LAVORARE NEL TEMPO DELLA CRISI. DAL POSTO AL PERCORSO

UN CAFFÈ CON… Stefano Colli-Lanzi, Presidente e CEO Gi Group. Introduce Francesco Liuzzi, Docente Scuola di Impresa della Fondazione per la Sussidiarietà.

 

FRANCESCO LIUZZI:
Benvenuti all’ormai consueto appuntamento: Un caffè con… L’ospite di oggi è Stefano Colli-Lanzi, fondatore e Presidente di Gi Group, quindi abbiamo qui con noi presente ancora una volta un imprenditore, dando seguito a quella che sta diventando ormai una tradizione di questi incontri, di farci accompagnare da alcuni stimoli che emergono dall’ultima Enciclica. Partirei oggi, dal fatto che l’Enciclica dice, ad un certo punto che: “L’imprenditorialità, prima ancora di avere un significato professionale, ha un significato umano”. La frase ha colpito molti di noi, e quindi chiederei a Stefano Colli-Lanzi, oltre che di presentarsi più nel dettaglio, di partire da qui per dirci un po’, per cominciare, come è andata per lui questa storia di imprenditorialità. Grazie.

STEFANO COLLI-LANZI:
Grazie. Allora, innanzitutto il ringraziamento a chi, invitandomi, mi ha strappato dalla dimenticanza delle vacanze in Sardegna e mi ha riportato sulla Terra, costringendomi a riflettere su quella che è la mia esperienza normale, quotidiana, perché parlare dell’essere imprenditore – sono 12 anni che faccio questo mestiere – è qualcosa che mi riguarda da mattina a sera, appunto, quanto meno da 12 anni. Però, malgrado questo, non è mai scontato il fatto che dal vivere si passi a una riflessione su ciò che si fa e si vive, ad un giudizio. Per cui devo dire che queste occasioni sono importanti per rendersi conto di quello che si fa. Comunque velocemente, in questi 12 anni abbiamo vissuto una avventura imprenditoriale sicuramente interessante, forse particolarmente interessante. Noi ci occupiamo di lavoro temporaneo, di lavoro interinale, poi di fatto la Gi Group, che è la società che è nata 12 anni fa, è diventata un’agenzia per il lavoro a tutto tondo in Italia, si occupa di tutti servizi legati al mercato del lavoro, quindi non solo lavoro temporaneo, ma anche ricerca e selezione, supporto alla ricollocazione, formazione, consulenza in campo di risorse umane eccetera. Quello che è successo in questi 12 anni, è che siamo nati come una piccolissima azienda, probabilmente pensati anche come una micro-azienda, e siamo diventati in Italia il terzo gruppo del mercato, dopo due grandissime multinazionali, che erano partite con mezzi ben superiori ai nostri.

FRANCESCO LIUZZI:
Abbiamo dei microfoni, chi ha voglia di parlare alzi la mano, la tradizione del “caffè con..” è che la cosa avviene in maniera molto domestica e colloquiale, quindi facciamolo senza reticenze. Prego.

DOMANDA:
Io volevo approfondire la questione che hai detto, e cioè che hai deciso di prendere un bambino in affido. Io mi occupo e gestisco un’impresa, è un lavoro che mi appassiona tantissimo, a volte corro il rischio di cadere nell’idolo, cioè un’esperienza totalizzante, e proprio per questo ho bisogno di essere richiamato. Sono proprio interessato, sono proprio curioso, perché questa è l’obiezione che io ho sempre posto a mia moglie: io sono diventato amministratore delegato e legale rappresentante di un’impresa partendo da manovale, ho fatto proprio tutta la gavetta, mi sono diplomato, poi in famiglia c’era bisogno di soldi, figlio unico, ho iniziato ad andare in cantiere, poi la passione mi ha preso, nel frattempo avevo vinto dei concorsi, sono rimasto dentro a quello che avevo incontrato perché mi corrispondeva, nonostante tutti gli amici mi dicessero di lasciar stare, di andare… Ultimamente ho avuto una grossa proposta da parte di un’impresa multinazionale per diventare il Direttore Generale Italia per il loro settore, ho deciso di rifiutare, perché un anno fa la mia impiegata è venuta in ufficio da me e mi ha detto: “Devo comperare la casa, cosa faccio?”. Io ho detto: “Se il buon Dio me ne concederà la forza, ho intenzione di lavorare per i prossimi 30 anni, stia tranquilla, non c’è problema”. Dopo poco mi fanno questa proposta, però se io avessi accettato, i miei soci avrebbero venduto l’azienda e chi ci avrebbe acquistato avrebbe lasciato a casa tutti gli impiegati. Allora ho giudicato con mia moglie e ho deciso di rimanere lì. Adesso non so se ho fatto bene o male, perché la crisi è arrivata anche da noi, ma la questione del figlio, del bambino in affido, mi incuriosisce…

