Il paradosso della democrazia, la difesa dell’imperfezione

Hanno partecipato: Giulio Andreotti e Roberto Formigoni. Moderatore: Antonio Smurro.


A. Smurro:

Siamo grati al Presidente Andreotti per la sua presenza a questa decima edizione del Meeting di Rimini. L’amicizia che ci ha dimostrato in questi anni è per noi un motivo di conforto e di sostegno nell’impegno non spesso facile di testimonianza cristiana nella società. La sua presenza signor Presidente, a questo Meeting sul paradosso, è quella di un caro amico da cui desideriamo imparare. Fra le tante domande che vorremmo rivolgerle, ne abbiamo scelte alcune che riguardano in modo particolare il tema della democrazia e di una libertà espressiva e costruttiva di opere nella nostra società. Fra le tante domande che ci sono pervenute, ne abbiamo scelte alcune che poi le rivolgeremo. Per introdurre questo incontro, do comunque subito la parola all’onorevole Roberto Formigoni.

R. Formigoni:

E’ un compito molto gradito per me introdurre l’intervento del Presidente del Consiglio, dell’amico Giulio Andreotti (…). Il motivo di fondo per cui molti tra di noi si sono impegnati in politica in questi anni, è lo stesso motivo che credo da valore, da sempre, all’attività politica, e cioè l’amore all’uomo e alla sua libertà. Quello che ci interessa è fondamentalmente che la libertà dell’uomo sia difesa dalla politica, che la politica costruisca e garantisca gli spazi per un’azione libera dell’uomo, la libertà di essere, di educare, di esprimersi, di costruire. Innanzitutto direi la libertà di educare, perché l’educazione dei giovani è forse il problema più grande, non soltanto in Italia. Quando Giancarlo Cesana, il primo giorno, ha parlato della secolarizzazione e della scristianizzazione della società italiana, credo che abbia centrato il vero problema. E di fronte ai dati che “Il Sabato” di questa settimana ha pubblicato sui giovani che vanno a Messa, non possiamo non renderci conto che, almeno per noi, quello è il problema. Allora ci accorgiamo che ciò che occorre è che i giovani possano ancora incontrare la proposta umana che viene dal cristianesimo, cioè che possano incontrare delle persone, dei maestri che li aiutino a comprendere che cos’è effettivamente il cristianesimo. Ma questo può avvenire soltanto se c’è libertà di educazione e, quindi, se il lavoro politico garantisce un pluralismo effettivo, una libertà di insegnamento per tutti. Questa è la prima libertà. La seconda è la libertà di lavoro; l’uomo senza lavoro è una caricatura di se stesso. Libertà di lavorare, di operare, cioè, come diciamo noi, di creare opere, di essere protagonista nella propria attività (…). Libertà di educazione, dunque, libertà di lavoro: che la politica si batta innanzitutto per questo. In tal modo non si può non legare il tema della libertà al tema dei movimenti, perché mi sembra che oggi siano soprattutto i movimenti che storicamente sono capaci di creare questa possibilità di educazione e di lavoro. E mi sembra che questi movimenti siano un contributo, non soltanto per il nostro Paese, ma per l’Europa e per tutto il mondo. Dico libertà per i movimenti perché non c’è libertà per l’uomo se non c’è libertà per l’aggregarsi dell’uomo, dato che l’uomo che vive tende inevitabilmente ad aggregarsi con altri, a generare unità con altri uomini. I movimenti sono per loro natura una espressione dell’apertura degli uomini agli altri, al mondo. Si potrebbe quasi dire che sono per la missione. Ecco, vorrei dire umilmente che sono in politica per battermi per questo, per lottare per questo e, insieme a me, altri amici che in questi anni hanno fatto la stessa scelta. Del resto, credo che questa sia la concezione più vera del bene comune, per cui tanto spesso diciamo e sentiamo dire che ci si vuol battere perché, come dice la “Gaudium et Spes”, il bene comune consiste proprio nella possibilità che ognuno, ogni persona, sia aiutata a crescere nella sua specificità, secondo il suo carisma, secondo il suo desiderio, secondo la sua concezione di uomo e di libertà. E in questo credo stia il paradosso della politica o il paradosso della democrazia, che poi è il tema dell’incontro di oggi, e cioè la difesa dell’imperfezione. I regimi hanno questo di caratteristico, tendono a eliminare il paradosso, a eliminare quelli che loro ritengono gli aspetti paradossali dell’uomo, la sua libertà ad esempio, e con questo eliminano l’uomo intero. Questo è l’aspetto tragico dei totalitarismi, che si sono sempre mossi