di classifica, mettendo in cima ai paesi che effettuano la persecuzione lo stato ateo comunista della Corea del Nord, che vieta in ogni forma la libertà religiosa. È però un fatto che nei cinquanta paesi dove più si manifesta la persecuzione, almeno trenta sono paesi islamici e quindi sono paesi dove non di rado il fondamentalismo ha preso in ostaggio le comunità cristiane per fini che sono eminentemente politici, cioè per giustificare, attraverso la persecuzione dei cristiani, di essere in qualche modo gli interpreti più accreditati di Maometto e della predicazione islamica e questo con lo scopo di sottrarre il potere a coloro che governano. Ma questo, come abbiamo imparato noi italiani dalla lettura di Manzoni, si incrocia con la storia degli umili, cioè con la ragione di coloro che nella vita del popolo subiscono la violenza delle politiche per la sola colpa di credere in Gesù. E allora la questione fondamentale, il centro della riflessione che facciamo oggi è questo, è la libertà religiosa, perché la libertà religiosa significa essenzialmente dare fondamento, consistenza a tutte le altre libertà e significa dare spazio all’uomo per la sua verità, cioè prendere in considerazione l’uomo per quello che è, con le sue ragioni e quindi fondare realmente il dialogo perché il dialogo, l’ho ripetuto tante volte e lo ripeto ancora, non è semplicemente, ipocritamente, io faccio un passo avanti verso di te, tu lo fai verso di me e ci mettiamo d’accordo. Perché se io faccio una sciocchezza e anche tu la fai e ci mettiamo d’accordo, mettiamo in crisi la possibilità che una generazione trovi la propria strada. Allora sta qui la responsabilità di cui anche il Meeting si sente caricato in questa circostanza, attraverso tutti gli incontri che abbiamo proposto. Ricordo a tutti che oggi ne proporremo uno di livello politico, perché sicuramente le istituzioni, che non sono padrone ma garanti della vita dei cittadini, sono chiamate a dare un giudizio di merito su quanto accade e sono chiamate a profondere i propri sforzi perché venga garantita la vita dei più deboli. Però per l’appunto, in questi giorni, noi vogliamo mettere al centro della riflessione del Meeting la questione della libertà religiosa, che non è appena la possibilità di esercitare il proprio credo, è anche la libertà di convertirsi, per esempio, è anche la libertà di dare consistenza a quel fatto meraviglioso che dà fascino alla mia vita, per la quale io mi sento di mettermi in gioco in una nuova storia. Allora per garantire tutto questo, noi crediamo che il racconto della persecuzione che oggi avviene dei cristiani sia quanto mai utile ed educativo. Due giorni fa, in un altro incontro che abbiamo proposto sul tema, ho avuto modo di ricordare alcuni dei testimoni martiri di questi ultimi anni, ma già quel lungo elenco è inadeguato, perché ciò che accade giorno per giorno ci ripropone la drammaticità di questa sfida. Io penso sempre con grande partecipazione al martirio della Chiesa irachena, che da quando è iniziata la guerra, ed è finita la guerra in Iraq, si trova al centro di una vicenda politica drammatica, dove appunto più di cinquecento tra preti, suore e vescovi hanno perso la vita e soprattutto tanti laici cristiani sono stati sgozzati, decapitati, impiccati ed è stato proposto alle famiglie cristiane di Mosul e di Kirkuk il compact disc delle angherie, delle sevizie subite da ognuno di loro, per convincere la comunità cristiana ad abbandonare quel paese, con l’intento quindi, questo sì politico, di destabilizzarlo quel paese, con l’intento dettato dall’avidità di impossessarsi dei beni dei cristiani. Ma al centro di tutto questo rimane quel monito che fa parte delle riflessioni di Tertulliano che secoli fa scriveva: “se il Nilo straripa, se il fuoco divora le campagne, il grido che si sente è uno solo: date i cristiani in pasto ai leoni”. Allora ascolteremo adesso la testimonianza di padre Joaquin. Aiuto alla Chiesa che Soffre fa un lavoro imponente e rappresenta per noi la possibilità di documentarci su quanto raccontavo. Perché è così importante documentarci! Perché amici miei se da una parte ci ferisce e ci offende la violenza del fondamentalismo, dall’altra ci sgomenta l’inconsistenza del relativismo di coloro che sono cristiani e che dovrebbero, insieme alle istituzioni che suggellano il patto di libertà che difende la democrazia in Occidente, in qualche modo porre un argine a queste violenze. La verità, ed è anche storia personale, è che ci sono voluti dieci anni nelle istituzioni internazionali, questi ultimi dieci anni, perché venisse accettata la sola ipotesi di scrivere nei documenti ufficiali la parola persecuzione dei