STEFANO COLLI-LANZI:
Una bella domanda, grazie. Intanto sono io che rimango stupito di quello che racconti tu, nel senso che, che ci sia la possibilità di prendere decisioni come quelle che tu prendi, fa capire che cosa vuol dire, mi sembra, mi fa capire di più che cosa vuol dire stare di fronte alla realtà. Noi non siamo soddisfatti quando facciamo quello che abbiamo in mente, ma siamo soddisfatti quando ci rendiamo compartecipi del progetto di Dio. Quindi il fatto che non si vada a cambiare lavoro come tutte le riviste, tutti gli opinion leader direbbero – se hai una proposta del genere devi per forza andare – si decida di non farlo per tener conto di altri fattori, secondo me è una cosa da cui si impara quale può essere un criterio, poi sarai tu, avrai tu giudicato, appunto tu con tua moglie, l’opportunità della cosa evidentemente, perché non è che… neanche questo può essere uno schema al contrario. Questa stessa cosa te la dico rispetto a un figlio, nel senso che…guarda, io sono rimasto colpito, sono diventato amico di alcune persone della Cometa e sono diventato amico loro, hanno centinaia, decine di bambini in affido, non mi sono mai sentito in dovere di prendere nessun bambino in affido perché ero amico loro, anzi. Il fatto del bambino in affido dipende dalle occasioni che hai, dalla domanda che hai, dal desiderio che hai, tu, tua moglie, la tua famiglia, eccetera, eccetera. La cosa secondo me fondamentale è che non ci sia un’immagine, che non ci sia un pregiudizio che blocchi una dinamica umana, cioè se accade qualcosa per cui tu ti rendi conto che può essere interessante per te quello sviluppo, è fondamentale che non ci sia un pregiudizio che si opponga, perché il fatto di dire: “Siccome lavoro, allora…” è un pregiudizio, vediamo, vediamo, guardiamo. Te lo dico su un altro aspetto. Dopo che ne abbiamo preso uno, ne abbiamo presi altri due dopo tre anni – di bambini in affido, quindi sono tre. Io ero indeciso, veramente indeciso questa volta, a parte la crisi. Perché ero indeciso? Perché avevo paura che si incasinasse tutta la vita familiare, cioè una vita familiare che funziona, ne prendi altri due, vien fuori un macello. Ecco, la cosa che mi ha mosso è stato incontrare una persona che, raccontandomi un’altra cosa, diceva: “C’è più possibilità che tu perda quello che hai adesso bloccandolo lì, cercando di tenerlo lì così come è, piuttosto che aprendoti e accettando quello che in questo momento ti sembra ti venga chiesto. Per me non c’è nessuno schema, uno può andare avanti a non avere figli in affido, ho detto questa cosa del figlio in affido per dire che può succedere di tutto e che è necessario tenere aperto l’orizzonte a 360 gradi. La cosa importante è che il lavoro rispetto a cui uno si dedica 360 giorni all’anno non diventi a sua volta una tomba, non diventi uno schema. E chi ti aiuta in questo? Beh, a me ha aiutato sicuramente molto mia moglie, mi hanno aiutato certi amici, mi hanno aiutato delle persone, mi ha aiutato nella fattispecie un prete che ho conosciuto in Perù, che ho rivisto in una vacanza per caso,… ti aiutano delle persone che sostengono il tuo desiderio, non permettendo al tuo desiderio di essere rattrappito e chiuso dentro uno schema – poi dopo quello che deve succedere, succede.

FRANCESCO LIUZZI:
Domande? Mi sembra che ci sia uno spazio interessante per porre degli stimoli e degli spunti.

DOMANDA:
Io mi candido per fare una domanda. Uno dei temi che avevamo nell’aria era questo concetto dal posto al percorso. A me sembra che quello che tu hai raccontato ci aiuti molto ad avere una risposta, però, adesso tu dicevi, molte delle riviste di settore davanti a una possibilità come quella che è stata prospettata dal nostro amico dicono una certa cosa, cioè è quasi naturale che uno scelga, è quasi obbligatorio vivere i propri passaggi personali dentro una certa logica. Allora io volevo capire che cosa vuol dire questa dialettica posto-percorso e che cosa vuol dire per uno costruire un percorso, sia per l’esperienza tua sia per il lavoro che fai che è anche un punto di osservazione privilegiato rispetto alle dinamiche del mercato del lavoro.

