Chi siamo
INDUSTRIA 4.0: OPPORTUNITÀ E RISCHI
Industria 4.0: opportunità e rischi
Partecipano: Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, Fondatore e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Digital Innovation e Responsabile Scientifico degli Osservatori Agenda Digitale e Industria 4.0; Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Dallara; Giuseppe Ranalli, Amministratore Delegato di Tecnomatic Group. Introduce Bernhard Scholz, Presidente di Compagnia delle Opere.
BERNHARD SCHOLZ:
Bene, allora, buon pomeriggio a tutti e benvenuti all’incontro su “Industria 4.0”. E saluto in modo particolare Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, Fondatore e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Digital Innovation e Responsabile Scientifico degli Osservatori Agenda Digitale e Industria 4.0. Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Dallara da dieci anni, perché fino a dieci anni fa è stato il più giovane Presidente della IBM, Presidente Italia e Sud Europa, grazie. E Giuseppe Ranalli, Amministratore Delegato di Tecnomatic Group e Responsabile del polo Automotive Abruzzo.
Allora, io mi sono preparato una presentazione di 4.0, ma, essendo un tema molto molto complesso, sono felice che abbiamo un professore illuminato, che ci spiegherà di che cosa si tratta perché definire 4.0 non è facile; sappiamo solo che il termine è stato presentato la prima volta nel 2011 alla fiera di Hannover da alcuni manager tedeschi.
Perché?
Per dire che stiamo vivendo una trasformazione che ha un impatto come le grandi rivoluzioni industriali. La prima è l’invenzione della macchina a vapore, poi l’automazione dei processi industriali dal 1890 in poi, poi il collegamento tra il digitale e l’automazione alla fine degli anni ’60, inizio anni ’70 e poi siamo curiosi di sapere cosa succede.
Ho tenuto molto a questo incontro perché è un tema decisamente importante per lo sviluppo economico anche per i cambiamenti culturali e sociali che comporta, ma c’è una discussione abbastanza superficiale su questo tema. Ne parlano tanti e spesso ho l’impressione che non si sappia bene di che cosa stiamo parlando. Ci sono anche tante paure che perdiamo milioni di posti di lavoro, c’è una confusione anche nel concetto stesso, si confondono tante cose, si mettono insieme intelligenza artificiale, processi produttivi, in un modo e in un altro. Quindi, questo incontro vuole, da un certo punto di vista, chiarire il concetto, parlare dell’impatto e portare due esperienze molto interessanti, di che cosa realmente sta succedendo nella nostra economia.
E, quindi, io passerei subito la parola ad Alessandro Perego, che ci presenta le sue riflessioni su questo tema. Dico subito che normalmente, mi tocca, giustamente, presentare le aziende degli ospiti. Questa volta non lo farò, lascio a loro stessi di presentare le loro imprese perché il modo con il quale presenteranno le loro imprese dirà già qualcosa dell’Industria 4.0. Grazie. Alessandro a te la parola.
ALESSANDRO PEREGO:
Allora, intanto buongiorno a tutti.
Come già ha anticipato Bernhard, il tema è un tema estremamente interessante, direi affascinante e allo stesso tempo un po’ inquietante. Il rischio è, quindi, di affrontarlo in modo veramente superficiale. Ci sono, a mio avviso, almeno tre posizioni che descrivono questo atteggiamento superficiale. Una sono quelli che minimizzano il fenomeno: “Non si tratta di una quarta rivoluzione industriale, in fin dei conti, si tratta semplicemente di una cosa che si fa da tantissimo tempo: l’automazione nelle fabbriche”. Quindi, coloro che minimizzano come se non ci fosse nulla di particolarmente straordinario nell’industria 4.0. Un secondo atteggiamento è quello degli ottimisti, quelli che in modo superficiale, forse senza aver adeguatamente approfondito, credono nel progresso e, quindi, guardano solo agli aspetti positivi di questo tipo di trasformazione. Il terzo atteggiamento, altrettanto superficiale, è quello, invece, dei pessimisti per definizione, quelli che hanno paura, essenzialmente. Quindi si va dalla posizione “i robot ci ruberanno i posti di lavoro” alle posizioni ancora più estreme del tipo “i robot, le macchine ci domineranno”. Ecco, ovviamente la posizione più corretta è quella di un realismo che riesca a entrare in profondità all’interno del fenomeno e, quindi, sia capace di valorizzare gli aspetti positivi, ma nel contempo anche evidenziare gli elementi di rischio. Benissimo, allora, di cosa stiamo parlando?
Allora, io ho preparato una breve presentazione che ha tre elementi sostanziali: un primo elemento è chiarire che cosa si intende per Industria 4.0; un secondo passaggio è quello che prova a chiarire un attimo la situazione in Italia dell’Industria 4.0 e un terzo passaggio è qualche suggestione, è qualche considerazione, sull’impatto che l’Industria 4.0 può avere sul lavoro, tema difficilissimo. Allora, iniziamo dalla definizione di Industria 4.0. Che sia la quarta rivoluzione industriale, cioè che il nome Industria 4.0 richiami il fatto che questa potrebbe essere la quarta rivoluzione industriale, l’ha già introdotto Scholz. Attenzione che la parola “rivoluzione” non deve trarre in inganno; tutte le rivoluzioni precedenti: quelle che sono state prima citate, non si sono manifestate in pochi anni, si sono manifestate in moltissimi decenni quindi sono fenomeni che non si possono guardare con l’orizzonte dei due anni, tre anni, cinque anni, dieci anni, ma neanche vent’anni. Tutte le rivoluzioni precedenti ci hanno messo decenni per mettere a terra il loro vero potenziale, quindi questo è l’orizzonte con cui bisogna guardare a questi fenomeni. Quindi la parola “rivoluzione” non deve trarre in inganno.
Secondo elemento fondamentale: che questa sia una quarta rivoluzione è tutto da vedere. I prodromi ci sono, ma saranno gli anni che vengono che dimostreranno se questa è veramente la quarta rivoluzione industriale. Benissimo, di cosa stiamo parlando? Questi sono gli elementi essenziali di questa Industria 4.0. L’idea di fondo dell’Industria 4.0 è il tema della interconnessione, cioè l’idea di fondo è quella di immaginare uno scenario di sistema produttivo in cui le principali risorse del sistema produttivo (quindi le persone, le macchine, gli impianti, le materie prime, i prodotti finiti, fino ad arrivare al consumatore finale) siano tra loro interconnessi. Quindi, la parola chiave – attenzione! – non è “automazione”, la parola chiave è “interconnessione”. È un’interconnessione che va a toccare non solo la fabbrica – perché un altro errore è confondere Industria 4.0 con l’automazione nella fabbrica – qui si parla di uno scenario in cui la fabbrica è un componente di un sistema decisamente più ampio, che esce dalla fabbrica, abbraccia il sistema logistico distributivo e abbraccia quella che si chiama la supply chain, cioè tutto quell’insieme di attori che creano valore all’interno del sistema, fino ad arrivare al consumatore finale e toccando molti processi che non sono solo il processo di fabbricazione del prodotto, ma sono il processo di sviluppo di nuovi prodotti, di fabbricazione, i processi di distribuzioni, i processi di assistenza post-vendita, i processi di marketing in relazione con il consumatore. Quindi l’idea di fondo è interconnessione tra le principali risorse produttive lungo diverse dimensioni. E tutto questo grazie a che cosa? Grazie alla convergenza di due diverse tipologie di tecnologie: da una parte l’evoluzione delle tecnologie proprie del contesto produttivo, di cui qui ho riportato alcune suggestioni, robot collaborativi, cioè robot capaci di collaborare con gli uomini. Seconda suggestione: nuove interfacce uomo-macchina, che rendono l’interazione dell’uomo, dell’operaio con la macchina più potente, più profonda.