non per fare violenza, ma con l’intenzione di creare l’uomo perfetto, l’uomo nuovo, l’uomo buono: ed è esattamente da questa intenzione di perfezione che è nato il massimo di illibertà e di tirannia. L’uomo nuovo è un dono, è un miracolo, non è un progetto dell’uomo. Questo è il dramma di tante imprese cosiddette di civiltà o di tanti tentativi di civilizzazione che hanno preteso di imporre dall’esterno modelli di comportamento o regole di vita, e hanno finito con l’eliminare la cultura, il sentire vero, la storia di tanti popoli. Questo è anche l’aspetto tragico di quella vita moderna che tante volte nel nostro conversare abbiamo indicato con il nome di omologazione: la pretesa di assimilare tutti a un modo di pensare e di vivere perfetto, la pretesa di convincere tutti a comportarsi secondo il modo e la concezione migliore delle cose, che poi è soltanto il modo di pensare e di comportarsi del ceto dominante dei vincitori, in quel dato momento storico. E questa, in fondo, è anche la base del razzismo e dei razzismi possibili nel mondo, mentre il fondamento della tolleranza è riconoscere l’imperfezione mia e la possibile imperfezione dell’altro come base sulla quale costruire il dialogo, l’intesa e la collaborazione reciproca. La democrazia vera è proprio l’atteggiamento di coloro che non pretendono di togliere alla realtà il suo paradosso. La democrazia vera è quella di chi è capace di riconoscere i suoi errori e parte da qui per ammettere anche la possibilità della sua perfettibilità. Ecco allora che forse, con una certa sorpresa, alcuni nostri critici possono aver letto un brano del Cardinale Ratzinger, ripreso recentemente in un editoriale del “Sabato”, laddove il Cardinale Ratzinger, con grande lucidità, spiegava che occorre essere sobri e attuare ciò che è possibile e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile. E aggiungeva: la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole, con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Per concludere: non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica (…). Presidente, noi sappiamo che questi problemi oggi non sono soltanto problemi italiani, ma vivono in una dimensione più vasta, internazionale, europea; ecco perché a te, come a noi, sta a cuore collaborare a costruire l’unità dell’Europa. Ed ecco qual è il punto di partenza da cui vorremmo portare questo nostro contributo: costruire un’Europa dove ci sia più spazio per questa libertà di azione e di iniziativa degli uomini (…). Oggi, una situazione in particolare ci sembra descrivere il dramma dell’uomo contemporaneo: parlo della tragedia che si sta consumando nel Libano. Il Movimento popolare ha sempre seguito e si è sempre mobilitato per la difesa del diritto alla vita. Qui, Presidente, vorrei una volta di più, nel ringraziarti per le iniziative che il governo italiano ha già realizzato in queste settimane, in questi giorni, pregarti perché il governo italiano non lasci nulla di intentato, perché sia salvata la dignità e la libertà dell’uomo in quelle terre. Sappiamo che è in gioco la stessa nostra personale libertà e dignità. Voglio concludere questo breve intervento con un ultimo accenno alle vicende di casa nostra. Noi crediamo che difendere l’imperfezione, cioè la possibilità per l’uomo di essere se stesso, è anche difendere la libertà di opinione e di azione per i singoli e per i gruppi, difenderli da qualunque presunzione di censura o di scomunica. Quello per cui ci siamo battuti e ci battiamo è che nessuno debba essere scomunicato per le opinioni che esprime in campi opinabili, come la cultura, la politica, o per le scelte che fa in questi campi, che nessuno debba essere più scomunicato, che non si divenga oggetto di scomunica da parte del gruppo di volta in volta egemone, o all’interno della società, o di un partito (…). Nessuna nostra battaglia di questi anni ha avuto nulla di personale, noi non siamo mai stati contro qualcuno personalmente ma ci siamo mossi per un positivo, per difendere sempre la libertà dell’uomo di essere se stesso, di pensare, di costruire, di agire. Questa difesa massima della libertà a tutto campo, si potrebbe dire, questa difesa della libertà nostra e di chiunque è, credo, la ragione ultima per cui vale la pena far politica, impegnarsi. Ed è anche la ragione di fondo della mia amicizia, della nostra amicizia per Giulio Andreotti.

A. Smurro:

Grazie a Roberto Formigoni. Ora la parola al Presidente del Consiglio, On. Giulio Andreotti, per l’intervento.