STEFANO COLLI-LANZI:
Intanto, rispetto al lavoro, a me sembra che le cose ci siamo detti oggi riguardino non solo l’imprenditore, ma mi sembra che riguardino qualsiasi lavoro. Il lavoro è per una costruzione, qualunque lavoro, no? Ieri eravamo al ristorante, c’è mia moglie che chiede un bicchiere e il cameriere la guarda, non risponde e va; pensava non avesse sentito, allora ripassa, “Scusi, mi può portare un bicchiere?”, la guarda, prende, gira e va; dice: “Forse è albanese, non so, non capisce l’italiano”; ripassa e dice: “Scusi, capisce l’italiano? Vorrei un bicchiere”, questo fa finta di niente, poi si gira verso l’altra cameriera e dice: “Vai tu, è tuo il tavolo”, e si mette a parlare con un amico fuori. Ecco, questo è il posto di lavoro, il posto di lavoro. Ma chi ci rimette, adesso, a parte tutto? Ci rimette tutto il mondo, perché una posizione del genere rende brutto tutto il mondo, no? Ma il primo a rimetterci è quel tizio lì, che non fa l’esperienza di che cosa possa voler dire una costruttività, una utilità nel servire, nel rendersi disponibile, anche se la regola probabilmente diceva che quel tavolo non era sotto la sua competenza ed era sotto la competenza di chissà chi. Qui secondo me la questione del lavoro nasce innanzitutto a questo livello, cioè parte da una tematica di significato del lavoro, da una tematica educativa che sottostà alla ricostruzione di un significato del lavoro. Detto questo l’evoluzione del nostro sistema economico fa sì che le aziende rispetto a vent’anni, trent’anni fa, in cui c’era un trend molto più stabile di crescita, molto più consistente, eccetera, eccetera, abbiano necessità di molta maggiore flessibilità, e dall’altra parte le persone non si accontentano di avere un lavoro per quarant’anni, far sempre la stessa cos, uno che fa l’amministrativo, si diverte molto di più a fare l’amministrativo in 5, 6, 7 imprese diverse, facendo cose diverse piuttosto che lavorare quarant’anni nella stessa azienda, facendo le stesse cose, questo anche per gli stimoli che vengono, eccetera. Allora, che cosa è che rende difficile che ciò che è bene per l’azienda ed è bene per la persona non si realizzi? È il non funzionamento del mercato del lavoro, se il mercato del lavoro non funziona, uno è costretto a stare lì dove è e l’azienda è costretta a tenerselo. Il fatto che si cominci a far funzionare meglio il mercato del lavoro aiuta questo dinamismo e, devo dire che la legge tre prima e la legge Biagi dopo, con l’introduzione degli intermediari, di cui noi siamo espressione, di soggetti che sono dedicati a far funzionare l’incontro tra domanda e offerta, aiutano moltissimo la praticabilità del percorso rispetto al posto. In che senso? Nel senso che, da una parte per favorire il percorso bisogna che cresca l’occupabilità, cioè la possibilità, la facilità a trovare lavoro; se non c’è un mercato, se non ci sono intermediari, diventa più difficile trovare lavoro, diventa più difficile cambiare, se invece è più facile cambiare, è più facile trovare opportunità, ci sono più opportunità, eccetera, eccetera, diventa più facile concepire la propria traiettoria come un percorso e non come un posto fisso, da una parte. Dall’altra parte l’adattabilità, cioè l’importanza di favorire attività come la formazione, come l’orientamento, eccetera, che aiuti le persone anche a cambiare, ad arricchire, a modificare i propri percorsi, e a non essere solo incanalati dentro un tubo stretto. E terzo, l’imprenditorialità, cioè il fatto che la persona viva il lavoro come una cosa sua, non è che uno vive il lavoro come una cosa sua solo se ha l’impresa sua, cioè il fatto che l’impresa sia mia, caso mai fa cambiare i livelli di decisione, di delega, di responsabilità, di governance, ma non è che funziona di più perché è mio il capitale. Quando io sono impegnato a rendere più funzionante il lavoro temporaneo della mia azienda, lo sono perché è il mio lavoro, che io poi sia proprietario, sia dipendente, è la stessa cosa, e quindi questo è un problema di mentalità. Secondo me l’evoluzione degli intermediari del lavoro, del mercato del lavoro, sta aiutando moltissimo, può aiutare moltissimo in questo passaggio al percorso, perché le persone si trovano ad avere degli interlocutori che possono aiutare, possono supportare. Addirittura si pensi, per esempio, con lo staff leasing, è possibile pensare ad un rapporto di lavoro stabile con l’agenzia per il lavoro, che poi ti manda in missione su posti diversi. Quindi stabilizzare il rapporto di lavoro dal punto di vista della certezza di una continuità, che uno non sia in balia dell’incertezza, della precarizzazione tra virgolette, nello stesso tempo avere la possibilità di sviluppare competenze, utilità, eccetera, eccetera, non facendo sempre la stessa cosa.

FRANCESCO LIUZZI:
Abbiamo ancora qualche frammento di tempo. C’è una domanda là.