Terza suggestione: la cosiddetta manifattura additiva, la cosiddetta stampa tridimensionale, quindi la capacità di produrre prodotti non per sottrazione di materiale, ma per addizione, per materiale. Ecco, la convergenza dell’evoluzione lungo queste tecnologie, che chiamiamo Operational Technologies, con le tecnologie, invece dell’informazione, della comunicazione che arrivano qui dal mondo consumer, che molto sviluppato nel mondo consumer stanno penetrando i confini della fabbrica e della supply chain. Queste tecnologie qui vi ho riportato le tre categorie principali: da una parte il mondo Cloud, che consente di disporre di risorse di calcolo, di risorse software anche se non le si ha in casa, perché le si trova nella nuvola; le tecnologie cosiddette dell’”Internet delle cose” o “Internet of things”, in cui gli oggetti, i macchinari, le persone sono dotati di sensori capaci di identificare gli oggetti, capaci di misurare parametri di funzionamento (lo stato, l’attività degli oggetti) e trasferire queste informazioni a uno strato successivo che viene chiamato il Big Data Analytics, la capacità poi di estrarre conoscenza da tutta questa mole enorme di informazioni.
Ecco, è la convergenza di tutto questo insieme di tecnologie e la riduzione dei costi associati che rende possibile quella che chiamiamo Industria 4.0, quindi l’interconnessione tra le principali risorse del sistema produttivo. E, quindi, quello che ne emerge sostanzialmente è una suggestione che potrei provare a raccontarvi così, anche se poi gli esempi successivi secondo me la chiariranno molto di più. Immaginatevi, quindi, un sistema produttivo, distributivo, una supply chain, in cui le principali risorse produttive (uomini, macchine, prodotti) sono tutte dotate di sensori, capaci quindi di localizzare le persone, di misurarne lo stato, le attività, trasferire tutte queste informazioni a uno strato di Big Data Analytics, che è capace di astrarre conoscenza da questi dati. Per fare che cosa? Per migliorare le prestazioni del sistema dal punto di vista della capacità produttiva, dal punto di vista dell’efficienza, dal punto di vista della sicurezza, dal punto di vista della continuità di funzionamento. Immaginate un sistema in cui le persone siano potenziate nella loro capacità di interagire con le altre risorse produttive, con nuove interfacce uomo-macchina o con robot di tipo collaborativo. Immaginate che tutte queste informazioni siano utilizzate per migliorare i processi, non solo il processo produttivo, anzi non necessariamente in prima battuta il processo produttivo. Immaginate che siano informazioni sull’utilizzo dei prodotti presso i consumatori finali che retrocedono per alimentare lo sviluppo di nuovi prodotti.
Ecco, questo è un po’ lo scenario, la suggestione, che sta dietro la parola Industria 4.0. Le potenzialità per essere una rivoluzione, con tutta onestà, ci sono tutte, perché questo insieme di tecnologie, applicato al sistema che vi ho appena descritto, può non solo migliorare la produttività del lavoro, quindi continuare un cammino a onor del vero già iniziato da molte decine di anni che è quello di sostituire alcune attività umane, quelle che l’uomo non fa bene o quelle che sono insicure, con nuova automazione, migliorando quindi la produttività del lavoro, ma di agire anche su altri elementi che lì sono richiamati. Ad esempio, la produttività delle altre risorse del sistema produttivo, per esempio consumare meno materia prima, per esempio gestire meglio la manutenzione dei prodotti e, quindi, il ciclo di vita dei prodotti, abilitare nuovi modelli di business (ad esempio modelli di economia circolare, in cui si riutilizzano risorse), modelli di sharing economy (qui si aumenta il tasso di utilizzo delle risorse grazie a modelli di condivisione). Insomma, le potenzialità perché questa sia veramente una quarta rivoluzione industriale ci sono. È un po’ tutto da dimostrare, evidentemente, ma vedremo nei prossimi anni.
Benissimo, chiarito questo vediamo qualche cosa sulla situazione italiana. Intanto qualche elemento di contesto: ricordiamo che l’Italia è il secondo Paese europeo in quanto a produzione industriale, dopo la Germania, ottavo o nono a livello mondiale. Per l’Italia l’industria è fondamentale, quindi, quando parliamo di Industria 4.0 dobbiamo associare a questa parola una chiara idea che per l’Italia l’industria è importantissima. L’automobile, l’alimentare, il tessile-abbigliamento-calzaturiero, immaginiamo tutto il mondo dell’arredamento, immaginiamo l’aerospazio, immaginiamo il navale, immaginiamo il chimico-farmaceutico, immaginiamo la grande ingegneria, grandi opere di ingegneria – ne ho dimenticate sicuramente delle altre –, immaginiamo alcune nicchie in cui l’Italia è leader mondiale (pensate alle piastrelle, pensate agli occhiali, pensate alle macchine da caffè), ho dimenticato sicuramente tutto il mondo di macchine e impianti per la produzione, di cui l’Italia è uno dei leader mondiali. Quindi, dietro la parola “industria” c’è una parte del cuore pulsante del Paese. Il dato per cui l’industria in Italia pesa il 16% del PIL è fuorviante perché l’industria pesa il 16% del PIL, ma molti servizi sono in Italia associati all’industria, non ci sarebbero se non ci fosse l’industria all’interno del Paese. Quindi, primo elemento di contesto: l’industria è importante per il nostro Paese. Dei 500 miliardi di export che facciamo una buona parte, è legata all’industria, quindi stiamo parlando di un elemento fondamentale per il Paese. Bene, vi porto due o tre elementi che derivano da un nostro osservatorio Industria 4.0 al Politecnico, in cui abbiamo intervistato moltissimi manager aziendali d’industrie medio-grandi. La cosa interessante che emerge è la seguente: primo, in quest’anno e mezzo in cui si parla di Industria 4.0 è enormemente cresciuta la conoscenza del fenomeno. Confrontando i dati del 2016 con quelli del 2017, vediamo che la percentuale di coloro che dichiaravano di non conoscere assolutamente di cosa si stesse parlando con Industria 4.0 è scesa da circa il 40% a meno del 10%. Quindi uno sforzo importante fatto dal governo in prima battuta, fatto dall’industria, fatto dai centri di ricerca, fatto dal sindacato, molto attento al tema solo uno sforzo corale ha portato finalmente maggiore conoscenza sull’argomento e questo è un primo pezzo di partita, diciamo così, non vinta, ma indirizzata nella direzione corretta.
Secondo elemento informativo: abbiamo trovato, in queste circa 250 imprese che abbiamo studiato, oltre 800 applicazioni. Quindi, non stiamo parlando di un fenomeno sulla carta, stiamo parlando di un una trasformazione digitale. Già sono nate almeno tre/quattro applicazioni all’interno di ciascuna delle aziende che abbiamo esaminato; quindi siamo già in azione sul tema Industria 4.0, e questa è una bella notizia. Poi in quella slide sono indicate anche le due aree in cui c’è maggiore intensità di applicazione che è quella di applicazioni legata al binomio “Internet delle cose” – Big Data Analytics, che sono un po’ i due elementi di novità principali che arrivano più dal mondo consumer e che stanno entrando, come vi dicevo, all’interno dell’industria.
Altro elemento fondamentale: il valore complessivo del mercato. Sono circa 1,7 miliardi di euro nell’anno 2016, il che significa che sono stati fatti quel valore di investimenti in tecnologie legate all’Industria 4.0, tecnologie specifiche, legate all’ Industria 4.0. E questo è un numero importante che dice di una riattivazione, di un ciclo d’investimento all’interno dell’industria che si era un po’ interrotto negli anni precedenti e che poi dietro di sé trascina anche investimenti in tecnologie che non sono 4.0, magari sono tecnologie abilitanti il 4.0, ma questa è una notizia estremamente importante. Dopodiché le due aree più importanti sono, come vi dicevo prima, l’”Internet delle cose” e il Big Data Analytics, ma questo è un dettaglio eccessivo per questa trattazione. Quindi, in sintesi, l’industria finalmente è stata rimessa al centro della politica del Paese, elemento fondamentale. La conoscenza del binomio “Internet delle cose” – Big Data Analytics è molto cresciuta, ci sono già moltissime applicazioni in essere. Grazie anche al piano d’incentivi di governo, è ripartito un ciclo di investimenti importante che va sostenuto nei prossimi anni.