G. Andreotti:

Cari amici, qualche volta mi viene posto un quesito ma non di rado lo pongo io stesso a me. Qual è il segreto di una certa sopravvivenza, di un certo lungo servizio? Devo dire che da dieci anni attribuisco gran parte della possibilità di rimanere attivo nella vita pubblica a due appuntamenti annuali, di tipo diverso ma di valore convergente: il grande raduno nazionale degli alpini e il vostro Meeting (…). Detto questo devo portarvi il saluto del Ministro Genscher che per motivi di salute non è potuto intervenire. Mi ha detto comunque di esprimere il suo rammarico e si è prenotato per il Meeting del prossimo anno. Il mio compito è allora di dire qualche cosa su questo tema che, come sempre nelle cose del Meeting, è annunciato in un modo tra l’ermetico e il provocatorio (…). Avere il coraggio di dire che difendiamo l’imperfezione è un andare contro corrente, perché ognuno cerca sempre di apparire molto meglio di quello che è (…). Certamente sarebbe grave se noi, riconoscendo che, come in quasi tutte le cose umane, vi è l’imperfezione, ci acquietassimo in una specie di soddisfazione dello status quo e non ritenessimo nostro dovere quotidiano quello di ridurre questo margine di imperfezione. Sorge però opportuno, io credo, avere richiamato questa limitazione in un momento nel quale noi rischiamo di avere un male da un bene. Il bene è il superamento di molti modelli che si erano posti con grande pretesa di globalità e quasi con un certo sapore messianico, come redentori di ingiustizie tradizionali, a difesa dell’uomo più povero, della classe lavoratrice in generale e avevano sempre sostenuto, anche senza enunciarlo esplicitamente, che alcune rinunce alla libertà – loro dicevano al vostro concetto di libertà – erano una fase necessaria per poter soddisfare le esigenze di carattere sociale, il progresso di carattere economico, la creazione di un sistema migliore. Oggi tutto questo è caduto, ma dobbiamo stare attenti. Accade oggi nel mondo qualche cosa che può rischiare un errore opposto. Ho sentito da parte di alcuni stati africani, stati che hanno bisogno di quasi tutto, fare un elogio del mercato per opporlo ai modelli che hanno visto stritolarsi nelle loro mani. Ma se la loro politica dovesse poi essere impostata su questo schema quasi prefabbricato, giungerebbero ad un nuovo errore, benché di segno opposto. Considerate queste cose, (…) nessuno può togliere ai militanti cattolici un merito storicamente ineccepibile. Se i cattolici non avessero, rispondendo ad un concetto elevato di libertà e non lasciandoci suggestionare da quei modelli che chiedevano di ritardare la libertà per avere il progresso, chiamato a raccolta altre forze politiche che la pensavano diversamente da noi, ma volevano e dovevano fronteggiare un assalto massiccio, forse molte cose, successivamente, non si sarebbero sviluppate, (…). Noi siamo in una fase di grandi revisioni. Certamente sentiamo che forse questa imperfezione nella vita pubblica italiana avrebbe potuto essere minore se noi fossimo stati migliori, se noi fossimo stati più bravi. Dobbiamo però, oggi più di ieri, difendere questo modello della democrazia, di una democrazia alla quale cerchiamo di dare un nostro apporto cristiano, ma di cui riconosciamo il valore in sé. È troppo abusato il ricordo di quello che rispose Churchill a chi metteva innanzi dei difetti del sistema democratico: Churchill rispose che la forma di stato democratico si è rivelata fino ad oggi la meno imperfetta di ogni altra ed è una frase che deve farci meditare. Ripeto ancora, per non creare degli equivoci, deve farci meditare per cercare di migliorare questa forma e non certo per lasciare quelli che sono dei difetti che invece possono essere curabili. C’è una frase meno nota, ma bella, di Sturzo che diceva: “La storia ha indici indubbi, che l’abuso dell’autorità arriva a maggiori eccessi che l’abuso della libertà”. È un atto in fondo umile di riconoscimento che anche il sistema non dittatoriale ha i suoi difetti. Sistema non dittatoriale che deve portarci ad un terzo concetto che enuncio soltanto: in teoria siamo tutti contro le dittature; ma sapete qual è la dittatura, la più difficile a essere sconfessata da ognuno di noi? È la propria! Perché uno può essere tentato di ritenersi illuminato, di ritenere che gli altri sbaglino. Ora, la vita democratica è proprio il contrario e quando qualcuno che non capisce niente dice: ma come, il suffragio universale mette il grande scienziato alla pari dell’uomo che non ha neppur fatto la scuola dell’obbligo, costui non capisce, non sa che la sapienza non viene solo dalla scuola o dai titoli accademici. Vi è una sapienza del cuore che spesso è più viva in coloro che sono classificati tra la gente semplice e che non hanno quasi mai la tentazione