«FARE LA VOLONTÀ DEL PADRE NOSTRO IN CIELO: VERSO UN PARTENARIATO TRA EBREI E CRISTIANI»

«Fare la volontà del Padre Nostro in cielo: verso un partenariato tra ebrei e cristiani»

Partecipano: Ignacio Carbajosa Pérez, Docente di Antico Testamento presso la Facoltà di Teologia dell’Università San Dámaso di Madrid, Spagna; Eugene B. Korn, Direttore Accademico CJCUC (Centro per la Cooperazione e l’intesa Ebraico-Cristiana), Israele. Introduce Alberto Savorana, Portavoce di Comunione e Liberazione.

 

ALBERTO SAVORANA:
Buon pomeriggio Il tema di questo incontro, a cui io attribuisco un valore eccezionale e credo che anche voi alla fine troverete estremamente pertinente al titolo di questo Meeting, il tema che abbiamo scelto per questo dialogo di oggi pomeriggio è: “Fare la volontà del Padre nostro in cielo: verso un partenariato tra ebrei e cristiani”. Questo è il titolo di un documento che una sessantina di rabbini ortodossi israeliani, europei, nordamericani, hanno sottoscritto nel dicembre dello scorso anno e questo documento è all’origine del dialogo di oggi. Io ricordo ancora in modo molto vivo quando la sera della vigilia di Natale dello scorso anno, il prof. Ignacio Carbajosa, che siede alla mia sinistra, mi ha chiamato da Madrid tutto entusiasta perché aveva letto questo testo e ha incominciato a leggermi qualche frase sparsa di quel documento. Il cristianesimo, scrive questo gruppo di rabbini ortodossi, non è un accidente o un errore ma il risultato della volontà divina, è un dono per le nazioni. E ancora nel documento invitano a riconoscere la valenza costruttiva nel tempo presente del cristianesimo, attenzione, come nostro alleato nella redenzione del mondo. E infine, nessuno di noi può portare a compimento da solo la missione divina in questo mondo. Lì, dopo queste poche parole di Carbajosa al telefono, è nato l’incontro di oggi, perché era troppo prezioso quello che questi uomini della fede di Abramo avevano scritto e avevano consegnato al mondo, come loro contributo a questo mondo, a questo momento di cambiamento epocale. E questo documento è stato scritto in occasione della commemorazione di un altro documento, un documento di cinquant’anni prima, del concilio Vaticano secondo, intitolato Nostra Aetate, un testo sulle relazioni della chiesa cattolica con tutte le altre religioni non cristiane. Una parte rilevante di questo documento è dedicato proprio ai rapporti con l’ebraismo e su questo ritorneranno i nostri due relatori. Anche qui si registrano delle novità, qualche cosa che allora fece sussultare e a cinquant’anni di distanza ancora muove un interesse, una disponibilità. Leggiamo nella Nostra Aetate che gli inizi della fede cristiana e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti. E rispetto a una certa opinione diffusa nel passato che aveva procurato tanti dolori, tanti lutti, perfino morti, Nostra Aetate riconosce che la colpa della morte di Cristo non può essere imputata (cito) “né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo”. Non si possono indicare gli ebrei come rigettati da Dio né come maledetti. Devo registrare che un mese prima della dichiarazione dei rabbini ortodossi, un altro gruppo di ebrei, questa volta francesi, aveva firmato una dichiarazione, era il novembre 2015 e di essa leggo solo una frase: “Le nostre strade, sebbene irriducibilmente distinte, sono complementari e convergenti, per questo occorre accogliere il cristianesimo in sinergia con l’ebraismo, come religione di nostri fratelli e sorelle”. Un’altra parola che getta una luce nuova su una possibilità di incontro, di un dialogo nell’incontro. Il Meeting ha voluto ospitare un momento in cui tutta questa ricchezza di contributi potesse essere proposta da