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Repubblica di San Marino, 1940- 1945: dalla passione per la libertà, l’accoglienza a centomila rifugiati
Tavola rotonda organizzata in collaborazione con la Repubblica di San Marino hanno partecipato: Amedeo Montemaggi, scrittore; Giuseppe Rossi, presidente Commissione Nazionale Sammarinese dell’UNESCO; Gabriele Gatti, segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino.
Montemaggi: Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale la guerra guerreggiata entrò nel territorio della neutrale Repubblica di San Marino il 17 settembre 1944, nel pomeriggio, attraverso il confine orientale all’altezza di Monte Olivo. L’acme della lotta si ebbe nella notte del 19, quando dal monte Titano al mare si verificò un continuo inferno di fuoco.
La notte, rischiarata da centinaia di bengala appesi a piccoli paracaduti e dalle migliaia e migliaia di lampi delle esplosioni, si era trasformata in un giorno apocalittico, illuminato da una indescrivibile luce artificiale. Centinaia e centinaia di cannoni e carri armati inglesi e neo-zelandesi cozzavano contro le difese tedesche della Linea gialla o Linea Rimini, estremo baluardo difensivo della Pianura Padana, che andava da San Marino a Rimini. Mai nella sua vita millenaria San Marino aveva visto la sua neutralità così pesantemente violata, mentre le sue terre ospitali si erano aperte volontariamente ad accogliere migliaia e migliaia di profughi che qui avevano cercato rifugio e protezione. In quello scorcio d’estate ‘44 e nell’autunno, si combattè l’offensiva lanciata dagli alleati angloamericani contro i tedeschi, attestati sulla linea gotica, che attraversava l’Italia centrale dall’Adriatico al Tirreno, da Pesaro a Massa Carrara, lungo un percorso di 320 chilometri. Fu un’offensiva formidabile che durò 135 giorni, la più grossa battaglia mai combattuta nei secoli in Italia, che aveva come obiettivo militare Vienna ed i Balcani, e come obiettivo politico la futura supremazia sulla penisola balcanica nell’Europa sudorientale, per tenere lontani i russi dal bacino del Mediterraneo. Non è quindi da stupirsi se i combattenti violarono la neutralità della piccola repubblica di San Marino affermatasi nei secoli, il cui popolo, ben più delle belle mura o degli alti castelli, ha sempre difeso la sua indipendenza e la sua libertà.
Al di sopra degli orrori della guerra e della neutralità violata, San Marino può vantare di fronte al mondo l’onore di essere stata una casa amica per decine di migliaia di profughi, di sfollati, di perseguitati politici, di antifascisti, di ebrei che la piccola repubblica non volle consegnare al Grande Reich hitleriano né alla Repubblica Sociale di Mussolini. In quella terribile estate la piccola repubblica si era trasformata in un immenso rifugio-ospedale. Già nel 1943 aveva cominciato ad accogliere i primi sfollati, che aumentarono considerevolmente di numero con i bombardamenti aerei di Rimini e della riviera. Già il 18 novembre 1943 il capo della provincia di Forlì, dott. Zaccherini, era salito a San Marino ove il Ministro Plenipotenziario, dottor Balducci, gli aveva consegnato un cospicuo assegno devoluto dal Governo sammarinese a favore dei sinistrati riminesi. L’esodo dei rivieraschi aumentò sempre più nel corso del 1944: nel luglio-agosto San Marino venne addirittura invasa. Il 15 settembre la situazione è radiografata dal ministro Balducci in una sua nota al capo della provincia di Forlì, dott. Bologna: “Qui la situazione volge al tragico ed io sono veramente crocifisso al mio posto di responsabilità. È accaduto che le popolazioni del riminese e della vallata del Conca, invitate ad abbandonare la casa nello spazio di due ore, sono state dagli stessi comandi germanici convogliate a San Marino ove lo spettacolo della moltitudine errante è biblico. Ovunque donne, vecchi, bambini: non meno di sessanta, settantamila persone sono qui rifugiate (alcuni le fanno salire a 100 mila nei giorni seguenti, contro una popolazione sammarinese di 15 mila anime). Le popolazioni arrivano in colonne lungo il corso dei fiumi, precedute dai parroci e da grandi bandiere bianche. Ho l’immodestia di dirti che la repubblica ha miracolosamente moltiplicato le proprie possibilità, dando pane a tutti (…). Gli ospedali sono del tutto insufficienti. Provvederemo a gettare coperte e materassi nelle chiese per ospitare i nuovi arrivati ed i malati”. Vennero perfino requisite le carrozze ferroviarie da adibirsi come