di montare in superbia. Vi è un punto che ci porta a dare del nostro tempo un giudizio positivo. Vi è stata una fase nella quale il potere politico, cercando di collegarsi con poteri affini di altri Paesi, doveva soltanto e prevalentemente difendersi. Oggi è talmente diffuso il giudizio critico su Stalin che rappresentò la personificazione dell’attacco alla democrazia, che quasi viene da pensare che di qui non si salva più nessuno: non solo Stalin, ma Togliatti, perfino Berlinguer. Lasciate che dica, non certo per personali nostalgie, che non è così che si affermano dei nuovi corsi e del resto non basta nemmeno chiamarsi “Nuovo Partito Comunista” per poter dimenticare e far dimenticare tutto un passato. Tra l’altro, una delle pagine più belle di questo Meeting è stata la testimonianza di quel giovane cinese e vorrei dire che rispetto al vecchio Partito comunista, quello dei maoisti, il partito di Deng Xiao Ping è il nuovo Partito comunista cinese nella fase in cui vi è il superamento dell’ideologismo. In questa fase, però, vi è un rischio e vi è un rimedio: il rischio è quello di far cadere, accanto all’ideologismo che è un male, l’idealismo come ispiratore anche del servizio politico e del servizio sociale. Questo rischio, dobbiamo stare molto attenti ad evitarlo e a non cadere nelle sue spire. Ma vi è un modo di superarlo, ed è quello di allargare le dimensioni della solidarietà. Forse non sempre noi riflettiamo che tutto quello che è accaduto di positivo ha un punto di partenza: 1975, Helsinki, quando tutti i Paesi europei allineati, non allineati, compresa la Santa Sede – non ci dispiace certamente – si sono trovati per sottoscrivere un documento composto di tre grandi capitoli: 1) la riduzione del pericolo militare attraverso misure di fiducia che portassero poi ad una politica di riduzione di armamenti; 2) la cooperazione nel campo economico; 3) la difesa dei diritti umani (…). L’anno scorso, in uno dei seguiti di Helsinki, nell’accordo di Vienna, si è fatto un ulteriore passo avanti: ognuno dei Paesi europei, in nome della cooperazione e della sicurezza, ha il diritto di chiedere ad un altro Paese, quando vi sia una violazione dei diritti umani e di ricevere delle spiegazioni. Un nuovo piccolo spiraglio, nel senso del dialogo Est-Ovest, si è aperto a Parigi, nel mese scorso, quando riunendosi i sette Paesi industriali e discutendo del tema Nord-Sud e cioè del modo di aiutare lo sviluppo e la crescita dei paesi del Terzo Mondo, noi abbiamo avuto per la prima volta, da parte dell’Unione Sovietica, una avance, per poter lavorare insieme in questa direzione (…). La democrazia non è soltanto un sistema nel quale si va a votare, la democrazia è un sistema nel quale il cittadino elegge i suoi rappresentanti, ma poi deve controllarli, deve spingerli a fare al meglio il loro lavoro, ad assolvere nel modo migliore il loro mandato: questo è il senso della partecipazione. Paolo VI disse una bellissima frase: “Anche noi abbiamo un nostro umanesimo”. Questo, io credo, dev’essere il senso di questo nostro apporto alla democrazia vissuta. Dobbiamo citare anche la frase che il Papa attuale ci disse nel 1982, quando andammo da lui con i rappresentanti di quasi cento assemblee parlamentari del mondo, in occasione della Conferenza dell’Unione Interparlamentare a Roma. Il Papa fece un discorso nel quale disse testualmente questa frase: “Noi non crediamo che vi sia libertà senza la libertà religiosa, ma la libertà è un prisma unitario di cui la libertà religiosa non è che una faccia, senza la libertà tutta intera non esiste libertà religiosa, senza libertà religiosa non esiste libertà” (…). Ho detto qualche volta – spero di non scandalizzare nessuno – che la più pericolosa è la cattiveria dei buoni, che esplodono come vulcani a lungo inattivi. Allora – lasciatelo dire, in questo caso, a un vecchio presidente di un ramo di Azione cattolica – cerchiamo di non dimenticarci mai che il segno di riconoscimento di un cristiano verso un altro cristiano è volersi bene, perché altrimenti è inutile che poi ci lamentiamo di critiche ingenerose, di deformazioni di realtà fatte da coloro che non appartengono ufficialmente al mondo cattolico (…). Essere migliori riguarda tutti, a cominciare da me, ma un poco anche voi, quindi tutti quanti possiamo nella vita, dopo il X° Meeting, vedere se, per esempio, qualche volta qualche tono di carattere polemico non sia meglio smorzarlo un po’; e se siamo convinti che qualche cosa non va, diciamolo nell’orecchio delle persone, che è un modo molto più correttivo di quanto non possa essere fare dei comunicati. Non ditemi che sono fuori tema, perché dobbiamo correggere le imperfezioni non solo nella vita pubblica, ma anche nella vita privata e nella vita associativa. Devo accelerare per