cristiani. E questo avveniva ed avviene perché da un lato c’è un complesso di inferiorità, perché l’esperienza cristiana viene fatta coincidere con quella coloniale e con quella imperialista, dando alimento tra l’altro a un assurdo, perché se prendete in considerazione per esempio la Turchia e l’Iraq, le comunità cristiane preesistono a qualsiasi altra aggregazione religiosa in questi paesi. Però l’intento nostro di oggi non è di fare le pulci a questo o a quel governo, piuttosto che aggredire le istituzioni internazionali, quello che noi invece abbiamo voluto affermare con forza in questi anni è che c’è un valore, un fatto che viene prima di ogni altra cosa e che questo fatto è la vita di ognuno di noi, la grandezza della nostra libertà, la meraviglia del nostro io. Perché questo sia realizzato fino in fondo, tutto nella società si deve piegare per darci l’opportunità di dare il meglio di noi stessi. La libertà religiosa fotografa essenzialmente questo fenomeno, perché un uomo che è in relazione con Dio è un uomo libero. Questo il potere lo percepisce, lo sente, per cui sempre il potere anche nei regimi democratici teme l’uomo religioso, perché quest’uomo è un uomo che dal potere è completamente indipendente. Il grande filosofo Josef Tischner scriveva: “Dio nasce, il potere trema”. Non dobbiamo mai dimenticare questo adagio, perché in questo ritornello c’è anche la consistenza di noi stessi, la consistenza di ciò di cui siamo fatti, il sapere cioè che anche nella più difficile circostanza, anche in presenza delle più monolitiche delle dittature, noi potremo essere liberi, perché siamo di Dio, perché siamo di Cristo e Cristo è di Dio. La parola a padre Joaquin.

JOAQUIN ALLIENDE-LUCO:
La cosa positiva è che alle persone che hanno intelligenza bisogna dire poche parole, la cosa negativa è che dirò molte poche parole e spero che vi sia una comunione e che questa comunione ci liberi. Mario Mauro è un fenomeno e bisogna prenderlo seriamente, perché quanto Mario Mauro ha affermato, quanto ha detto sono parole d’amico e di un figlio di don Giussani, lo sappiamo, lo sentiamo proprio, è l’odore che percepiamo. Ci sono centinaia di migliaia di figli di don Giussani, hanno colori diversi ma la novità di questa mattina è che lui è un uomo che ha una presenza, una rappresentanza istituzionale degli stati democratici nel mondo. Dopo le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, l’OSCE, è la sede più rilevante, più importante a livello mondiale per porre le questioni reali dell’essere umano dell’attualità, del momento e per me è proprio un bene che vivifica sentire le parole pronunciate da Mario, che è un figlio della Chiesa e che sa parlare nelle sedi istituzionali alla coscienza umana, alla ragione che noi guardiamo con l’ottimismo di don Giussani. Io ho preparato un testo ma Mario mi ha detto di dire qualcosa senza testo, allora io cercherò di essere conciso. Vediamo di inserire tre personaggi: Francesco Ricci, don Giussani e Benedetto XVI. È un rosario eccezionale, una serie eccezionale di nomi. Non sono obiettivo nei confronti di Francesco Ricci, è un fratello sacerdote che ha toccato in modo profondo la mia vita. Quando Giovanni Paolo II ha chiesto ad alcuni, pochi, di cercare una amicizia fra i movimenti apostolici del ventesimo secolo, Francesco rappresentava CL, mentre io che sono cileno, latino americano, rappresentavo Schoenstatt ed è nata una amicizia. Lui era il maestro, io il discepolo, lui aveva un tumore e sapeva che gli rimaneva ben poco tempo, l’orologio correva veloce e non perdeva certo tempo nella retorica. Qui a Rimini io sono stato invitato a parlare di un tema dal titolo Festa dolorosa festa e ho sostenuto la tesi che chi non aveva sofferto non aveva diritto a festeggiare. Il dolore viene prima o dopo la festa, in conseguenza della festa, o durante la festa, ma non c’è festa che si possa scindere dal dolore, altrimenti non è che una sorta di ebbrezza da tossicodipendenza. Le mie parole erano un po’ aggressive ed alcuni amici e alcuni presenti nel pubblico mi sparavano – fra virgolette – ed io ho risposto ed attaccato di più ed ho pensato: “Beati i mansueti perché possederanno la terra” ed ho cercato di alleviare un po’ le ferite. Francesco, all’uscita, mi afferra, mi prende e mi dice: eh!, ti hanno sparato contro perché loro non sanno che Lui, Gesù, è qui. Io rimasi quasi paralizzato, io sapevo che a Francesco rimaneva ben poco tempo, io avevo vent’anni in meno rispetto a lui e pensavo che mi rimanesse ancora molto tempo, ma questo mi ha segnato per sempre. Adesso Francesco ascolta ed io penso che a ciascuno di noi, a livello della nostra coscienza, ci dice: “Sai che Lui è qui”.
