LE CONDIZIONI DELLA PACE

Partecipano: Franco Frattini, Ministro degli Affari Esteri; Amre Moussa, Segretario Generale della Lega degli Stati Arabi; S. Em. Card. Jean-Louis Tauran, Presidente Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Introduce Mario Mauro, Vice Presidente Parlamento Europeo.

 

MODERATORE:
Buona sera. Ci preme la pace, ci preme un’esperienza di convivenza tra i popoli, che abbia una ragione profonda, che sia capace cioè di tenere insieme le persone per quello che sono, per l’esigenza di infinito che rappresentano e che vivono tutti i giorni, e che continuamente viene messa a rischio da un’eco continua di insoddisfazione, di violenza, che mina in qualche modo la possibilità stessa del nostro futuro. Ci preme la pace e per questo molti anni fa abbiamo inaugurato un metodo, “come sono belli sui monti i pie’ di coloro che la pace la portano”, vale a dire ciò che privilegiamo è portare a Rimini coloro che in qualche modo esprimono una buona volontà, esprimono una preoccupazione per il destino del mondo, esprimono, ancor più semplicemente, la condivisione di quell’ansia che vive nel cuore della persona umana, e questa ansia la condividono, la sentono propria, e si sentono amici, e si sentono cioè di rischiare un giudizio, qualcosa che possa cambiare il mondo. E tre amici abbiamo voluto qui insieme oggi: il ministro della Repubblica Italiana, il Ministro degli Esteri Franco Frattini, il Segretario Generale della Lega Araba Amre Moussa, la cui presenza ci è particolarmente gradita non solo perché nella geopolitica del potere rappresenta oggi sicuramente uno degli uomini più potenti del mondo, cioè uno degli uomini maggiormente abilitato a realizzare le condizioni per la pace, ma quando ho letto della biografia di Amre Moussa mi hanno colpito due cose: i tanti anni che ha consumato e speso perché la pace si realizzi soprattutto in quel tragico scenario che è il Medio -Oriente e il fatto che ha l’età di mio padre; ha l’età di mio padre e io sento in qualche modo nell’opera della sua vita l’opera di chi ha voluto consegnare, e consegna oggi attraverso la compagnia che ci fa, al mondo intero una possibilità sincera perché la pace venga attuata. E da ultimo, il Cardinal Tauran Presidente del Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso, lo conoscete meglio di me, e sapete che per lui dialogo interreligioso non vuol dire chiacchiere ma soprattutto fatti messi a disposizione del popolo. Do la parola a Franco Frattini.

