AL CUORE DELL’ESPERIENZA: RINATI IN UN INCONTRO

Al cuore dell'esperienza: rinati in un incontro

Partecipano: Rose Busingye, Infermiera e Responsabile Meeting Point di Kampala; Deogracious Droma Adrawa, George William Emalu, Fredy Komakech, Ceasar Nyeko, Denis Oryem Okello. Introduce Davide Perillo, Direttore di Tracce.

 

DAVIDE PERILLO:
Buon pomeriggio a tutti e benvenuti a questo Meeting. Iniziamo andando subito al cuore dell’esperienza, che è il titolo del ciclo di incontri che normalmente, voi lo sapete meglio di me, riguardano le testimonianze. Le testimonianze sono sempre un momento forte del Meeting e lo sono per un motivo fondamentale: le storie che vengono raccontate qui normalmente hanno un impatto umano denso, spesso colpiscono, ma il punto non è questo. Il punto è che le testimonianze ci aiutano a conoscere noi stessi e la realtà, sono una modalità per conoscere la testimonianza, ed è per questo che abbiamo chiesto aiuto alle sei persone che vedete sul palco con me oggi, perché ci aiutino, raccontando quello che sta accadendo loro, ci aiutino a conoscere un po’ più noi stessi, quello che vediamo accadere nelle nostre vite, che desidereremmo vedere accadere nelle nostre vite e nella realtà che abbiamo intorno. Li abbiamo invitati per questo e adesso ve li presento.
Una già la conosciamo un po’, direi, è Rose Busingye, di lei un po’ di cose le sappiamo, conosciamo la storia del Meeting Point di Kampala in Uganda, dove grazie al lavoro di Rose e grazie al lavoro di altre persone dell’Avsi da diciotto anni, parecchie persone, in gran parte ammalate di AIDS, stanno riscoprendo un motivo per vivere, stanno ritrovando la speranza, stanno ritrovando la possibilità di vivere una vita umana, degna, piena, densa, ricca. Sappiamo anche che alcune delle donne del Meeting Point sono qui al Meeting e ci saranno per tutta la settimana al padiglione vicino allo stand della Cdo, quindi potrete incontrarle, conoscerle. Queste cose un po’ le conosciamo, quello che non sappiamo e che conosciamo un po’ meno è che intorno a questo luogo vivo, a questo punto dove, grazie all’avvenimento cristiano, decine di persone stanno riscoprendo il motivo per vivere, è nato anche altro. Cioè per contagio, altre persone sono entrate nella vita di questa realtà e non ci sono solo le donne del Meeting Point, ci sono anche i bambini, che spesso sono orfani, sono abbandonati, ci sono ragazzi giovani, cioè sta nascendo un popolo nuovo. Alcuni di questi giovani li abbiamo qua sul palco e ve li presento. Sono giovani per età, tutti sulla ventina, ma sono già grandi per la storia che hanno alle spalle, una storia di sofferenza, una storia che ha dentro una ferita aperta, una storia dove l’umanità è già stata chiamata, sfidata a fare i conti con la realtà, fino in fondo. Li abbiamo qui: Denis, Caesar. Salutiamoli! Fredy, Deogracious, detto Deo più semplicemente. Ceasar, è l’ultimo là in fondo, e quello che vedete con le iniziali J. W. Emalu, in realtà ha un altro nome, ha anche un nome italiano, ce lo faremo raccontare quando inizierà il suo intervento. Salutiamolo intanto. (applausi) Io non aggiungo altro. Le loro storie ve le racconteranno loro, però a noi tocca una cosa; tocca che iniziamo veramente a usare il nostro cuore, anche qui in questa ora e mezza, adoperiamolo, esercitiamolo, cioè paragoniamo quello che sentiremo con il nostro desiderio di felicità, con il nostro desiderio di significato. Adoperiamo il cuore ascoltando quello che ci diranno, usiamolo, perché solo così possiamo vedere se dentro il racconto che ci faranno, dentro le loro vite c’è qualcosa di familiare, qualcosa che sta già magari accadendo nelle nostre vite, o c’è il presentimento di qualcosa che desidereremmo accadesse nelle nostre vite. Ma possiamo scoprirlo solo se adoperiamo il nostro cuore nel tempo che passeremo qua. E questo che vi chiedo e ci chiedo mentre ascoltiamo il loro racconto.
Il primo è George William che in realtà si chiama Luigi Giussani e adesso ci racconterà perché.

