INVITO ALLA LETTURA

Chi sono i nemici della scienza? Riflessioni su un disastro educativo e culturale e documenti di malascienza.
Presentazione del libro di Giorgio Israel, Docente di Storia delle Matematiche presso l’Università La Sapienza di Roma. (Ed. Lindau). Partecipa l’Autore.
A seguire:
Il sangue dell’agnello. Reportage tra i cristiani perseguitati in medioriente.
Presentazione del libro di Rodolfo Casadei, Giornalista e Scrittore. (Ed. Guerini Associati). Partecipa l’Autore.
A seguire:
Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede.
Presentazione del libro di Fiorenzo Facchini, Docente Emerito di Antropologia all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna (Ed. Jaca Book).
Partecipa l’Autore.
Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

 

MODERATORE:
In questo incontro mattutino di invito alla lettura abbiamo a tema tre diverse proposte, tre diversi libri, tutti, in maniera diversa, su grandi momenti del nostro tempo. Cominciamo con il primo incontro, abbiamo con noi il prof. Giorgio Israel che è docente alla Sapienza di Roma, professore di matematiche complementari e che ha scritto un libro per la Lindau, che raccoglie quelle che sono le sue preoccupazioni, la sua passione per la scienza e che credo qualcuno di voi avrà ritrovato sulle pagine dei giornali. La parola a Giorgio Israel. Grazie.