Terzo e ultimo passaggio: cosa diciamo del potenziale impatto sul lavoro. Questo è un tema delicatissimo quindi porto solo due o tre suggestioni e poi lascio approfondirlo al resto della discussione. Allora, prima cosa, dobbiamo riconoscere che un impatto sul lavoro c’è, ci potrà essere, è evidente. Questa matrice descrive le attività lavorative usando due dimensioni: uno, se sono attività tipo manuale o intellettuale; due, se sono attività ripetitive o non ripetitive. La colonna delle attività ripetitive sia manuali che intellettuali è una colonna le cui attività sono già state “aggredite” dalle rivoluzioni precedenti, cioè che le attività ripetitive, sia manuali che intellettive, siano automatizzabili, non è un elemento legato all’Industria 4.0, è un elemento legato agli ultimi 50 anni di sviluppo tecnologico, quindi non è quello l’elemento di novità.
L’elemento di novità che arriva dall’Industria 4.0 è che anche alcune delle attività che stanno nella colonna delle attività non ripetitive, sia manuali che intellettuali può essere automatizzato. Non esageriamo: l’intelligenza artificiale e alcuni degli sviluppi tecnologici in questa direzione sono importantissimi in questo momento, ma in questo momento quelli che chiamiamo “intelligenza artificiale”, o “robot”, sono molto bravi a fare attività molto specifiche. Quindi, a oggi, solo attività molto specifiche sono automatizzabili. I lavori in generale o le mansioni sono costituite da una interrelazione di molteplici attività elementari, quindi pochi lavori sono integralmente sostituibili dall’automazione. È vero, però, che componenti di attività sono sostituibili. È un bene o un male? Questa è la domanda di fondo.
Che ci sia un impatto è abbastanza evidente e questo genera sostanzialmente due tipi di domande: l’impatto di tipo quantitativo – quale sarà il bilancio di posti di lavoro? – e l’impatto di tipo qualitativo – che tipo di lavoro rimane all’uomo? Ora, dal punto di vista dell’impatto quantitativo, la faccio molto veloce perché ci sono state negli ultimi due anni diverse decine di lavori che hanno provato a stimare il bilancio dell’industria 4.0 in termini di posti di lavoro – più o meno – e i numeri che questi rapporti hanno evidenziato sono estremamente contrastanti. È evidente: sono tutti rapporti che sono stati molto bravi a stimare quanti posti di lavoro si possono perdere e invece è estremamente difficile, i risultati sono molto contrastanti, in relazione a quanti posti di lavoro si possono creare, ed è questo il vero elemento di complessità. E il bilancio dipende non solo da quanti lavori si perdono, ma soprattutto da quanti lavori nuovi si riescono a introdurre. Quindi, dal punto di vista del bilancio, non c’è una convergenza in questo momento di risposta. Invece tutti gli studi sono molto coerenti nel dire che ci sarà un’importante trasformazione del lavoro; certamente il lavoro cambierà, e cambierà a una significativa velocità. Questo è il punto di convergenza di tutti questi lavori. Allora, concentriamoci più sulla parte della trasformazione del lavoro e quindi della qualità del lavoro. Da questo punto di vista vi voglio dare due spunti tratti da due tra una ventina di libri molto interessanti che sono stati fatti in questi anni sul tema.
Il primo è quello che si chiama “The second machine age”. Questo libro fatto da due autori, Brynjolfsson e McAfee, è estremamente interessante perché evidenzia alcune cose. Primo: ci dice e documenta molto bene che il tipo d’innovazione che abbiamo davanti, è un’innovazione che sta procedendo a una velocità vertiginosa. Le tecnologie di cui stiamo parlando loro le definiscono “tecnologie di tipo esponenziale e combinatorio”, cioè sono tecnologie che si autoalimentano in termini di capacità di innovazione. Quindi dobbiamo aspettarci un’accelerazione della velocità del cambiamento, non una riduzione. Questo in qualche modo ci dice che la velocità del cambiamento è significativa ma, cosa più interessante ancora, portano una serie di esempi per dimostrare come, almeno fino ad oggi, ci sia una forte complementarietà tra le capacità dell’uomo e la capacità delle macchine.
Quindi, dicono, è inutile combattere una battaglia contro le macchine (race against the machine), il vero punto è immaginare modalità di combinazione della capacità dell’uomo con la capacità delle macchine, paradigma che loro chiamano race with the machine – cioè correte, camminate con le macchine, non contro le macchine.
Secondo spunto è quello –ancora più interessante dal mio punto di vista- di questo autore, Nicholas Carr, il quale ha scritto un libro che si chiama “The glass cage”, la gabbia di cristallo. Lui pone tutta una serie di punti di vista per evidenziare un aspetto molto interessante che è: attenzione che – se nella storia dell’uomo la tecnologia è sempre stata vista come un aumento, un potenziamento delle capacità dell’uomo di conoscere e di penetrare la realtà, come un arricchimento del corpo o della mente dell’uomo – alcune delle tecnologie più recenti, e molte di quelle di cui stiamo parlando, rischiano invece di mettere l’uomo dentro una cosiddetta “gabbia di cristallo”, quindi di separarlo, in realtà, dalla realtà, di togliergli il gusto, e anche la capacità, di esperienza della realtà. Porta un numero significativo di esempi. Ne faccio solo uno per capirci: evidentemente il pilota di un aeroplano, ad oggi, è una persona che è molto meno capace di pilotare di quanto non lo fosse un pilota degli anni antecedenti, al punto che ad oggi viene il dubbio se in caso di pericolo sia opportuno ricedere i comandi dal pilota. La stessa cosa capiterà a noi quando arriveranno le macchine a giuda autonoma. Quindi il tema è: attenzione, queste ultime tecnologie di cui stiamo parlando ci mettono in una gabbia di cristallo, cioè ci tolgono il gusto dell’esperienza, ci allontanano dalla conoscenza, oppure, tutto sommato, le possiamo impiegare – come sempre tutte le tecnologie sono state impiegate – come degli utensili che aumentano la nostra capacità di penetrare la realtà? Ecco, questo è un po’ il tema di fondo che pone, molto intelligentemente, questo autore.
Queste ultime considerazioni – vado verso la fine – dicono che il lavoro certamente cambierà. Il modo in cui impiegare le tecnologie per fare evolvere il lavoro è un tema cruciale; da qui l’importanza della formazione. L’importanza della formazione è evidente: stiamo parlando di una delle variabili che ci consentirà di cavalcare o non cavalcare in modo corretto lo sviluppo delle tecnologie. Da questo punto di vista è fondamentale che nel piano governativo, oltre agli incentivi agli investimenti in automazione e in macchine, ci siano incentivi alla formazione. E questo mi pare aver capito essere una delle direzioni che Calenda e il Governo ha già annunciato per il prossimo anno. Chiudo sostanzialmente con la frase di Papa Francesco che, in occasione di una chiacchierata con i lavoratori all’Ilva di Genova di qualche mese fa, ha chiaramente detto in maniera sintetica, il tema di fondo.
Il tema di fondo è: c’è un progresso tecnologico importante. Attenzione a mettere l’uomo al centro di questo cambiamento e non viceversa, cioè, da che parte vogliamo andare? Vogliamo usare queste tecnologie per rendere ancora più arricchente il lavoro, oppure vogliamo usare queste tecnologie per allontanare una buona parte della popolazione, dei lavoratori dal gusto e dalla soddisfazione di lavorare? Grazie!
BERNHARD SCHOLZ:
Grazie Alessandro per questa descrizione molto densa, molto efficace, molto chiara, che ci dà tante informazioni, ma lascia anche aperte tante domande. Quindi cominciamo ad approfondire questo tema con l’esperienza di un’azienda media tipicamente italiana che lavora a livello mondiale sul tema dell’automazione. È un’azienda all’avanguardia nell’automotive verso l’elettrificazione, verso la guida autonoma. Parliamo di Tecnomatic, azienda Abruzzese, e passa la parola a Giuseppe Ranalli.