GEORGE WILLIAM EMALU:
Mi chiamo Luigi Giussani. Vi chiederete perché mi chiamo così. Ebbene, questo nome mi è stato dato quando ero insieme a padre Carrón, quando il mio buio della morte è svanito e tutto si è riempito di canzoni di felicità. Vivevo un terrore veramente molto buio, un terrore di morte, un terrore senza fine. Mio padre e mia madre sono stati bruciati in un bus dai ribelli, mentre andavano da Soroti a Kampala. Sono rimasto solo con uno zio che lavorava a Kampala in una azienda, poi anche lui ha avuto un incidente. E’ stato un incidente dovuto ad un macchinario ed è morto. Il mondo a quel punto ha acquistato i caratteri di buio totale, ho pensato che sarei stato il prossimo e che la morte incombeva anche su di me. Quando ho sentito qualcuno parlare del Meeting Point International, mi sono chiesto: “Ci potrà essere qualcosa di buono di nuovo per me nella vita”. La vita per me era finita, non facevo altro che aspettare il giorno della morte. Pensavo che la morte non fosse altro che quello che avevo visto e sperimentato fino a quel punto. Al Meeting Point International ho visto giovani ed anziani tutti insieme ed ero veramente curioso di andare a vedere cosa succedeva. Qualcuno lì mi ha proposto di riprendere la scuola. A scuola però non riuscivo a studiare, continuamente sentivo un rumore nelle orecchie, sentivo le fiamme dell’incendio che aveva ucciso i miei genitori. Non riuscivo proprio a concentrarmi a scuola. E questo praticamente prendeva tutta la mia attenzione in classe.
Rose mi portava alla scuola della comunità e c’era una parola, una cosa che sentivo dire sempre e che credevo fosse importante: valore. Però mi chiedevo: qual è il valore che adesso ho, che valore posso ritrovare? Che cosa può riportarmi, ridarmi i miei genitori?
Ho continuato a studiare con notevoli difficoltà, fino al 2007. A quel punto un uomo, un uomo di nome Julián Carrón, è venuto in Uganda. Non ricordo il giorno del mio compleanno, però ricordo questo giorno quando lui è venuto, come se fosse quello del mio compleanno.
Carrón è venuto al Meeting Point International, è venuto a parlare a chi era lì, ai genitori, ai bambini. E ricordo ancora quello sguardo, uno sguardo che mi ha penetrato fino alle ossa, fino al midollo. Mentre parlava, seguivo questo suo sguardo ed è stato come se questo buio della morte si riducesse sempre di più. Sentivo all’interno di me di nuovo il cuore che balzava, che faceva grossi balzi. Quella notte non riuscivo a dormire, volevo rivederlo al più presto.
La mattina dopo mi hanno detto che sarebbe stato alla scuola di St. Kizito per un’assemblea generale con tutte le persone del movimento. Ecco, non le conoscevo queste persone, però ci sono andato perché volevo disperatamente rivedere quell’uomo. Lo guardavo, lo guardavo mentre parlava, e tutto il terrore della morte diventava sempre più piccolo. Ho incominciato a vedere una lucina e volevo seguirlo quell’uomo, volevo seguire Carrón ovunque andasse, volevo essere sempre dalla sua parte. Il mio cuore sobbalzava al mio interno e quasi lo sentivo esplodere. Sono andato da zia Rose perché volevo essere battezzato all’istante, perché questa era l’unica cosa che mi avvicinava, secondo me, in quel momento a Carrón. Rose però mi disse che qualcun altro avrebbe dovuto prepararmi per il battesimo e quando sono tornato a casa, anche i miei amici, ho visto, volevano la stessa cosa. Quello che succedeva a me stava succedendo anche a loro, i nostri cuori sono scoppiati in canzoni, in canti, la nostra vita è diventata una canzone, un canto, un inno a quello che ci stava succedendo. Siamo stati battezzati, dodici ragazze e ragazzi e qui è iniziato il nostro viaggio. Lo sguardo di Carrón ha praticamente eliminato il terrore della morte e mi ha riempito di canti di felicità. Questo desiderio era lo stesso dei nostri amici a scuola, dove abbiamo incominciato a fare il catechismo e 38 di questi ragazzi sono stati poi battezzati con l’aiuto di Mauro e di Padre Archetti. Volevamo comunicare la bellezza, la bellezza che abbiamo incontrato, la bellezza della vita che ci faceva cantare di nuovo. Abbiamo chiesto di essere aiutati durante la scuola della comunità e, cantando, capivamo sempre meglio quelli che erano gli intenti della scuola. Abbiamo formato il cosiddetto Battaglione di Carrón, gli alpini dell’Uganda: noi cantiamo dei canti, intoniamo dei canti alpini, esattamente come gli italiani che sono andati in battaglia cantando. Alcuni di noi sono stati soldati-bambini, bambini provenienti da situazioni diverse, difficili, differenti, ma queste situazioni sono state praticamente sopraffatte da uno sguardo, uno sguardo che era in grado di vincere la morte. Noi siamo uomini e donne nuovi e noi viviamo per dire agli altri che è possibile vivere in questo modo.

DAVIDE PERILLO:
E’ quello che desideriamo di più nella vita tutti, che il buio si ritiri poco a poco e che diventiamo uomini e donne nuovi.
Sentiamo cos’è accaduto a Caesar.

CEASAR NYEKO:
Sono Ceasar ed ho 22 anni, nel ’97 i miei genitori sono stati uccisi dai ribelli nella guerra dell’Uganda, uno dei miei fratelli è stato catturato e ancora adesso non so se vive o se è morto. Siamo rimasti soltanto in 2 sorelle e 4 fratelli. Mio fratello più vecchio viveva a Kampala. Dopo la morte dei miei genitori mio fratello ha detto che, visto che io ero molto giovane, dovevo andare con lui ad abitare a Kampala, perché la situazione all’interno del villaggio era terribile e non ce l’avrei fatta da solo. I ribelli, i soldati catturavano infatti tutti i soggetti più giovani del villaggio, quindi c’era un rischio, cioè il rischio che anch’io potessi essere catturato dai ribelli. Quando sono arrivato a Kampala ho incominciato la scuola. Nel 2004, quando stavo completando le scuole elementari, mio fratello ha perso il lavoro, il lavoro che appunto aveva a quel tempo. Quindi è rimasto disoccupato e non ho potuto continuare a studiare. Siamo andati ad abitare a Kireka dove mio fratello pensava di avere la possibilità di trovare un lavoro all’interno di una cava di pietre. Mio fratello effettivamente è stato poi assunto dalla cava di pietre e noi siamo venuti a contatto con la vita del villaggio, con la sua povertà, i suoi casi di morti di malattia. C’erano però delle donne che pur lavorando nella cava di pietre, cantavano, ballavano ed erano felici. Come si fa ad essere felici quando si ha fame, si è malati e si è poveri? Io pensavo che queste donne fossero un po’ stupide, pensavo che fossero ubriache e avessero perso il contatto con la realtà oppure pensavo che fossero pazze e avessero bisogno di essere curate proprio per la loro pazzia. Però qualcuno ci ha detto che erano delle donne del Meeting Point. E qualcuno mi ha spiegato l’attività che conduceva il Meeting Point. A questo punto sono andato di persona al Meeting Point, mi hanno portato da Rose, ecco, e tutti a quel punto conoscevano i miei problemi. Quando ho incontrato Rose, Rose è riuscita a riportarmi a scuola. E questo mi ha dato tanta, tanta felicità. Il giorno dopo sono ritornato al Meeting Point e tutto ha cominciato a filare liscio. Mentre studiavo avvertivo molto odio per tutti coloro che avevano ucciso i miei genitori.
Cosa sarebbe stata la vita senza i miei genitori?
Perché dopo tutto dovevo studiare?
La vita non era niente altro se non vivere e morire. Perché si deve vivere se non c’è modo di essere felici sulla terra? Studiavo, ma svogliatamente, senza nessun obiettivo, semplicemente per passare il tempo e pensavo addirittura di perdere sia tempo che denaro. Perché, mi dicevo, non posso invece diventare un soldato? A quel punto o muoio al fronte oppure, meglio ancora, riesco ad uccidere qualcuno e a vendicarmi di chi ha ucciso i miei genitori. Nel frattempo, mentre tutti questi pensieri mi assorbivano, nel 2007, è venuto in Uganda Carrón, l’ho incontrato anch’io e ho visto in lui uno sguardo, uno sguardo che veramente mi ha ribaltato, uno sguardo che sembrava riuscire a rimettere assieme i frammenti della mia vita. Se si va a Kireka, non rimane altro che lavorare in quella cava di pietre, non rimane altro che ammalarsi e, per alcuni, che rubare durante la notte. Alcuni si rifugiano nella foresta, dove almeno si è protetti dal proprio fucile. Alcuni bambini vanno nelle strade per chiedere l’elemosina, ma anche per rubare la borsa alle persone che vengono a fare lo shopping. E’ arrivato Carrón e il suo sguardo ha penetrato tutto questo stato di confusione e mi è sembrato a quel punto che ci fosse una possibilità, cioè quella di seguire quell’uomo, come se tutto quello che era già successo non fosse mai esistito. La vita era diventata improvvisamente più leggera e il mio cuore si era riempito di gioia. Allora andai da Rose per chiederle come poter seguire questo uomo. Ho incontrato il mio amico Luigi, che era veramente entusiasta, saltava qui e là e mi sono reso conto che quello che stava succedendo a lui, stava succedendo esattamente anche a me ed era bellissimo, era veramente bellissimo avvertire questo stato. Il mio desiderio e il desiderio di Luigi era quello di seguire quell’uomo, di appartenergli. Anziché prendere un taxi, sono andato a piedi all’ufficio di Rose, perché volevo rimaner da solo in silenzio, volevo pensare più approfonditamente a quello che mi stava succedendo. Ma mentre camminavo, mi sono trovato a correre, correvo perché volevo arrivare lì più rapidamente possibile, in modo da non perdere tempo. Sono andato da Rose, le ho chiesto di essere battezzato, perché proprio rimanendo quella giornata con Carrón, mi sono reso conto che non ero stato mai battezzato. Il battesimo era per me il modo per trovarmi più vicino, più unito a Carrón. Volevo essere dove era Carrón, essere in Cristo. Rose mi ha parlato di classi che potevo seguire, di catechismo; però, ho pensato, ci vorrebbe troppo tempo. Volevo essere battezzato immediatamente, ma quello era l’unico modo per raggiungere Carrón, l’unico modo per unirmi con Carrón e quindi, semplicemente, ho detto: “Non ci sono problemi, devo farlo, è l’unico modo che mi consente di congiungermi con Carrón”. Ho accettato molto felicemente di seguire i corsi di catechismo perché non ero più solo, avevo trovato degli amici, quindi l’abbiamo fatto insieme, cantando e ballando e siamo stati battezzati. Però, anche dopo essere stati battezzati, eravamo così contenti che abbiamo continuato il catechismo per incontrare altri amici a scuola. In realtà lo facevamo per noi stessi.
Trentanove sono stati i battezzati la sera di Pasqua e tutti quanti siamo diventati amici. Io adesso non ho più la sensazione di essere da solo senza i miei genitori, perché penso di averne centinaia di genitori, ne ho trovati a centinaia. Questa situazione è stata per me un’opportunità, un’opportunità di incontrare qualche cosa di più grande. Come ha appena detto Luigi, noi siamo ‘gli alpini di Kireka, gli alpini dell’Uganda. Io non ho perso nulla, ho invece guadagnato molto. Molti ci chiedono di spiegare meglio quello che ci è successo, però non riusciamo ad andare oltre queste spiegazioni. Abbiamo visto che a un certo punto i nostri cuori rimbalzavano al nostro interno, esplodendo in canti. Per capire meglio le parole, le nostre canzoni sono state anche tradotte in inglese. Come si fa però a tradurre la lingua del Mistero? Siamo contenti di essere in questo modo, di essere così e quindi chi riesce a tradurre la lingua del Mistero la traduca, ma, per noi, non è possibile. Io ho incontrato tantissime opportunità. Di cosa ho ancora bisogno?! Grazie.

