Chi siamo
Il cammino della chiesa in Italia
Incontro con S. E. Mons. Giuseppe Betori, Segretario Generale della C.E.I.. In occasione dell’incontro intervento di saluto di Paola Bignardi, Presidente Azione Cattolica. Introduce Giancarlo Cesana, di Comunione e Liberazione, Professore di Medicina del Lavoro presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Giancarlo Cesana: «Possiamo cominciare. Siamo particolarmente lieti di avere con noi Sua Eccellenza Monsignor
Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana. La nostra gioia
deriva dal fatto che, come dicevamo ieri celebrando il 25º anniversario del Meeting, questo
evento vuole essere una documentazione della convenienza dell’essere cristiani, della
convenienza in termini umani, come possibilità di esperienza e di raggiungimento di ciò che il
desiderio dell’uomo cerca: la felicità. Non una felicità intesa semplicemente come emozione,
ma come capacità di non cedere alla contraddizione, di vivere la contraddizione e di sperare
dentro tutte le difficoltà della vita.
Il Meeting, dunque, vuole essere questa documentazione. Tutto ciò lo facciamo per la
passione per l’uomo e come servizio alla Chiesa, in particolare alla Chiesa italiana. Per questa
ragione siamo particolarmente lieti di avere con noi Monsignor Betori. In un momento
drammatico come quello che viviamo, in cui al progresso del benessere corrisponde una
paurosa perdita di umanità e della tradizione popolare cristiana, anche nel nostro Paese –
che, pur tra tanti altri, si mantiene cattolico, grazie senz’altro ai pastori che hanno guidato la
Chiesa fino ad oggi –, la tradizione cristiana sta paurosamente arretrando. Il relativismo e il
nichilismo sembrano dominare sempre più l’esperienza dell’uomo. Questa questione è stata
oggetto di un intervento del cardinale Ratzinger e di un commento preoccupato da parte di un
laico come il Presidente del Senato.
Chiediamo quindi a Monsignor Betori quale prospettiva vede per il futuro della presenza della
Chiesa in Italia e quale suggerimento propone a noi per collaborare di più al servizio della
Chiesa, per una presenza cristiana viva. Grazie.»
Giuseppe Betori: «Grazie per queste parole e per la cordialità con cui mi avete accolto. Grazie per questo invito,
importante perché siamo al 25º Meeting, un’opera di cattolici che merita ogni apprezzamento
per la sua capacità, collaudata e riconosciuta, di intercettare le voci del tempo senza fare
sconti sulla chiarezza della proposta. Lo dico con convinzione e provo a dare un mio piccolo
contributo con un intervento intitolato “Il cammino della Chiesa in Italia”. Vorrei affrontare
questo tema partendo dal titolo stesso del Meeting, in particolare dalle sue ultime parole, che
mi hanno fatto molto riflettere: “tendere continuamente alla meta”.
Per me, vecchio biblista, queste parole evocano immagini profondamente evangeliche,
soprattutto lucane, richiamando il capitolo 21 del Vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli.
“Tendere continuamente alla meta” richiama un passo cruciale del Vangelo di Luca, in cui si
dice che, mentre si compivano i giorni del suo innalzamento, Gesù ‘indurì il suo volto per
incamminarsi verso Gerusalemme’. Più volte, da quel momento, Luca ribadisce questa
determinazione di Gesù nel suo cammino verso la meta di tutta la sua esistenza terrena: la
Pasqua. ‘Indurì il suo volto per incamminarsi verso Gerusalemme’, verso un luogo concreto
dove si compirà un avvenimento, la Pasqua di morte e risurrezione. Ma a questa meta si
arriva solo attraverso un cammino concreto.
Ci sono tentazioni di sfuggire al cammino, riassunte da Luca, come dagli altri evangelisti, nelle
tentazioni nel deserto, all’inizio dell’esperienza di Gesù. Sfuggire alla concretezza della storia
è una tentazione, ma in questa storia bisogna starci. Il cammino di Gesù è fatto di incontri, di
separazioni, di accoglienze e rifiuti. Tuttavia, in questo cammino non c’è possibilità di
procedere se non attraverso una presa di posizione, una continuità da dare al cammino
stesso. Non si può fare un cammino a tratti: occorre una strada decisa, rendendo la faccia
dura come pietra, come direbbe il Cantico del Servo del Signore, pronti a un confronto
esigente, senza sconti, anche quando questo confronto può essere denso di sofferenza.