GIORGIO ISRAEL:
Inizierò in un modo un po’ inusuale, diciamo, per spiegare quali sono i guasti di un certo dogmatismo scientista oggi, Leggendo qualche passaggio del Salmo 73, che dice: “Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi, infatti avevo preso ad invidiare i prepotenti ad osservare la prosperità dei malvagi. Per essi non c’è sofferenza, sano è ben nutrito è il loro ventre, non si trovano nei travagli dei mortali e non vengono colpiti come tutti gli altri uomini". “Ecco, questi sono gli empi: sempre tranquilli, ammassano ricchezze. Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell’innocenza le mie mani, poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina. Se avessi detto: «Parlerò come loro», avrei tradito la generazione dei tuoi figli. Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei, finché non entrai nel santuario di Dio e compresi qual è la loro fine”.
E’ un salmo molto profondo, perché in sostanza fa capire che la verità, la fede è alimentata, è frutto dell’incespicare, del dubbio, non è vero che la fede significa semplicemente la coscienza della verità in modo completo. Il salmista mostra in modo chiaro come per poco non inciampavo nei miei piedi, ma capisce la verità attraverso il dubbio, la fede viene dall’incespicare. Voi direte: cosa centra tutto questo? Ecco, la mia domanda è: perché tutto questo dovrebbe essere vero per una sana religione? Perché naturalmente vi sono molti modi di essere intolleranti, sappiamo bene che esiste l’intolleranza religiosa che si nutre di un’idea dogmatica della certezza. Perché tutto questo dovrebbe essere vero per la religione, anzi è l’aspetto più profondo della religione e non dovrebbe essere vero per la scienza? In fondo è il contrario che ci si dice: la scienza acquisisce, ed è vero, dovrebbe acquisire la verità attraverso l’incespicare continuo, cioè attraverso il dubbio, attraverso il chiedersi continuo se quello che si è compreso sia vero oppure no, e quindi avanzare verso la verità incespicando e ponendosi continuamente dubbi. Ecco, oggi ci troviamo nella situazione paradossale in cui troppi presentano la scienza come una sorta di nuova fede che non incespica, cioè una fede che è sicura delle sue conquiste, e che come ha scritto un noto divulgatore, è in realtà la vera religione, perché la verità ce l’ha e non ha bisogno di dimostrare di averla, non ha neanche bisogno di dimostrare di averla, ce l’ha punto e basta. Quindi la scienza come una nuova fede che appunto non nutre neanche il dubbio, questo è uno dei mali, a mio avviso, di oggi, è un’immagine falsata della scienza che spesso si nutre di due punti di vista apparentemente opposti, ma alla fine convergenti, quello di un’oggettivismo assoluto cioè la scienza acquisisce verità indiscutibili fondate su roccia e quello invece di chi sostiene che la scienza è la vera visione critica in quanto è basata sul relativismo assoluto, perché non esiste nessuna verità, bensì soltanto delle acquisizioni utili e la scienza non cerca verità perché non esiste la verità, quindi relativismo assoluto. Si direbbe che siano due posizioni opposte ma in realtà non lo sono affatto, perché fin da 2000 anni fa Aristotele ci ha spiegato chiaramente come il relativismo assoluto sia la forma più radicale di dogmatismo, intanto perché è contraddittorio, perché se io sostengo che nulla è vero e che nulla è dimostrabile, il primo principio che cade sotto questa affermazione è che tutto sia relativo, perché anche questa è una affermazione indimostrabile. Poi perché, come disse esplicitamente Aristotele: “Chi ha bisogno di dire continuamente che nulla è vero in realtà si appoggia su un presupposto dogmatico, che più dogmatico non potrebbe essere”. Quindi sono entrambe due forme di dogmatismo radicale che non ammettono il dubbio, che non ammettono la ricerca e che ci presentano la scienza come una sorta di nuova fede assoluta, che è la nuova religione dell’epoca. A mio avviso questo è uno degli aspetti, ho cercato di illustrarlo nel libro, che rende per molti, sanamente, indigesta questa immagine della scienza. In definitiva, io in quel libro ho aggiunto un antologia, l’ho chiamata “Documenti di malascienza”, che è il frutto, in fondo questa è l’origine dell’idea del libro, è il frutto di una raccolta di ritagli di giornale accumulata in anni, di cui quella è una piccolissima selezione, perché nel corso del tempo sempre più mi sono convinto che questo problema c’è. Chi legge gli articoli di giornale o ascolta certe divulgazioni alla televisione e così via, si rende conto che la stragrande maggioranza di queste divulgazioni, di questi articoli è volta a questo scopo, cioè di dimostrare alcune verità che non hanno a che fare con la scienza, per esempio la verità del materialismo. L’ultima di oggi del Corriere della Sera è questa, cioè spiegare come attraverso l’analisi dei neuroni si sarebbe dimostrato che dentro i neuroni ci sono già imballati i principi dell’etica e della morale. Insomma, nessuno in realtà potrà mai dimostrare questo, ma è paradossale che la scienza che ci può dare grandissime conquiste e informazioni sulla struttura del cervello debba mettersi a tentare di dimostrare come i principi etici promanino dal movimento dei neuroni, che è una cosa impossibile, che non potrà mai essere fatta. Questo non è in realtà scienza, è semplicemente un’ideologia dogmatica, che si avvale in modo superficiale e falso della scienza per affermare i suoi principi. Da un lato questo, e infatti io nell’antologia ho mostrato moltissimi esempi, ho selezionato i più clamorosi, di cose che di scientifico hanno poco o nulla, che sono mirate esclusivamente a istillare questo nuovo tipo di religiosità materialistica e ateistica, che non avrebbe bisogno di scienza per affermarsi: è una metafisica, quindi come tale si può presentare come è. Poi la tendenza sempre più marcata a presentare la scienza in termini tecnologici, cioè la scienza non come una conoscenza ma come un’accumulazione di scoperte tecniche. Io direi che questa è la malascienza e la crisi della cultura scientifica in Italia, e a questo punto poco c’è da stupirsi che ci sia una diminuzione di iscrizioni nelle facoltà universitarie. Tantissima gente, l’ho scoperto anche come docente direttamente, tantissimi giovani più motivati alla fin fine preferiscono andare in qualche altra facoltà magari umanistica, in questo modo ingrossando la divaricazione fra scienze umane e scienze naturali, piuttosto che andare in una facoltà scientifica a sentirsi imbottire la testa di un misto di tecnoscienza e di ideologia materialistica. Il libro si occupa anche di un altro tema che apparentemente sembra separato, invece non lo è affatto, cioè è il tema della scuola, dell’insegnamento, dell’informazione. Credo che sia già abbastanza chiaro perché non è separato, perché è da lì che comincia anche in larga misura il male. Se uno vuole capire cosa sta succedendo, in particolare per l’insegnamento scientifico, ma non soltanto, bisogna guardare a che cosa oggi fa la scuola e a come forma i ragazzi. In questi giorni leggiamo su tutti i giornali, non si fa altro che parlare della crisi dell’insegnamento della cultura scientifica in Italia, dell’insegnamento della matematica in particolare; ieri ancora sui giornali c’erano tutte le statistiche, ho visto famose statistiche Ocse-Pisa, a cui io non darei poi così tanto peso: la statistica non è una scienza. Sono, diciamo, dei dati che più o meno ci indicano un certo trend, ma che potrebbero essere anche valutati in modo diverso, sono dati molto famosi, mi fa un po’ ridere quando leggo dichiarazioni che dicono “rigorose analisi statistiche hanno mostrato che…”, non c’è nulla di rigoroso. Io credo molto più che un indicazione di quello che sta accadendo nella scuola è qualcosa di cui malauguratamente non si parla, ed è il nodo cruciale: che cosa si insegna di scienza nella scuola oggi? Questo è il vero problema, come si insegna per esempio la matematica nelle scuole elementari? Se uno guarda il modo con cui si insegna oggi la matematica nelle scuole elementari, poi dopo anche nelle superiori, ogni domanda circa il perché ci sia una crisi della formazione scientifica in Italia sparisce, sparisce immediatamente e ci si rende anche conto che ogni diatriba sulle architetture istituzionali, legislative con cui riformare la scuola è assolutamente vuota se non si parlerà di questo. Si potrà cambiare in centomila modi la struttura della scuola, dell’insegnamento, ma se non si mette il dito sulla piaga, cioè su come oggi si