DOMANDA:
Grazie molto del discorso. Sono arrivato un po’ in ritardo quindi ho perso i primi 15 minuti, magari rifaccio una domanda che lei ha già spiegato precedentemente. Io lavoro per un istituto di ricerca che si focalizza sul senso della persona, il posto della persona al lavoro. Noi lanciamo sempre critiche quando c’è un peggioramento nei servizi verso i clienti, perché è un segno che magari o i dipendenti non si sentono titolari del loro lavoro, o non si sentono responsabili verso i loro contratti o verso il datore di lavoro, ma innanzitutto, dal punto di vista cristiano cattolico, lanciamo la critica che c’è una crisi di tipo personalista, che quando un cliente entra nel mio negozio, non lo riguardo come una persona. Posso fare un esempio banale: se io entro in un negozio della Vodafone, l’addetto al banco è in attesa al telefono, non mi risponde quando entro nel negozio, non mi dà nessun segno di vita, però una persona che è proprio sensibile alla persona, già all’atto pratico, mette in attesa con chi sta parlando e dice: “Un attimo, poi ci risentiamo. Che bisogno ha lei?”. In che senso lei crede che questo terzo fattore di un peggioramento del servizio verso il cliente sia vero? C’è una crisi proprio culturale in questo senso, o problemi di contratti, o problemi di autostima, rispetto verso il datore di lavoro,…

STEFANO COLLI-LANZI:
Io vedo all’interno della nostra azienda che c’è una tendenza fortissima a ritenere che si lavori per qualsiasi motivo tranne per quello che si sta facendo, come se tutto quello che si fa fosse in fondo un pretesto, senza nessun valore. Questo è un principio da contestare. Come fai a contestarlo? Contestandolo continuamente. Purtroppo, come dicevo prima, il primo che deve cambiare su questo sono io, perché è una tendenza che prende tutti, però è proprio un fatto di educazione, ma di educazione nel senso profondo del termine. Quindi, per esempio, insistiamo continuamente nel riprendere queste tematiche tra di noi, eccetera, eccetera, perché ciò che giudica, ciò che giudichi all’interno dell’azienda, il valore di ciò che facciamo è il servizio che diamo, innanzitutto, cioè quanto le persone sono soddisfatte o meno. Tutte le volte che arriva una mail di qualcuno che è insoddisfatto, la faccio girare a tutti, diventa il centro di tutto, ci sono i miei capi area che dicono: “Ma cosa vuoi? Cosa conta questo qua?”. Uno che si lamenta conta come se si lamentassero in cento, allora dobbiamo fare i conti con quello. Perché quello lì si lamenta? Perché…poi, dopo, meglio che si lamenti uno che cento, ovviamente,…questa è una cosa su cui bisogna essere anche pazienti, va ricostruito un contesto di significato, e questo passa attraverso delle dinamiche educative che hanno il tempo dell’educazione, non si possono fare proclami e mettere valori sui muri, eccetera, eccetera, e ottenere lo scopo. Però io dico che la mia esperienza dice che in 12 anni io ho avuto un sacco di riscontri del fatto che questo tipo di posizione ha cominciato a cambiare, tanto è vero che c’è stato un riscontro, ci sono stati vari riscontri in senso opposto, allora, contenti di questi riscontri, andiamo avanti.

FRANCESCO LIUZZI:
Io nel ringraziare Stefano Colli-Lanzi, moltissimo della generosità con cui ha voluto raccontarsi, raccontarci e comunicare quello che è l’esperienza che sta facendo, facendo l’imprenditore, volevo solo dire una cosa. Io sono partito quest’estate, per prepararmi, leggendo l’enciclica con cui stiamo un po’ contrappuntando gli incontri di questo ciclo, e alcuni dei passaggi dell’enciclica mi sembravano vertiginosi, ad esempio quelli che abbiamo poi citato in questi gironi, l’idea che la gratuità è una dimensione dell’azione economica, l’idea che investire è un atto umano ancora prima che essere un atto tecnico, l’idea che imprenditorialità è prima una dimensione umana, che neanche una professionale. Mi sembravano tutte cose straordinariamente affascinanti e vertiginose., Ora, questi quattro incontri, che ci sono stati fino ad oggi, hanno come fatto venire a galla, come documentato in maniera impressionante che le cose che l’enciclica esprime accadono nell’esperienza di persone nostre amiche. Quindi oggi ringraziamo Stefano Colli-Lanzi, perché direi che quello che ci ha raccontato e che ci ha trasmesso è perfettamente in linea con tutto questo, quindi lo ringraziamo di cuore, e noi ci diamo appuntamento a domani, stesso posto, stessa ora. L’incontro di domani è con Andrea Giussani e Ennio Doris. Quindi a domani, 13.45. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

27 Agosto 2009

Ora

13:45

Edizione

2009

Luogo

PAD. C1
Categoria
Focus