FRANCO FRATTINI:
Grazie. Grazie molte, Mario. E’ sempre un’emozione per me, una gioia ritrovarmi qui al meeting a parlare di questioni importanti che toccano la vita, direi i valori fondanti di tutti noi ed è un’emozione particolare farlo quest’anno dopo il nostro rientro al Governo e mio al Ministero degli Esteri. Sono qui oggi a parlare di un tema così centrale per il destino del mondo come il significato della pace, e mi permetto di dire con tre amici. Uso questa espressione con rispetto verso Sua Eminenza Tauran, che ebbi l’onore di incontrare nel 2002, quando era responsabile delle relazioni estere del Vaticano, mentre io ero Ministro degli Esteri, e il Vice-Presidente del Parlamento Europeo, Mario Mauro, amico di vecchia data. E il vecchio amico Amre Moussa, Segretario Generale della Lega Araba, con il quale tante volte abbiamo parlato di pace in Medio -Oriente, e di cui tante volte ho apprezzato l’equilibrio, la moderazione e la saggezza. Cari amici, parlare di pace certamente oggi ha un significato speciale, perché mi rivolgo a voi, ad un’assemblea, ad un meeting in cui ci sono giovani, donne e uomini che non appartengono al mondo delle istituzioni alle quali spesso ci rivolgiamo intorno alle tavole dei Consigli dei Ministri o nei dibattiti accademici. E allora potremo parlare forse con ancora maggiore sincerità e con un po’ più di cuore, perché si tratta di temi che stanno infiammando il mondo, che stanno infiammando il nostro Mediterraneo: la pace in Medio Oriente, che ancora non arriva e che sarebbe il punto di svolta per affrontare questa regione come una regione di pace, di sviluppo e di prosperità. Mi riferisco anche alle crisi che infiammano l’Africa, che infiammano ormai purtroppo l’Est-Europeo. L’infiammare della crisi nel Caucaso ci riporta con drammaticità ad una regione che è vicina a noi, che noi amiamo, che noi abbiamo seguito come Italia, a cui siamo vicini come Europa; per non parlare di quella realtà che ancora è tragica, che tra l’Afghanistan e il Pakistan semina ogni giorno morti innocenti. Ecco che per tutte queste ragioni parlare di pace oggi non vuol più dire affrontare questo o quello scenario di crisi ma vuol dire, a mio avviso, porsi degli interrogativi senza avere la presunzione di dare risposte su che cosa voglia dire davvero parlare di pace. Io ho delle idee, che chiaramente posso mettere a disposizione di questo dibattito, dicendo innanzitutto che la parola pace fu, non dimentichiamolo mai, l’obiettivo, il primo obiettivo politico, dei padri fondatori dell’Europa. Dopo la catastrofe della II Guerra Mondiale, quando i padri fondatori illuminati, penso al nostro Alcide de Gasperi, a Schuman, lanciarono l’idea di un’Europa che doveva nascere dalla devastazione della guerra, loro dissero: anzitutto pace, mai più guerra. Questa Europa che non tanti amano ci ha dato 50 anni di pace, ci ha regalato questo bene prezioso che noi diamo per scontato. Ma quando guardiamo i carri armati nel Caucaso ci accorgiamo che la pace è un bene veramente prezioso: il fatto che per 50 anni, e per i prossimi, e per i prossimi ancora continueremo a goderla in territorio Europeo, è davvero un regalo straordinario che questa Europa che non tutti amano e che non tutti conoscono ci ha dato. Partiamo da lì, che cosa vuol dire pace? Vedete, io sono convinto che oggi, in un momento molto complesso come è questo, pace non voglia dire soltanto, ed è la mia prima riflessione, l’assenza di un conflitto. Quanti sono i paesi del mondo che vivono in regimi dittatoriali o semi-dittatoriali che formalmente garantiscono l’assenza di un conflitto? Possiamo dire che quello sia uno stato di vita buono, per i cittadini, per le persone che ci abitano? Certamente no. Allora forse cominciamo ad elaborare un concetto di pace che vada un po’ oltre quello di assenza di guerra in senso tradizionale e diciamo che forse la pace è oggi la garanzia di accesso di tutti al godimento dei diritti fondamentali della persona. Questo è quello che noi possiamo intendere nel momento in cui la globalizzazione si afferma, come il diritto alla vita e alla dignità umana, l’esercizio delle libertà civili, la solidarietà, la tolleranza, l’eguaglianza tra le donne e gli uomini. Questi sono valori che si aggiungono e che fanno di questo concetto di pace un concetto più approfondito, meno tradizionale di quello che forse abbiamo sinora declinato. E vedete, io parlo di questo perché nei conflitti, quelli tradizionali e quelli che nascono dalla mancanza di diritti, alla fine le vittime sono persone umane, e sono soprattutto le categorie più deboli, sono i bambini, sono le donne, sono gli anziani. Ecco perché io credo che ripartire dalla persona umana e dai suoi diritti sia il modo giusto per affrontare questo dibattito per costruire un’etica dello sviluppo nell’era della globalizzazione, che ponga la persona umana, con i suoi valori e con i suoi diritti, al centro della scena. Questa è una lezione che tutti, nella politica estera, dovremmo imparare e avere sempre davanti a noi come un decalogo. Ma per la pace ci vuole il dialogo, ci vuole la comprensione, soltanto chi non si comprende o chi non si vuole comprendere viene visto con preoccupazione, magari con timore, magari con un senso di diffidenza per l’altro, per chi non è come te, allora anche qui, come interpretiamo questo concetto di dialogo, di cui tanti parlano e probabilmente di cui pochi declinano la vera sostanza: per avere un dialogo reale bisogna innanzitutto avere la volontà di dialogare. Se non c’è dialogo, il dialogo non si può imporre, né si possono porre sul tappeto conclusioni preconfezionate, dicendo: questi sono i nostri grandi valori, prendere o lasciare, né tanto meno sui possono ignorare le ragioni dell’altro. Il dialogo presuppone la capacità di comprendersi, di capire le ragioni dell’altro. Allora oggi noi abbiamo una grande esigenza di costruire questo nuovo metodo di dialogo. Vedete per fare questo occorrono, a mio avviso, due cose: innanzitutto il rispetto per il nostro interlocutore. Se noi abbiamo, come abbiamo, come grande assoluto valore la persona umana, il nostro interlocutore in quanto persona umana merita rispetto, deve essere ascoltato, e noi chiediamo che lui ascolti noi. Questa è la prima condizione, la parità tra tutti gli interlocutori. Cerchiamo di fare un passo avanti dalla vecchia logica, chiamiamola così, di collaborazione, ad una logica di partenariato in cui gli interlocutori si sentano davvero uguali l’uno all’altro e vengono riconosciuti come tali. E la seconda precondizione per capirsi, per comprendersi davvero, lo voglio dire con assoluta chiarezza, è che ciascuno degli interlocutori abbia ben salda la coscienza la conoscenza e l’orgoglio delle proprie radici e dei propri valori. Chi cede sui propri valori non può dialogare bene con gli altri. Vedete, quando noi ascoltiamo e vediamo un metodo di dialogo che apparentemente si fonda sulla gentilezza e sul desiderio di compiacere l’interlocutore, ma che poi alla fine finisce per nascondere i nostri valori, i valori che hanno fatto grande la nostra storia, la nostra tradizione, diciamolo pure, la nostra identità: se c’è un’identità da difendere noi non la difendiamo contro l’altro, ma non la vogliamo neanche dimenticare, non la vogliamo neanche cancellare, non vogliamo, in nome di questo, dimenticare