insegnano le materie scientifiche, la matematica in particolare, nelle scuole fin dall’elementari, non cambierà nulla. L’insegnamento della matematica nelle scuole primarie è semplicemente aberrante, cioè è l’insegnamento di qualcosa che con la matematica non ha nulla a che fare, è quella famosa new mathematics del taglia-incolla, colora eccetera… Io racconto spesso un episodio verissimo, un problema: come si divide 300 per 15? Allora disegna 15 alberi e appendi ai 15 alberi 300 lampadine ripartite in parti uguali e colora tutto. Questo problema è stato posto in una scuola elementare, la madre di un allievo, insegnante di matematica, ha detto al figlio: questo non lo fai, ecco non disegni ne’ alberi, ne’ colori; quando la maestra ha protestato, lei le ha detto una frase a mio parere perfetta, cioè le ha risposto: “la matematica è stata inventata per non disegnare alberi e lampadine”. Allora noi oggi abbiamo una scuola, se guardate i programmi della primaria, una scuola in cui la matematica si insegna così, si insegna tornando alla matematica dei babilonesi, quando noi abbiamo Euclide, e la storia si insegna non, come si crederebbe, raccontando, non so, chi sono gli antichi romani, i fenici, e così via, ma si insegna con diatribe che durano tutte le elementari sulla irreversibilità del tempo, il prima, il dopo, gli indicatori temporali, poi con gli indicatori spaziali si fa la geografia sopra, sotto, davanti, indietro e così via, per 5 anni. Allora voi riflettete un momento: questo è lo stesso tipo di scientismo di cui si parlava prima, cioè la matematica diventa una scienza empirica, e la storia e la geografia diventano delle storie di tipo matematico, in cui non c’è più la concretezza e c’è il formalismo. Questo ha saputo creare il pedagogismo in questi ultimi 30 anni. Io non ho tempo per diffondermi su questo, ma una questione cruciale è questa e cioè questo tipo di insegnamento, e potrei diffondermi anche su quello che avviene nelle altre classi successive, è un insegnamento basato sull’idea che quello che conta è la metodologia e non i contenuti. Io nel risvolto del libro di copertina ho citato la frase di un grande intellettuale francese, Jacques Revel, che dice appunto esplicitamente, la cito esattamente: “la decadenza dell’insegnamento”, non solo in Italia, “da 30 anni è conseguenza di una scelta deliberata secondo la quale la scuola non deve avere come funzione la trasmissione della conoscenza”. Se uno dei massimi consulenti dei ministri passati ha dichiarato: “meglio una testa ben fatta, che una testa piena”, voi capite qual è il problema. Primo, si potrebbe chiedere: in fondo chi ha il diritto di decidere come è una testa ben fatta? Chi ha il diritto, chi si può arrogare il diritto di fare le teste? Costoro vogliono delle teste ben fatte secondo i loro criteri e quello che ci sta dentro non conta niente anzi se la testa è vuota pazienza, testa vuota di cui non si sa nulla di storia ma si deve sapere che il tempo è irreversibile o cose di questo tipo. Questo tipo di pedagogismo ha distrutto la scuola italiana ed è scientismo questo pedagogismo, è scientismo perché viene direttamente dall’insegnamento del pragmatismo, da Dewey, che ha introdotto appunto l’idea che quello che conta è soprattutto una strutturazione scientifica dell’insegnamento e che ha introdotto l’idea dell’autoapprendimento e cioè che non si deve insegnare perché è repressivo, ma bisogna semplicemente facilitare il processo di autoapprendimento del ragazzo. Questo tipo di pedagogia che è dilagata in gran parte dell’Occidente, in particolare in alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, si è saldata alla contestazione antiautoritaria dal ’68 in poi, che vi ha trovato proprio il tema ideale: basta con l’insegnamento dall’alto, nessuna somministrazione di contenuti, ma semplicemente aiutiamo il ragazzo a fare tutto da solo. Quindi noi non gli insegniamo l’algoritmo del teorema della divisione o la fonetica, lo mettiamo là e lasciamo che se lo inventi lui, intanto gli studenti sudcoreani e indiani studiano come noi 30 anni fa e già alla fine dell’asilo sanno le tabellone, però noi aspettiamo, perché uno se le deve creare da solo con, diciamo, l’autoapprendimento. Io adesso entro 2, 3 minuti termino, ma vorrei raccontare, per capire la gravità della situazione, per comprendere questo tipo di scientismo – che ripeto è scientismo, perché è la metodologia pura sostituita ai contenuti, cioè non si vuole più insegnare le cose ma si vuole semplicemente fare metodologia – un fatto accadutomi. Io ho fatto parte di una commissione per il miglioramento dell’insegnamento della matematica istituita dal Ministro Fioroni, commissione di 35 persone. Immaginate che cosa si può fare in una commissione simile, Giovanni Gentile ha fatto un intera riforma da solo; non ci sono Gentile in giro, ma io penso che per migliorare l’insegnamento della matematica basterebbero 2, 3 persone scelte bene. In questa commissione, vi assicuro, non si è mai parlato, mai una sola volta, di contenuti, mai. Quando qualcuno ci ha provato, si è alzato un pedagogista indignato dicendo: “in realtà qui il vero problema è che qui bisognerebbe cancellare dal dizionario la parola insegnare e insegnamento, d’ora in poi gli insegnanti devono essere solo dei facilitatori. Basta con l’insegnante, quello che trasmette contenuti, ci deve essere solo uno che ha una funzione puramente passiva, diciamo di aiutare il processo di apprendimento, un po’ come quegli animatori delle feste di compleanno insomma che aiutano la socializzazione”. Dirò di più, quando qualcuno ha tentato di sollevare il problema dei contenuti dell’insegnamento, e dei pessimi libri di testo che abbiamo, la risposta generale è stata: “Non si fa delazione nei confronti dei colleghi”. Capite, non si parla di merito, sì ci sono libri schifosi ma non ci mettiamo adesso ad attaccare i colleghi. Ecco perché, in fondo, si parla di tutto salvo che di scienza, si parla di ideologia o che sia l’ideologia scientista, nel senso detto prima di tipo materialistico o che sia questa ideologia pedagogistica, che vuole assoggettare la scuola a teoria e generali, tutto salvo che parlare di contenuti, in nome di questo libertarismo post-sessantottino, alimentato appunto dal pedagogismo alla Dewey di cui dobbiamo essere coscienti. Io nel libro ho citato ampiamente Hanna Arendt, perché io ritengo che avesse già percepito in modo straordinariamente lucido il disastro verso cui andava la scuola dell’Occidente. Non ho avuto tempo di citare nel libro, perché non lo avevo ancora letto, però poi in vari incontri lo ho citato, alcune pagine di Don Giussani, quindi le voglio ricordare qui in conclusione, perché mi pare la sede giusta, esse dovrebbero ammonire coloro che hanno le idee confuse a riguardo. Lui parla nel suo libro dell’apprendimento per fede e dice in sostanza che una funzione essenziale nel processo di conoscenza è il rapporto con qualcuno, per cui hai fiducia. Uno non si può ricostruire tutta la conoscenza, dice testualmente “in un metro quadrato”. Nessuno di noi si mette a rifare tutte le esperienze che hanno portato alla teoria della relatività, cioè uno legge dei libri e dà per scontato che qualcuno ha fatto quelle esperienze, insomma voglio dire che noi abbiamo un portato di secoli e secoli di scienza cui diamo credito, certo con spirito critico, con il dubbio, torniamo al discorso iniziale, possiamo pure porci il problema, sennò non va avanti la conoscenza, però saliamo sulle spalle di qualcuno, il processo della conoscenza vuol dire fidarsi di qualcuno e salire sulle spalle di qualcuno, quindi chi è questa persona? E’ l’insegnante cioè veramente quello che è la figura centrale della società, è una figura centrale perché come dice Hann Arendt “l’insegnante è colui che ti si presenta come rappresentante dell’intera società e della sua cultura e ti dice questo è il mondo in cui sei venuto a essere” e per questo “l’educazione è essenzialmente conservatrice, deve essere conservatrice perché solo presentando la conoscenza e il mondo quale è, uno può acquisire gli strumenti per cambiarlo. I grandi rivoluzionari sono stati sempre formati in modo conservatore, altrimenti non avrebbero avuto neanche gli strumenti per cambiare il mondo”. Ecco, l’idea che io ho trovato nelle pagine di Don Giussani è essenzialmente questa, è una critica, a mio parere devastante, dell’idea della pedagogia per autoapprendimento e quindi di questa visione che oggi legittimamente possiamo chiamare un pessimo scientismo. Grazie.