Don Giussani è una cosa enorme, conosco già svariati amici, alcuni sono canonizzati, è la miglior cosa essere anziano, essere vecchio, cioè festeggiare la canonizzazione di un amico, è la cosa più bella e ricordo di aver lavorato con Madre Teresa nell’incontro mondiale con i giovani e adesso andrò in Kosovo per festeggiare il centenario della sua nascita. È veramente enorme, terribile nell’accezione positiva e devo dire che sono stato e sono amico di don Giussani, è la verità. Un giorno a Milano ero lì per una conferenza, per preparare il Congresso Eucaristico italiano e don Giussani mi invitò a cena, solo io e lui, e mi dice: “Joaquin tu sei cileno, latino-americano e voglio dirti che Cl non va in America latina perché c’è Schoenstatt”. “Tu sei matto, confondi tutto, voglio dirti, tu sei un fondatore, devi avere le idee chiare”. Mi ricordo che stavamo mangiando un piatto di pasta, io avevo una camicia bianca, slacciata col collo aperto, lui mi guarda con una faccia sorpresa ed io dico: “il tuo carisma non è Schoenstatt, il tuo carisma è un dono per la Chiesa universale. O sei nazionalista o sei un europeista, il tuo carisma è un dono per la Chiesa universale o sei nazionalista o sei un europeista e come vuoi fare a meno dell’amicizia della Chiesa Cattolica in America latina? Tu devi andare, la tua famiglia deve essere in America latina. Amo molto il carisma di Schoenstatt ma mi piace Comunione e Liberazione, invidio Comunione e Liberazione, mi piace la ricchezza che il Signore ti ha conferito, se non vai in America latina commetti peccato”. E mi ha detto: “basta, basta, io ti chiamo in Brasile, io ti chiamo in Cile e comincia. Invitiamo le persone, presto presto, che non c’è molto tempo, prestami il libro”. Quando arrivo qui e vedo il motto del Meeting, vedo che qui si respira la maggiore profondità cattolica di don Giussani, la gioia, l’allegria con capacità di contagio come d’altronde era lui. Ogni termine, ogni parola è uno spunto, una natura che spinge a desiderare, non è volere, è desiderare cose grandi. Noi diciamo: magno, magna anima, magnanimitas. Il cuore sospetto della psicoanalisi di Freud, il cuore sospetto per Marx, entrambi del popolo di Israele, erano ebrei un po’ disillusi. Qui c’è tutta la capacità cattolica, la certezza della resurrezione di Cristo. Sappiamo che Calvino sospettava del cuore e dice che noi siamo mucchi di sterco coperto da uno strato bianco, una sorta di paglia, che copre la porcheria del cuore. La visione cattolica dell’essere umano, del cuore, è che la radice dell’uomo è sana sin dal momento della resurrezione. In realtà io ho un altro problema. Credo ai Santi, io postulo canonizzazioni e da molto tempo volevo dire a Comunione e Liberazione, come cristiano, come latino americano, come sacerdote, come postulatore giurato nei confronti della Congregazione: io aspetto, io sto aspettando – sono già passati cinque anni – che si inizi il processo di beatificazione di don Giussani, ne abbiamo bisogno. Sapete che don Giussani e J. Ratzinger, don Giussani e Benedetto XVI sono fratelli. Quello che sta facendo in questo momento Benedetto XVI, concludendo il suo libro di Cristologia, quello che fa a Castel Gandolfo è molto importante, ma non comincerà. E’ necessaria la teologia a livello di Dio, Benedetto XVI è l’uomo illuminato per dire quello che dice, ma è necessaria anche la verifica comprovata, che sono i santi. Io sono un esperto di religiosità popolare e ovviamente questo riguarda il popolo di Dio, cioè questa valenza popolare e don Giussani deve essere una grande verifica per comprovare la verità del teologo santo che è appunto Benedetto XVI. Un fratello deve appoggiare e sostenere l’altro fratello nella sua missione e per questo l’attualità di un processo di beatificazione è immensa per il XXI secolo che abbiamo iniziato. Benedetto XVI, il terzo personaggio. Il giorno della vigilia della morte di Giovanni Paolo I, a Guayaquil c’era un sole veramente