che la vita umana, la dignità umana, la famiglia, per noi sono valori assoluti. Valori che dialogando vanno confermati perché noi riconosciamo a donne e uomini che lavorano, nel grande straordinario mondo del volontariato, che aiutano per il bene degli altri, per il bene dei più deboli, dei più poveri, riconosciamo loro un grande valore, un grande merito, quello di essere portatori di valori forti, non di valori deboli. Chi si piega per aiutare qualcuno più debole, non si sminuisce, lo fa portando dentro di sé dei valori forti. Rifuggiamo da questa tentazione che dice: in fondo, in nome del dialogo, annacquiamo i nostri valori, facciamo credere come se famiglia o non famiglia siano la stessa cosa. Non è vero, non lo possiamo accettare, non possiamo accettare che qualcuno, in nome del tradimento di un principio religioso predichi la violenza, predichi la morte. Dobbiamo avere la sincerità, il dialogo richiede anche sincerità, richiede franchezza con i nostri interlocutori, perché altrimenti cominciamo a dire che in nome di un principio generale di tolleranza cosa prevale? Prevale il pensiero debole, prevale il pensiero che in questa nostra Europa ci fa dimenticare che il principio di eguaglianza tra donne e uomini noi dobbiamo affermarlo sempre comunque, anche se qualcun altro ci dice che, in fondo, non si fa così, da qualche altra parte del mondo. E’ un principio troppo importante: la persona umana deve prevalere sempre. Perché noi affermiamo con forza che siamo tolleranti e solidali con coloro che chiedono di entrare nel nostro Paese ma che, ad esempio, non possiamo accettare che alcuni bambini vadano per strada a mendicare invece che a scuola a studiare. Questa non è intolleranza, questa è affermazione di un principio di difesa di diritti di quei bambini. Ecco alcune delle condizioni perché un dialogo, e un dialogo forte vi sia. Qual è la via italiana? (ed è la parte conclusiva delle mie riflessioni) qual è la via italiana a questa ricerca di una strada verso la pace? Vi farò due esempi tratti da situazioni reali.
1) L’Italia e il Governo italiano credono fortemente, e spero che non sia solo il Governo, ma tutto il sistema Italia, le forze politiche, e non solo quelle di maggioranza, con la società civile che su questo lavora con noi, credono fortemente che la pace tra israeliani e palestinesi sia il punto di svolta a cui dobbiamo arrivare ora. Non possiamo rinviare, non possiamo dire: continuiamo se ne parlerà un’altra volta. Ora c’è una finestra di opportunità che dobbiamo prendere, e lo dico con grande sincerità, avendone parlato tante volte con il mio amico Amre Moussa. Io non credo che abbiano ragione coloro che dicono: prima di firmare finalmente un accordo di pace, dobbiamo metterci d’accordo anche sull’ultima virgola dell’ultimo dettaglio, questo principio allontanerebbe la pace. Cerchiamo, invece, dei valori condivisi che Palestinesi e Israeliani possano accettare, definiamo un compromesso su una grande strategia di pace, e lasciamo, ad ulteriori aspetti di negoziato, quello che non si sarà potuto risolvere ora. Ma cerchiamo di fare la pace adesso, non rinviamo, non aspettiamo che qualcos’altro accada, è troppo tempo che quei popoli soffrono, che non hanno sicurezza, che i palestinesi non hanno uno stato libero in cui vivere. E’ troppo tardi per dire: prendiamo altro tempo. Ecco che cosa vuole fare l’Italia, vuole parlare con gli uni e con gli altri, come abbiamo sempre fatto, e vuole cercare un accordo che sia di pace e di giustizia per quella regione, che sia duraturo, che non sia destinato a svanire.
2) E l’altro esempio è l’accordo che ormai tutto il mondo vede così lontano, tra le grandi potenze del mondo, per la riconciliazione nella regione del Caucaso. Perché lo vediamo lontano? Perché si rischia di irrigidirci su posizioni che dicono: parteggiamo con gli uni o parteggiamo con gli altri, noi parteggiamo per quella gente che ha subìto la catastrofe di una casa bombardata, per quelle persone che sono morte, quelle persone vogliono sinceramente la riconciliazione. Ecco perché l’Italia che è apprezzata dagli uni e dagli altri può giocare un ruolo di moderazione, ed ecco perché io andrò tra qualche giorno a Mosca e a Tbilisi, non soltanto a Tbilisi o soltanto a Mosca, per offrire l’Italia come luogo per una conferenza internazionale di dialogo e di riconciliazione per l’interna regione del Caucaso. Ecco che, in conclusione, vedete, in conclusione, io penso si possa dire questo: oggi noi abbiamo la necessità di riaffermare un vero nuovo umanesimo, una cultura della pace che parta dall’esplorazione delle regioni profonde della disperazione, dell’umiliazione, della frustrazione. Quando parliamo delle ragioni che portano alla pace, quando parliamo delle radici profonde della violenza, noi parliamo di processi, non parliamo di grandi temi che possano essere imposti con delle decisioni. Parliamo di processi che richiedono la politica e la pazienza, che richiedono la spiegazione profonda del perché noi dobbiamo estirpare le radici dell’odio, del perché non possiamo accettare l’indottrinamento delle giovani generazioni alla logica dell’odio e della violenza e perché, invece, dobbiamo incoraggiare coloro che sono i nostri amici nel mondo musulmano, che sono dalla nostra parte per affermare i diritti, la modernizzazione della società, che sono i nostri partners privilegiati, in questa e nell’altra parte del mondo. Io ricordo, Mario, una risoluzione che tu hai approvato, che hai proposto e che il Parlamento Europeo, su tua proposta ha approvato. Il Presidente Mauro l’anno scorso fece approvare una risoluzione, lui non l’ha fatto ma lo ricordo io, una risoluzione in cui si diceva: in Medio -Oriente noi Europa vogliamo contribuire fortemente alla pace, allo sviluppo e alla ricostruzione, ma vi chiediamo qualcosa in cambio – si fa così tra amici – vi chiediamo di aiutarci ad estirpare insieme il seme della violenza, a far si che nei libri di scuola dei bambini non ci siano più i messaggi su come si fa ad uccidere un ebreo, affinché non ci sia più in un videogioco un messaggio su come si fa a sparare ad un nostro nemico. Solo allora, lavorando insieme, noi troveremo ed abbiamo trovato, il supporto del Parlamento Europeo, il grande sostegno della Lega Araba che sta lavorando per la pace con forza e con abnegazione, e lo devo dire, caro Amre, anche il tuo paese, non solo la Lega Araba, ma anche l’Egitto sta svolgendo un ruolo straordinario per la pace in Medio –Oriente. Di questo dobbiamo darne atto, ed è questa la ragione per cui il prossimo anno la presidenza italiana del G8 che si occuperà dei grandi scenari di crisi del mondo, ritiene che tra i grandi interlocutori che non sono membri del G8 ma che sono attori globali ci debba essere, Amre, il tuo paese, l’Egitto. Che ci debba essere un grande paese Arabo che assieme alla Cina, assieme all’India, al Brasile, al Messico, sia un interlocutore costante dei grandi Otto del mondo e che possiamo insieme, finalmente, parlare di pace attraverso il dialogo, lo sviluppo economico, la lotta alla povertà, la lotta ai cambiamenti climatici, la protezione dell’ambiente. Tutto questo vuol dire creare le condizioni per la pace. La pace non si riporta con la forza delle armi, si riporta estirpando dall’interno i semi della violenza che hanno provocato il conflitto. Grazie.