DAVIDE PERILLO:
Un altro “alpino” dell’Uganda, Fredy.

FREDY KOMAKECH:
Mi chiamo Fredy Komakech, 21 anni, studio in un’università dell’Uganda, faccio il secondo anno. Nel 1993 i ribelli hanno fatto un raid nel nostro villaggio ed hanno prelevato i miei genitori, hanno arrestato moltissime persone e poi le hanno portate via. Poi in questo stesso posto hanno ucciso molte di queste persone. Io sono riuscito a sopravvivere solamente perché ogni sera andavo in una delle missioni cattoliche vicine al nostro villaggio. Andavo a passare lì la notte, e poi tornavo a casa mia di mattina. Quindi dopo aver ucciso i miei genitori sono rimasto con niente: a parte mia nonna, non avevo più niente nella vita, e allora mi sono chiesto una cosa: perché i miei genitori se ne sono andati? Perché proprio loro? Ci sarà un’altra vita dopo i miei genitori? Mi era anche venuto in mente di farmi reclutare come soldato per ottenere vendetta per questa cosa preziosa che mi avevano portato via. Sono rimasto, dicevo, solo con mia nonna, mia nonna ovviamente molto debole e vecchia, e l’unica cosa che potevo fare era scrivere e andare a vendere un po’ di cose per guadagnare un po’ di soldi. Andavo a vendere delle cose in bicicletta e percorrevo 44 chilometri ogni giorno in bici per andare a vendere questi piccoli oggetti. Ho fatto questo fin tanto che si è fatto vivo un mio zio di Kampala, mi ha telefonato e mi ha detto di andare a vivere con lui. Ecco, sono andato a vivere con mio zio, però, là dove vivevo, bisognava andare a scavare nelle cave di pietra per sopravvivere, e quindi con lui ho cominciato questa attività nelle cave di pietra, anche se, purtroppo, la sua attività si è poi interrotta, perché i terreni di quella cava dove lavoravamo, sono stati reclamati da altre persone. E quindi di nuovo sono rimasto senza niente. Non riuscivo neanche a sbarcare il lunario, a sopravvivere giorno per giorno, non avevo proprio nulla., Ho dovuto smettere anche di andare a scuola e sono rimasto a casa fino al giorno in cui si è fatto vivo un uomo che cercava dei lavoratori. Sono andato a parlare con questo uomo, gli ho chiesto di darmi da lavorare e per fortuna mi ha detto: domani mattina puoi incominciare a lavorare, vieni a lavorare. Ero contentissimo e ho pensato: adesso ho un lavoro, riuscirò a guadagnarmi da vivere, e a campare.
Ma proprio quel giorno, quando ho cominciato a lavorare, mi sono subito pentito di aver accettato quel lavoro, perché in quel posto di lavoro, che era una sala cinematografica, alla fin fine nessuno veniva pagato. Ti sfruttavano senza pagarti. E quindi ho pensato: tanto vale che mi fermi perché questo è uno sfruttamento, però mi son detto, proviamo un altro giorno, e vediamo cosa accade. Ma man mano che il tempo passava, ho visto che tutto si trasformava in un inferno, perché la gente veniva a lavorare, e l’80 % erano anche miei amici, ma nessuno veniva pagato. Forse qualcuno riceveva i soldi in ritardo, e qualcuno non li riceveva mai, ma io sto ancora aspettando quei famosi soldi che tutti mi promettevano. E poi c’è stato qualcun altro che mi diceva: ma sì, magari ti possiamo dare la metà di quello che abbiamo pattuito e cercavano di sfruttarmi. Cari amici, vi voglio dire che è stato un lavoro veramente tremendo, anche perché uno si trova invischiato con persone brutte, disoneste, persone che cercano solo dei guai e cercano di sfruttarti, per cui ho anche pensato che stavo rischiando, perché non era un lavoro sicuro oltre al fatto che non si veniva pagati. Poi qualcuno mi è venuto a parlare del Meeting Point di Kampala, e allora mi sono detto: andiamo a vedere che cos’è questo Meeting Point, andiamo a sentire che cosa hanno da offrirmi, e sono andato a incontrare Rose. Io mi aspettavo di trovare una boss, una grande signora nell’ufficio e invece, arrivato al Meeting Point, mi sono reso conto e l’ho trovata lì che lavorava con le altre donne, stava lì, ballava con le altre donne, era una come le altre e allora mi sono chiesto: ma è questa la capa del Meeting Point? Mi hanno detto di sì, che era proprio lei. Tra l’altro forse l’avevo anche vista prima, ma non le avevo mai parlato, poi le ho raccontato i miei problemi, la mia vita difficile e lei mi ha detto che dovevo assolutamente tornare sui banchi di scuola. A quel punto sono tornato a scuola e mi sono detto: forse andare a scuola mi basta, però anche a scuola non ero del tutto contento. Un giorno ci ha incontrato tutti, noi del centro e ci ha raccontato un sacco di belle cose e di tutte queste belle cose me ne è rimasta una in particolare, quando mi ha detto: Tu hai un valore, e questo valore che anch’io ho, non è superiore o inferiore al valore di uno che ha ancora un secondo da vivere, a cui manca un secondo prima della morte. E allora questo senso del valore veramente mi ha risuscitato e mi ha intrigato e mi sono detto: devo scoprire il senso di questo valore, devo indagare questo valore, ed è che da questo punto in poi che ho cominciato a seguire Rose. Lei ci aveva invitato in questa scuola, è vero, e per la prima volta ho pensato che ero una persona diversa, una persona che io stesso non riuscivo a comprendere, perché comprendere quello che si dice in una scuola se uno è lì per la prima volta non è sempre facile. E poi mi ricordo che nell’anno 2007 Padre Carrón è venuto in Uganda, ed è venuto al Meeting Point di Kampala, anch’io ero al Meeting Point e per me andare al Meeting Point ad ascoltare Padre Carrón equivaleva ad ascoltare il pontefice. Il modo in cui mi guardava, quel suo sguardo che leggevo nel suo volto era uno sguardo diverso anche da quello di zia Rose, e mi sono chiesto: chi è costui, chi è quest’uomo con questo sguardo così intenso, che mi guarda in questo modo. Secondo me faccio bene a seguire questo uomo, a scoprire cosa c’è dentro di lui, a scoprire che cosa gli fa avere questo splendido sguardo. E a quel punto tutto è cambiato nella mia vita, quel giorno è stato il punto di svolta nella mia vita. Ho cominciato a seguire quel volto, quello sguardo all’interno del quale ho incontrato Cristo. Da quel giorno in poi mi sono reso conto ed ho capito che l’incontro con Cristo era tutto nella mia vita e tramite questo incontro con Cristo avevo anche rincontrato i miei genitori. A questo punto non mi manca più nulla nella vita, ho tutto, ho davvero tutto, perché visto che Cristo è tutto per me, ho tutto nella mia vita e la mia unica preghiera, la mia unica richiesta è di avere sempre la semplicità per seguire Cristo e le sue idee. E’ grazie a Carrón e a zia Rose che io continuo a seguire Cristo, e io non voglio lasciarli, voglio essere sempre con loro, voglio essere con loro, con Cristo, nel luogo a cui tutti appartengono, e chiedo solo a Cristo, lo prego di utilizzare me come meglio crede, di fare di me ciò che meglio crede, visto che è stato Lui a darmi il respiro che ho in ogni secondo, in ogni istante. Io non possiedo nulla nella mia vita, possiedo solo il mio Sì a Lui. Grazie per avermi ascoltato.