due testimoni a un pubblico che, in buona parte, è cresciuto con una certa sensibilità, la sensibilità che, fin dalla metà del secolo scorso, don Luigi Giussani, che è il fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione che è all’origine in qualche modo dell’esperienza di un avvenimento culturale come il Meeting, comunicava ai suoi giovani studenti al liceo Berchet di Milano. Don Giussani ha parlato sempre della lettura della Bibbia, dei Salmi come essenziali alla vita del cristiano. “Difficilmente può comprendere l’esperienza cristiana chi non sia disposto a rivivere in qualche modo la storia del popolo d’Israele con tutti i suoi accenti e i suoi drammi”. E il suo successore, don Julián Carrón, qualche mese fa, proprio qui in questi padiglioni della fiera di Rimini, durante gli esercizi spirituali di Comunione e Liberazione, ha ripercorso nelle sue lezioni la lunga storia di Israele, la lunga storia del dialogo di Dio col popolo eletto, perché, ha osservato, osservare la vicenda del popolo d’Israele, considerare la traiettoria della sua storia è cruciale per noi. Perchè, diciamola con Papa Francesco, perché non può essere un vero cristiano chi non riconosce la sua radice ebraica. Allora noi non potevamo non invitare uno dei protagonisti della dichiarazione del dicembre scorso, il rabbino Eugene Korn, per condividere con noi il percorso, il cammino che hanno fatto per produrre quel documento che ci ha così accesi di curiosità e di entusiasmo. Eugene Korn ha un lungo curriculum professionale, ma lo imiterò semplicemente a qualche cenno che faccia capire la portata e l’orizzonte della sua azione: è Direttore accademico del Centro per la comprensione Ebraico-Cristiana e la cooperazione in Israele, lo ha contribuito a fondare, ed è ricercatore senior presso l’Istituto di Gerusalemme per la religione e società; inoltre è stato nominato dal Rabbinato d’Israele Dottore di ricerca di filosofia alla Columbia University, dove ha anche insegnato. E’ autore di numerosi libri, di decine di saggi scientifici, i suoi articoli sono pubblicati sui principali organi d’informazione degli Stati Uniti e d’Israele. Gli interessi dei suoi studi spaziano dall’etica ebraica al diritto, dalle relazioni ebraico cristiane agli atteggiamenti degli ebrei nei confronti della cultura ebraica e l’estremismo religioso. Vive a Gerusalemme e spesso per lavoro si trova a viaggiare in Europa e negli Stati Uniti. Don Ignacio Carbajosa non lo presento perché è sufficiente noto al pubblico di Rimini, dico solo che anche lui ha un titolo autorevole per partecipare a questo dialogo, perché essendo docente di Antico Testamento presso la Facoltà di Teologia dell’Università San Damaso a Madrid, è un grande conoscitore della radice ebraica dell’esperienza cristiana e quindi dialogherà con il rabbino Korn a partire da questo documento e dal documento di cinquant’anni fa, Nostra Aetate. Il momento di oggi è strutturato in questo modo, prima il rabbino Korn poi Carbajosa faranno due introduzioni a partire da due domande di ordine generale, per aiutarci a capire il contesto e il come è nato il documento dei rabbini e la Nostra Aetate. Dopo di che vorremmo fare un dialogo a botta e risposta, con domande e brevi risposte in modo che possano nel reciproco esporre le proprie ragioni offrirci la possibilità di un arricchimento su un tema così decisivo. Allora io chiedo subito al rabbino Korn perché Nostra Aetate ha cambiato radicalmente il clima dei rapporti degli ebrei con i cristiani e quindi qual è la novità del documento dei rabbini che lei ha scritto e sottoscritto dal punto di vista ebraico e rispetto alla Nostra Aetate. Qual è il retroterra che ha preparato questo documento e lo ha reso possibile?