MODERATORE:
Grazie al Ministro Frattini. Se le circostanze da lui chiarite nell’intervento introduttivo sono vere, grande importanza ha la volontà degli interlocutori. E tra questi interlocutori, sicuramente chi oggi è alla guida di una delle organizzazioni più potenti per il governo del mondo, per il mantenimento di equilibri di convivenza sensata, le strategie di un’organizzazione come questa, a che cosa questa organizzazione miri perché trionfino i diritti dei popoli e i diritti delle persone, ma anche in modo molto più semplice, quali sono gli appuntamenti che questa organizzazione immagina perché il dialogo con l’Occidente si compia, questo evidentemente è cosa di enorme importanza da poter conoscere in questi giorni. In questi giorni perché noi ci troviamo a vivere delle circostanze sicuramente fuori del comune. Vedete l’Unione Europea che Franco Frattini ha ricordato essere ancorata a una tradizione e a un’intuizione di pace voluta da quell’amicizia cristiana che ha legato insieme i padri fondatori dell’Europa, oggi è una realtà che per sperare nella pace deve fare i conti con sé stessa. Ha 530 milioni di abitanti, 70 milioni di questi hanno tra 15 e 25 anni: sono giovani, possono essere più interessati degli altri alla pace. Il solo Egitto, che ha 70 milioni di abitanti, ha oltre la metà che ha meno di 25 anni, ha la metà dei giovani di tutta Europa. Quanto conta quindi il parere, l’opinione, la concezione che hanno di noi questi popoli? Quanto conta e quanto incide sulle condizioni della pace? E chi è chiamato alla guida attraverso una esperienza incommensurabile come Amre Moussa, che da molti anni, attraverso una carriera senza precedenti, si ritrova oggi tra le mani concretamente la possibilità di spendersi perché gli obiettivi siano comuni.