DEOGRACIOUS DROMA ADRAWA:
Io mi chiamo Deogracious, anch’io vengo dall’Uganda, adesso ho 26 anni, vengo dal nord dell’Uganda, mio padre è morto quando ero ancora un bambino, avevo solo 12 anni e ovviamente allora facevo ancora la scuola elementare. Quando muore un padre si fanno vivi i parenti che vogliono organizzarti la vita e rimediare a questa grave tragedia, quindi questi parenti sono venuti e hanno deciso che mia mamma doveva riportarci tutti al paesino, al villaggio. Mio padre era stato un soldato e visto che era morto, non potevamo stare più nelle vicinanze della caserma, dovevamo uscire dalla caserma e tornare, iniziare una nuova vita al villaggio. Quindi ci dovevamo preparare a questo spostamento e anche al funerale di mio padre, che sarebbe stato al villaggio, in realtà io avrei preferito che fosse sepolto a Kampala, ma io ero troppo piccolo per farmi valere in Africa. In Uganda, per rispetto verso i genitori, un bambino non fa delle domande, non avanza delle richieste, a quell’età può fare e dire solo certe cose, e su tutto il resto uno non deve dire nulla. Quando c’era stato detto che era morto, ci siamo organizzati per assistere al suo funerale al villaggio, però per spostarsi da Kampala a Mojo, questo villaggio, ci sono circa 400 chilometri da percorrere e ci possono volere anche più di otto ore di viaggio. Ovviamente questo è un viaggio costoso, per cui siamo arrivati al villaggio due giorni dopo il funerale e quindi in grosso ritardo. Siamo andati a vedere il luogo in cui era sepolto e poi dopo ci sono stati questi incontri dove ci hanno presentato ai vari parenti che avrebbero dovuto tirarci su. Nella nostra cultura quando muore il padre, il marito, la donna, la madre e i figli che erano considerati proprietà del marito vanno ai parenti e i parenti decidono come assegnarli, come mantenerli. Mio padre era stato un uomo poligamo tra l’altro, aveva tre mogli, con le altre due mogli aveva un figlio, con mia madre invece quattro figli. Mia madre, diciamo, era un po’ la moglie principale se volete, e infatti aveva insistito che questi parenti lasciassero tornare almeno lei a Kampala con noi, in modo che potessimo finire la scuola elementare e poi ci avrebbe riportato al villaggio, ma almeno con la scuola elementare finita. Sono stati d’accordo e ci hanno lasciato tornare tutti a Kampala. Mia mamma spesso piangeva, era disperata, aveva saputo che le proprietà di mia padre erano state vendute, che la casa che mio padre aveva costruito per noi era stata venduta, i terreni, le proprietà, i risparmi di mio papà, tutto era stato venduto o consumato. Non c’era più niente, tutto quello che mio padre aveva costruito per noi era stato preso dai parenti, venduto o consumato. Fu così che, finita la scuola elementare, mia madre non ha più voluto portarci al paese come aveva pattuito inizialmente, non aveva senso perché lì non c’era niente. In realtà i parenti la tormentavano dicendole sei disobbediente, devi tornare qui al paese con i ragazzi, lei però ci ha detto che non le importava di questi ricatti dei parenti, a lei importava solo che i suoi figli, i suoi ragazzini crescessero bene. Dopo un po’ di tempo ha addirittura richiesto che gli altri figli delle altre mogli di mio padre che erano rimasti al villaggio tornassero con noi a Kampala, perché alla fine erano miei fratelli e sorelle anche se lei non era la loro legittima madre. Questi bambini sono tutti venuti a stare con noi a Kampala e lei ha continuato a mantenerci agli studi, a pagare le nostre spese perché aveva una piccola attività commerciale con cui riusciva a mantenerci. Però quando siamo arrivati in quarta classe, ovviamente i costi aumentavano e servivano sempre più soldi per andare a scuola. Noi eravamo 6 figli, 3 femmine e 3 maschi, e lei non riusciva a pagare gli studi e le tasse scolastiche per tutti e sei. Così dopo la quarta elementare abbiamo tutti incominciato a lavorare nelle cave di pietra, a spaccare sassi, scavare, ritagliare le pietre e poi venderle. Questo era quello che facevamo tutti i giorni per sopravvivere.
Poi nel 2005 ho sentito parlare del Meeting Point, ho sentire dire che stavano accettando nuovi ragazzi, in modo tale da consentire a questi ragazzi di andare scuola, quindi mi sono iscritto, ho cercato di entrare e ce l’ho fatta. Fin dall’inizio per me la vita era stata caratterizzata da questa delusione dei parenti, perché quanto più studiavo, quanto più bravo diventavo negli studi tanto più davo loro fastidio, perché loro non volevano che io studiassi. Infatti se fossi tornato al paese, sicuramente non mi avrebbero fato andare a scuola, non avrei avuto nessuna speranza di avere una bella vita. Per questo sono andato al Meeting Point, c’è stata questa opportunità di continuare a studiare, mi sono reso conto che le mie ambizioni ritornavano, che potevo di nuovo continuare a sperare.
Però prima di essere assegnato alle varie scuole in cui avrei dovuto appunto continuare gli studi, ho avuto un incontro con la direttrice di Meeting Point. In questo incontro io pensavo che ci avrebbe detto semplicemente: tu andrai in questa scuola, tu andrai in quest’altra scuola, tu andrai ecc, e invece ha detto cose molto diverse, ci ha chiesto: voi, voi ragazzi, quali sono i vostri diritti? Ci ha chiesto quali erano i nostri diritti!
Una domanda semplice per me, perché nelle scuole ugandesi ci viene spesso insegnato a riflettere su queste cose: avete il diritto all’istruzione, avete il diritto ad un alloggio, avete il diritto all’alimentazione, avete diritto a mangiare etc. Quindi questi diritti erano per me scontati, evidenti, per me era molto facile rispondere alla domanda: quali sono i tuoi diritti e visto che sono stato il primo ad alzare la mano per rispondere, ho elencati questi diritti che conoscevo così bene e poi lei mi incoraggiava e mi diceva vai avanti, dinne altri e altri ancora di questi diritti e poi alla fine della lista mi ha chiesto: e allora? Adesso che li hai detti? Una domanda semplicissima, che mi ha lasciato molto imbarazzato, deluso. In quel preciso istante, in quel secondo l’ho guardata in faccia, ho guardato lei come qualcuno che non stesse veramente rispettando i miei diritti, e se uno non rispetta i miei diritti, uno non rispetta nemmeno la mia persona, il mio benessere. Ho sentito un senso di amarezza dentro di me, mi sono sentito un po’ offeso, però man mano che lei continuava tra le tante cose che ci stava raccontando, una mi è rimasta conficcata nella testa: Tu sei un valore, tu hai un valore. E’ la parola valore che mi ha molto colpito.