GIUSEPPE RANALLI:
Grazie! Anche se io dico sempre scherzosamente che la Tecnomatic, siccome è sopra una collina teramana in mezzo ai vigneti, fronte mare, noi siamo dei “metalmezzadri” – dico scherzosamente, perché siamo in mezzo alla campagna quindi…
Colgo subito una provocazione. Innanzitutto ringrazio il Professor Perego perché ha fatto un grande punto di chiarezza, introducendo anche a delle sfide. È interessante affrontare, porci delle domande con un quadro così, facendo chiarezza, perché ultimamente, negli ultimi due anni, c’è questa tendenza a rendere tutto slogan, a svuotare qualunque tipo di dialogo – che sia lavoro, che sia industria 4.0 – si riduce tutto svuotando del contenuto e non aiutando a capire, a prendere coscienza di quello che sta accadendo. Entro subito nel vivo perché noi come società d’ingegneria che realizza, progetta processi produttivi complessi nel settore automotive, e che in più ha sviluppato 200 brevetti negli ultimi dieci anni sui motori elettrici innovativi, stiamo vivendo questa sfida come produttori di tecnologie abilitanti 4.0 sia dal punto di vista di processo che di prodotto. Ed è interessante che quando io ascolto le polemiche paragono questo con quello che viviamo tutti i giorni. Innanzitutto è interessante che, negli ultimi quindici anni, con la delocalizzazione siano già stati bruciati in Europa milioni di posti di lavoro.
E perché si è andati nei Paesi low cost? Non tanto per il basso costo, perché, nelle previsioni industriali complesse, il vero motivo della delocalizzazione è stato di per sé l’apertura di nuovi mercati – pensiamo alla Cina – ; secondo, perché il mercato chiedeva una grande flessibilità perché siamo in un’era in cui ci vuole la customizzazione del prodotto. Le tecnologie vent’anni fa non permettevano di combinare grandi cadenze produttive con la flessibilità. La flessibilità più grande veniva data dalla mano d’opera, e quindi questo ha fatto sì che c’è stata questa grande migrazione. Il paradosso è che negli ultimi, quattro anni con queste tecnologie che ha descritto il Prof. Perego, in realtà, ci sta una grande migrazione contraria, perché la meccatronica e l’utilizzo delle tecnologie 4.0 sta ricombinando la grande flessibilità con tutte le cose che ha detto il Professore, con l’obiettivo di migliorare i prodotti, tendere ad avere prodotti a zero difetti. Il fatto di conoscere sempre di più il comportamento dei prodotti, dei componenti, ha ricreato le condizioni fertili per una nuova industrializzazione in Europa. Intanto, questo è un primo fatto, perché in questo momento – i posti di lavoro erano stati già distrutti – si sta re-industrializzando e si sono ricreate condizioni di competitività. Nasce proprio per la competitività l’industria 4.0.
Allora, la cosa interessante è: quei rischi è vero che ci sono – sta già accadendo questo cambiamento del lavoro – ,ma allo stesso tempo si sta lavorando poco per prendere coscienza e per sfruttare soprattutto quelle che sono le opportunità. Io mi voglio soffermare – raccontandovi dell’esperienza – su quelle che vedo come grandi opportunità. Non perché non voglia vedere i rischi, i rischi ci sono – ecco perché il tempo va utilizzato per sfruttare al massimo le opportunità e per governare questo processo. Il vero rischio è che se non si prende consapevolezza di quello che sta accadendo e non si rivendica una responsabilità personale innanzitutto – che è un grande problema che secondo me in questo momento viviamo – , cioè se ci si affida a degli automatismi, allora questo è il vero grande rischio. Cioè, questo processo può essere governato, e quindi può crescere e ne possiamo sviluppare al massimo le opportunità; se lo lasciamo non governato; allora può veramente creare gravi danni al sistema produttivo.
Prima questione quindi: consapevolezza. Perché – come ha detto il Professore – 4.0 mette insieme tecnologie già esistenti, ma le presenta in un modo e le integra, le interconnette. Quindi, non è qualcosa che “vado al mercato, vado a compra’ due chili di 4.0”, come molti pensano. In un processo produttivo inefficiente se io introduco 4.0 moltiplicherò esponenzialmente l’inefficienza. Questo è un dato di fatto, quindi non c’è un qualcosa che ti risolve i problemi in automatico. Nell’automotive noi ci stiamo rendendo conto che, grazie a queste tecnologie, si potrebbero, si può –e la Germania è avanti anche in questo, ha già iniziato a farlo – creare un’intera filiera, proprio nell’ottica dell’economia circolare. Oggi il 73% di un’automobile è dato dal costo della materia prima. Quindi il fattore di competitività non è più il costo del lavoro. Nell’automotive c’è un’automazione spinta, l’incidenza del costo del lavoro è già di per sé bassa. L’automotive si sta trasformando perché è partita l’elettrificazione. Sull’electrification, che è una precondizione per il veicolo a giuda-autonoma, che è necessario perché consente a miliardi di persone, con un mondo in cui la popolazione mondiale cresce e l’aspettativa di vita cresce, anche grazie alle biotecnologie, alla qualità della vita… il veicolo a giuda-autonoma è una delle condizioni necessarie per l’abbattimento della spesa sanitaria, ma anche per portare in giro persone che, pur essendo anziane, avranno un ottimo stato di salute, e di questo noi siamo tutti contenti. Anzi noi speriamo di appartenere a quei centenari che saranno portati a spasso in giro dal veicolo a guida autonoma. Questa è una necessità perché queste tecnologie danno un contributo alla riforma del Welfare, come la robotica umanoide che prenderà il posto dei badanti, perché altrimenti fra vent’anni metà del mondo dovrebbe badare all’altra metà. Quindi è interessante la sfida dell’“impariamo a convivere e a dialogare con le macchine”, invece che fare una lotta a priori ideologica. Allora, dicevo, nell’automotive il 73% del costo vettura è dato dalla materia prima. La materia prima è scarsa: ci sono materie prime che addirittura tra quarant’anni finiranno i nostri prodotti. In realtà vengono fatti sempre meglio e quindi possono durare un tempo lungo; le persone però cambiano questi prodotti. Morale della favola, in questo meno dell’automotive il 70% della materia prima nobile non viene recuperata perché l’autovettura è concepita per non essere disassemblata, paradosso anche se oggi un automobile anche del sentimento medio-alto viene assemblata in 4h35min o 6h, oggi se la volessi disassemblare, per recuperare i materiali, non mi basterebbero 3 settimane. La tecnologia del 3.0 diventa una tecnologia debilitante e che insieme alla ricerca – voi immaginatevi quanta ricerca c’è da fare per concepire i prodotti ab origine per poter essere diassemblati in modo economicamente conveniente, quanto recupero di materia prima e quanta competitività, ci da questo, perché se noi al netto degli investimenti recuperiamo questo 70% che oggi non viene recuperato e se al netto possiamo creare un delta di 20/25 punti di competitività, cioè possiamo tornare a parlare di numeri decimali davanti alla virgola mentre negli ultimi 10 anni noi abbiamo sempre parlato degli 0,00 anche in termini occupazionali, perché mettere su l’economia circolare nel settore automotive, io parlo di questo, ma è applicabile in certi settori meno complessi già si è in fase avanzata si può mettere su una supply chain della logistica inversa che può creare una quantità di posti di lavoro incredibili; però c’è da lavorare tantissimo a livello di ricerca e bisogna svilupparla questa cosa. Allora, quando si fanno questi bilanci, bisogna, con molto realismo, provare a vedere cosa si può fare in maniera tale da lavorare già da adesso per rendere accessibile questo ai lavoratori, guardando tutte le fasce di età, lavorando con la formazione, con la riqualificazione. Cioè, usiamo il tempo per rigovernare questi processi perché se queste decisioni le prendiamo, dobbiamo decidere noi cosa fare, come volerlo fare, non perché se lasciamo al caso è chiaro che tutte le cose lasciate così all’improvvisazione tendono a diventare pericolose, a generare disordine. Nel nostro mondo oggi, noi parliamo di queste tecnologie e non c’è minimamente la preoccupazione di dovere eliminare le persone. Assolutamente. Invece sto vedendo quanto tempo, quante risorse, liberano per esempio le risorse umane, tempo dedicato alla ricerca e all’analisi, allo studio anche di tutte quelle informazioni pazzesche che arrivano dall’intelligenza artificiale, ed è un percorso interessante perché di fronte a questo cambio di trasformazione di prodotti noi conosciamo ora pochissimo di come si comporta un’autovettura, quindi