AMRE MOUSSA:
Grazie, grazie Presidente.
Ringrazio anche il Ministro Frattini, e Sua Eminenza, il cardinale Tauran, come ministri degli esteri siamo stati colleghi, nell’ultimo decennio, negli ultimi anni degli anni novanta abbiamo lavorato insieme a favore della pace. Devo dire che ho ascoltato con grande piacere le parole del Ministro Frattini, le sue parole riguardo alla pace, e come poter collaborare per salvare il mondo. E’ un piacere per me essere stato invitato a questo evento, un evento che raggruppa sotto l’egida dell’amicizia tra i popoli, raggruppa tanti giovani. Noi viviamo in un’epoca di crisi, noi ci troviamo ad affrontare enormi problemi, problemi politici, religiosi, economici, sociali, problemi anche del tutto nuovi. Vorrei iniziare dicendo che il tema dello scontro di civiltà è uno dei temi più pericolosi all’ordine del giorno del nostro pianeta, e questo dalla fine della guerra fredda. E’ un tema che ha prodotto male, ha prodotto molti punti interrogativi pericolosi, e credo davvero che esista da un certo punto di vista uno scontro di civiltà, ma esiste fra le ali estremiste di tutte le civiltà, non fra la base, non esiste fra la base cattolica, buddista, induista, musulmana, la base condivide le stesse idee, la base vuole un migliore presente, un migliore futuro, per se stessa e per le prossime generazioni. Noi non dovremmo cadere prigionieri di queste ali estremiste, non dovremmo cadere prigionieri di questo scontro di civiltà. Spetta a noi rimanere fermi e opporci a tutti quei comportamenti distruttivi a tutti quegli interventi e reazioni violente, e sono lieto che per la prima volta si ponga questo interrogativo davanti a migliaia di giovani, giovani che possono aiutarci e che possono aprire la strada a un mondo più pacifico, che ponga fine ai confronti, gli scontri e le guerre. Da anni discutiamo dello scontro di civiltà ormai, la nostra discussione si è svolta però sempre tra accademici, tra professori, esperti, specialisti, all’interno di un’élite. Non abbiamo mai affrontato e parlato con il pubblico, l’opinione pubblica, dov’è il vero potere. Dobbiamo fare appello a tutti voi, dobbiamo coinvolgervi, non dobbiamo incoraggiare politiche basate sullo scontro di civiltà, politiche che si baserebbero sull’intolleranza religiosa o la discriminazione razziale. Ciò di cui abbiamo bisogno è la convivenza di tutte le religioni, di tutte le civiltà, questa è la nostra responsabilità e il mondo non potrà migliorare se non saremo in grado di sconfiggere le forze del male che vediamo in opera all’interno di questo scontro di civiltà e che vediamo all’interno di circoli distruttivi, all’interno di qualsiasi civiltà. Il secondo elemento che vorrei toccare riguarda gli innumerevoli problemi sotto il punto di vista della politica della sicurezza. Ora i problemi si stanno estendendo a sempre più vaste regioni del mondo, vediamo problemi nel Caucaso, in Europa Orientale, in Asia Centrale, nel Sud-Est Asiatico, in Medio-Oriente e in Africa. Ed è nostra responsabilità, responsabilità dell’Unione Europea, responsabilità delle Nazioni Unite, della Lega degli Stati Arabi, dell’Unione Africana, e della società civile, fra tutte le organizzazioni, è nostro compito lavorare insieme per prevenire le guerre e gli spargimenti di sangue. Dobbiamo evitare che si ripetano, dobbiamo evitare che prevalgano in tutto il mondo. I problemi dello sviluppo economico e sociale, dovranno essere affrontati al contempo perché il mondo non potrà mai raggiungere la stabilità a meno che non riusciamo a risolvere il problema della povertà che affligge tantissimi paesi. Che si tratti di squilibri in ambito di sanità, istruzione, investimenti, commercio, dobbiamo aiutare il Terzo Mondo a riemergere perché una nuova era possa aprirsi sul nostro pianeta. Parlando di condizioni socio-economiche dobbiamo inevitabilmente parlare anche di diritti, diritti umani. Non possiamo accettare due livelli di diritti umani. Le libertà fondamentali e i diritti umani devono essere garantiti per tutti nell’interesse di tutti. Laddove viene constatata una grave violazione dei diritti umani, questa violazione va denunciata e condannata, sia che sia commessa da un paese potente o da un paese più piccolo e più debole. I diritti umani sono unici, vanno garantiti per tutti. La dignità dell’uomo non discrimina tra cittadini poveri e cittadini ricchi, la dignità dell’uomo è la dignità dell’essere umano, dell’uomo, della donna, di ogni essere umano che non va maltrattato. L’altro tema che dovrebbe figurare al nostro e al vostro ordine del giorno è come affrontare queste nuove problematiche che si pongono: i nuovi problemi, i cambiamenti climatici, la crisi delle risorse idriche, la crisi alimentare, l’aumento dei prezzi, prezzi che le popolazioni più povere non si possono permettere di pagare. E’ un problema gravissimo che merita di essere enfatizzato, affrontato, anche all’interno di eventi come quello di oggi. Io rappresento la Lega degli Stati Arabi, una organizzazione che conta 22 stati membri e rappresenta globalmente più di trecento milioni di cittadini. Ci sono paesi più ricchi al suo interno e altri molto più poveri. Ci troviamo ad affrontare problemi che riguardano il Sudan, la Somalia, la Palestina, l’Iraq, la sicurezza regionale in tutta la zona del Medio Oriente, ma affrontiamo anche problemi di sviluppo. Dobbiamo affrontare problemi che toccano da vicino le giovani generazioni. Come è stato ricordato, dal 25 % al 50% della popolazione mondiale è rappresentata da giovani, giovani che hanno bisogno di istruzione, che hanno bisogno di assistenza sanitaria, che hanno bisogno che noi apriamo loro le porte del futuro e questo non si può fare senza la cooperazione con gli altri paesi, col resto del mondo. Ecco perché uno dei più forti rapporti di cooperazione esiste proprio fra la Lega degli Stati Arabi e l’Unione Europea e dall’altro anche con l’Unione Africana. Una delle più gravi minacce alla stabilità è data dalla crisi palestinese, come ha ricordato il ministro, la madre di tutti i problemi. Se noi non siamo in grado di risolvere il problema palestinese con giustizia equità e in modo sostenibile, non saremo mai in grado di garantire la pace e la stabilità non solo nel Medio Oriente ma in tutto il bacino del Mediterraneo e chiaramente le conseguenze si troveranno a pagarle l’Italia e gli altri paesi Europei, perché ci sarà mancanza di sicurezza, perché ci sarà rabbia, frustrazione; è dunque nostro compito fare tutto ciò che è in nostro potere per poter arrivare ad una soluzione pacifica che sia equilibrata nel più breve tempo possibile. E permettetemi di ricordarvi due o tre punti: innanzitutto la parte araba ha già presentato più di una iniziativa in questo senso, l’ultima delle quali è la volontà di ristabilire la pace, ristabilire rapporti normali con Israele, nel contesto di un accordo generale di pace che dia vita allo stato palestinese e ripristini i confini. Questa è una iniziativa importante che è stata messa sul tappeto ormai sei anni fa, il che mi porta al secondo punto, ovvero la promessa del presidente Bush, la promessa di fare tutto ciò che è in suo potere per poter dare vita allo stato della Palestina entro la fine di quest’anno. Noi stiamo cercando di aiutare, insieme all’Unione Europea, all’Italia, il raggiungimento di questa soluzione, stiamo tutti facendo del nostro meglio ma posso dirvi che fino ad oggi non abbiamo visto alcun risultato incoraggiante. E mentre sono qui e mi rivolgo a voi, in questa atmosfera di spiritualità, permettetemi di ricordarvi Gerusalemme, il suo destino: la città di Gerusalemme deve essere la città della pace, di tutti, per tutti, di tutte le religioni; tutte le religioni devono poter approdare, avere accesso liberamente a Gerusalemme, tutti i fedeli devono potersi recare al Muro del Pianto, alle Moschee, alle Chiese, a tutti gli altri luoghi di preghiera in piena libertà. Questa libertà e il destino della città di Gerusalemme possono essere garantiti soltanto con il dialogo e il negoziato, e l’obiettivo e di avere la capitale di entrambi gli stati a Gerusalemme, mentre Gerusalemme deve rimanere “one town, one city”, una città. Qualsiasi accordo di pace fra Palestinesi e Israeliani deve quindi affrontare il nodo di Gerusalemme, così come deve risolvere il problema dei profughi così come deve affrontare il problema dei territori. Ci sono delle scintille incoraggianti, ci sono negoziati in corso fra Siria e Israele, ci sono negoziati fra Palestinesi e Israele, sono stati liberati i prigionieri, e ci auguriamo che tutti questi sforzi non siano vani, non è possibile portare avanti negoziati per sempre, non è possibile che qualcun altro faccia il lavoro al posto nostro. La parte araba è pronta a negoziare, ma dobbiamo essere certi che sia stabilito un contesto, un calendario, un orizzonte temporale che stabilisca che questi negoziati non saranno trascinati per sempre, che garantisca che tutte le problematiche siano oggetto del negoziato: i profughi, Gerusalemme, i territori, lo stato palestinese. E vogliamo arrivare ad un accordo di pace che metta fine al conflitto arabo – israeliano una volta per tutte. Qualsiasi accordo di pace deve garantire gli interessi di entrambe le parti, non soltanto di una e per questo abbiamo bisogno di un intermediario che sia onesto. Gli Stati Uniti per un certo periodo di tempo hanno svolto proprio questo ruolo e poi hanno smesso. A adesso abbiamo bisogno del ruolo degli Stati Uniti come mediatore onesto, abbiamo bisogno che gli Stati Uniti riprendano questo ruolo, se ne facciano carico e abbiamo bisogno anche del ruolo dell’Unione Europea. L’Unione Europea può svolgere questo ruolo con grande efficacia, e questo per la profonda conoscenza del Medio Oriente e anche perché l’Europa ha moltissimi interessi nel mondo arabo, nel Medio Oriente, e lo stesso dicasi del mondo arabo rispetto all’Europa. Credo pertanto che con la pace e la stabilità, con lo sviluppo economico, con le riforme sociali, molti dei vostri e dei nostri problemi potranno essere risolti. Se riusciremo a creare una economia forte, che è il nostro obiettivo, avremo bisogno di poter contare su tutti coloro che possono rimanere in questa zona, che sono in grado di lavorare, di impegnarsi, di produrre, ma tutto ha inizio con la pace e tutto ha fine con la stabilità. È nel vostro e nel nostro interesse risolvere la questione arabo israeliana, mettere fine all’occupazione dei territori palestinesi da parte israeliana e ristabilire normali relazioni fra arabi e israeliani. Così potranno essere risolti moltissimi problemi e potremo arrivare a risolvere anche il problema dello scontro di civiltà. Uno scontro di civiltà che è stato promosso proprio dalle conseguenze di questo conflitto. Come sua eminenza il cardinal Tauran ha detto poco fa, citando il cardinal Martini, la pace è la sintesi, è la sintesi del bene e la guerra è la sintesi del male. Ecco, io credo che tutti dovremmo schierarsi con il bene e spero che ci riusciremo. Grazie.