Quindi ho pensato che questo era una consolazione, che la potevo perdonare e poi il giorno successivo sono andato a parlare di nuovo nel suo ufficio. Sono entrato e le ho chiesto ragguagli su questo valore, perché mi sembrava che mi volesse solo consolare, dopo avermi preso in giro su questa storia dei diritti. E lei mi ha spiegato i diritti, mi ha spiegato tante cose, mi ha detto che ho dei diritti solamente nella misura in cui capisco che sono un valore. Non ci capivo un granché, però lei alla fine ha concluso il colloquio invitandomi a stare con lei, a seguirla. Alla fine di quella giornata, in quell’ufficio, ho veramente sperato di diventare come lei o di avere qualcuno come lei al mio fianco. Poi mi ha invitato di nuovo a parlare nel suo ufficio, un venerdì. Ovviamente non vedevo l’ora, ci sono andato e pensavo che avremmo ripreso da dove eravamo rimasti e invece ha tirato fuori dei libri di canto e abbiamo incominciato a cantare.
Tutte le volte che ci siamo visti, abbiamo cantato e ogni volta che cantavamo pensavo che prima o poi mi avrebbe spiegato di più su questo valore. Invece lei iniziava una nuova canzone e alla fine delle canzoni mi diceva che dovevamo andare. Non potevo neanche chiedere dove, dove andiamo, dove mi vuoi portare, perché avevo dentro di me questo spirito che ha ogni bambino africano, che uno non può mai chiedere, che è maleducato chiedere perché, per cui la seguivo in macchina e andavamo in un posto dove c’erano altre persone che ci aspettavano e lei mi diceva di intonare quella canzone che avevamo appena cantato, ovviamente avevo un po’ di paura, però alla fine cantavamo e poi queste persone parlavano di cose che io non comprendevo bene. Quello che mi colpiva di più è che c’erano delle persone e c’era anche la zia Rose e io l’ammiravo molto per come era e semplicemente questo mi dava tanta gioia. Successivamente mi ha detto che quella era la scuola di comunità, quel posto dove mi aveva portato era la scuola di comunità. Quindi ho continuato a frequentare questa scuola di comunità, anche perché sapevo che c’era lei e non ci capivo granché di più, però il fatto che c’era lei mi bastava. Poi c’è stato l’evento in cui è arrivato Carrón in Uganda, di cui hanno parlato gli amici e a quel punto ho fatto una domanda che volevo fare da tempo e questa domanda riguardava la solitudine, perché nella scuola di comunità si dice che non c’è nulla che ci possa veramente soddisfare. Questo era per me una grande contraddizione, perché in un certo senso io mi sentivo felice, io dicevo: ma io ce l’ho la felicità! Dovevo pagare, che ne so, le tasse scolastiche e avevo i soldi per pagarle, ero felice, per cui sono andato alla assemblea generale e ho fatto a Padre Carrón questa domanda. Mi è stato risposto: adesso sei contento, sei soddisfatto? E io ho detto sì, sono contento e Rose mi ha detto: adesso ti serve qualche cosa d’altro? E gli ho detto sì, mi serve qualche cosa d’altro, mi serve molto di più, e lei mi ha detto: ecco questo è il punto, questo che ti manca è il punto. E in quel preciso istante mi sono reso conto del senso della mia vita, grato di questo uomo che mi raccontava di me stesso, che mi ha aiutato a comprendere me stesso. E’ stata come una nuova scintilla di vita e quando mi sono reso conto che anche i miei amici avevano fatto lo stesso percorso, mi sono aggiunto a loro e abbiamo fatto il catechismo insieme. Ero stato in realtà battezzato, ma poi avevo lasciato la chiesa. Questo è stato un nuovo inizio per me, una nuova svolta per vivere in circostanze diverse rispetto ai miei amici, perché tra i miei amici purtroppo io ho conosciuto anche bambini-soldato, malati di Aids, di malattie infettive gravi, orfani, e questo è diventato per me un nuovo modo di vivere, veramente un nuovo inizio, e le altre cose non contano più, perché quello che conta e contava è che io avevo incominciato a comprendere me stesso. E con quest’uomo ho incominciato a capire meglio la scuola di comunità, tante cose che mi sembravano complicate mi sono divenute semplici e questo semplicemente perché essere là dove lui era, mi ha consentito di ammirare sempre di più anche zia Rose. Anche l’attività di canto è molto migliorata, perché all’inizio cantavamo, ma non cantavamo per nessuno, invece dopo l’incontro con quest’uomo sappiamo che cantiamo per qualcuno di molto più grande. Vi posso raccontare un fatto che è successo recentemente. Stavamo facendo delle letture alla scuola di comunità, leggevamo la storia di Cristo e parlavamo della nostra nullità e lì ho detto a zia Rose che io qualche volta lasciavo da parte Cristo e andavo a fare le mie altre cose e poi ritornavo ad incontrarlo. E zia Rose mi ha detto: no, non è così, tu sei quello che lo lascia, è vero, tu lasci Cristo per un attimo magari, ma Lui non ti lascia mai. Anche quando vai a fare tante cose, magari anche cose brutte, lui è sempre con te, e lì ho sentito un grande senso di vergogna, perché mi sono ricordato di tutte le cose cattive e negative che avevo fatto. Lo lasciavo da parte per fare altre cose, lo trascuravo e poi magari ritornavo ad incontrarlo. Però mi sono reso conto che in realtà lui è sempre con me e comprendere questo è stato come una nuova vita. Da allora mi sono innamorato veramente di tutto, adesso vivo con i miei amici in questa stessa comunità, nella stessa casa, e loro sono la mia priorità. Ad esempio, se io riesco a guadagnare qualche lira in più la do a loro, anche se ne avrebbe bisogno mio madre: sono loro la mia priorità, più ancora di mia madre. E le persone nel villaggio in cui viviamo mi chiedono: che cosa è che avete voi di così particolare? Io non trovo le parole per spiegare, non riesco a dare spiegazioni. Questa però è la vita che viviamo, grazie.