rispondere poi ai vostri quesiti, quindi salto alcuni passaggi, potremo riprendere nell’XI edizione, se Dio vuole, ma vorrei dire ancora questo: prima Roberto Formigoni ha giustamente fatto un cenno all’Europa. Noi siamo in una fase di costruzione di questa realtà, che non è nuova ma che deve e può avere un perfezionamento straordinario. Anche qui dobbiamo, io credo, cercare di portare delle cose essenziali nelle quali crediamo. C’è una preparazione tecnica, una preparazione giuridica, tutte cose essenziali, ma c’è una preparazione, vorrei dire, psicologica e forse possiamo anche dire spirituale, per questa convivenza più larga. Allora dobbiamo avere un senso di responsabilità tutta particolare. Coloro che hanno il privilegio di vivere – parlo dei cattolici – una nazione dove il primate è il Papa, devono essere di esempio agli altri. Dobbiamo fare qualche cosa più degli altri perché il punto di riferimento è facile: se coloro che sono vicini alla sede di Pietro possono prendersi, eventualmente, delle libertà, chi è un po’ più lontano può poi far forse il comodo proprio, completamente. Questo è un fatto che dobbiamo certamente praticare non soltanto nella politica, ma dobbiamo ricordarcene nella vita pubblica e in tutte le altre forme di vita sociale. Da ultimo vorrei citare uno scritto che ho letto di don Giussani, quando parla della cultura della responsabilità. Questo è veramente importante. Le potenzialità che ci sono in questo momento sono moltissime, anche i rischi, perché quello che è il senso del paradosso – titolo di questa nostra riunione – è forse pane quotidiano. Non so mai se il quinto, il quarto, il sesto Paese industrializzato, ma siamo tra i grandi Paesi industrializzati, però abbiamo ancora tutta una serie di fasce di popolazione che ha bisogno di andare oltre quella che è una media tollerabile. Siamo un Paese che ha scuola d’obbligo, frequenze universitarie, accademie, post-lauree meravigliose; però qualche volta sentiamo che c’è bisogno di avere una inquadratura dei nostri problemi molto migliore di quella che possiamo constatare nella nostra esperienza di tutti i giorni. C’è un senso di corrispondenza ad una politica di massa, ma qualche volta c’è il ripiegarsi verso forme di individualismo, verso forme anche di personalismo, di egoismo. C’è un senso di squarci, di illuminazione di queste grandi realtà comunitarie, europee, internazionali, poi c’è qualche volta un grigiore di problemi, a cui non sappiamo far fronte, se non con soluzioni estremamente mediocri, del tutto prive di quel respiro che noi vorremmo. In fondo c’è una coesistenza di coscienza e di incoscienza, di fermezza e di volubilità. Siamo chiamati a costruire questa realtà, a costruirla per fare in modo che, allora, questi appuntamenti della storia non vengano ad essere occasione di rimpianti, ma vengano ad essere occasione di convalida, di un certo nostro modo di vedere la realtà. Roberto prima ha ricordato il senso del compromesso (…), il genio del compromesso. Certamente, quando si tratta di dover fronteggiare delle situazioni complesse, delle situazioni difficili, bisogna normalmente cercare una media, per portarsi dietro il consenso e per non fare soltanto dei sogni (…). De Gasperi in questo ci insegnò veramente come deve essere affrontato il senso di guida di una nazione, in un momento particolarmente ostico e pieno di difficoltà nel quale scommettere nella risoluzione dei problemi era cosa ardua ed era quasi, in fondo, impensabile il poter esprimere – non voglio dire delle certezze – ma delle speranze con un certo senso di concretezza. Allora, morale della favola: noi dobbiamo essere umili, individualmente ed anche collettivamente, nei confronti delle limitazioni che vi sono nella conduzione della vita di un popolo, in tutti i suoi campi, in tutte le sue direzioni. Ma dobbiamo nello stesso tempo non essere mai soddisfatti, perché mai avremo potuto e saputo dare tutto quello che, invece, la provvidenza di Dio ci ha dato come potenzialità da mettere in atto. Noi sentiamo che questo è un momento di grande cristianesimo naturale. La bontà non ha aggettivi e la bontà è veramente spesso più diffusa – può sembrare un altro paradosso, ma in questo caso non lo è – di quello che sembri. Bene, noi crediamo che occorra alla nostra società nazionale un grande e convinto, coerente e generoso apporto di menti e di opere cristiane, perché ci sono due piccoli punti che vorrei portare a conclusione di questo scombinato discorso sul sistema democratico, due piccoli punti dei salmi che non possono mai essere superati nel tempo: “Se non sarà Iddio a costruire la nostra società, invano avranno lavorato coloro che la costruiscono e se non sarà Iddio a custodirla, invano noi potremo sforzarci a credere di averla salvaguardata”.