MODERATORE:
Grazie ad Amre Moussa. Che sia un diplomatico di enorme esperienza lo capite anche dal fatto che è in grado di predire le citazioni del Cardinal Tauran. Devo dire una cosa, nel dinamismo della pace non di rado occorre gettare il cuore oltre l’ostacolo. Nel giugno 2005 ho avuto l’onore di partecipare ad una iniziativa a Betania, alle porte di Gerusalemme, dove una donna palestinese, Samar, e una israeliana, Angelika, hanno dato vita ad una singolare iniziativa: hanno fatto insieme un panificio. Donne palestinesi e israeliane si sono messe insieme a fare il pane per poter sfamare l’ansia di pace dei propri figli. Era presente a quella iniziativa, oltre al sottoscritto, anche una giovane parlamentare israeliana, Yuli Tamir, che nel primo governo Olmert, come parlamentare laburista, ha avuto l’avventura di diventare Ministro dell’educazione di Israele. Il Ministro Tamir, fra le polemiche, ha preso una iniziativa che deve farci riflettere: ha tracciato sulle cartine geografiche dei libri del ministero dell’istruzione israeliana i confini, ovviamente secondo il punto di vista israeliano, dello stato di Palestina, fatto senza precedenti e che in quel paese ha suscitato molte polemiche. Quando le ho telefonato per chiederle conto di quel che accadeva mi ha detto: se una israeliana e una palestinese possono fare il pane insieme, credo anche che israeliani e palestinesi possano leggere lo stesso libro. Io credo che in molto di quello che ha detto Amre Moussa ci sia questa volontà: la volontà di muoversi, senza più farsi condizionare dalle mosse dell’altro, verso la pace e credo che di questo dobbiamo essere estremamente grati. Al Cardinale Jean-Louis Tauran mi preme, sì, chiedere il ruolo delle religioni, il contributo delle religioni al processo di pace, ma anche mettere il evidenza il fatto che oggi, se c’è una cosa su cui fondamentalismo e relativismo convergono, è che le religioni servono a fare la guerra, non la pace. Il fondamentalismo, cioè la pretesa di prendere e usare Dio come pretesto per un progetto di potere, dice che c’è la verità, ma che questa ha senso perché esclude tutto il resto. Il relativismo dice che la verità non c’è e che quindi è assolutamente inutile fare qualunque tentativo di mettersi insieme. Allora Eminenza, come è possibile andare alla verità delle cose? Come è possibile andare a vedere come stanno le cose e qual è il contributo e la lezione che viene dal nostro Maestro e che può rappresentare un imperativo, non solo per l’annunzio della nostra fede, ma anche per l’esperienza del significato della pace?