Per riassumere questa immagine: un cammino passo dopo passo, nella ferialità della vita,
pagando il prezzo del rifiuto di ogni compromesso con i dominatori di questo mondo, i
principati e le potestà che Cristo ha sottomesso e di cui ha fatto spettacolo nel corteo trionfale
della croce. Mi vengono in mente le pagine stupende di René Girard su queste dominazioni del mondo, rese spettacolo nel corteo trionfale della croce, dando, attraverso morte e risurrezione, pieno compimento di sé e adempimento del progetto del Padre.
In queste tre categorie – la ferialità della vita, la prontezza a pagare senza compromessi e lo
stare nella città con morte e risurrezione – trovo un paradigma che ci aiuta a comprendere
alcune scelte della comunità ecclesiale italiana negli ultimi anni.
Primo, la scelta di non rinchiudersi in un’introversa difesa della propria identità, ma di
spendere questa gelosia che Dio ha per la Chiesa dentro la storia, come avvenimento storico.
La Chiesa che vogliamo costruire è innamorata perdutamente del suo Signore, ma anche
capace di sperare in termini progettuali, promuovendo forme di accompagnamento nella
ricerca di percorsi nuovi per incontrare Cristo e diventare ogni giorno cristiani.
Vengono in mente le grandi linee della storia della Chiesa italiana negli ultimi trent’anni, con
formule come evangelizzazione, sacramenti, comunione, comunità, testimonianza della carità
e, in questo decennio, “comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. Può sembrare
un’evocazione astratta, ma dietro queste formulazioni c’è un ordine di servizio, un asse di
sintesi attorno al quale le nostre comunità si sono protese a rinnovare educativamente il loro
volto, alla scuola del Concilio. In questo cammino si è realizzata una varietà, con le
diversificazioni nel proporre gli itinerari di fede, in particolare quelli promossi da associazioni e
movimenti, una ricchezza per tutti.
Secondo, la consapevolezza che, in questo cammino, dobbiamo confrontarci con una cultura
pubblica dimentica delle radici cristiane, che talvolta si contrappone ad esse con superficialità
o supponenza, specie nei suoi esiti nichilistici, come ricordava Cesana, negando ogni
riferimento trascendente. Ma anche in forme meno sofisticate, più platealmente diffuse, ci si
richiama a una parziale e astratta carta di valori. In questa visuale, ci sentiamo oggi impegnati
a rivendicare il patrimonio di fede cristiano come un fattore culturale ineliminabile dall’identità
del nostro popolo, da riproporre nella sua vitalità come un apporto di piena umanizzazione per
la persona e la società.
Terzo, la coscienza che stanno venendo meno i riferimenti culturali e sociali che
accompagnavano il diventare e il crescere cristiani. Ecco allora il bisogno che ciascuno possa
incontrare personalmente Gesù Cristo, il suo mistero di redenzione, donato dalla fede della
Chiesa nella parola dei suoi testimoni. Questa linea si intreccia con l’invito di Giovanni Paolo
II, che dall’inizio del suo pontificato, e con forza nel Giubileo del 2000, ci ha chiesto di
ricentrare tutto in Cristo, la fede e la prassi ecclesiale sulla persona di Gesù.
Un’altra immagine biblica, dagli Atti degli Apostoli, ci presenta la Chiesa come percorsa da
una dinamica incessante, che la proietta fuori di sé, senza margini se non quelli dell’umanità
intera, fino agli estremi confini della terra, geografici, sociali e culturali. Al contempo, questa
Chiesa è chiamata a concentrarsi sulla propria identità, fatta di Parola, sacramenti e
comunione: ‘Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nella
frazione del pane e nelle preghiere’.
Si potrebbe dire che il grande cuore della Chiesa ha bisogno, come ogni cuore, di sistole e
diastole. Un’espansione illusoria porterebbe alla dispersione e alla perdita dell’identità;
un’affermazione di sé fine a se stessa non servirebbe. L’identità va spesa come proposta di
umanità piena per tutti, invitando a condividere il cammino, il pane, una compagnia che, come
a Emmaus, svela il mistero e fa scoprire il volto di Cristo come verità incarnata sul volto di ogni
uomo.
Questa è la radice della pastorale che i vescovi oggi auspicano: un impegno per una più
chiara identità della fede e per un più coraggioso sbilanciamento missionario. Più noi stessi,
più per gli altri: questa deve essere la Chiesa italiana. Ma c’è il pericolo che il cammino si
arresti. Occorre, come dice il titolo del Meeting, “tendere continuamente”. Negli Atti degli
Apostoli c’è un verbo, proskartereo, che significa essere assidui, persistere, dedicarsi con
zelo, perseverare ogni giorno con tenacia, decisione e generosità.