quasi eccessivo, insolente per riprender il termine. Né Ratzinger né Allende erano di Guayaquil, entrambi dovevano parlare ad un congresso, eravamo in Ecuador e tutto avveniva con grande ritardo, con molta attenzione, con molto affetto, ma con grande ritardo e noi due ci siamo trovati in un luogo un pochino più fresco, con un po’ di ombra e mi ha detto quanto segue: “ho una preoccupazione, mi preoccupa perché potrebbero vendere il tesoro per un piatto di lenticchie, trovo troppa ammirazione per i teologi europei, soprattutto i tedeschi; no, non vendete la primogenitura per un piatto di lenticchie, non vendetela”. E sapete qual è la primogenitura per l’America Latina? È la sua religiosità popolare, perché è la saggezza del cuore: che il prestigio dell’intellettuale non porti ad intaccare la saggezza del cuore. Mi toccò essere segretario della Commissione per l’Evangelizzazione della Cultura nel documento della Conferenza dei Vescovi a Puebla e abbiamo inserito questo testo di Ratzinger a Guayaquil con molto sole, il sole insolente che si diceva prima, alla vigilia della morte di Giovanni Paolo I. Questo fu un testo basilare al fine di elaborare il primo post-concilio e arrivare ad un’epoca nuova, necessaria, partendo dall’identità storica dell’America Latina. Bisognava fare teologia, ma non a scapito del popolo, il popolo non è una sociometria, è una cultura evangelizzata, il cuore di Ratzinger a Guayaquil il cuore oggi, oggi a Rimini. E adesso passiamo al testo, ma non posso non leggere una lettera che è arrivata sulla mia scrivania. Era un sacerdote iracheno di Bagdad, che aveva il sospetto, aveva scritto di notte via internet e diceva: voglio salutarla perché mi avete accompagnato in momenti difficili, succeda quel che succeda, siamo in comunione, grazie perché so che siete in comunione con me, questa notte, questa sera. Lui sapeva, e il giorno successivo lo hanno ucciso: è uno dei martiri iracheni. Questo non mi lascia mai tranquillo ed è per questo che riconosco la grandezza della testimonianza di Mario Mauro, l’efficacia della testimonianza ed è per questo che cercherò di dirvi qualcosa sul martirio. C’è persecuzione ed è di massa, non citerò le statistiche raccapriccianti dei milioni di martiri, per me il primo impatto è stato dalle labbra di Giovanni Paolo II, quando sorprese un gruppo dicendo che il tempo del martirio non è della Chiesa primitiva, è il XX secolo e dopo la celebrazione dei martiri del XX secolo del Colosseo, in occasione del Giubileo del 2000, ci disse che la fede e l’evangelizzazione del XXI secolo doveva avere le radici nel mare del sangue dei martiri del XX secolo. Ho una grande speranza nella fede del XXI secolo, ma non si può fare ignorando i martiri del XX secolo. La sua certezza storica e profetica è stata confermata dagli storici. E questa morte non finisce, gli osservatori in Iraq sono sicuri che si vuole sopprimere assolutamente la presenza dei cristiani in Iraq. Mi ricorda le frasi di Krusciov, beh Krusciov una persona grassoccia, un po’ impetuosa, non una persona così cattiva, così negativa, ma in Russia sanno bene che era peggiore di Stalin, disse: “quando io morirò non ci sarà più neanche un cristiano in Russia”, ma il Signore della storia la pensava in modo un po’ diverso. C’è martirio, continua il martirio di massa: 200 milioni di cristiani sono in pericolo o sono perseguitati. Se apparteniamo al gruppo più odiato dai persecutori per ragioni religiose, è per quello che ha detto Mario citando Tischner: “Dio nasce, il potere trema”. Ci sono delle ragioni specifiche per perseguitare i cattolici, i cattolici non sono internazionali, questa non è una riunione internazionale, è cattolica, universale, io non vi conoscevo, voi non mi avevate mai visto, adesso vi vedo e so che siamo fratelli, so che siamo della stessa patria, del mio stesso sangue e questo è un potere troppo grande e fa tremare vieppiù i potenti, siamo intrinsecamente scomodi.