MODERATORE:
“Il sangue dell’agnello” è edito da Guerini e associati, un’altra casa editrice che propone sempre al Meeting titoli e proposte importanti su molti campi della cultura e della contemporaneità.
“Il sangue dell’agnello” di Rodolfo Casadei, giornalista inviato speciale del settimanale Tempi, è un reportage fra i cristiani perseguitati in Medioriente.
Ecco, io vorrei che lui ci raccontasse, visto che è un giornalista e anche reporter, qual è stata l’esigenza che lo ha spinto a fare questo lavoro. Grazie Casadei, lo salutiamo ancora perché è un grande amico e un importante giornalista.

RODOLFO CASADEI:
Grazie Camillo, il titolo del libro “Il sangue dell’agnello”, con la lettera minuscola, nasce da un fatto di cui sono stato testimone durante uno dei reportage, da cui poi è nato il libro.
Nel gennaio di quest’anno io mi sono recato nell’Iraq settentrionale, quell’area che comprende il Kurdistan irakeno, dove vivono i Kurdi e il governatorato di Mosul che, invece, è una regione araba dove si trovano molti cristiani, quelli che sono fuggiti dalle grandi città del sud, Bagdad, Bassora, o dalla grande città del nord che è Mosul.
Non sono fuggiti all’estero perché non ne avevano i mezzi, si sono riparati in questa zona dell’Ira q che è un po’ meno violenta, un po’ più sicura delle altre regioni, quella appunto del Kurdistan irakeno, dove comandano i Kurdi, e della piana di Ninive. La piana di Ninive è una zona cuscinetto che sta fra il governatorato di Mosul e il Kurdistan ed è popolata di villaggi cristiani, villaggi, paesini di 5 – 10 mila abitanti quasi completamente cristiani; essa fa parte formalmente del governato arabo di Mosul, ma attualmente è governata dalle milizie Kurde ed anche dal governo regionale kurdo appunto. Lì sono andati tutti i cristiani fuggiti in cerca di riparo, perché sono le due regioni più sicure per loro, sono in generale le regioni meno insicure e meno violente e pericolose dell’Iraq.
Io sono andato sul posto, grazie a contatti coi cristiani locali, che si sono offerti di ospitarmi e mi hanno ospitato, naturalmente non vi dico dove e come perché per ragioni di sicurezza non vogliono farsi pubblicità. Non appena arrivato, io ho fatto una serie di richieste, richiesta di incontrare questi profughi che erano tornati, richiesta di visitare il seminario cattolico caldeo e la facoltà teologica che da Baghdad è stata trasferita nel Kurdistan per ragioni di sicurezza, se possibile di visitare il Vescovo della città di Mosul, che è appena a 30 km. dalla Piana di Ninive, la zona dove io stavo nascosto fra virgolette.
Mosul è la città che avrete sentito nominare tante volte, perché è la città dove di più i cristiani sono stati colpiti in Iraq, dove sono state attaccate le chiese: tre giorni prima che io arrivassi sono stati fatti esplodere un convento e due chiese.
Ci sono stati molti rapimenti ed uccisioni di cristiani, compreso il parroco cattolico (Redigani) ucciso insieme a tre suddiaconi. Era stato ucciso un sacerdote siro ortodosso, un pastore protestante. Quando io ho fatto questa richiesta mi hanno detto: tutte le cose che ci chiedi si possono fare, però andare a Mosul no, se noi andiamo a Mosul con te, a te ti rapiscono e a noi ci ammazzano, però se tu vuoi incontrare il Vescovo di Mosul si può fare, perché lui verrà domani in una cittadina della Piana di Ninive e qui tu potrai parlare con lui, ci saranno sacerdoti e suore di Mosul, parlerai con loro. Così quel giorno, il 9 gennaio, io ho incontrato Mons. Raho, vescovo di Mosul, c’era anche l’ausiliario di Baghdad Warduni e c’era l’inaugurazione di un quartiere e di una strada asfaltata, costruita dal governo regionale kurdo per i cristiani che erano fuggiti verso nord e avevano cercato riparo in questa regione .
Il governo centrale li ignora e il governo kurdo ha deciso di sostenerli e difendere le minoranze religiose in Iraq.
La prima cosa che io ho visto, arrivando sul posto, è stato un agnello che veniva sgozzato davanti ai miei occhi, e il suo sangue che si spargeva sulla strada asfaltata.
Era un rito propiziatorio, come se ne fanno nel vicino oriente da migliaia di anni, ma voi vi immaginate un giornalista straniero che arriva in Iraq, preoccupato delle condizioni di sicurezza, che esce e la prima cosa che vede è una povera bestia uccisa e la strada inondata di sangue?
Per me era un segno di cattivo augurio, poi ho incontrato il Vescovo di Mosul Mons. Raho, l’ho intervistato sulle condizioni dei cristiani e lui ha detto tante cose che sono poi nel libro.
La nostra persecuzione è incominciata dopo l’intervento anglo-americano – ha detto – ed è stata un crescendo. Prima hanno incominciato a rapirci a scopo di riscatto, poi sono arrivate le lettere di minaccia lasciate davanti alla porta di casa, le telefonate anonime, con cui si chiedeva ai cristiani di pagare la tassa di sottomissione per restare nel paese mussulmano dell’Iraq oppure di convertirsi all’islam, poi sono iniziati gli attacchi alle chiese dal 1 agosto 2004, perché loro pensano che se ci distruggono tutte le chiese, noi, demoralizzati, ce ne andremo.
Tutto questo avviene accusandoci di essere i complici degli invasori, i complici dei crociati e questa è una cosa del tutto falsa, perché la comunità cristiana è sempre stata, come tutte le minoranze religiose, filo governativa.
Non aveva, e non ha nessun interesse a sostenere l’attacco, l’iniziativa anglo-americana, ma questo viene fatto per cacciarci via, si prende questo a pretesto, sapendo che è falso, per avere una ragione per cacciarci via da questo paese .
Quando io l’ho incontrato, Mons. Raho aveva già ricevuto 11 lettere di minacce di morte, nel 2004 era stato distrutto il suo palazzo episcopale con una bomba, e lui per fortuna non c’era, si era salvato; avevano tentato di rapirlo nel marzo del 2007 e lui era sfuggito al rapimento. Io da Mosul non me ne andrò mai, mi disse, resto col mio gregge perché mi fido di Qualcuno che sta in alto e che mi protegge.
E poi è salito sulla sua auto, con i suoi accompagnatori, che non erano affatto armati come qualcuno ha scritto, e quella è stata la prima e l’ultima volta che l’ho incontrato, perché 50 giorni dopo è stato rapito il 29 di febbraio e dopo due settimane è stato ritrovato il suo corpo senza vita, seppellito alla periferia di Mosul. Quella è stata la prima e l’ultima volta che l’ho incontrato e quella è stata l’ultima intervista che Mons. Raho ha rilasciato ad un giornalista straniero e quando è successo questo, io ho capito che cos’era quel sangue che avevo visto quel giorno.
Era il sangue del martirio del Vescovo di Mosul, che ha sacrificato la sua vita per il suo gregge, per la sua gente. Mi è stato chiesto anche di spiegare da che urgenze nasce il libro. Sinteticamente vi dico qual è il contenuto. Il contenuto essenziale è la documentazione della persecuzione contro i cristiani di due paesi del vicino oriente, perché c’è nel libro una parte che riguarda la Turchia, poi c’è una parte dedicata ai cristiani irakeni. Tutto questo fatto attraverso la raccolta di decine di testimonianze e la mia esperienza diretta in questi reportage, gli incontri fatti, le situazioni conosciute. Da questo viene fuori come in Turchia e in Iraq i cristiani siano oggetto di aggressioni che arrivano fino all’omicidio a motivo della loro fede, non per altre ragioni e cause.
E questo ho cercato di farlo dando la parola alle vittime. Ora che ci sia una persecuzione in atto che colpisce i cristiani come tali, lo si potrebbe dimostrare con quella scienza non esatta, come è stato detto prima, che è la statistica, perché le Nazioni Unite dicono che l’Iraq ha prodotto quattro milioni e quattrocentomila profughi e sfollati, cioè persone che sono fuggite dal paese per la violenza o che sono sfollate all’interno del Paese.
Ora fra questi quattro milioni e quattrocentomila, secondo quello che ci dice la Chiesa caldea, che è la principale chiesa dell’Iraq, tre quarti dei cristiani irakeni sono caldei, i cristiani che sono dovuti fuggire dall’Iraq o fuggire nel Kurdistan sono 400 mila su un totale di 800 mila, perciò l’Iraq è un paese che ha 26 milioni di abitanti, Ciò vuol dire che un irakeno su sei è profugo, un cristiano irakeno su due è profugo e questo dovrebbe già dire tanto.
Col libro cerchiamo di passare dai numeri ai volti, alle storie personali, ai nomi e cognomi, con le testimonianze di padri, madri, figli, sacerdoti, che ho incontrato là dove si sono rifugiati, ad Amman in Giordania, a Beirut in Libano, a Damasco in Siria, nel Kurdistan irakeno, nella Piana di Ninive, e dal loro racconto viene fuori un vero e proprio paradigma della persecuzione contro i cristiani.
Comincia sempre la loro via crucis con telefonate minatorie, con lettere anonime, minacce, inviti ad abbandonare la casa, ad abbandonare l’Iraq, a volte addirittura sono stati trovati dei CD dove dentro era registrato un messaggio con una persona incappucciata, che diceva come i cristiani dovevano andarsene.
Le minacce contengono sempre accuse di collusione con gli americani, sempre l’ingiunzione di abbandonare la città o l’Iraq se non si vuole essere rapiti od uccisi; se poi i cristiani non se ne vanno, prima viene distrutta la loro attività economica, se hanno un negozio viene distrutto, se sono medici od ingegneri vengono rapiti e si chiede il riscatto, dalle minacce si passa poi appunto ai rapimenti con riscatto o all’uccisione di un membro della famiglia. Io ho incontrato famiglie dove mancava il padre, mancava un figlio, mancava una figlia, perché erano stati uccisi per convincere la famiglia ad andarsene, purtroppo nel caso delle figlie vi devo dire che queste ragazze sono state violentate, prima di essere uccise .
Dopo questi eventi le case che i cristiani lasciano, vengono occupate dai terroristi, dai mujaheddin, dai resistenti, chiamateli come volete.