La Chiesa si edifica giorno per giorno nella perseveranza, nell’eccezionalità ma anche nella
ferialità dei gesti umani, negli affetti, nel lavoro, nel tempo libero. Questa perseveranza è
visibile nella vita delle nostre parrocchie, gruppi, movimenti e associazioni, che non finisce sui
giornali e, se ci finisce, spesso è fraintesa. Ma non basta perseverare: bisogna perseverare
insieme. Gli Atti degli Apostoli dicono ‘homothumadon’, insieme. Solo in un’esperienza di
comunione si può essere perseveranti, perché da soli non si resiste.
Questa consapevolezza di un’esigente continuità nella comunione si riflette nella crescita di
legami che si stanno intessendo nella Chiesa italiana. Nell’editoriale di Avvenire del giorno
dell’Assunta ho salutato una stagione nuova, un’aria nuova nella Chiesa italiana, con più
presenze fraterne, convergenze negli obiettivi comuni di servizio alla fede e alla carità, a livello
diocesano e nazionale. Alla stagione dell’affermazione delle identità sta succedendo un tempo
di rinnovata consapevolezza di essere un unico popolo di Dio, responsabile di una
testimonianza unanime al Vangelo.
Vorrei proporre una definizione di Chiesa: la Chiesa di cui abbiamo bisogno oggi, dono del
Signore e frutto del nostro impegno, è una tensione perseverante e condivisa verso la meta,
che è Cristo. Dalla croce di Cristo, dalla sua mensa di Risorto, nasce la comunità dei credenti,
guidata e rafforzata dallo Spirito, che si muove verso Cristo, Signore di tutti. Con
Sant’Agostino, la Chiesa ‘canta e cammina’, celebra e vive.
Non ci meraviglia che, negli Atti, a chi vedeva la Chiesa come una setta, essa rispondesse
definendosi non come separazione, ma come cammino, come ‘via’. ‘Voi siete quelli della via’,
perché la via è quella del Signore, che ci chiama con il ‘Seguimi’, generando un rapporto
personale con Cristo e mettendo la persona in cammino con i fratelli discepoli.
Questa consapevolezza si traduce in una scelta tipica della Chiesa italiana: la riscoperta della
vocazione contemplativa, di una spiritualità cristiana centrata sull’adorabile persona di Cristo.
Per Comunione e Liberazione, questo riferimento a Cristo definisce il senso di un movimento:
ci si muove a partire da Cristo, dietro a Cristo, insieme a Cristo e verso Cristo.
Enunciare il cammino della comunità ecclesiale in Italia è possibile solo all’interno di questa
coscienza di Chiesa, che ha risvolti teologici e storici, incarnandosi in un contesto che varia
continuamente. Gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana si collegano allo slancio
missionario impresso da Giovanni Paolo II, riassunto nella Novo Millennio Ineunte: ‘Andiamo
avanti con speranza. Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come un oceano vasto in
cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo’.
Gli orientamenti pastorali per questo decennio sottolineano che il compito primario della
Chiesa è testimoniare la gioia e la speranza originate dalla fede in Gesù Cristo. Al Convegno
Ecclesiale di Palermo, il Papa ci ha chiesto un salto di qualità in due direzioni: una spiritualità
più intensa e una presenza più coraggiosa nella storia. Gli orientamenti pastorali dedicano la
prima metà a contemplare il volto di Cristo, perché su questa contemplazione si gioca il futuro
della Chiesa in Italia. Senza diventare contemplatori di Cristo, non otterremo nulla.
Questa contemplazione si affianca alla missione, che nasce e si modella sull’Eucaristia, il
dono di sé nella comunione per gli altri. Da qui alcune scelte concrete.
Primo, una sete di ascolto. Abbiamo bisogno di una Chiesa che ascolti gli altri, si ascolti tra noi
e ascolti soprattutto Dio e la sua Parola. Ascoltare gli altri significa mettersi in ascolto della
cultura del nostro mondo, senza rinunciare alla differenza cristiana, ma con la fiducia che
questa differenza abbia qualcosa da dire a tutti. Ascoltare tra noi implica fare della Chiesa,
come dice il Papa, ‘la casa e la scuola della comunione’, sentendo il fratello di fede come
parte del corpo mistico. Ascoltare Dio richiede di leggere la Scrittura con la tradizione e il
magistero, evitando il biblicismo e l’ideologizzazione della Parola.