Seconda affermazione: la persecuzione appartiene al Dna della Chiesa. La cosa sorprendente non è il martirio, ma sarebbe sorprendente se non ci fosse il martirio, parliamo seriamente e questo pone problemi spirituali, politici, sociali, ma siamo intrinsecamente scomodi e siamo intrinsecamente cattolici, in modo tale che non può non importarci quello che avviene in un angolo dell’Iraq o quello che avviene fra Tutsi e Utu domani in un paese dell’Africa. Cor Pauli, cor mundi e Paolo era con le vesti di Stefano, del martirio di Stefano; Paolo, figlio di Stefano, del sangue di Stefano e noi siamo figli del sangue di Stefano e di Pietro. Il cardinale Franz Koenig, che era molto logico, intellettuale, professore, scrisse nel prologo di un libro sul martirio quanto segue: “Il martirio è uno di quei paradossi cristiani che per il razionalismo moderno risultano maggiormente incomprensibili; da parte sua un cristianesimo non perfettamente definito, meramente umanitario, si scontra con il fatto che la saggezza divina è la follia della croce”. Nel testo poi si citano le parole di Cristo: “il discepolo non è da più del maestro”, “quando gli uomini vi odieranno e vi metteranno al bando e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome a causa del figlio dell’uomo, sappiate che allo stesso modo facevano i vostri padri con i profeti”. E poi nelle beatitudini vengono i lamenti di Luca: “Guai a voi, quando tutti diranno bene di voi, perché così trattarono anche i falsi profeti”. Quindi appartiene al Dna del cristianesimo.
Terzo elemento. Martirio e post-modernità. Nell’introduzione del suo libro su Teresa di Lisieux, dice U. Von Balthasar che sempre i santi furono obbedienti, potremmo dire veridici e obbedienti, prendevano sul serio il Logos e il Padre. La postmodernità richiede con ragione e giustamente uno spazio per la soggettività, per il calore della comunicazione, per la spontaneità della creazione. Quando io ero un giovane sacerdote, il prossimo anno ne compio 50, le persone mi chiedevano due cose: “padre, si può dire”, e aggiungevano una frase, volevano saper se erano nell’ortodossia con una data affermazione, cioè si misuravano con una verità che era la Chiesa e mi chiedevano: “padre, si può fare x y, si può fare questa cosa con il digiuno eucaristico?”. Volevano obbedire, vi era una relazione con una verità, una relazione con una obbedienza, prendevano seriamente il Logos incarnato e il Padre. Non vi erano molte domande sull’amore, non vi erano molte domande sul sentimento. Questa è una relazione insufficiente per lo Spirito Santo, vi era una certa passività, vi era una sorta di ricerca, diciamolo con parole catechistiche, la Chiesa insegnava loro come pensare e fare, vi era un oggettivismo che ha avuto una reazione pendolare nella postmodernità, quindi una spontaneità lontana dalla verità e che non cerca di essere obbediente. Allora che cosa facciamo? Ripetiamo il dogma, ripetiamo la disciplina? Non ci ascolteranno. Dobbiamo entrare attraverso questa richiesta dello Spirito Santo che si trova nel cuore dei giovani e se volete l’esistenziale, il grido personalistico della condizione unica di ogni libertà, che esige amicizia e che richiede di vedere la verità già nella strada: senza una rifondazione trinitaria dell’umanesimo non sarà possibile dialogare con il futuro. Per me don Giussani è un trinitario che ha la poesia del Paraclito, la lucidità del Verbo e una dedizione amorosa alla tenerezza del Padre, di un Padre efficiente nella storia, perché il postmodernismo ha finito con l’essere in molte espressioni qualcosa cui non interessa