MODERATORE:
Oltre agli omicidi di cui si sa, ci sono anche quelli di gente semplice, sconosciuta, che non vengono riportati dalla stampa.

RODOLFO CASADEI:
Non c’è una contabilità, la contabilità riguarda i profughi ma, senz’altro, sono casi numerosi e secondo questo schema, che sto cercando di descrivere, perdono la casa perché viene occupata da chi ha prodotto la loro fuga, oppure viene occupata dalle forze americane o irakene per evitare che i terroristi occupino quella casa e la usino. Che la natura di questa persecuzione sia religiosa, è dimostrato da decine di cose che mi hanno raccontato e che ho visto, perché sempre queste persone mi dicevano: ci hanno chiesto di cambiare religione, ci hanno chiesto di pagare la tassa di sottomissione, volevano che le donne di casa portassero il velo, uscissero col velo, hanno profanato le chiese, hanno rimosso le croci nelle chiese, hanno profanato deliberatamente il S.S. Sacramento in alcune chiese di Baghdad davanti ai fedeli.
Per quanto riguarda la Turchia sono dei racconti un po’ diversi centrati su alcuni omicidi eccellenti: il giornalista armeno di Turchia Hrant Dink, ucciso davanti alla sede del suo settimanale ad Istanbul e i tre cristiani protestanti, due turchi ed un tedesco uccisi nell’autunno 2007, vittime dell’odio anticristiano, come don Andrea Santoro. Il problema della Turchia qual è?
E’ che non è un paese così laico come vuol far credere, in realtà tutte le minoranze religiose, diverse dall’islam sunnita, sono discriminate, sono emarginate a livello legale ed amministrativo.
Dico tutte le minoranze, quindi cristiani, cattolici, ortodossi, protestanti, gli ebrei, e anche i mussulmani aleviti, che sono 20 milioni, ma assolutamente sono emarginati dalla maggioranza sunnita, a livello di leggi e amministrativo.
Questi, in poche parole, sono i contenuti del libro.
Da quale urgenza nasce il libro?
Io direi da due urgenze. Una di natura etica, e una di natura estetica.
L’urgenza etica è un senso di scandalo di fronte al silenzio, l’indifferenza, la vigliaccheria intellettuale e politica, che circonda la tragedia di queste violenze contro i cristiani in Iraq e in Turchia.
Qui da noi si parla, io credo, molto poco di queste persecuzioni, questo penso sia il primo o il secondo Meeting che tratta l’argomento, dal 2003 ad oggi.
Da noi si parla tantissimo in TV e sui giornali degli arresti e dei maltrattamenti dei monaci buddisti in Birmania e in Tibet.
Io simpatizzo per queste vittime della repressione, e anch’io ho scritto e scrivo di queste vittime della repressione, però non posso non essere sconcertato dal fatto che l’attenzione a queste violazioni lontane è molto maggiore di quello delle violazioni geograficamente, culturalmente più vicine a noi, come quelle dei cristiani.
E un’altra cosa che trovo scandalosa, è che le trattative per l’accesso della Turchia all’Unione Europea riguardino tanti argomenti, trattano la questione di Cipro, ma non la reale libertà per tutte le minoranze religiose di quel paese, questo non lo vedo mai trattare nel dialogo con la Turchia per entrare nell’Unione Europea.
Trovo scandaloso che l’Unione Europea si rifiuti di riservare un trattamento speciale ai profughi irakeni di religione cristiana.
C’è stata una proposta del ministro tedesco degli interni tedesco Schaeuble, che ha detto: creiamo un percorso facilitato per i profughi cristiani dall’Iraq che sono attaccati per la loro fede, e gli è stato risposto: no, l’Europa tratta tutti nella stessa maniera, si mettano in fila con tutti quanti i profughi di tutto il mondo, perché non si può discriminare fra i diversi tipi di persecuzione. Ma c’è un dato di fatto, abbiamo appena visto che i cristiani irakeni sono più attaccati e più perseguitati e più in pericolo degli altri irakeni, dunque c’è una condizione differente, di maggiore vulnerabilità, e l’Europa in passato ha fatto delle eccezioni. Negli anni settanta abbiamo accolto i profughi dal Vietnam e abbiamo scelto di andarli a salvare. Negli anni novanta abbiamo accolto i profughi della Bosnia, che erano quasi tutti musulmani, abbiamo scelto di occuparci di loro. E invece per gli Irakeni cristiani, questo non conta. Sono scandalizzato dalla tiepidezza di tanta stampa cattolica, di tante comunità ecclesiali, di tante grandi riunioni ecclesiali, che danno poco spazio, o addirittura ignorano la realtà del martirio dei cristiani d’oriente, e magari si consumano tante energie in lotte intestine che hanno poco senso, e discutendo su come ci si deve schierare a livello della politica italiana, senza avere occhi e orecchie per lo spettacolo del martirio cristiano del vicino oriente. Però io ritengo che l’urgenza più forte sia quella estetica, perché l’urgenza etica ti porta spesso alla depressione, alla dimissione, al non fare più nulla, quando ti scontri con tutte queste difficoltà che ho elencato. E’ lo spettacolo del martirio, lo spettacolo della santità, che è l’urgenza principale che ha motivato la scrittura di questo libro. Lo spettacolo dei cristiani che non abiurano la fede nemmeno davanti alle