Secondo, far crescere la capacità di iniziare ed educare alla fede. Non viviamo più in un
mondo in cui il cristianesimo si assimila per contagio ambientale. La tradizione cristiana è rimossa dalla memoria collettiva, e serve una Chiesa che ri-annunci il Vangelo, dai più piccoli ai più grandi, radicandolo nel contesto culturale. Ciò richiede itinerari personalizzati, luoghi in
cui la persona possa fare esperienza concreta del Vangelo, incontrando la grazia e
condividendo un cammino di fede che genera uno sguardo nuovo sulla vita e sul mondo.
Terzo, un progetto culturale orientato in senso cristiano. La crisi spirituale del nostro Paese si
misura nella cultura, e la scissione tra fede e cultura è alla radice di questa crisi. Il progetto
culturale risponde alla necessità di reagire alla diaspora culturale dei cattolici, recuperando la
capacità del cattolicesimo italiano di incidere nel tessuto sociale, non attraverso il potere, ma
con una visione coerente e un’interpretazione del ruolo storico del cristianesimo.
Il Meeting si colloca dentro questa intuizione del progetto culturale, e svilupparlo in sintonia
arricchirà la Chiesa italiana. In questo quadro, le comunicazioni sociali assumono un ruolo
centrale, con strumenti come Avvenire, Sat 2000, il circuito radiofonico InBlu e i settimanali
cattolici.
Quarto, il rapporto del cattolicesimo con il Paese, negli assetti sociali e nel servizio alla
politica, volti al bene comune. L’epoca dell’impegno unitario dei cattolici è chiusa, ma senza
rimpianti, con gratitudine per il passato. Oggi il compito è non annacquare la fedeltà ai valori
della persona e della comunità, ricercando riferimenti culturali e ideali unitari per contrastare la
deriva del frammentarismo.
Quinto, preservare e rilanciare la natura popolare della Chiesa italiana, un dono che possiamo
offrire alle altre Chiese. I vescovi hanno richiamato il tema della parrocchia, ripensata in
un’ottica di pastorale integrata e missionaria. Gesù non crea separazioni, ma sta in mezzo,
partecipando alla vita di tutti, riscoprendo il valore della prossimità e dell’amore. La parrocchia
deve essere uno strumento per dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana, nei
momenti essenziali della vita.
Le parrocchie devono evitare due derive: diventare comunità autoreferenziali o centri di servizi
religiosi. Per evitarlo, devono rinnovare il legame con il territorio, inteso non solo come spazio
geografico, ma come i mille territori umani della vita quotidiana. Non bastano da sole: devono
integrarsi tra loro e con i movimenti, senza esclusivismi né paure, valorizzando le novità dello
Spirito. La parrocchia resta un presidio locale irrinunciabile, un punto di riferimento per i
bisogni della vita.
Concludo toccando la realtà di Comunione e Liberazione, che in questo 25º Meeting celebra i
50 anni dal seme gettato da don Luigi Giussani in un liceo milanese, con la sua intuizione
culturale, teologica e il coraggio apostolico. Esprimo la gratitudine della Chiesa italiana per
una presenza che ha permesso a tanti giovani di scoprire la fede come verità della loro vita e
l’incontro con Cristo come capacità di generare novità nella storia. Comunione e Liberazione è
stata anticipatrice e partecipe degli orizzonti pastorali della Chiesa italiana. Sentiamoci attenti,
pronti, disponibili e generosi, certi che i vescovi troveranno nel movimento una corrispondenza
intelligente e flessibile, continuando a essere l’inizio di un cammino verso la meta, che è
Cristo.»
[Applauso]
Giancarlo Cesana: «Ringraziamo Monsignor Betori, in particolare per la preoccupazione educativa che ha
pervaso la sua relazione. Ha parlato della necessità di iniziare ed educare alla fede, una
preoccupazione fondamentale per il Meeting e per Comunione e Liberazione. Ha citato
l’episodio iniziale di don Luigi Giussani, che, accorgendosi dell’ignoranza in materia di fede di
alcuni studenti cattolici incontrati casualmente in treno, non creò comitati o gruppi di lavoro,
ma lasciò il seminario e andò a insegnare nella scuola più laica di Milano, tanta era la sua
passione educativa. Mi domando: se gli studenti cattolici degli anni Cinquanta erano ignoranti,
chissà se li incontrasse oggi!