A. Smurro:

Grazie, signor Presidente. Direi di passare con rapidità alle domande.

Domanda:

Onorevole Andreotti, che cosa pensa della condizione giovanile, del disorientamento e della disaffezione dei giovani nei confronti del fatto cristiano, così come emerge dall’inchiesta commissionata da “Il Sabato”?

G. Andreotti:

Noi viviamo un momento nel quale la gioventù da messaggi contraddittori (…). Alcuni sono inquietanti, se vediamo il numero dei drogati, per esempio, è qualche cosa di sconvolgente; se vediamo la criminalità, anche la criminalità minorile, è una criminalità che preoccupa (…). Però, all’altro opposto, c’è tutta una serie di esperienze diverse, c’è una esperienza del volontariato, non solo di quello noto, non solo di quello di tante migliaia di giovani che vanno in giro per il mondo e stanno anni, lì, per servire negli ospedali, nella vita agricola, nelle scuole. In fondo oggi vi è, accanto ai missionari nel senso storico di questa parola, una fioritura di giovani particolarmente meritevoli, perché quando ritornano non è facile poi il loro reinserimento nella vita professionale. Questo è un messaggio di carattere positivo. Vi è un messaggio di carattere altrettanto positivo che ci viene quando il popolo parla spontaneamente. Noi facciamo tante discussioni – non voglio per carità sottovalutarle – sull’ora di religione, ma avendo cambiato il sistema, cioè avendo mutato l’opportunità di dire se uno non voleva andarci con quello di dire se uno vuole andarci, vediamo che molti hanno detto di sì (…). Vi è ancora la frequenza nelle chiese. Non voglio adesso dire che non ci sia il fenomeno descritto dai sondaggi, il fenomeno c’è. Però stiamo attenti a non demonizzare certe forme più moderne di partecipazione dei giovani (…). Una volta un Vescovo, che se la prendeva un po’ con la Democrazia cristiana, mi disse: “Ma in fondo la colpa è vostra”. Allora cercai di spiegare: guardi, non è vero, perché mi pare che se prima all’anagrafe si dicevano tutti cattolici, non per questo dovevano in verità esserlo. Oggi dobbiamo in fondo fare una nuova evangelizzazione. Poi, alla fine – siccome diceva che tutto era colpa nostra, che noi eravamo organizzati malissimo, ecc. – dissi: scusi, ma la percentuale di voti della Democrazia cristiana è il doppio di quelli che lei mi dice che vanno a messa nella sua diocesi. Io mi impegno a cercare di fare il catechismo ai votanti della Democrazia cristiana (…).

Domanda:

In questi anni abbiamo imparato che la fede cristiana non può rimanere nell’astratto e neppure essere ridotta a un vago spiritualismo. Essere cristiani infatti significa diventare protagonisti nella società e per questo chiediamo la libertà di iniziativa, la libertà di creare opere e per questo siamo attaccati anche con calunnie e menzogne, come sta accadendo ai miei amici di Roma. Che spazio c’è per questa creatività sociale e che aiuto può offrire la politica a noi che facciamo le opere?