S. Em. Card. JEAN-LOUIS TAURAN:
Prima di tutto vorrei dire la gioia che sento di ritrovarmi di nuovo qui a Rimini e di ritrovare sul palco il Signor Ministro Frattini e il segretario Amre Moussa, che sono due amici, due partner validi e apprezzati dalla Santa Sede, oggi come ieri. Mi perdonerete se comincio con la citazione di un politico francese: mentre ascoltavo i due brillanti oratori che mi hanno preceduto, pensavo a questa frase di George Clemenceau che disse una volta: è più facile fare la guerra che fare la pace. E difatti abbiamo capito quanto sia ardua questa costruzione delle pace, perché la pace non è qualcosa che troviamo tutta fatta, ma è qualcosa che costruiamo giorno dopo giorno e ovviamente tutti possono trovare nelle religioni dei motivi che invitano alla riflessione spassionata, alla solidarietà, alla fraternità; il linguaggio delle religioni, non dimentichiamolo, è la preghiera. Per esempio, forse sottovalutiamo il fatto che ogni settimana nel mondo, venerdì, sabato e domenica, sono milioni e milioni di credenti che pregano nelle loro Sinagoghe, nelle loro Moschee, nelle loro Chiese e questo è un patrimonio spirituale per le religioni, ma anche per tutta l’umanità. Quindi noi, come credenti, abbiamo il nostro ruolo da svolgere in questa costruzione quotidiana della pace. Infatti spesso si parla della relazione fra religione e pace. Io penso che sarebbe molto più esatto dire: i credenti e la pace, perché le religioni non fanno la guerra, anzi sono i loro seguaci che fanno la guerra, anzi c’è chi fa la guerra in nome della religione; ebbene i credenti, tutti i credenti riconoscono che le loro religioni sono orientate verso la pace: la pace, considerata come un riflesso dell’armonia divina, perché tutti i credenti nel fondo guardano verso Colui in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Ogni religione, secondo la proprio specificità, racchiude nei suoi testi fondatori, nella sua spiritualità pensieri di pace e indicazioni per edificarla; ognuno declina a suo modo un’unica parola, shalom, salam, pax; allora mi domando: ma cosa noi credenti possiamo dire assieme al mondo precario e violento in cui viviamo? Prima di tutto penso che dobbiamo dire che le ingiustizie, le malattie, le guerre di ogni tipo non sono una fatalità. In realtà sono la conseguenza di tutti i nostri egoismi personali, collettivi, della nostra ignoranza, dei nostri errori non riconosciuti, della nostra incapacità di trarre insegnamento dalle esperienze positive e negative del passato. Ma noi credenti diciamo anche una seconda cosa molto importante: noi non crediamo ad una fatalità della storia, ad un fato, no, crediamo che l’uomo non è fondamentalmente cattivo, confidiamo nell’uomo perché sappiamo che Dio lo ha dotato di un’intelligenza e di un cuore e col suo aiuto l’uomo può essere protagonista di un mondo migliore. Quindi io penso che dobbiamo essere uniti, per dire a tutti, prima di tutto l’umanità è una famiglia dove tutti sono ugualmente amati da Dio. Abbiamo una comune origine, siamo creature e abbiamo una comune finalità, l’incontro con Dio. Poi mettiamo a disposizione di tutti la nostra esperienza, che mi pare molto importante – come dicevo prima -: siamo abituati ogni settimana nelle nostre assemblee religiose a vivere la diversità nell’unità e questo “savoir faire” può essere di aiuto per superare, anche a livello delle società civile, pregiudizi e rancori e scoprire la parte migliore dell’altro. Poi la solidarietà è una priorità perché sappiamo che non c’è nessuna pace senza giustizia e tutte le religioni invitano i loro seguaci alla compassione. Un credente non può essere indifferente di fronte a chi soffre, a chi è vittima di chi è più forte di lui. E finalmente l’educazione alla pace. Come è importante, come si diceva prima, la maniera con cui noi insegniamo la storia nelle nostre scuole attraverso i libri. Tutto questo penso che tutti i credenti lo possano dire assieme. Adesso cosa possiamo offrire assieme a questo mondo di oggi? Io rispondo: una pedagogia della pace. Quali credenti, sappiamo che nel cuore della persona umana nascono la pace e la guerra: ognuno di noi deve scegliere fra il bene e tra il male e quindi i responsabili religiosi hanno il dovere di indicare la via da intraprendere, per dare ad ognuno la possibilità di scegliere nella libertà e con responsabilità la via giusta. Ecco perché parlo di pedagogia della pace: dobbiamo essere protagonisti di una vera e concreta pedagogia della pace, che il ministro Frattini del resto ha già tracciato. Prima di tutto il primato della persona umana sullo stato e sull’organizzazione economica della società e qui troviamo tutta la problematica legata ai diritti dell’uomo, con particolare interesse alla libertà di religione. Poi una particolare attenzione alla giustizia, perché – lo sappiamo -, senza cibo, senza cultura, senza solidarietà le società possono generare ogni tipo di estremismo. Non si nasce terrorista, si diventa terrorista, perché tante volte uno è frustrato nelle sue aspirazioni legittime e più fondamentali. Non dico questo per giustificare il terrorismo, ma solamente per spiegare almeno una parte di questo fenomeno. Poi il rifiuto della guerra quale mezzo per risolvere le controversie fra gli Stati; abbiamo tutti gli strumenti giuridici possibili e immaginabili per risolvere senza combattere tutte le controversie inevitabili fra nazioni. Il primato del diritto sulla violenza – questo è molto importante-: aiutare tutti a fare che la forza della legge prevalga sulla legge della forza. Dunque io penso che possiamo mobilitare le coscienze affinché finalmente gli uomini capiscano che non possiamo essere felici gli uni senza gli altri e certamente mai gli uni contro gli altri. Allora per arrivare a tale risultato c’è bisogno di imparare l’arte del dialogo di cui abbiamo parlato stasera, L’arte del dialogo che permette di conoscere l’altro, i suoi valori, senza rinunciare alla propria identità, come diceva il Ministro Frattini. Io dico sempre: non è che noi diciamo che tutte le religioni sono più o meno uguali. No, noi diciamo: tutti i credenti, tutti i ricercatori dell’Assoluto hanno la stessa dignità. Ecco la differenza! Questo non è sincretismo. Di recente Papa Benedetto XVI si trovava a Sidney e ha incontrato mussulmani e seguaci di altre religioni e ha detto loro questo: il senso religioso radicato nel cuore religioso apre uomini e donne verso Dio e li guida a scoprire che la realizzazione personale non consiste nella gratificazione egoistica di desideri effimeri; esso piuttosto ci giuda a venire incontro alle necessità degli altri e a cercare vie concrete per contribuire al bene comune. Le religioni svolgono un particolare ruolo a questo proposito, in quanto insegnano alla gente che l’autentico servizio richiede sacrificio e autodisciplina, che a loro volta si devono coltivare attraverso l’abnegazione, la temperanza, l’uso moderato dei beni naturali. Infine basta ricordare che Dio oggi continua a dire ai figli di Abramo: non uccidere (la Torah), ama il prossimo come te stesso (il Vangelo), la tua religione non è autentica se tu non auguri all’altro ciò che tu auguri per te stesso – questo è un pensiero del profeta dell’Islam. Direi che la Chiesa Cattolica – siccome siamo in maggioranza cattolici qui – è concretamente impegnata in questa promozione, in questa pedagogia della pace. Vorrei ricordare la dottrina sociale della Chiesa, i messaggi del primo gennaio di ogni anno e, permettetemi anche di aggiungere, la Diplomazia Pontificia. Essa ha sempre avuto cura, la chiesa Cattolica ha sempre avuto cura di agire sempre in armonia con i seguaci delle altre religioni: i due incontri di preghiera ad Assisi ne sono la manifestazione e mi ricordo sempre che il primo gennaio 1992 il Papa Giovanni Paolo II aveva scelto come tema del suo messaggio: “Credenti tutti uniti nella costruzione della pace”. Allora, prima di terminare, vorrei dire che tutti questi sforzi finalmente hanno il loro effetto positivo e vorrei solamente citare ciò che è avvenuto a Madrid il mese luglio scorso, quando il re di Arabia Saudita, profondamente sconvolto dall’udienza che il Papa Benedetto XVI gli ha concesso il mese di ottobre scorso, ha convocato i rappresentati dell’Islam, del Cristianesimo e dell’Ebraismo per un incontro di riflessione. E alla fine di questo incontro siamo stati in grado di condividere quattro convinzioni comuni: la prima, che siamo tutti creature di Dio e quindi che c’è una unità del genere umano; secondo, che la differenza di religioni e di culture non è una minaccia, ma è un arricchimento; terzo, che la famiglia è la realtà più importante per la trasmissioni dei valori; e quarto, il dialogo religioso è un contributo essenziale alla pace. Ebbene, poter dire assieme queste quattro cose non era possibile anni fa e io penso che questo è già il segno che Dio benedice i nostri sforzi. Dio è paziente, affida alla libertà e alla creatività dell’uomo il suo progetto, cioè che l’intera famiglia umana sia una famiglia. Comunque sia, come l’ha scritto magnificamente Giovanni Paolo II nel primo messaggio del suo pontificato, la pace sarà l’ultima parola della storia. Penso che dobbiamo dare ai giovani questo messaggio, dare ai giovani, troppo spesso eredi senza eredità e costruttori senza modello, il gusto di vivere e il gusto di vivere assieme. Grazie.