[Applauso]
La passione educativa ci caratterizza profondamente. Come ha detto Monsignor Betori,
l’educazione non è la comunicazione di un discorso, ma di un fatto, perché non sostituisce né
condiziona la libertà, ma la evoca. Qualche anno fa, don Giussani, parlando a un gruppo di
studenti universitari, descriveva la situazione dicendo: ‘Voi ragazzi di oggi siete come se
aveste subito la radiazione di Chernobyl: uguali a tutti gli altri, ma svuotati di energia dentro’. E
si chiedeva: ‘Che cosa potrà risollevare da questa mancanza di capacità di attaccamento e
comprensione? Un incontro, un incontro che evochi la libertà’.
Da questo punto di vista, non possiamo prevedere l’imprevisto, ma dobbiamo attenderlo,
perché il fattore creatore di una nuova umanità è la grazia di Dio. Per questo sono lieto di dare
la parola a Paola Bignardi, Presidente di Azione Cattolica, che ha qualcosa da dirci.»
[Applauso]
Paola Bignardi: «Cari amici, grazie per avermi invitato a questo Meeting. Quello che ho da dire è una parola
semplicissima, fraterna, di saluto, augurio e invito. Non sono qui da sola: sono con l’Assistente
Generale, Monsignor Francesco Lambiasi, e con tutta la Presidenza Nazionale, per dare
evidenza al nostro desiderio di condividere con voi questo momento che ricorda i 25 anni del
Meeting e i 50 anni di Comunione e Liberazione.
Il cammino di comunione che il laicato italiano ha compiuto in questi anni, spinto dal desiderio
crescente di testimoniare la fede e i valori che danno senso al nostro vivere, ha portato a
maturare la possibilità di questo incontro, di cui ringrazio il Signore insieme a voi. Sono certa
che costituirà una tappa importante di un percorso nuovo di comunione e convergenza tra
tutte le aggregazioni ecclesiali.
Due elementi mi sembrano emergere con chiarezza nell’ultimo periodo. Primo, le diverse
esperienze e doni, vecchi e nuovi, costituiscono una ricchezza per la Chiesa e la sua
missione. Secondo, c’è un’esigenza imprescindibile di comunione, in cui le diversità siano
valorizzate e assunte in una sintesi ecclesiale viva.
Questi pensieri mi hanno portato qui, maturati nei dialoghi informali e nell’ascolto interiore di
un desiderio di unità che, credo, Azione Cattolica condivide con voi come testimonianza
importante per il mondo di oggi. Azione Cattolica è alla vigilia di un evento straordinario, e non
posso non condividere con voi la gioia e la trepidazione per l’attesa che ci vedrà riuniti tra
pochi giorni a Loreto, per accogliere il Papa che beatificherà tre giovani provenienti da Azione
Cattolica. La preparazione di questo evento ha visto un coinvolgimento progressivo di molte
aggregazioni.
Vorremmo che questo pellegrinaggio fosse una festa capace di parlare di un laicato maturo,
capace di dialogo, segno di speranza per tutti. Per questo sono qui a rivolgere a Comunione e
Liberazione e a ciascuno di voi l’invito a condividere questa festa di fede e fraternità, per
essere insieme un segno visibile e forte di una Chiesa in cammino. Grazie, auguri e, se posso
dirlo, arrivederci a Loreto.»
[Applauso]
Giancarlo Cesana: «Tra l’altro, anche noi, per il nostro cinquantenario, andiamo in pellegrinaggio a Loreto il 16
ottobre, per cui ricambiamo l’invito. Come sapete, nel Vangelo Gesù dice che l’unico fatto da
cui gli uomini possono comprendere che Egli è presente nella storia è l’unità tra coloro che lo
seguono. Non l’intelligenza, la capacità, il potere o la coerenza, ma l’unità, perché se coloro
che lo seguono sono uniti, significa che nella decisione della vita non dipendono da se stessi o
dai propri progetti, ma da Lui, che crea questa unità. Così si incontra Lui, non loro.
Credo che questo sia ciò a cui dobbiamo tenere di più. L’incontro di oggi, con la Presidente di
Azione Cattolica e con Monsignor Betori – che ringrazio ancora per le sue parole –, è l’espressione della coscienza a cui siamo ormai chiamati: la missione chiede innanzitutto la nostra unità. Dobbiamo avere il coraggio di rispondere positivamente al Signore che ce lo chiede.»
[Applauso]