G. Andreotti:

(…) Noi dobbiamo dire che il mondo politico e il mondo economico soffrono di due allergie. Prima ho detto che dobbiamo essere contro la dittatura, c’è però chi, e nel campo politico e nel campo economico, ritiene una specie di usurpatore chiunque voglia cercare di contare e di gareggiare lealmente ad armi pari, perché considera quasi una specie di investitura lo stato attuale del possesso. Che cosa è accaduto allora? Per molti anni nelle università, ad esempio, dove la partecipazione alle elezioni non è mai molto abbondante, i comunisti e loro alleati pacificamente prendevano le maggioranze di tutti gli organismi rappresentanti. Ad un certo momento un gruppo di giovani ha detto: questo non è giusto! Non ha mica detto: chiediamo al governo di fare un decreto-legge per darci dei posti proporzionali. Nossignore! Si sono messi al servizio degli altri studenti, per esempio per far risparmiare loro il costo delle dispense si sono messi a farle, facendosi rimborsare solo il prezzo della carta; per tutti gli studenti, e sono tanti, che non hanno la famiglia nella sede dell’ateneo, hanno messo a disposizione delle mense facendo pagare soltanto il costo che c’era (…). Allora, che cosa è accaduto? Che da un giorno all’altro, o da un anno accademico all’altro, si è ribaltata una situazione rappresentativa in molte università. Questo ha dato molto fastidio a coloro che vivevano di rendita, senza fare opere. Ora nessuno, io credo, vuole impedire o si rammaricherà se altri, stimolati dal vostro esempio, si rimboccheranno le maniche, cercheranno magari di far concorrenza, di dare le dispense senza nemmeno il prezzo della carta o di fare mangiare con un prezzo inferiore al rimborso delle spese. Se possono fare miracoli di questo genere, la generalità degli studenti ne godrà e dovranno essere riconoscenti a voi che avete mosso questo mare che era un mare calmo, molto comodo per altri. Naturalmente, accanto a questa faccia politica del problema, c’è anche una faccia, direi, mercantile. Coloro che, per esempio, avevano in appalto delle mense potevano fare degli utili piuttosto buoni e notevoli e fare una vita piuttosto discreta, magari qualche volta andando in vacanza il giorno della dichiarazione dei redditi per non far vedere quello che era poi il loro vero guadagno. Anche questi non sono proprio molto entusiasti, né del Movimento popolare, né di Comunione e Liberazione. Se voi non faceste opere, probabilmente non sentirebbero nessuna avversione nei vostri confronti, ma siccome opere ne fate…Del resto, la stessa cosa accade per le cooperative, solo che se le cooperative sono di un certo colore allora è il progresso, se invece non hanno colore, sono bianche, non è progresso! Detto questo – siccome una domanda analoga mi era stata fatta anche nella conferenza stampa e ho detto le stesse cose – aggiungo anche che, naturalmente, dobbiamo stare molto attenti, direi, a un certo rigore, a come si conducono queste cose, perché uno può essere buono ma non avere il pallottoliere, quindi non saper fare bene i conti. Noi dobbiamo veramente fare delle opere che non abbiano lucro, perché la nostra attività deve essere un’attività di servizio nei confronti della collettività, ma che possano essere di esempio, di carattere tecnico e anche di grande limpidità amministrativa. D’altra parte, signori miei, in un mondo di multinazionali, in un mondo di giganti dell’economia, ma chi è che si preoccupa veramente della concorrenza sul piano economico e sul piano commerciale delle vostre opere? Non esageriamo adesso in questo senso; nel momento in cui voi diventaste una grande multinazionale, forse allora avreste bisogno di fare, non una settimana all’anno di esercizi, ma di farne due, perché sareste esposti a delle grandi tentazioni e credo che, almeno per queste generazioni, questo pericolo non ci sia.

Domanda:

Noi sentiamo di poter dare un grande contributo di presenza cristiana nel mondo. Abbiamo molti nostri amici in tanti Paesi stranieri ad annunciare la certezza dell’avvenimento cristiano, a condividere i bisogni e le necessità della gente. Volevo chiederle: che ruolo può svolgere l’Italia in questo?