MODERATORE:
Ringraziando il Cardinale Tauran, se mi è consentito sintetizzare a modo mio, in una frase, quanto ha detto, vorrei dire che fare la pace senza Dio ha sempre come conseguenza che si finisce per fare qualcosa contro l’uomo, perché alla fine se non si è capaci di riconoscere l’evidenza più imponente, il nesso dell’uomo con un fattore trascendente che da il significato a tutte le cose, diventa impossibile riconciliarsi e si è costretti e cercare la scorciatoia dell’ideologia per potersi rapportare al resto della realtà, al resto della vita. Questo innesca inevitabilmente la logica della violenza e produce disastri. Provare a fare la pace senza Dio, finisce, si tramuta sempre nel fare qualcosa contro l’uomo e questo inevitabilmente è vero non solo nei i rapporti tra le persone, ma a maggior ragione, forse, per le istituzioni. Una istituzione che sceglie di porsi come significato esaustivo dell’esperienza dell’umano, cessa l’esperienza del governo e inizia quella del regime. In questo senso parlare di diritti umani, parlare di possibilità di fare la pace, finiscono col diventare solo parole, perché non si ha il coraggio di incontrare l’orizzonte della trascendenza che dà significato a tutti i nostri tentativi. Noi ringraziamo quindi non solo il cardinal Tauran, ma anche Franco Frattini e Amre Moussa per quello che ci hanno testimoniato, perché la loro testimonianza ci da tutta intera la rappresentazione di che cosa hanno a cuore quando parlano e quando operano e credo di poter dire, a nome di tutti, che avranno sempre il Meeting come compagno in questo cammino. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2008

Ora

17:00

Edizione

2008

Luogo

Auditorium D7
Categoria
Incontri