tutta questa grande base dati significa anche tanto lavoro scientifico collerarli per cercare di conoscere, ecco dedichiamo questo tempo alla conoscenza, questo è un grande lavoro, però appunto chiede una grande autocoscienza, una grande consapevolezza. Scusate se insisto su questo termine, ma è proprio quello che manca in questo momento al dibattito, anche al dibattito pubblico, perché quelle tre correnti che ha descritto, minimalisti, ottimisti e i pessimisti, stanno facendo un sacco di danni perché ci portano via da quello che invece è il lavoro grande che possiamo fare per poter incrementare di più o minimizzare le conseguenze che ci sono sempre state nella storia. Poi guardiamo un dato storico: da quando c’è stata la prima rivoluzione industriale si è sempre gridato alla disperazione, in realtà siamo arrivati a 7 miliardi. Se guardiamo la serie storica, oggi ci sono molti più occupati nel mondo rispetto a prima, prima della prima, della seconda e della terza rivoluzione. Anzi, quando James Watt ha fatto la macchina a vapore, l’Europa era ridotta veramente male, perché la popolazione era cresciuta e non si riusciva a produrre bene per soddisfare i bisogni delle persone. Quindi, se guardiamo un po’ la storia, magari prevale meno la paura e quando il cervello non ha paura, si dedica di più a conoscere la realtà. Un ultimo pezzo. Sull’industria 4.0 dicevo: abbiamo la possibilità di elaborare in tempo reale, grazie a queste tecnologie abilitanti, una quantità di informazioni che accelerano il percorso della conoscenza, che altrimenti è sempre frutto di sperimentazione che, voi capite, nei beni complessi è una sperimentazione tante volte onerosa. Per esempio, per una casa automobilistica scoprire, attraverso una campagna di richiamo, che un componente è stato progettato male o che si pensava, in fase di progettazione, dovesse avere certi comportamenti, ma poi, una volta entrato sul mercato si è scoperto di no, perché non si è riuscito ad elaborare tutto. Allora che oggi, grazie anche alle simulazioni… Poi ne parlerà il dottor Pontremoli, per esempio, di quello che fanno loro in Dallara, stessa cosa che facciamo noi: oggi sempre di più tendiamo a simulare con la simulazione dinamica, con la realtà aumentata, sia per accelerare certe cose, sia per poterle scoprire preventivamente. Questa è una grande cosa. È chiaro che è chiesto tanto tempo e c’è bisogno di elevare tantissimo le competenze. Allora, la questione di elevare le competenze… la vera questione è dare la possibilità a tutti quelli che hanno questo desiderio, cioè non renderla una cosa elitaria. Poi è chiaro che ci sarà sempre la persona, libera, che dice: “io non voglio crescere”… vabbè, se non vuoi crescere non gli puoi fare niente. Il problema è dare questa accessibilità, senza però fare sempre il solito errore italiano che livelliamo sempre verso il basso, no? Quindi, di opportunità ce ne sono molte, io ho voluto toccare un tema che è molto complesso, come quello dell’economia circolare, ma che è una necessità, tra l’altro, perché noi non possiamo continuare a produrre con l’attuale concetto. La funzione tradizionale della produzione, è una stupidata. Continuiamo a sprecare una quantità di risorse. Il fatto che industria 4.0 nasce anche per poter rendere più sostenibili le produzioni è un fatto straordinario, perché se alla fine, o in manuale o in automatico, se un sistema è anti-economico perché brucia risorse è solo una questione di tempo. Quindi, il fatto che renda più sostenibili le produzioni, le renda più intelligenti, è un fatto che, di per sé, nel lungo periodo, è un bene. Questo è un dato oggettivo, incontrovertibile. Mi fermo, per adesso, qui perché voglio dare la possibilità anche al dottor Pontremoli di raccontare la sua esperienza.
BERNHARD SCHOLZ:
Bene, penso che sia… diciamo che l’industria 4.0 certamente è un’opportunità in generale, ma per la singola impresa si tratta anche di scoprirla, perché non c’è un’applicazione dell’industria 4.0. Una modalità di guardare un potenziale tecnico e tecnologico e vedere come questo si inserisce in un modo adeguato dentro lo scopo che un’azienda vuole raggiungere e quindi una doppia creatività: la conoscenza del potenziale e la conoscenza delle opportunità del mercato. Quindi un lavoro abbastanza intenso da svolgere. Andrea Pontremoli ha lavorato in IBM, quindi conosce anche tutta la dinamica, l’evoluzione dei sistemi informativi, e poi è andato a lavorare in un’azienda manifatturiera e siamo curiosi di vedere cosa da questo matching è venuto fuori.
ANDREA PONTREMOLI:
Buon pomeriggio. In effetti io vi vorrei raccontare un po’ come praticamente questi concetti che sembrano un po’ per aria, no? Dici: “ma poi, nella realtà, cosa succede, nel lavoro che fai tutti i giorni?”. Allora io provo a descrivervi cosa facciamo come azienda. La nostra è un’azienda… Io sono entrato nel 2007, dieci anni fa, come partner, quindi son passato dalla parte dell’imprenditore, dopo aver fatto per ventisette anni il manager in una grande multinazionale, come l’IBM. Vi racconto un attimo anche la trasformazione che questa industry 4.0 ha portato nel lavoro che noi facciamo tutti i giorni. Noi facciamo macchine da corsa. Siamo poco conosciuti, anche perché noi siam sempre molto sotto traccia, però siamo i leader mondiali delle macchine da corsa commerciali. Quindi tutte le macchine che corrono a Indianapolis, la Formula 2, la Formula 3, la Super Formula in Giappone, la Formula 3.5… tutto quello che è Formula, non Formula 1 ‒ che non è una Formula commerciale, perché è posseduta dai grandi marchi ‒ anche se in Formula 1 ci siamo con un team che è il Team Haas Formula 1. Quindi la nostra specializzazione è la macchina da corsa e nelle macchine da corsa noi facciamo essenzialmente tre cose. E, badate bene, che io per fare ’sta sintesi e dire le tre cose in Dallara ci ho messo circa un anno, perché giravo per l’azienda chiedendo: “che cosa facciamo?”, “facciamo macchine da corsa”; “ma facciamo i motori?”, “no, i motori no”; “ma facciamo l’elettronica?”, “no, l’elettronica no”; “ma facciamo le gomme?”, “no, le gomme no”; “ma facciamo i cambi?”, “no, i cambi no”… ma allora cosa facciamo? Noi facciamo tre cose. Uno, tutto quello che noi progettiamo è fatto con la fibra di carbonio perché è importantissima la leggerezza nelle macchina da corsa. Quindi tutto quello che si progetta con la fibra di carbonio ha bisogno, dietro, di tutta una serie di elementi, sia di processi produttivi, ma in particolare di calcoli sulle strutture, molto molto importanti, con uso di super computer, molto importante. La seconda cosa che facciamo è l’aerodinamica, cioè lo studio della forma dell’auto per avere le migliori prestazioni di resistenza all’avanzamento, quindi averla più bassa possibile e di avere la down-force, cioè il carico aerodinamico. Tanto per darvi un numero, così capite di che cosa stiamo parlando: la macchina da corsa pesa più o meno seicento chili, noi di carico aerodinamico, quindi di peso dell’aria che viene messo sulla macchina, ci sono circa duemila ottocento chili. Quindi il motore e i freni accelerano e frenano seicento chili, in realtà la macchina si comporta come se pesasse tremila e quattrocento chili, in termini di attrito al suolo. La terza cosa che facciamo, che è quella che forse è stata più influenzata dalla industry 4.0, è la dinamica del veicolo attraverso super computer, cioè lo studio del comportamento di una vettura attraverso i computer, senza costruire la macchina vera e propria. Queste sono le tre cose che facciamo. E adesso io ho preparato un piccolo video di quattro minuti, che vi faccio vedere, che vi fa vedere un po’ l’azienda praticamente, così capite anche di che cosa parliamo. Quindi chiedo alla regia di far partire questo video e anche in questo video vedete tre cose. La prima cosa è il nostro territorio. Io sono convinto che la competizione sarà tra territori e non tra singole aziende. Questa è la Lamborghini Miura, la prima macchina che ha progettato l’ingegner Dallara e qui è dove vivo io, vedete questo castello? Il castello di Bardi, io vivo lì. E questa è la strada che io tutte le mattine faccio per andare a lavorare, ci metto ventuno minuti, ventidue se c’è traffico, che vuol dire che ho trovato la corriera davanti alla macchina. E qui è la Dallara. Ecco, perché voglio parlarvi del territorio? Perché penso che noi, come vantaggio competitivo in Italia abbiamo il territorio. Questo è l’ingegner Dallara, che quest’anno compie ottantun anni, è in azienda dalle otto del mattino alle otto di sera. Adesso entriamo dentro