ricoveri per ammalati mentre le gallerie nel trenino bianco-azzurro diventarono maleodoranti rifugi di una umanità varia e dolorante. Nelle sue memorie l’allora Capitano Reggente, Fancesco Balsimelli scrive: “Nelle gallerie migliaia e migliaia di persone dormivano su improvvisati giacigli allineati ai margini delle rotaie. La circolazione dell’aria era insufficiente. A Serravalle le gallerie erano diventate un alloggio impossibile per la ressa degli ospiti, per le piogge che lasciavano filtrare acqua e per l’improvviso incrudire della stagione. Erano gremite di migliaia di persone che sostavano agli imbocchi per respirare, riversandosi dentro ad ondate spaventose ad ogni scoppio di granata vicina. Due bambini rimasero uccisi nella ressa il 6 settembre”. “Il commissario alle gallerie, ing. Giacomini, aveva allestito agli sbocchi cucine di fortuna, con improvvisati giganteschi fornelli dove povera gente si presentava, come in un campo di prigionieri, con scodelle, recipienti d’ogni specie a ricevere la razione di minestra, previo acquisto di un buono che costava 6 lire; né la minestra veniva fatta mancare a chi non aveva le 6 lire”. Ai primi di settembre la situazione si fece addirittura caotica perché in alcune zone del territorio cominciarono a piovere le granate dei tiri incrociati e nella massa dei concittadini e dei profughi veniva ingenerandosi il panico. Tutti volevano andare a rifugiarsi nelle gallerie ormai traboccanti, la cui situazione diveniva di giorno in giorno più insostenibile… Il commissario Giacomini dichiarava di non essere più in grado di controllare la situazione, né di garantire l’approvvigionamento di così grande marea di gente, né di poter assicurare l’igiene e la moralità. In autunno, dopo il passaggio del fronte scoppierà a San Marino una epidemia di tifo. Eppure San Marino ce la farà mercè anche l’energia del Commissario ai Trasporti, l’avv. Lonfernini. Alla mancanza d’energia elettrica si sopperisce con il lavoro delle braccia; si rimettono in funzione i vecchi forni a legna, si macina con disusati mulini ad acqua, si formano squadre di operai che fanno il pane a turno, si trasportano grano, farina e pane su carri tirati da buoi. Le razioni calano a 50 grammi quotidiani di pane. Quando gli ultimi malati riminesi, ospitati fino ad allora nell’improvvisato ospedale del colle di Covignano, vengono trasportati a San Marino sotto l’imperversare della bufera di cannonate, San Marino ancora una volta non dice di no a quelle innocenti vittime sofferenti e le sistema, requisendo i due piani superiori dell’Orfanotrofio Femminile. Il passaggio del fronte fu una vera calamità: 138 sammarinesi e italiani perirono sotto le cannonate (15 sulle mine tedesche) mentre i danni materiali furono calcolati in 740 milioni di lire (quando la carne costava meno di 100 lire al chilo e la pasta neanche 20). Scrive ancora il Reggente Balsimelli: “Le necessità della guerra non valgono a giustificare il grande scempio che si è fatto delle vite e delle case ma a noi non rimane che la voce della protesta, anche se questa ha la forza di una voce di chi implora nel deserto, purché l’eco di questa si ripercuota nei secoli. La piccola Repubblica, ritenuta asilo sicuro per tante e tante migliaia e migliaia di profughi, che come naufraghi si erano arrampicati su questo scoglio ignari che non avrebbe resistito all’impeto dei marosi, è stata inesorabilmente travolta…”. No, la piccola repubblica della libertà non è stata travolta dalla guerra, ne è risultata invece vincitrice. E ci piace concludere con le parole di mons. Montini, il futuro Papa Paolo VI, che il 23 ottobre ‘44 scriveva sull’Osservatore Romano: “Soltanto la coscienza civile può oggi apprezzare il sacrificio di un piccolo popolo che si affama per contribuire a sfamare; che raccoglie i perseguitati della guerra senza discriminazione come non conosce discriminazione la sventura”.
Giuseppe Rossi, presidente Commissione Nazionale Sammarinese dell’UNESCO
Rossi: Al centro di tutto quanto è avvenuto a San Marino, occorre collocare la figura del professor Balsimelli. Egli ripeteva sempre queste due parole: prudenza e accortezza. E furono le parole alle quali lui ispirò la sua azione di governo in quel periodo terribile per il nostro Paese. Egli aveva vivo il senso della tragedia che incombeva su tutti indistintamente e sulla fragilità della nostra repubblica, se paragonata alle grandi forze militari che si stavano scatenando e che si apprestavano all’ultimo scontro.