DENIS ORYEM OKELLO:
Anch’io avevo la sensazione di non andare da nessuna parte. Quando Rose mi ha avvicinato e mi ha chiesto: “Cosa vuoi fare? Che cosa vuoi diventare? Che cosa vuoi essere?”, io le ho detto: voglio studiare, voglio diventare un uomo grande, guadagnare, voglio laurearmi, prendere tante lauree, specializzazioni ed arricchirmi, essere tanto ricco. Rose mi ha detto: “Beh, Denis, questa cosa non ti può soddisfare, anche se ti laurei, prendi tante lauree, tante specializzazioni, hai tanti soldi, tutto questo non ti soddisferà appieno”. E io: beh, insomma, adesso proviamo intanto a studiare. Sono andato a studiare, ho cominciato l’università, statistica. Tenete presente che questo primo colloquio con Rose è avvenuto quando io avevo dieci anni, e tutto questo periodo che io ho trascorso con Rose è stato un periodo in cui lei continuava a ribadirmi tutte queste cose, anche se io pensavo che scherzasse. Quindi ho cominciato a studiare, però a un certo punto sentivo che mi mancava qualcosa, non ero veramente soddisfatto al cento per cento, sentivo che al mio interno mi mancava qualche cosa e mi chiedevo perché. Sono passato bene, ho superato bene l’esame, ho dei voti ottimi, anche all’università supero gli esami senza problemi, però non sono felice ancora. Perché? “Queste cose non ti possono soddisfare, sei infinito”. Però io non capivo che cosa Rose intendesse con questa infinità, e così mi sono rivolto ad una chiesa protestante, perché pensavo che lì avrei trovato la soluzione ai desideri del mio cuore. Ho pensato che andando nella chiesa protestante tutti i miei desideri sarebbero stati soddisfatti, mi sarei sentito molto meglio. Avevo degli amici protestanti, quindi mi sono recato alla chiesa protestante locale. Ho visto subito che il loro insegnamento era molto diverso da quello che fino a quel momento avevo ricevuto. Mi veniva detto che tutti i miei desideri sarebbero stati soddisfatti in cielo, adesso non avrei dovuto preoccuparmi. Però, insomma io non ero felice di aspettare di essere in cielo per essere contento, non volevo essere come ero in quel momento. Gli altri miei amici però insistevano che andassi con loro alla chiesa protestante, ma questo non era per me fonte di alcuna soddisfazione. A un certo punto nel 2007 succede che Carrón viene in Uganda. Io prima non lo conoscevo, altre persone però lo avevano già conosciuto e si volevano recare nel luogo dove egli sarebbe stato e mi hanno detto: “Andiamo, vieni con noi, andiamo a incontrare una persona”. Io mi sono interessato alla questione e ho detto: beh, andiamo un po’ a vedere chi è questo Carrón, tutti ne parlano. Ci sono andato, ma ci sono andato così tanto per fare qualcosa, per scherzo, proprio per vedere chi fosse mai questo benedetto Carrón. Sono andato e ho visto all’interno di una sala tipo questa il volto di Carrón, il suo sguardo. Poi ha incominciato a parlare, e quando ha incominciato a parlare per me si è aperta una porta, una porta nella mia vita. Non ero contento, avevo tante aspirazioni, tanti desideri, ma quando ha parlato, ascoltandolo, riascoltandolo, non riuscivo nemmeno a credere di avere davanti una persona con quella forza; avevo incontrato altre persone prima, ma mai una persona così. “Cristo è tutto e soddisfa tutti quanti”. Così diceva. Io pensavo che scherzasse, poi mi sono detto: perché? Perché non posso anch’io dire sì a tutto questo? Mi sono detto: devo dire sì. E immediatamente, quando ho detto sì, mi sono trovato a percepire una enorme soddisfazione. Senza seguirlo non avrei mai potuto capirlo. Sono tornato a casa, ho poi incontrato Fredy, Deu, Luigi, Ceasar, li ho guardati. La loro vita praticamente era stata uguale alla mia, però con questo incontro si era completata. Tutto era cambiato. Mi sono chiesto: perché gli altri vogliono arricchirsi, vogliono lavorare sempre di più, quando la soddisfazione la possiamo trovare in Cristo? Sì, possiamo fare altre cose, ma bisogna accettare in primis Cristo. A quel punto non mi sentivo più un orfano, ho detto: ho di più di un orfano. Però magari se uno va a dire a un orfano questa cosa immediatamente non è in grado di capirla. Carrón ha detto che l’unica cosa che può dare pace è proprio questa pace in Cristo. Io appartengo adesso a una famiglia molto più grande, una famiglia che è il movimento. Cristo, Cristo veramente è in grado di soddisfare tutti i miei desideri, questo ho capito. Inizialmente ho pensato che la soddisfazione fosse qualcosa di diverso, invece dopo ho capito che non era arricchirsi ed acquisire sempre più lauree ciò che poteva portare alla contentezza e alla pienezza. Anche all’università dove ho studiato i miei professori un po’ mi prendono in giro, ci sono degli insegnanti, uno in particolare, che sa che sono cristiano, che appartengo al movimento, che vado a tutte le riunioni del movimento e mi dice: “Beh, tu appartieni ad una cristianità che non è veramente nulla di reale, probabilmente hai bisogno di Cristo soltanto come se fosse un bastone su cui appoggiarti”. Però io gli ho detto tante volte: “Come puoi dire che Cristo è solo un bastone a cui appoggio il mio cuore, se per me è una cosa che mi spinge ad andare avanti. Se uno non ci crede, questo bastone non si può mai muovere per farti andare avanti”. Questo professore un po’ si è alterato. Mi ha detto: “Non mi rispetti! Non devi rispondere in questo modo. Devi essere sottomesso a me, in fondo devi mostrare la sottomissione tipica dell’Africa”. Io l’ho guardato, l’ho guardato e ho pensato: è impossibile, non posso accettare che qualcuno mi dica che Cristo è il bastone su cui devo appoggiarmi, il bastone è qualcosa che serve per andare avanti. Io poi penso che questo professore abbia anche incoraggiato altri a prendermi in giro. Per esempio, mi ha mandato lì un altro ragazzo, un volta, che ha voluto mettermi un po’ alla prova. Una persona, che aveva una Mercedes e quindi era diventato ricco, mi ha detto: “Guarda, questa cosa di Cristo non ti porterà da nessuna parte, ci sono altre opportunità, ti possiamo offrire ben sette vergini, pensa un po’, puoi andare a Dubay a lavorare, ad arricchirti, hai fatto statistica, hai dei buoni voti, tutti ti vogliono là, puoi andare là a lavorare, ti possiamo procurare sette vergini, avrai un lavoro ottimo, verrai pagato tantissimo”. Ecco in quel modo mi sono trovato davanti a una situazione improvvisamente irrealistica. Ho pensato: a me cosa interessa? Mi interessano queste sette vergini? Non credo che mi soddisfino, mi rendano più felice, no?
Questo giovane è stato scioccato dalla mia risposta, non ci credeva. Ha detto: “Ma tu hai qualcosa che non funziona. Insomma, come fai a fregartene del tutto di queste sette vergini, di questi soldi, non sei un uomo”. È stato scioccato perché altri studenti invece facilmente avevano seguito questo suo invito, erano andati a Dubai, sempre nella speranza di guadagnare tanti dollari, di avere queste famose sette vergini… Il giorno dopo sono andato in aula un poco in ritardo per la verità, il professore era già lì seduto, tutti quanti erano lì in silenzio e questo professore mi dice: “giovanotto benvenuto, qual è la più bella tra tutte queste ragazze in classe?”. Io l’ho guardato e ho detto: “Beh, io non sono mica venuto a lezione per vedere delle ragazze. Io sono già contento così!” Lui era sposato, aveva la fede e gli ho detto: “Lei è sposato, ha l’anello, è contento?” Lui a un certo punto si è molto arrabbiato e se ne è andato via dalla stanza, dall’aula. E quindi fino adesso non ci siamo ancora chiariti su questo punto.
Io tutti questi insegnamenti li ho ricevuti da Carrón in prima battuta, mi ha veramente consentito di scoprire interamente me stesso. Grazie. Grazie a tutti voi.