l’azienda. Quindi, primo concetto che voglio trasferirvi: l’importanza del territorio, con le sue infrastrutture, coi sistemi educativi. Qui vedete l’infrastruttura, questa è la pista di Varano e questa invece è la pista di Indianapolis, sono due cose un po’ diverse. Ecco, cosa vedete qua? Come lavoriamo? Innanzitutto uno che entra in Dallara capisce che, da solo, lui la macchina non la fa. Per quanto sia bravo deve lavorare con gli altri e deve lavorare con le tecnologie. Qui vedete la fibra di carbonio. E’ un’attività estremamente manuale, che ha bisogno di grande super calcolo dietro, però è tutto fatto a mano, quindi ho bisogno di persone estremamente capaci, sono degli artigiani ad alta tecnologia. Altra cosa che vedete qua: questo è il reparto della dinamica del veicolo, dove si provano le macchine prima di farle uscire dai clienti. Questo invece è il Computational Fluid Dynamics, che è lo studio, attraverso i super computer, della forma della macchina. Questo invece è l’EDT Manufacturing. Tanto si parla oggi di stampanti 3D, pensate che la prima in Dallara è stata installata nel 2001, quindi sedici anni fa, quindi non è proprio una tecnologia nuovissima. Questa invece è la Galleria del vento. La galleria del vento dove noi simuliamo, attraverso un modello fisico, il comportamento della vettura, facendo il contrario di quello che è nella realtà: nella realtà si muove la vettura, sta fermo l’asfalto, sta fermo l’aria, qui muoviamo l’aria, muoviamo l’asfalto e teniamo ferma la macchina. Ultimo elemento di tecnologia è questo, il simulatore di guida che, se vogliamo, è la sintesi di tutto quello che vi ho detto fino adesso e permette, in una parola, a un pilota, fisicamente, di guidare una vettura senza averla mai costruita. Quindi il pilota guida una vettura che non è mai stata costruita, guida solo modelli matematici. Perché? Perché l’innovazione nasce attraverso l’errore e io attraverso l’errore, qui, posso fare tantissimi errori a bassissimo costo, basta solo cambiare dei parametri sul software. Quindi abbiamo visto il territorio e la tecnologia. Ultimo elemento che vi voglio portare è la vittoria alla Cinquecento miglia di Indianapolis. È la gara più importante al mondo (cinquecento mila persone a vedere questa gara) e dietro questa vittoria c’è questo gruppetto di persone. Ecco, questa è la vera differenza della nostra azienda. Io non ho mai visto un’azienda innovativa senza persone innovative. Quindi quando parliamo di industry 4.0, sono questi signori che la vanno ad utilizzare. Cosa ci sta cambiando nel nostro mondo (quindi stiamo parlando di autovetture ad alte prestazioni)? Innanzitutto abbiamo cominciato a cambiare l’ottica e diciamo che non facciamo più solo macchine da corsa, ma noi ci siamo specializzati su quelle tre cose che vi ho detto prima: carbonio, aerodinamica, super computer per fare le simulazioni. Queste tre cose le possiamo applicare in tantissimi campi. Oggi stiamo facendo i treni per Ansaldo Breda, per farli più leggeri con la fibra di carbonio e stiamo lavorando con Elon Musk per fare Space X, i missili che faranno turismo spaziale, per cui ha bisogno di avere meno peso. Sull’aerodinamica vi do solo un dato che vi dà un’idea. Noi lavoriamo tantissimo sui motori per ridurre i consumi: lavorando su una macchina di cui non posso fare il nome, ma è una macchina super commerciale ‒ costa venticinque mila euro ‒ quindi ne vengono prodotte milioni, abbiamo ridotto i consumi del 25% solo modificando la forma della macchina e questo non è neanche percepibile dal cliente finale, perché lui ha sempre l’idea che la forma sia la stessa. L’altra cosa sono le simulazioni, i simulatori di guida che avete visto prima. Questo oggetto, che è stato fatto da… io lo dico un po’ scherzando ma è la verità, sono quattordici ragazzi. Noi quando volevamo fare quest’oggetto, con l’ingegner Dallara l’abbiamo deciso la vigilia di Natale del 2010. Perché una caratteristica che abbiamo come azienda è che la proprietà è dell’ingegner Dallara e del sottoscritto: tutti e due ci diamo uno stipendio, uguale, alto abbastanza per vivere bene, ma tutti gli utili che l’azienda fa vengono reinvestiti all’interno dell’azienda, pensiamo che sia il miglior modo per aumentare il nostro valore, perché il nostro valore è la nostra azienda. E quando tu hai dei milioni di euro di utili anche dire “dove li investo?” non è una questione banale. Se io a ciascuno di voi dico: “tu hai dieci milioni di euro, non te li devi giocare alle Hawaii, al casinò ecc. li devi investire su una tecnologia o su un’impresa”, dove li metti? E abbiamo deciso di farlo sul simulatore di guida, cioè un oggetto che permetta di far provare a un pilota una vettura, senza che la vettura sia mai costruita. Perché per fare una vettura servono quattro processi, per arrivare al prototipo, quindi non siamo ancora alla produzione: c’è il concetto della vettura, cioè quanto è lunga, quanto è larga, quanto è veloce, quanto è potente, quanto deve andare forte, questo è il concetto. Preso il concetto faccio una progettazione, quindi progetto l’aerodinamica, progetto la fibra di carbonio, le sospensioni, il motore, tutte queste cose qua. Una volta che l’ho progettata costruisco un prototipo, che è la terza fase, cioè ne faccio uno. La quarta fase, provo in pista quel prototipo e vedo se i risultati sono uguali a quelli che avevo pensato nel concetto. Normalmente no, quindi cambio la progettazione, modifico il prototipo, rifaccio le prove. Allora nella nostra testa toglievamo le ultime due fasi, toglievamo la costruzione del prototipo e la prova del pilota, facevo provare al pilota già il progetto. Ma l’industria 4.0 è un animale strano perché va molto al di là di quello che tu avevi pensato e quando noi l’abbiamo portata ai nostri progettisti, ai capi progetto, dirigenti, tutti ci hanno detto bellissimo, ma è impossibile da fare. Come fai a imbrogliare il cervello di un pilota professionista facendogli pensare che fa una curva a 200 all’ora e in realtà tu lo stai spostando di 8 m nello spazio. Tenete conto che è grande come qua dentro e hai questa navicella che si muove, l’avete vista prima, a velocità molto alte. Allora cosa abbiamo fatto? Abbiamo assunto 14 neolaureati, loro non sapevano che era impossibile e lo hanno fatto, molto semplicemente, ed ha avuto talmente successo che adesso ne abbiamo fatto un secondo a Indianapolis, negli Stati Uniti. Ma non avevamo neanche capito bene la sua potenzialità, perché in realtà io non ho tolto le ultime due fasi del progetto, ne ho tolte tre, ho tolto anche la progettazione e ci permette di sviluppare nuovi concetti che prima non potevamo neanche pensare, facciamo un esempio. Lui parlava prima di elettrificazione. Mettiamo che io devo fare una macchina ibrida per il mio cliente Porche. Bene, avrò un motore a benzina e un motore elettrico: dove li metto? Tutti e due dietro, vicini? O è meglio mettere il motore elettrico davanti, il motore a benzina dietro? Oppure è meglio mettere due motori elettrici davanti e il motore a benzina dietro? Oppure è meglio fare quattro motori elettrici, uno per ruota, e il motore a benzina che cariche le batterie per fare andare quelli elettrici? Ecco, per rispondere a queste quattro domande con il processo di prima io dovevo progettare quattro macchine, dovevo fare quattro prototipi sapendo che uno solo sarebbe stato quello scelto. Lavorando con il modello matematico io riesco a simulare il tutto, provare e poi decido di progettare una cosa che so già che funziona e la prototipazione e la prova in pista è solo l’ottimizzazione di un processo che è già stato dimostrato funzionare. E quando parliamo anche del fatto, per esempio, dell’automobile del futuro: sarà a guida elettrica, sarà automatica? Io non lo so, vi dico solo una cosa. Io sto vedendo due linee che stanno divergendo molto velocemente: quello che è la mobilità, cioè mi devo muovere e andare da Rimini a Parma questa sera, e invece il piacere di guida, l’adrenalina che ti dà una macchina. Ecco, noi oggi siamo castrati sull’adrenalina, perché se fa più di 50 all’ora qua fuori ti massacrano, hai una macchina ipertecnologica e lei ti guida e non tu. Allora proviamo a estremizzarlo (e l’industria 4.0 ve lo permette). Fra due settimane vado in Uber a San Francisco. Uber, sapete, in Italia è nota solo per la polemica con i taxi, ma sta cambiando il concetto di mobilità. Voi pensate che io possa con il mio telefonino… Ho mio figlio che lo devo portare a giocare a tennis: chiamo la macchina, viene a casa mia, ci metto dentro mio figlio, si chiudono le porte, lo porta al campo da tennis e l’istruttore di tennis apre le porte e prende mi figlio e lo fa giocare a tennis. Ho mia madre da portare a fare le analisi del sangue: chiamo la macchina, viene e la porta a fare le analisi del sangue. C’è Andrea Pontremoli che deve andare da Rimini a Parma… ma io perché devo guidare? Leggo il giornale e la macchina mi porterà da Rimini a Parma. È un concetto di mobilità che sarà poi un mix, perché ci sarà un mix tra treno, aereo, macchina, macchina piccola, macchina lunga… e poi invece quando voglio andare in pista, mi voglio divertire, lì devo avere una macchina genuina, che mi permetta… non avrà nessuno controllo elettronico, perché sono io a guidare la macchina. Ma pensate a questo oggetto qua, il telefonino. Ma avete idea di che rivoluzione ha fatto questo telefonino? Qui l’industria 4.0 ce l’avete tutta. Mia madre, che ha 86 anni, mi ha fatto una sintesi bellissima che mi ha spiegato il motivo del successo di questo affare. Mi ha detto: “adesso ho capito come funziona: è un affare che ti rende semplici le cose difficili che tu non capisci.”