C’era la consapevolezza degli immensi rischi che il nostro paese correva, quello di essere cancellato totalmente dalla carta geografica. Accanto a questo gli immensi costi dell’operazione che si stava svolgendo ai quali la Repubblica non era certo preparata. È qui il vero valore di quanto noi abbiamo vissuto quell’anno difendendo la nostra neutralità e il diritto di asilo, da sempre irrinunciabile per il nostro paese. In questo modo fu rispettato il diritto delle genti e fu rispettata la esigenza vitale di tutti i cittadini e di tutti i forensi ai quali venne offerta la possibilità di sopravvivere. Da parte dei due capitani reggenti, Balsimelli e Valentini, fu costante l’opera per frenare gli animi. Ricordiamoci che San Marino si trovava sì tra due grandi eserciti, ma anche fra ideologie di carattere totalmente opposto che stavano scatenando le loro forze e che anche nella pacifica repubblica avrebbero potuto creare delle situazioni irrimediabili. L’opera del governo e dei capitani reggenti fu volta a trattenere, a persuadere e anche ad isolare gli estremismi quali si affacciavano di volta in volta, un’azione non facile in un paese dove costantemente giungevano nuovi esuli, il cui cuore e il cui pensiero nessuno di noi conosceva. Questo è stato lo sforzo, teso a rendere possibile la collaborazione di tutti quanti.
Questo senso della tragedia lo abbiamo sentito riemergere il 26 giugno scorso quando in San Marino è stato commemorato il cinquantenario del bombardamento. Gli oratori che si sono alternati alla tribuna accanto alle voci dei sammarinesi che vissero quei giorni hanno dato una precisa umanissima dimensione della situazione della repubblica di allora. Non posso non ricordare come accanto a noi sammarinesi vi furono molti riminesi ad affrontare questa eventualità così tragica. Il giorno in cui i tedeschi fecero saltare l’impianto elettrico alcuni riminesi scesero a prelevare da un grosso barcone un motore, lo portarono a San Marino e misero in funzione un gruppo elettrogeno con cui si poté continuare a macinare il grano e a produrre quella farina con la quale si alimentarono i cittadini e i forensi. Sarebbero tanti altri i fatti e i nomi da ricordare. Dopo cinquant’anni è ancora viva la riconoscenza per tutti i riminesi che, venendo in San Marino, stando con noi arricchirono in maniera straordinaria la nostra vita culturale, tanto che quelli che erano due popoli divennero una sola città.
Gabriele Gatti, segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino
Gatti: Io devo veramente ringraziare il Meeting che ha dedicato questo pomeriggio a ricordare uno dei momenti più alti della storia della Repubblica di San Marino attraverso il quale emerge il valore di questa entità anomala che ha sempre posto al di sopra di tutto il valore della libertà. Accanto a tutto questo c’è sempre stato in San Marino un senso profondo della solidarietà, dell’essere coerenti con i valori. Credo che questo sia uno degli aspetti che in passato ha saputo mantenere intatta la sovranità di San Marino.
Cosa può insegnarci il ricordo di questo avvenimento? Innanzitutto io credo che la Repubblica di San Marino non debba mai dimenticare le sue radici, le motivazioni forti e ideali che l’hanno saputa mantenere sovrana. In secondo luogo tale avvenimento ci pone un grave interrogativo: allora i sammarinesi furono disposti a togliere di bocca il pane ai propri figli per sfamare altre persone sconosciute. Oggi San Marino è un paese dove il benessere è largamente diffuso: saremmo ancora in grado di un gesto di solidarietà pagando di persona?
San Marino negli ultimi anni si è completamente inserito sulla scena internazionale: è membro delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa, ma accanto a questo noi dobbiamo essere consapevoli che viviamo in una realtà che è quella dell’Italia Centrale, che è quella che confina con Rimini, con realtà importanti con le quali dobbiamo collaborare perché la Repubblica di San Marino è pienamente sovrana, però può costituire un elemento dello sviluppo economico di questa regione. Basta pensare a cosa vuol dire per il turismo essere vicini alla riviera romagnola. Molte altre iniziative possono trovare nella sovranità di San Marino e nel bacino ampio di questa regione grosse opportunità.
Dico questo partendo da quel momento in cui c’è stata questa solidarietà spontanea. Ci sono stati sicuramente anche allora gli interventi dello Stato, ma le cose grosse importanti prima di tutto partono dalla coscienza della gente che può creare i grandi avvenimenti. Non è stato allora il governo di San Marino a decidere di ospitare 100 mila rifugiati, ma la gente che spontaneamente ha fatto una grande cosa.