DAVIDE PERILLO:
E adesso Rose. Vediamo cosa ha voluto dire per lei incontrare loro.

ROSE BUSINGYE:
Quando don Giuss ha scelto Carrón come sostituto, avevo obbedito, non avevo problemi e mi fidavo di don Giussani e ho obbedito, ho seguito Carrón. Dopo la morte di don Giuss mi sembrava che il mio mondo fosse finito, e ho continuato a guardare Carrón come il suo sostituto, come il nuovo capo e basta. Poi Carrón è venuto in Uganda ed è successo tutto quello che i ragazzi hanno raccontato. Dopo l’incontro di Carrón c’era presente Luigi e mi dice: “Guardando quell’uomo ho scoperto che non sono battezzato”. Io ho chiesto: “Ma come mai? Che cosa ha detto? C’ero anch’io”. E poi ho pensato: questi ragazzi li conosco, gli passerà. Gli ho detto: “Vai, vai, poi ci penso…” Il giorno dopo arriva Ceasar, è sudato, grattandosi via la polvere che lo ricopriva fino alla testa perché aveva camminato a piedi, mi dice: “Guardando quell’uomo ho scoperto che non sono battezzato”. Io ho detto, ma cavoli, cosa gli è successo, gli ho chiesto: “Dimmi che parola ha detto Carrón?” C’ero anch’io, c’era la mia casa, c’era tutto il movimento… Che parola ha detto? Passano tre giorni, erano quattro, erano cinque che mi chiedevano le stesse cose. Allora io li ho chiusi in ufficio e ho detto: “Ditemi che parola, che frase…” Pero quando li guardavo, non erano più i ragazzi che avevo curato. E mi chiedevo: dopo tutti questi anni, ho parlato della scuola di comunità, ho parlato di Dio, ho battezzato bambini e donne e come mai Carrón arriva per trenta minuti e scopre che non siete battezzati? Io cosa ho detto? Io cosa ho detto? Di cosa ho parlato? Che Dio vi ho annunciato? E guardandoli erano veramente diversi e mi chiedevo: ma è vero o non è vero? Però ero ferma e cercavo tutti i punti, la citazione e dopo ho provato a chiedere ad una donna di fargli catechismo insieme a Mauro. Quando chi gli insegnava catechismo tornava a casa entusiasta e diceva: questi ragazzi li voglio seguire, questi ragazzi non li voglio lasciare. Io mi sono chiesta: ma cosa gli è successo. Continuavo a chiedere una frase, una citazione di Carrón e andavo a chiedere anche a quelle di casa mia se avevano qualche punto che parlava del battesimo. Invece Carrón non aveva parlato del battesimo. E poi non gli ha parlato personalmente, Carron ha parlato alla scuola dove c’erano anche loro. Però era evidente che a questi ragazzi qualcosa era successo, li vedevo commossi. E’ tanto tempo che noi organizziamo una caritativa, invece loro andavano anche su internet a scoprire che cosa è il movimento di CL e andava su internet a cantare, a imparare i canti degli alpini. E a un certo punto mi sono chiesta: ma cavoli, perché una volta hanno deciso di andare nella cava dove ci sono le donne che spaccano le pietre? Hanno detto: andiamo nella cava, così che possiamo cantare i canti degli alpini alle donne, così possono avere un momento di riposo anche loro. E loro andavano e le donne posavano il martello che usano per spaccare i sassi e si commuovevano e a un certo punto ho pensato: ma cavoli, io devo stare qui a cercare le frasi, le parole che ha detto Carrón? Il Mistero chiama chi vuole, attraverso chi vuole e quando vuole. I miei amici però mi chiedevano: “Ma cosa gli è successo? Ma sarà vero? Ma è giusto?” Mi dicevano: “Sai, non preoccuparti, gli hai dato l’inizio, li hai curati”. A un certo punto mi arrabbiavo: ma che me ne frega se gli ho dato l’inizio, se loro sono commossi, sono cambiati; io no, sono qui spiaccicata e vedo il mondo passare. Da un certo punto ho proprio dovuto seguirli, imparando i canti degli alpini con loro. Quando hanno scoperto qualcosa su internet su don Giussani, anch’io l’ho scoperto con loro. E da un certo punto ho pensato: se loro sono stati cambiati guardando Carrón, forse io ero lì ferma e lo guardavo solo come capo. Ma a un certo punto anch’io ho cambiato lo sguardo, ho cominciato anch’io a guardare Carrón ma non come Carrón, ma a guardare ciò che sta guardando Carrón. Ho cominciato seguire Carrón non più come un capo, ma proprio a guardare ciò che anche lui sta guardando. La mia posizione è cambiata. Adesso lo guardo guardando il punto dove sta guardando lui e diventando una cosa sola con lui. Adesso non è più un capo, ma un amico, un compagno di cammino.