. “E perché?”. “Eh beh”, dice, “quando tu accendi la luce cosa fai? Schiacci il bottone della luce e si accende la lampadina. Non te ne frega niente di sapere che è partita una smart grid, una centrale nucleare, che ha fatto la contrattazione del gas della Russia con la Turchia, che poi è arrivato lì e c’è stata la domotica, ecc. e ha fatto accendere la lampadina. Quest’affare qui… qui dentro ci sono tanti bottoni della luce”. Io schiaccio questo: la Borsa. Fa delle operazioni complessissime, va a vedere in tutte le Borse del mondo dei titoli che interessano a me. Voglio prenotare Uber? Clic. Allora, l’Industry 4.0 è un modo per semplificare la vita agli utenti finali facendo automaticamente delle operazioni molto complesse. Quindi vedete che ha un risvolto. Io ho cercato di fare molto velocemente il risvolto dalla progettazione al pensare. Quindi, mi permette di pensare molte più cose a un costo più basso. Il realizzarle l’ha spiegato molto bene il professore, tutti gli automatismi e i robot. L’utente finale, questo qui. Pensate che sulle macchine da corsa… ah, non vi ho detto che, per esempio, sulle macchine da corsa c’è una nuova macchina che è la Formula E, che è una Formula elettrica. Non lo sa nessuno ma tutte le macchine le fa la Dallara, e quindi vinciamo sempre le gare. Questa Formula E ‒ questa ve la dico perché un po’ di anni, ma di business ce l’ho. Vi parlo di 5 anni fa, io non ci credevo assolutamente che funzionasse una Formula elettrica sulle macchine da corsa. Non fanno rumore, vanno piano, la potenza energetica della batteria è 10 volte meno rispetto alla benzina, quindi con 300 chili di batterie faccio l’equivalente di 30 chili di benzina come prestazioni… una cosa improponibile. Non ci credevo talmente tanto che gli ho detto: “guardate, io il progetto ve lo faccio, però pagate tutto in anticipo”. E han pagato in anticipo. Ho detto: “però… se questi qua hanno anche i soldi…”. Però dicono: “abbiamo il problema che la batteria dura 25 minuti per fare una gara a 300 km/h ecc”. Allora lì dovevamo studiare un modo perché quando arrivavi al pit stop a cambiare le gomme, poter cambiare anche le batterie. Però cambiare degli oggetti che pesano 300 chili e hanno 600 Volt è molto pericoloso e poi ci vuole un sacco di tempo. Questi qua volevano che noi progettassimo un sistema di aggancio e sgancio rapido delle batterie. Lì mi è venuta l’idea proprio dell’emiliano… quelli che gli vengono le cose proprio più semplici. Gli dico: “ma ascolta, ma perché non facciamo una cosa ancora più divertente? Invece che cambiare le batterie, cambiamo le macchine: cioè, il pilota scende dalla macchina con le gomme consumate e le batterie scariche e sale sulla macchina con le batterie cariche e le gomme nuove! Ci mette meno di 1 minuto, è bello perché alcuni inciampano, ecc. (mettono anche un po’ più di movimento), la Dallara vende anche il doppio delle macchine… meglio di così!”. Ecco, però, cosa volevo portarvi? La Formula E, con l’elettrificazione, che è un prerequisito della Industry 4.0, ha portato a una cosa a cui non avevo assolutamente pensato e questo è il bello dell’innovazione. Questi signori guidano una macchina che ha tutti i controlli a bordo ma ce li ha anche fuori: chi sta fuori vede le stesse cose, anzi ne vede un po’ di più, di quello che sta a bordo. E questi cosa si sono inventati? Si sono inventati il contatto con il pubblico e Alejandro Agag, che è il capo della Formula E ‒ che è un personaggio veramente molto interessante ‒ mi fa: “sai perché ha successo la nostra Formula? Innanzitutto abbiamo sfruttato il fatto che non fa rumore la macchina e che la gara dura meno di un’ora. Quindi queste due cose messe insieme mi permettono di fare le gare nel centro delle città, invece che andarle a fare nei circuiti”. E quindi fanno le gare a Berlino, a Los Angles, Parigi, hanno annunciato finalmente Roma l’anno prossimo, Hong Kong, New York, Miami. Cosa succede? Di questa Formula E ne parla tutto il giornale e le televisioni perché rompe i coglioni al mondo, perché blocchi il centro della città. E il fatto che la macchina non fa rumore… hanno fatto un evento come… ci sono concerti e tutte queste cose qua. Ma la cosa più bella… ritorniamo a questo oggetto qua. Hanno messo i 20 piloti che corrono su Facebook e i fan, i supporters dei piloti, possono mettere i likes al pilota che gli piace di più e il pilota che riceve più likes gli danno 50 cavalli in più per 15 secondi. Allora, prima gara, Shangai, c’è in testa Prost, dietro c’era Einfield, secondo. Secondo voi chi è che prende più likes, il primo o il secondo? Li dai tutti al secondo perché così vuoi vedere il sorpasso, no? Prende più likes Einfield, lui si accorge, ma anche il pubblico si accorge, che lui avrà 50 cavalli e lui può decidere quando usarli, perché il volante gli diventa verde. Quindi, sto qui ha un pulsante, decide quando usare i 50 cavalli. Quando decide di usare i 50 cavalli? L’ultima curva. Così, dice, lo sorpasso e non mi prende più. All’ultima curva schiaccia il pulsante dei 50 cavalli, si mette in sorpasso, Prost vede che lo sta sorpassando, lo schiaccia contro il muro, mega incidente, vince il terzo. Ed è la prima volta che una gara è decisa dal pubblico. Vi rendete conto di che trasformazione? È il pubblico che si è inserito dentro alla vettura e ha cambiato il modo di correre. Ecco, quando parliamo di industry 4.0, parliamo di tutte queste possibilità: di noi che interagiamo con le macchine, noi interagiamo con altri, disegniamo una fabbrica fatta in maniera diversa, pensiamo in maniera diversa. Però la chiave di tutto quale sarà? Saremo noi. È l’essere umano, con la sua genialità, con la sua capacità e con le sue capacità manageriali. I manager del futuro, i manager che dovranno pensare queste cose, non solo dovranno essere capaci di delegare agli altri le attività che loro hanno pensato, ma dovranno anche essere capaci di delegare, per esempio, hai quattordici neolaureati. Noi abbiamo messo dieci milioni sul simulatore ‒ è il guadagno di due anni ‒ e li abbiamo dati in mano a quattordici neolaureati e gli altri ci dicevano di non farlo. E sapete cosa mi viene in mente? Chiudo qua, così do spazio poi per due chiacchierate dopo. A Cristoforo Colombo…se andate a Barcellona, c’è una bellissima statua di Cristoforo Colombo che indica il mare. Sotto c’è scritto il curriculum che dice navigatore, eccetera. Questo qui cosa ha fatto? Aveva un’idea di andare in America, anzi, voleva andare in India, ha convinto l’investitore, la regina, a dargli i soldi per le caravelle, ha convinto i marinai, la sua truppa, la sua ciurma ‒ li ha convinti anche nel punto di non ritorno ad andare avanti. Poi c’è un ragazzo, sotto, bellissimo, non so se c’è ancora, e ha scritto in un graffito e ha detto: “e in fondo si era sbagliato”. Perché lui voleva andare in India, è andato in America. Quindi, l’innovazione nasce proprio dalla capacità di aprire, di lavorare insieme e di non avere paura. Perché questa è una grande occasione per l’Italia, non ha senso fare il discorso: porterà via del lavoro a questi, a quegli altri, eccetera. Perché se noi facciamo le barricate, cosa pensate che succeda? L’Italia è lo 0,8% del mondo. Come faccio a dirlo? Se è vero che siamo 8 miliardi, noi siamo 60 milioni, noi siamo lo 0,8. Non contiamo niente. Noi contiamo qualcosa nel mondo perché abbiamo questa cosa qua. Allora forse questa industry 4.0 è la vera chiave per portare l’Italia ad essere un qualcuno nel mondo. Io la penso così.