G. Andreotti:

Credo che l’aver seminato, l’aver risvegliato nel mondo dei fermenti ispirati al valori cristiani da tradursi nella vita esterna, sia stato e sia un merito notevole. C’è in fondo la grande esperienza che abbiamo visto comparativamente in questi ultimi anni. Uscire da una dittatura è molto difficile, ma credere di uscirne soltanto per concessioni dall’alto, dando a rate la libertà, è una grande illusione. Occorre un movimento di base. Noi abbiamo visto che in Polonia il grande movimento di Solidarnosc ha creato la premessa per poter arrivare il più rapidamente possibile a ribaltare un regime dittatoriale, e cercare, senza spargimento di sangue, di edificare una realtà democratica (…). Volevo dire una cosa del Libano. La situazione del Libano è, tra le cosiddette “zone calde” la più complicata. Il Libano è stato all’avanguardia di una situazione di convivenza, addirittura, con una Costituzione che stabiliva la ripartizione degli incarichi pubblici tra la componente islamica e la componente cristiana. Per un lungo periodo questo è andato benissimo, poi le cose sono cambiate, un po’ per la tensione sviluppatasi per i vicini fatti di Israele, un po’ per la presenza in Libano di coloro che sono stati espulsi dai territori occupati della Cisgiordania e di Gaza, infine per una coscienza nuova che si è creata anche in seno alla popolazione islamica, divisa in due confessioni: i sunniti e gli sciiti, con in più un’appendice dei drusi di Jumblat. Fino a non molti anni fa i sunniti, percentualmente pochi, avevano in mano tutto il potere. Per quello che rappresentava la componente islamica, gli sciiti erano un po’ i paria della situazione. Oggi si sono svegliati e anche loro desiderano: e purtroppo, lì, quando si desidera qualche cosa, il ricorso alle armi è pane quotidiano (…). Successivamente si è complicata ancora la questione; intanto una parte di cristiani sono andati via, per la persecuzione che c’è stata nello Chouf e per altre persecuzioni. Poi non sempre vi è stata un’armonia idilliaca tra cristiani, non solo per le divisioni tra i cristiani – i maroniti, i melchiti e gli armeni – ma anche all’interno dei maroniti che sono la grande maggioranza. A complicare le cose sono arrivati poi questi intransigenti dell’islamismo. E da ultimo, per cercare di dare addosso alla Siria, l’Iraq, che certamente non ha delle grandi velleità di aiutare l’evangelizzazione cristiana, ha dato aiuti ai cristiani in modo da complicare ulteriormente questo quadro. Qual è la soluzione possibile? Certo, la soluzione è che tutti quelli che non sono libanesi se ne vadano a casa. Questo è facile denunciarlo, ma finora è stato difficile da realizzare. Però è questa la strada che dev’essere perseguita … e i Paesi Arabi, impegnati a cercare di favorire questo disegno, hanno nominato un triunvirato: Algeria, Arabia Saudita e Kuwait, per cercare di convincere la Siria e un po’ tutti a questo disegno. Certo, occorre un’altra Costituzione. I dati sono cambiati, la Costituzione vecchia non funziona più, però bisogna nominare il Presidente della Repubblica che è vacante. Ci sono addirittura due governi di cui, in pratica, né l’uno né l’altro governa effettivamente. Allora c’è il tentativo di recupero di una situazione, affidata oggi a questo mondo arabo, per il quale noi facciamo voti, che cerchiamo di sostenere anche con preghiere. Perché? Perché il Libano è il Paese dove quel dialogo tra cristiani e islamici può essere fatto in un modo straordinariamente migliore che negli altri Paesi, perché tutti sono arabi, si parla arabo anche tra i cristiani e, quindi, quel dialogo è fatto nella loro lingua. Mi auguro che si possa veramente, da parte degli uomini di buona volontà di tutto il mondo, giungere alla creazione di un Foro nel quale queste tre religioni possano trovare il modo di discutere tra di loro. Credo che questo dobbiamo fare per il Libano e tutto ciò può essere fatto, diplomaticamente, utilizzando le conoscenze verso Assad. Ma il problema a più largo respiro deve essere quello di ricreare le condizioni perché questa nazione possa vivere autonomamente, indipendente e sovrana. Coloro che vorrebbero renderlo un cantone, un insieme di cantoni, forse pensando, chissà, di poter fare gli affari come altri paesi cantonali, non servono la causa del popolo libanese. Il popolo libanese, credo, quasi dissanguato com’è, ha il diritto ad un grande sforzo di carattere internazionale. Finora tutte le potenze umane non ci sono riuscite. Continuiamo però in questo sforzo e affidiamolo, anche, alla preghiera, perché credo che senza questa è una situazione che non riusciremo a correggere.

A. Smurro:

Il Meeting è un incontro e come tale è imprevedibile, imprevedibile anche nella ricchezza di quanto oggi abbiamo ascoltato. Ringrazio di cuore il Presidente Andreotti per la lezione di umanità e di vera politica che ci ha offerto. Gli domandiamo di continuare a usare nei nostri confronti la stessa pazienza e amicizia senza le quali difficilmente avremmo attraversato e superato positivamente momenti difficili della storia del nostro tentativo di presenza cristiana, fra i giovani e fra gli uomini di questa epoca. Grazie a voi tutti.

 

Data

24 Agosto 1989

Ora

17:00

Edizione

1989
Categoria
Incontri