minacce e ai patimenti che subiscono. Lo spettacolo del vescovo, che sacrifica la vita per il suo gregge, ben sapendo cosa lo aspettava. Lo spettacolo dei cristiani che perdonano coloro che fanno loro del male, le vedove dei cristiani turchi uccisi, in TV hanno perdonato gli assassini dei loro mariti. Un milione di Turchi hanno ascoltato questa cosa in televisione. Un giornalista turco ha scritto: queste due donne cristiane hanno fatto per il cristianesimo in Turchia più di quello che avrebbero potuto fare mille missionari inviati dall’estero. Io con le mie orecchie ho ascoltato il perdono della vedova di uno dei cristiani turchi, io ero l’unico giornalista straniero al funerale i questo musulmano turco convertito al cristianesimo, torturato e ucciso da questo gruppo di studenti con decine di coltellate, semplicemente perché diffondevano la Bibbia, facevano riunioni dove si leggevano testi cristiani e si commentavano. E lei davanti a tutti diceva: io perdono chi ha ucciso mio marito, perché nel Vangelo c’è scritto che devono succedere queste cose. Chi segue Cristo sarà perseguitato, e siccome noi sappiamo che questo fa parte della nostra scelta, perdoniamo quelli che ci fanno del male. O lo spettacolo del giornalista armeno di Turchia Hrant Dink, un personaggio anche questo di grande spessore, minacciato con centinaia di e-mail di morte, perché dichiarava la realtà del genocidio contro gli armeni, che in Turchia è negato dalla legge, e chi parla di questo viene accusato e portato in tribunale per offesa all’identità turca. Lui aveva quattro processi e in uno era stato condannato. E quest’uomo mi diceva: la legge che avete fatto in Francia contro i negazionisti del genocidio armeno è sbagliata, è una stupidaggine, voi non dovete vietare ai turchi di negare il genocidio armeno, perché il problema è che i Turchi non sono dei negazionisti, i Turchi sono degli ignoranti, a loro da piccoli gli hanno raccontato che non c’era questo genocidio, anzi che i cattivi erano gli armeni; io ho bisogno di discutere con i turchi, per togliere dalla loro testa le idee sbagliate e mettere l’idea giusta. Se voi mi fate una legge che impedisce loro di parlare come in Turchia c’è una legge che impedisce a me di parlare, non si potrà mai fare nulla. Pensate alla grandezza di questo uomo, che, di fronte alle minacce di morte, riusciva ad avere questa lucidità e questa fiducia nell’incontro, nel dialogo con l’altra persona. Ecco, io a chi ignora, trascura, dimentica l’evidenza della persecuzione contro i cristiani e del loro martirio, vorrei dire: non sapete che cosa vi perdete, non sapete che grazia state sprecando. Ve lo dico dalla posizione di uno che ha avuto l’immeritato privilegio di essere l’ultimo giornalista che ha intervistato monsignor Raho, l’ultimo giornalista che ha pubblicato un’intervista a Hrant Dink, l’unico giornalista che era presente al funerale dei cristiani turchi. Non sapete che cosa vi perdete. Ed è per sdebitarmi di questi doni, che ho scritto il libro.
Vorrei finire con un’ultima cosa, che per me è molto importante. Questo libro non intende alimentare in nessuna maniera un generico indistinto sentimento anti-islamico. E nessuno deve permettersi di accusarlo di islamofobia, quella brutta parola che si usa oggi. E’ un dato di fatto che oggi il mondo musulmano vive un ritardo storico-politico sui temi della libertà di coscienza e della libertà religiosa. Questo si esprime nelle leggi che puniscono, più o meno severamente, il passaggio dall’Islam a un’altra fede. Questo ritardo io ritengo che non abbia giustificazioni. Sbaglia chi dice che nelle attuali circostanze storiche non è possibile rivendicare la libertà religiosa nei paesi musulmani, perché questo sembra un complotto per disgregarli. Quest’idea è sbagliatissima. Io credo che è vero il contrario. Il giorno che il mondo musulmano accetterà il principio della libertà di coscienza e della libertà di religione, le sue conseguenze saranno infinitamente positive per quel mondo. Finiranno le guerre interne all’Islam, quindi finiranno i massacri fra musulmani in Iraq, in Algeria e in tanti altri paesi, e l’Islam potrà valorizzare le ricchezze spirituali che ci sono nella realtà dei mistici, dei sufi, di tutti quegli uomini che hanno approfondito il senso religioso attraverso l’esperienza storica dell’Islam. E’ questo clima di mancanza di libertà religiosa che facilita il compito dei terroristi che colpiscono i cristiani in Iraq e degli assassini che uccidono i cristiani di Turchia. Per quanto mi riguarda personalmente, questi delitti hanno responsabilità personali, non sono in capo alle comunità musulmane; sono in capo a chi li compie, a chi li giustifica, a chi li facilita, e in questo libro troverete anche alcune testimonianze di atti di eroismo, compiuti da singoli musulmani, che hanno cercato di difendere i cristiani. Troverete le politiche del governo regionale curdo, che è un governo musulmano, ma che è ben consapevole dell’importanza anche politica di difendere le minoranze religiose. E con questo chiudo e vi ringrazio.