l’efficacia della storia, ma questa è la claudicazione dell’essere persona. Quindi rifondare il trinitarismo dal movimento di spirito che c’è nella cultura e nel dire Spirito Santo dico femminilità, un nuovo luogo per la donna, un nuovo luogo per Maria, per la Chiesa Madre. Questo non è un soggettivismo sentimentale, bisogna distinguere fra prendere seriamente la donna e un crollo femminoide sentimentale in trascendente. Il crollo di molte comunità cristiane nel mondo è che si sono ammalate di soggettività e di sentimentalismo inefficace, inoperante. Non bisogna però far girare in dietro la ruota della storia, cioè prima dell’esplosione postmoderna. Don Giussani ha anticipato in modo profetico la riscoperta affettiva del soggetto, ma non ha mai smesso di affrontarlo nei confronti della sfida della verità e dell’efficacia dell’obbedienza. Tutto questo ha un’ora grande, un’ora stellare, nel primo martire del cristianesimo. È molto interessante veder il primo che muore per Cristo e come muore per Cristo. È una morte paradigmatica e Luca, che è l’autore degli Atti degli apostoli, riunisce, mette insieme perfettamente la morte del Salvatore e la morte del protomartire Stefano. Ogni martire cristiano è martire se muore come Cristo, se tiene come fratello maggiore Stefano. Se non c’è martirio stefanico, non c’è martirio cristiano e Stefano è l’uomo trinitario per eccellenza, cristianesimo primitivo, il Padre creatore, lui era un diacono, un servitore pratico, lui era un lavoratore dell’intelligenza, lui ha scoperto visioni inedite della parola del Signore e questo si acquisisce nel lavoro della preghiera e nel coraggio di un pensiero audace. Lui ha detto che il cristianesimo – ha formulato l’idea – che il cristianesimo non era una riforma della sinagoga, per questo è il padre spirituale di Paolo, è il padre spirituale del confronto di Paolo e di Pietro nel Consiglio di Gerusalemme. Era un creatore, figlio del Padre creatore. Il discorso di Stefano davanti al tribunale che lo giudicava cos’è?, è un getto di luce, è un sole grandioso, immenso, un sole irresistibile per la sinagoga, perché vi era il panorama completo della rivelazione di Dio all’uomo, lui è di fronte alla pienezza del Verbo, al luogo storico e cosmico del Verbo ed era pieno dello Spirito Santo, il fuoco e la tenerezza, il panorama e il particolare, per questo c’è bontà. Stefano non era un aggressivo, un provocatore, era un fratello benevolo e benefico e muore perdonando. Il cielo spalancato, aperto attraverso Gesù, Gesù parla al Padre e Stefano parla a Cristo con le sue stesse parole per perdonare e si fa l’avvocato dei suoi persecutori, non perdona passivamente, intercede, è l’avvocato intelligente, attivo nei confronti di Cristo e dei suoi assassini, di coloro che lo avevano ucciso. Nelle lingue che vengono dal latino, perfetto significa completamente fatto, perdurare significa durare attraverso il dolore, pernottare significa passare la notte, perdonare significa donare fino alla fine, fino all’ultimo è prendere il Padre Nostro e scriverlo col nostro sangue, questo è il segno distintivo, non è la morte, ci sono molte persone che muoiono per le loro cause, sono gli attentatori suicidi che è esattamente l’opposto del martirio cristiano: morire per odio. L’altro è invece l’umiltà, la dolcezza dell’amore per la Trinità. Paolo dirà nell’inno della Carità ai Corinti: “anche se consegnassi il mio corpo alle fiamme non mi servirebbe a nulla”, è una cifra matematica che non ha il segno più della croce, l’unica possibilità di essere più è che la croce preceda: questa è la morte stefanica.