BERNHARD SCHOLZ:
Ranalli ha già controllato se è vero lo 0,8, ma è vero. Allora, il tempo è stato molto, molto utilizzato, molto bene, perché ringrazio veramente le vostre esposizioni che sono state molto interessanti, ci hanno reso possibile immedesimarci bene nelle potenzialità. Certamente l’industria 4.0 non è qualcosa che possiamo arrestare o fermare: è un automatismo, come tutti questi tipi di rivoluzioni, che evolvono in un modo quasi automatico. Possono prendere una strada piuttosto che un’altra, a seconda di come noi la guidiamo e quanto la possiamo guidare, ma fermarli è assolutamente impossibile. Io voglio fare a voi solo una domanda ma chiedo a voi di essere veramente sinteticissimi. Il fatto che questo ci renda più competitivi è fuori discussione. Il tema molto importante che è stato accennato da tutti è il tema della formazione. Quindi, se ci riuscite in due minuti ‒ veramente due, se no devo proprio frenare ‒ a dire quali sono i vostri suggerimenti, senza la pretesa di essere esaustivi, rispetto alla formazione della quale dobbiamo prendere atto, che dobbiamo prendere in considerazione per prepararci a questi grandi cambiamenti.
ALESSANDRO PEREGO:
Il tema della formazione è ovviamente cruciale per governare correttamente questo processo. La responsabilità della formazione però secondo me è principalmente in capo agli individui e io penso che il tema della formazione non sia prevalentemente in capo all’università, ai centri di ricerca, ma sia in capo ai singoli lavoratori. E mettiamoci anche il sindacato. Io ho trovato un sindacato molto aperto e sensibile a questi temi. Quindi, singoli lavoratori e sindacato in prima battuta, dopodiché gli imprenditori, i capo-filiera delle filiere più importanti italiane, che devono investire e curare che le altre aziende del loro ecosistema investano in questa direzione. Dei contenuti della formazione è estremamente difficile fare una ricetta perché abbiamo detto che industria 4.0 è talmente variegata, ha applicazioni e declinazioni così diverse da settore a settore, che è estremamente difficile fare il ricettario di quello che va fatto. Occorre quindi fare il lavoro che tu dicevi prima, che è quello di declinarlo caso per caso, industria per industria, pezzo di industria per pezzo di industria, e poi richiamare una responsabilità che non può che essere individuale. Dopodiché anche il governo può fare la sua incentivando anche gli investimenti in formazione.
BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. E per Ranalli?
GIUSEPPE RANALLI:
Assolutamente sì e nello stesso tempo, contestualmente a questo, aiutiamo le scuole ad uscire fuori dalla scuola. Cioè, apriamo le aziende, diamo la possibilità ai ragazzi di venire, creiamo percorsi istituzionali che questa attività la favoriscano, perché ci sono ancora troppi vincoli. L’alternanza scuola-lavoro secondo me è necessaria per tutti, non solo per le scuole professionali ma per tutti. Ma farla veramente, perché non bisogna aver paura e mi rendo conto che da questo punto di vista noi aziende dobbiamo imparare a dialogare di più e a non mettere paura alle scuole, perché tra l’altro in questo momento dove si sta sviluppando tantissimo l’industria 4.0 è l’agroalimentare. La tecnologia 4.0 permette realmente di fare il biologico, perché se no col biologico muori di fame. Il biologico, con la tecnologia, sensori, telecamere con il riconoscimento che ti vanno a vedere la maturazione del grappolo della banana in Real Time, con il pick and place che la prende e la riesce a immettere nel sistema logistico per evitare che… quando arriva a destinazione sia al giusto punto di maturazione. Non c’è settore ‒ come lo ha anche declinato Andrea ‒ dove non potrà dare dei grandi sbocchi. Quindi, più la impattiamo, più la rendiamo familiare… perché la prima questione della formazione è intanto, togliere questa paura, renderla familiare, iniziarci anche a giocare come abbiamo provato a fare con il nostro tentativo nella mostra, anche attraverso il gioco dei bimbi. Questa è una responsabilità che riguarda tutti, aiutiamoci a far saltare queste barriere.
BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. Andrea Pontremoli, che tra l’altro stamattina ha già fatto un incontro su questo tema e quindi…
ANDREA PONTREMOLI:
Difatti sulla formazione la mia risposta è: andatevi a vedere quello che ho detto questa mattina sullo streaming. Ci ho fatto un’ora e mezza, insieme alla professoressa Rabaglia. Vi volevo solo dare una cosa: è vero che è una responsabilità del singolo, ma invece una responsabilità nostra, collettiva ‒ e per collettiva intendo anche tutti quelli che stanno in questa sala, compreso i media ‒ è dare dignità al lavoro. Come diceva il Papa, è vero il discorso che senza lavoro non c’è dignità, ma io dico: la mia generazione e la generazione dei miei padri, i danni che hanno fatto dicendo “studia, se no vai a lavorare”. Questo è un disastro micidiale, perché abbiamo messo in testa alle nostre nuove generazioni che c’è lo studio oppure il lavoro. Questo è sbagliato e questa è una responsabilità collettiva. Io chiudo con una cosa per darci un minimo di speranza, perché io sono veramente molto positivo: la poesia di Totò ‒ non toccatevi per piacere ‒ “‘A livella”. Non so chi di voi la conosce, comunque parla della morte e dice: la morte è una livella che ricchi, poveri, brutti, belli, eccetera, poi livella tutti. Ecco, vediamo l’industry 4.0 come la nostra livella che ci cancella tutti gli errori che abbiamo fatto nel passato e ci permette di ricostruire una nuova Italia. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
Per quanto riguarda il tema del lavoro, della dignità del lavoro, ne parleremo alle ore 19.00 con rappresentanti dell’industria, dei sindacati, della pubblica amministrazione proprio per mantenere viva l’idea che il lavoro ha una sua dignità e non può essere sostituito da nessun tipo di rendita, qualunque essa sia. Mi permetto di invitarvi anche, se potete, se volete, a sostenere il Meeting con una vostra donazione perché tutte queste sale hanno bisogno anche di essere costruite, mantenute, curate e quindi, se potete, se volete, di dare un qualcosa, un piccolo grande contributo ai punti dove c’è scritto Dona ora. Grazie ad ognuno di voi, buon proseguo.