MODERATORE:
Una grande figura della scienza italiana e internazionale, uno dei più accreditati antropologi e paleontologi. Fiorenzo Facchini è stato professore dal 1976 al 2005 nell’Università di Bologna e responsabile del Museo di Antropologia e Paleontologia. Attualmente professore emerito presso la stessa Università, è socio di numerose società scientifiche tra cui la New York Academy of Science e l’Istituto di Etnologie e Scienze naturali del Kazakistan. Ha scritto molto. Ha dedicato tutta la sua ricerca alle tracce del fatto umano nella storia, a desumere da queste tracce le forme di consapevolezza, di comportamento del fattore umano. Le sfide dell’evoluzione è edito da Jaca Book del quale è autore e collaboratore sovente, e ha un sottotitolo importante: In armonia tra scienza e fede. Vorrei che attraverso un suo primo intervento si potesse aprire uno spaccato di luce tra questi due parole, tra questi due approcci conoscitivi, che sono stati separati, che sono stati forzosamente allontanati l’uno dall’altro. Con questo libro entriamo in tanti temi: che cos’è l’uomo, quando è apparso, la evoluzione, le teorie di Darwin, il creazionismo e altri ancora Grazie Facchini di essere qui con noi al Meeting. A lei la parola.

FIORENZO FACCHINI:
Ringrazio vivamente di questo invito per parlare del mio libro, anche se non è la prima volta che parlo in occasione del Meeting su qualche tema che è inerente ai problemi delle origini, ai problemi dell’evoluzione dell’uomo in modo particolare. Io non ho una conferenza, non pensavo tra l’altro di trovarmi questa platea così numerosa, attenta, sarebbe anche interessante avviare un dibattito su queste cose, ma è chiaro che questa non è la sede e il momento.
Centoquarantanove anni fa usciva l’opera di Darwin sulle origini delle specie, il prossimo anno saranno i centocinquanta anni di questa opera, e sempre nel 2009, i duecento anni della nascita di Darwin, quindi sarà un anno credo molto intenso per quanto riguarda il richiamo di questi temi.
Ora, dopo la pubblicazione dell’opera di Darwin, sappiamo che molti scienziati presero pretesto da queste veduta che Darwin aveva esposto nella sua opera, per trarre dei motivi contro la religione, per affermare che appunto la creazione poteva ritenersi superata e cosi via, in una linea che è poi la linea dello scientismo che non è affatto tramontata. Infatti non c’è solo lo scientismo a cui accennava il prof. Israel, anche nel campo nostro, potremmo dire per quanto riguarda i temi delle origini, l’origine dell’universo, l’origini delle specie, l’origine dell’uomo, è molto diffusa la visione scientista, per non dire che c’è oggi una ripresa di questa visione, per cui si pretende di potere spiegare tutto con quello che le scienze possono offrire. Sappiamo che storicamente ci sono state, sia nella seconda metà del secolo XIX° sia nel ’900, nella prima metà soprattutto del ’900, anche personalità del mondo cattolico che hanno sostenuto una conciliabilità e andando anche oltre quella che può essere la pura conciliabilità tra una certa visione evolutiva e la fede; faccio un nome soltanto, Teilhard de Chardin, che credo che abbia avuto un grande merito in ordine non soltanto ad una conciliabilità ma anche ad una armonia sia pure in una certa visione molto particolare qual è quella che lui ha proposto dell’evoluzione. Per cui c’è stato questo sviluppo, questa evoluzione anche nel modo di vedere da parte di cattolici, anche se oggi per la verità nel mondo cattolico vi sono delle posizioni ancora di preclusione nei confronti della teoria dell’evoluzione o posizioni che si caratterizzano per una certa ambiguità. Ma c’è da dire anche che vi sono addirittura personalità del mondo cattolico che giudicano il darwinismo come un dono alla religione e alla scienza; Francisco Ayala, che è un grande genetista, che ha parlato anche qui in occasione del Meeting qualche anno fa, ha fatto di recente un volumetto molto documentato, molto interessante intitolato: Il dono di Darwin alla religione e alla scienza. L’altro giorno su “Avvenire” leggevo una intervista con una teologa americana che sostiene, appunto, come la teologia ha avuto, ha segnato dei progressi in relazione e dopo questa teoria dell’evoluzione.
Ora, io credo che si possa parlare anche di provocazione, si può parlare di sfida che viene dall’evoluzione, si può parlare anche di dono; io ho intitolato il libro Le sfide dell’evoluzione con un sottotitolo, in armonia, perché mi sembra che non sia solo la conciliabilità che vada riconosciuta ma si possa riconoscere e vedere una complementarietà in queste diverse visioni che possono venire dalla scienza e dalla fede, una complementarietà che aiuta ad avvicinarsi sempre di più alla verità: la verità è sinfonica, non è monocorde. Allora, in questo saggio ho voluto raccogliere informazioni di tipo scientifico sulla evoluzione biologica, in modo particolare sull’evoluzione dell’uomo, e ho anche voluto accennare alle problematiche che esistono tra la scienza e la fede in ordine, appunto, alle origini dell’uomo e quindi anche a quella armonia a cui accennavo poco fa, nella quale io credo. Ora, degli aspetti scientifici io ritengo che si debbano tenere presente tutti gli elementi e tutti gli argomenti che oggi si possono ricavare dalla scienza, dalle diverse scienze, dai diversi settori della scienza, e lo riconosceva anche Giovanni Paolo II nel messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze dell’ottobre del 1996, dove diceva appunto che queste diverse informazioni che si ricavano dalla paleontologia, dalla anatomia comparata, dalla genetica evolutiva, sono coerenti con una visione che è appunto la visione dell’evoluzione della vita e cioè che la vita ha avuto questo sviluppo, da forme più semplici a forme via via complesse, anche se poi lo stesso Pontefice diceva che poi in questa teoria evolutiva, che è qualcosa di più di una ipotesi, vi sono poi teorie diverse che tendono a spiegare i meccanismi con cui l’evoluzione è avvenuta. Ora, a questo riguardo, io vorrei anche fare notare che darwinismo e evoluzionismo, meglio, e visione evolutiva non si identificano, nel senso cioè che molte volte si fa questa identificazione tra il darwinismo e la teoria evolutiva. Di per sé il darwinismo è una spiegazione della teoria dell’evoluzione, potevo dire è una teoria nella teoria. Prima osservazione.
Un’altra osservazione che mi sembra interessante è che il darwinismo viene presentato da alcuni suoi sostenitori come non soltanto la spiegazione di un meccanismo evolutivo ma come una interpretazione, una visione generale della realtà, facendo assumere allora a quella che è la spiegazione del meccanismo evolutivo un carattere ideologico, che a quel punto diventa una visione di tipo totalizzante, diventa una filosofia, diventa un’ideologia e come tale va trattata, non più come scienza. Per cui quelli che vogliono ricavare dal darwinismo, come teoria scientifica esplicativa dell’evoluzione, una visione totalizzante che escluda qualunque riferimento al trascendente e che quindi pretenda di spiegare tutto, affermano una visione scientista, che è stato già ricordato più volte in questa sede, non si caratterizza più dal punto di vista scientifico. Premesso questo, vorrei anche dire che il darwinismo in quanto tale, proprio dal punto di vista scientifico come spiegazione del meccanismo evolutivo, che è spiegazione ben nota, interazione, selezione naturale, mutazioni del tutto casuali, che quindi avvengono senza alcun orientamento in relazione al possibile successo o insuccesso. Bene, questo modo di vedere, anzi, aggiungo, mutazioni che avvengono gradualmente nel pensiero di Darwin, dovevano essere graduali e non di tipo saltazionista come invece alcuni oggi propongono…