Un punto lo lascio per la pastorale del sacerdozio. Non ci saranno famiglie che potranno resistere alla cultura relativistica se non sono fratelli dei martiri. C’è un martirio culturale nella ragazza a cui il capoufficio chiede una prestazione sessuale per essere promossa – penso ad una grande cantante, in un grande teatro europeo a cui veniva offerto un contratto che l’avrebbe trasformata in una donna di successo nel mondo della lirica, le venne detto che se avesse accettato una notte con il presidente dell’Opera, il contratto era siglato. Ho amici che lavorano nel settore bancario che improvvisamente ricevono un dossier tutto preparato per richiedere un firma, perché altrimenti la banca avrebbe messo un gruppo di avvocati per accusare poi questa persona di qualcosa di falso, ed in ogni caso la banca avrebbe vinto comunque il processo. Il mio amico è un ex bancario. Voglio dire qualcosa sui seminari. Abbiamo una crisi enorme di sacerdoti, una crisi molto grave, il sacerdote non può agire senza autorità morale. Vi racconto qualcosa che è successo ad un giovane sacerdote nell’Acropoli di Atene. Era con un gruppo di turisti, si stava guardando attorno e appare qualcuno che lui non conosceva e gli sputa in faccia: “pedofilo”, tutti hanno guardato verso il marmo, nessuno ha detto nulla. C’è qualcosa di molto serio, c’è una purificazione del sacerdozio. La lettera ai cattolici dell’Irlanda scritta dal Sommo Pontefice segna ed indica la strada, ma questa strada, questo cammino ha bisogno di una saggezza martoriale, non si potrà fare sacerdote nel XXI secolo senza vita di servizio stefanico, senza amicizia con i martiri tutto questo non sarà possibile. Partendo da questa saggezza ci sarà una educazione alla affettività, ma questa non è una formula pedagogica, è soprattutto saggezza del seguire Cristo secondo la modalità usata da Stefano. Ma prima vorrei citare l’ultimo verso che scrisse Giovanni Paolo II a Cracovia. Lui vista la tomba di Stanislao, il suo predecessore martire, scrive una conversazione con Stanislao che si conclude con queste due righe: “se la parola non converte, convertirà il sangue”.
Ultimo punto: l’efficacia della morte del martire. Sappiamo che l’efficacia del martire è soprastorica, escatologica, ma il martire ha anche una efficienza secolare, il martirio è un fatto politico, sociale, interessa gli stati, per questo gli ultimi assassini e gli ultimi crimini si cerca di non farli emergere come martiri. Nella mia Commissione alla Conferenza di Puebla, nel 1979, c’era un vescovo triste, molto grasso, parlava poco ed io mi sono chiesto perché questo vescovo fosse così triste, sembrava buono, sembrava pieno di pietà, di pietas, ma per me comunque era molto triste, invaso dalla tristezza. Gli avevano ucciso nella sua diocesi in Guatemala sei sacerdoti e volevano uccidere anche lui. E’ venuto a Puebla Mons. Girardi, un nome italiano, deve aver avuto buoni nonni, un buon padre, una buona madre, è tornato, è tornato nel suo paese ed è stato ucciso per la sua profezia di vescovo. E lo uccisero sporcandolo, mescolandolo in un affare sessuale, per 15 anni non si è potuto dimostrare niente. Adesso sappiamo che lo hanno fatto fuori, ucciso, per la sua profezia di Vescovo. Un giorno mi arriva una comunicazione dal Venezuela che il sottosegretario dei vescovi del Venezuela viene trovato morto, cadavere in un hotel di dubbia affidabilità, un hotel da appuntamento. Beh in prima battuta ovviamente silenzio, perché lo hanno trovato in albergo di siffatta natura. Io ci ho messo comunque un secondo prima di dire: siate certi che ci sono i servizi segreti del Paese dietro tutto questo. Era un avviso, un monito per il segretario dei vescovi, perché non venisse portato avanti il discorso che stavano facendo, perché non continuassero a parlare di quello di cui stavano parlando o potevano parlare nella Conferenza episcopale, ma non al popolo venezuelano. E’ efficace questa morte? E’ una efficacia meramente escatologica? Beh sarebbe sufficiente, sappiamo che ci sono molti martiri che sono falliti agli occhi del mondo, ma Giovanni Paolo II, quando convoca il Giubileo, centra la sua attenzione sui martiri e cita la famosa affermazione “sanguis martyrum, semen christianorum”, cioè il sangue già genera qualcosa nella storia e questo ha avuto una trascendenza completa. Il Papa in questo testo afferma che la vittoria storica del Cristianesimo, vittoria relativa, momentanea, ma fatto reale, riscontrabile, non è un accordo con Costantino, è sostanzialmente la forza del martirio. Se non fosse stato così, la Chiesa non sarebbe stato popolo, quello che arriva al popolo è la Chiesa dei martiri, non quella dei diplomatici o dei politici. Certo che ci devono essere dei diplomatici, certo che ci devono essere dei politici, perché la politica è un modo dell’essere umano, un modo sublime, dirà Pio XII, Mauro è un uomo sublime, ma che cosa fa Mauro senza martiri? E questo è molto importante.