DAVIDE PERILLO:
Vedete amici, è impressionante. Vi consiglio, se potete di ascoltare ancora qualche minuto, perché c’è una sorpresa. Se non potete, pazienza. È impressionante quello che abbiamo sentito, perché la vita è semplice. La vita è semplice, non facile, è un’altra cosa. L’abbiamo sentito bene da loro: è tutt’altro che facile, basta guardare alla nostra, basta guardarci intorno, non è facile, ma è semplice. Dio ci vuole talmente bene che la nostra struttura umana, la dinamica dell’umano l’ha fatta semplice: c’è il cuore, c’è il nostro desiderio di felicità, la nostra capacità di riconoscerla se la incontriamo, il nostro desiderio di soddisfazione piena, e c’è Lui che si china a rispondere. Come? In un Incontro (zia Rose), in uno sguardo (Carrón), lo avete sentito ripetere da tutti. E il punto non è lui, ma il punto è dove guarda lui, cioè Cristo. Come ci diceva Rose adesso. Impressionante è che lì è l’inizio dell’avventura. Lì è l’inizio dell’avventura dell’umano, quando il cuore incontra Cristo e l’umano inizia a fiorire, inizia e poi prosegue, prosegue come un lavoro, come una battaglia, perché se è un rapporto è una cosa drammatica, che chiede impegno, energie, chiede quello che richiede un rapporto, ma prosegue con la stessa modalità con cui è iniziato, semplice come un rapporto. Loro hanno incontrato Rose, hanno iniziato a seguire Rose e Rose segue loro, cioè per lei, per noi l’avventura prosegue con la stessa modalità con cui è iniziata, seguendo, cioè essendo semplici, e vedete che potenza di umanità fiorisce, nasce da questa semplicità. Guardate che potenza può avere il nostro Sì alla presenza di Cristo. Li avete sentiti, no? Il buio si ritira, i frammenti si rimettono insieme, uso tutte espressioni che hanno usato loro. Ogni secondo acquista un valore. Ho tutto perché ho scoperto il tutto della vita. Non mi sento più orfano, solo. Ma noi desideriamo altro dalla vita, o desideriamo questo? Allora la vita è semplice. Siamo noi tante volte a complicarla con i nostri se, i ma e i però, infilando la fessura dei nostri ma, se e però, quella fessura può diventare una crepa, ma la vita è semplice. Allora c’è un però che potrebbe minacciare quello che abbiamo sentito adesso, e su cui vi prego, vi chiedo, vi scongiuro e scongiuro me stesso di stare attenti, è quello che ogni tanto ci viene da dire: “Però, è capitato a loro. Però, con questa imponenza, con questa drammaticità, con questa chiarezza è capitato a loro, nella loro vita, in situazioni estreme, quasi eroiche, però…”, ecco, è il metodo migliore per soffocare il metodo che Dio ha scelto per educarci, perché se capita a loro con questa potenza e con questa pienezza e con questa evidenza è perché diventi a noi più chiaro che cosa sta toccando e capitando nelle nostre vite, ora. O che cosa desideriamo che capiti nelle nostre vite, ora. L’imponenza della testimonianza ci fa capire questo, ci aiuta a capire questo, ci fa conoscere di più noi stessi e la realtà.
Allora loro resteranno, come dicevamo prima, tutta la settimana qui al Meeting e ci sono anche le donne del Meeting Point, c’è un punto, c’è lo stand del Meeting Point, di AVSI. Immagino che molti di voi vorranno cercarli nei prossimi giorni, li cercheranno, per farsi raccontare a fondo quello che hanno sentito, per continuare un incontro.
Vi prego cerchiamoli, cercateli. Ma cercateli e cerchiamoli come si cerca un amico, come si cerca uno con cui si può condividere la sfida decisiva della vita, uno che ti può aiutare a scoprire quello che stai vivendo tu o quello che desideri vivere tu. Cerchiamoli, cerchiamoli come si cerca un amico, perché loro per noi sono amici, non è gente che è su un palco e racconta una cosa che è fuori dalla nostra portata. Sono amici che ci aiutano a scoprire quello che vediamo accadere nella nostra vita e dato che sono amici ci fanno un regalo. Non è che gli alpini dell’Uganda sono per modo di dire e non è neanche, come diceva Luigi Giussani, che la bellezza della vita ci fa cantare, mica cantare per scherzo, per modo di dire. Sentiamoli cantare, sentiamo che cosa, fin dove è entrata la bellezza della presenza di Cristo dentro la loro vita. Sentiamo. Ci regalano un canto, sperando che si possa tecnicamente farlo con i mezzi del palco. Credo che dobbiate usare quei microfoni lì, dai.

Canto: La Montanara

Scusate. Vedete dove arriva la bellezza del Cristianesimo? Guardate, come ci è stato detto si fa molto più fatica a resistere a una bellezza così che a cedere. Allora proviamo a cedere a questa bellezza durante questa settimana e vediamo che cosa succede. Buon Meeting a tutti!

(Trascrizione non rivista dai relatori)