Bene, dicevo, questo modo di vedere, oggi mostra qualche problema. Vi sono delle difficoltà che sono riconosciute anche da darwinisti onesti, difficoltà che vengono dagli studi sia della paleontologia sia anche della genetica di sviluppo, della genetica evolutiva e cioè il fatto che entrino in azione i cosiddetti geni multifunzionali, i geni Ocs, i quali però di fatto entrano in azione solo in certi periodi della storia evolutiva pur portando a strutture che sono strutture analoghe, equivalenti; i geni Ocs cioè portano, per esempio, a strutture che sono del medesimo tipo, anche se sono strutture diverse nell’organizzazione del corpo, nell’organizzazione della regione cefalea, della regione toracica, della regione addominale, degli arti e così via, negli artropodi come nei vertebrati. Ci sono insomma dei problemi e delle difficoltà che vengono, dicevo, riconosciute anche dai darwinisti doc. Per cui si ammette che ci possano essere anche altri meccanismi, altre modalità, anche per esempio la modalità di tipo epigenetico, che possono intervenire e che non si collegano a delle variazioni, a delle sequenze nucleotidiche.
Ora, queste difficoltà di vario genere, che adesso non sto a sviluppare, che cosa dicono? Dicono che molto probabilmente bisogna andare anche oltre il darwinismo, cioè, il darwinismo è ritenuto valido, però rimangono, ci sono queste domande e ci sono questi fenomeni ai quali il darwinismo in quanto tale oggi sembra non dare una risposta adeguata e soddisfacente. Dicevo, secondo i darwinisti onesti, per esempio faccio un nome: Massimo Piattelli Palmerini, che ha scritto anche sul Corriere, suscitando anche qualche reazione da parte di altri darwinisti. C’è poi l’evento uomo che è fondamentale per noi che ne siamo coscienti. Evento uomo che dal punto di vista paleontologico appare in una certa discontinuità, che si manifesta, a mio modo di vedere e non soltanto mio, soprattutto nella cultura e cioè una discontinuità che è espressa nel comportamento, un comportamento che rivela progettualità, un comportamento che rivela singolizzazione, Siamo fuori da quelle che sono le categorie strettamente biologiche, cioè quelle appunto che sono determinate da proprietà o da leggi di ordine biologico; io amo parlare di attitudini o di manifestazioni di tipo extra biologico da un punto di vista fenomenologico. Se poi, allora, sviluppo il discorso su un piano più filosofico e vado a cercare qual è la spiegazione di questo, ecco, la spiegazione di questo le scienze naturali non me la danno, potrei cercarla in una visione filosofica e parlare allora di una discontinuità ontologica, come ha fatto Giovanni Paolo II in quel messaggio che ho citato poco prima, discontinuità o salto ontologico che è dato appunto dalla presenza della dimensione spirituale nell’essere umano.
Io ho richiamato l’attenzione sul comportamento più che sulla morfologia, sull’aspetto somatico. Quando dico comportamento, mi riferisco anche ai prodotti della tecnologia, a quella che viene chiamata tecnologia strumentale, cioè alla produzione di strumenti litici già in un periodo molto antico, forse almeno due milioni o due milioni e mezzo di anni fa. Altri invece vedono la simbolizzazione, soprattutto, quando ci sono manifestazioni di tipo diverso, non puramente strumentali come appunto nelle prime fasi e allora andiamo a finire però in un’epoca relativamente recente, intorno ai centomila o centocinquantamila anni fa al massimo. Questo però è già un problema un po’ particolare. Io nell’avviarmi verso la conclusione, vorrei far notare il rapporto fra l’evoluzione e la creazione. lo dobbiamo vedere in un atto creativo da parte di Dio che si prolunga nel tempo, perché se venisse meno la nostra dipendenza radicale da Dio creatore, noi cadremmo nel nulla, e quindi la creazione va vista dal punto di vista filosofico, mi esprimo così, con delle argomentazioni di tipo filosofico, cioè la creazione va vista come qualche cosa che continua nel tempo. Però la creazione è la creazione di un mondo che è in evoluzione, che ha una capacità di cambiare, che non è sempre stato quello che noi vediamo e questo la scienza ce lo dice. La scienza cerca di approfondire le modalità con cui è cambiato il mondo e si è trasformato. La teologia mi parla di creazione ma non mi dice come è avvenuta la creazione. Possiamo pensare ad una creazione di un mondo, di una realtà, di una natura, anche magari ai suoi inizi, a partire da quello che viene chiamato e identificato nel Big Ben, però dobbiamo parlare di una creazione che è creazione di una realtà che ha questa capacità di cambiare, di trasformarsi, senza che questa capacità di trasformarsi le sia immessa per così dire o le sia conferita per certe strutture complesse, di tanto in tanto, come viene sostenuto nell’ intelligent design, teoria di origine americana. Prima nel mondo americano si riteneva che il mondo fosse stato creato seimila anni fa e proprio secondo il racconto della Bibbia, in quella successione, ma ci sono alcuni che lo sostengono anche adesso questo, non solo qualche decina di anni fa. Poi una versione più moderna e più vicina alla scienza è apparsa quella di alcuni scienziati, americani, – Behe che è un biochimico, l’ha esposta ne La Scatola nera di Darwin – la quale sostiene che, l’evoluzione ci sarebbe stata, che però la formazione di strutture complesse, irriducibili come sono chiamate, cioè la formazione delle vere novità evolutive avrebbe richiesto un intervento dall’esterno, una causa esterna, che facilmente viene identificata con Dio, con il Creatore. Però è una mescolanza: l’intendimento è buono direi, è un compromesso fra l’evoluzione e la creazione, però fa confusione, perché dal punto di vista scientifico non è accettabile una spiegazione di questo genere, che introduce un elemento preternaturale in un processo che dovrebbe essere un processo naturale, cioè per eventi naturali; quindi non è una spiegazione scientifica ed è anche ambigua da un punto di vista teologico, è equivoca perché appunto vede un Dio che interviene come un tappabuchi o comunque come qualche cosa che perfeziona quello che la natura non avrebbe in sé come capacità. Per cui io ritengo che le intenzioni saranno buone, ma che la teoria dell’intelligent design non sia corretta, senza dire poi che crea forse più problemi, più difficoltà di quello che non si possa immaginare. Il che non vuol dire che non esista un progetto di Dio creatore sul mondo, in qualunque modo si sia realizzato, anche per cause che possono essere all’insegna di una casualità o comunque per fattori che rientrano nei fattori della natura. Quindi il discorso di un progetto, che peraltro Benedetto XVI ha più volte ha sostenuto, il discorso del progetto è legittimo; invece il discorso di questo progetto, realizzato secondo le modalità e il meccanismo del disegno intelligente, io ritengo che sia un discorso piuttosto ambiguo, perché Dio fa le cose ma, come osservava Teilhard de Chardin, fa in modo che si facciano le cose. Non è che Dio crei tutte le cose ma fa in modo che le cose si facciano per questa potenzialità, potremmo dire, che vi sono nella natura e che fanno vedere allora una natura non come qualcosa di statico. La razionalità della natura è una razionalità scientifica che la scienza cerca di approfondire e Benedetto XVI più volte si è espresso su questa razionalità scientifica della natura. Il modo con cui questa si realizza deve essere la scienza a cercare di approfondirlo, ma non posso andare a cercare degli interventi dall’esterno. Quindi allora si può parlare di questa armonia della natura, di una natura però non statica ma dinamica, che ha questa potenzialità di evolvere, Dio che non fa le cose ma fa in modo che si facciano. Grazie della vostra attenzione.

MODERATORE:
Io credo che l’intervento del prof. Facchini ci abbia dato veramente una chiave di lettura non solo del suo lavoro che noi riteniamo prezioso e che è importante leggere per poter documentare molti aspetti importanti di cui spesso non si parla, legati anche alla disciplina che ha sviluppato insieme ad altri colleghi, ma ci abbia dato un quadro interpretativo del complesso rapporto tra creazione e modalità effettiva con la quale nel tempo essa accade. Grazie ancora Facchini per tutto il suo lavoro e impegno.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

27 Agosto 2008

Ora

11:15

Edizione

2008

Luogo

Sala A2
Categoria
Incontri