Allora nella mia famiglia spirituale, Schoenstatt, abbiamo affrontato il nazismo fin dal primo momento, fin dalla prima ora. Molti sacerdoti e alcuni vescovi dicevano: “dobbiamo battezzare il nazismo, perché gettarlo? Battezziamolo!” ed il padre Joseph Kentenich, fondatore di Schoenstatt, disse ad un vescovo molto importante: “eccellenza non vedo dove potrebbe cadere l’acqua sul bambino”. Lui è finito nel campo di concentramento di Dachau con i dirigenti di Schoenstatt.
Quando meditiamo sulla morte di Cristo c’è un passo in cui lui scrive quanto segue: “Quando il corpo mistico viene disprezzato e viene condannato a morire ed è reputato morto, è allora, solo allora, che irrompe attraverso di esso la forza di Dio che è lo Spirito Santo, al fine ricreare in modo vittorioso una terra nuova”.
Non dice Chiesa nuova, dice terra nuova. E questo ha un’incidenza storica e cosmica. Il martire è il seme non solo della Chiesa, è il seme della società umana, della società libera, della società che gli uomini anelano dal loro più profondo. La società delle cose grandi è il cuore. In America Latina, parlo adesso della conferenza di Puebla, c’è una frase che adesso desidero citare: “la parola più liberatrice che è stata scritta e pronunciata nel tempo è, adorerai Dio, solo Dio, adorerai Dio unicamente, esclusivamente Dio”. Il Catechismo oppone a questo l’anticristo, cioè l’impostura religiosa massima, suprema. L’anticristo verrà alla fine del tempo, ma questo modello storico si ripete nei tempi di crisi e l’anticristo è colui che cerca, che tenta, dicendo qui è arrivata la felicità dell’uomo, questa struttura senza Dio è il cielo, è l’Eden in terra. E non rimane altro rimedio se non il combattimento, la lotta, la Donna vestita di sole e il drago, e l’anticristo che vuole divorare il Bambino non appena nascerà. Ma nell’Apocalisse si dice che il Bambino governerà e reggerà il tempo, governerà le nazioni con scettro di ferro. Il Bambino che ha scettro di ferro e dirige la storia e governa le nazioni. Maria, la donna vestita di sole, la regina dei martiri è la madre del perdono. È la segreta madre di Stefano, di Stefanus. Grazie.

MARIO MAURO:
Io credo, credo appunto, concludendo che quando parliamo del martirio dei cristiani, non abbiamo l’intento dell’odio. E’ proprio la capacità di incontrare l’altro in quanto uomo, riconoscere nella fede e nel pensiero del prossimo un tentativo sincero di risposta alla domanda di significato propria di ciascuno, questo è l’aspetto essenziale della presenza cristiana nella storia. Perciò strappare tale presenza da ogni luogo dove, in forma o embrionale o consistente, si manifesta, coincide con il venir meno di un pluralismo sostanziale. È appunto quello che ha detto padre Joaquin, la terra è un bene che viene meno per tutti, per tutte le società. Senza i cristiani non c’è salvaguardia per qualunque altro tipo di esperienza. La storia dell’Iraq recente ce lo insegna. Vogliono cacciare i cristiani per trasformare l’Iraq in un inferno. Viceversa, difendere le minoranze cristiane da persecuzioni e da discriminazioni, soprattutto nei paesi occidentali, rivendicarne il diritto alla dimensione comunitaria nella società, quindi all’incidenza che la fede ha nella società e nella vita, nell’educazione dei figli, nella costruzione della sanità, nella vita di tutti i giorni, vuol dire porre le premesse per uno sviluppo pienamente democratico nella convivenza tra gli uomini. Ringraziamo ancora padre Joaquin e buona giornata.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2010

Ora

11:15

Edizione

2010

Luogo

Sala Neri
Categoria
Incontri