EUGENE B. KORN:
Purtroppo il solo italiano che so. Sono molto triste per questo, perché anche se non capisco l’italiano adoro sentire le persone quando parlano italiano, per me è una bella musica, è una bella musica per le mie orecchie, quindi spero che anche se non riesco a parlarvi in italiano oggi, spero comunque che in futuro, la prossima volta che torno a Rimini, riuscirò a parlare in italiano.
Come ha detto Alberto sono tra gli autori di questa dichiarazione, cioè “fare la volontà del Padre nostro in cielo”. Questa dichiarazione dopo 2000 anni, per la prima volta ha segnato il momento in cui i rabbini ortodossi hanno fatto una dichiarazione insieme per apprezzare i cristiani e il cristianesimo. Ci sono voluti cinquant’anni, cinquant’anni dopo il Concilio Vaticano II e la Nostra Aetate, perché i rabbini ortodossi si sentissero di scrivere ufficialmente questa dichiarazione. La dichiarazione vuole promuovere un partenariato tra ebrei e cristiani. Alcuni forse possono pensare che sia facile dirlo, ma per il popolo ebraico è una cosa molto difficile da dire e questo è il motivo per cui ci sono voluti cinquant’anni dalla Nostra Aetate per rilasciare e scrivere questa dichiarazione. Oggi vorrei brevemente spiegarvi perché è così difficile per il popolo ebraico fare questa dichiarazione e dire queste cose e perché oggi è così importante farlo e perché dobbiamo dire queste cose. Prima del 1p65, quindi prima della Nostra Aetate, normalmente gli insegnamenti della chiesa, visti dall’ebraismo, erano molto negativi. Dai tempi di Agostino in poi c’erano alcuni insegnamenti ed erano questi: prima di tutto il cristianesimo ha rimpiazzato o sostituito l’ebraismo; mentre l’ebraismo era una vera e propria religione prima del cristianesimo, dopo il cristianesimo è diventato una religione obsoleta, falsa, vecchia, non più vera. C’era il principio extra ecclesiam nulla salus, al di fuori della chiesa non c’è salvezza, e siccome gli ebrei non sono nella chiesa e non credono nel cristianesimo, non avevano nessuna possibilità di salvezza. Inoltre si pensava che gli ebrei fossero ciechi al messaggio del Messia, infatti il messaggio del Messia è venuto dall’ebraismo e gli ebrei non accettavano l’idea che Gesù fosse il Messia e di conseguenza la chiesa pensava che gli ebrei dovessero essere umiliati, soggiogati alla chiesa nell’Europa cristiana e che gli ebrei fossero stati maledetti con la maledizione di Caino, perché erano responsabili della crocefissione e della morte di Gesù. Gli esperti sanno che la punizione di Caino è stata l’obbligo a errare per il mondo senza trovare la propria terra e di conseguenza gli ebrei hanno perso la terra santa che era stata loro promessa nella Bibbia e sono stati condannati a vagare in giro per la terra senza raggiungere la terra santa. Questo insegnamento negativo sull’ebraismo e sul popolo ebraico non era solamente una teologia astratta, ma ha avuto conseguenze gravissime per gli ebrei che hanno vissuto nell’Europa cristiana. Ad esempio nel XI secolo i crociati sono andati a liberare Gerusalemme dai mussulmani e hanno massacrato 5000 ebrei nella valle del Reno in Germania. Inoltre, le inquisizione del XII e XIII secolo hanno torturato e ucciso gli ebrei obbligandoli a convertirsi al cristianesimo. Il Papa Innocenzo III ha obbligato gli ebrei, nel XIII secolo, a indossare un contrassegno sui propri vestiti, una pratica che più tardi è stata adottata dai nazisti durante l’olocausto.
Non so se ci siete stati alla famosa cattedrale di Strasburgo. Fuori dalla cattedrale potete vedere una famosissima statua che si chiama Ecclesia e sinagoga, la chiesa e la sinagoga come la vedete qui. Qui a sinistra vedete la chiesa, la figura della chiesa che è eretta, in piedi, con una lancia che sembra essere molto trionfante. Questa invece è la sinagoga. La sinagoga rappresenta il popolo ebraico e l’ebraismo e non so se riuscite a vedere, però la donna ha gli occhi coperti ed è piegata. Questo sta ad indicare che ormai la religione è spezzata, la Bibbia non esiste più, non è più importante, è ritratta come una persona umiliata. Questo è il simbolo del rapporto tra cristianesimo ed ebraismo prima della Nostra Aetate. La seconda guerra mondiale e l’olocausto hanno portato alla shoa e questo è diventato il seme della teologia cristiana che ha portato i cristiani a ripensare alle conseguenze degli insegnamenti negativi sugli ebrei. Qui avete una foto di Papa Benedetto XVI che visita Auschwitz. I cristiani in quel momento hanno capito che l’olocausto è successo nel cuore dell’Europa cristiana e anche se i nazisti non erano dei veri e propri cristiani, nel vero senso del termine, il loro sterminio degli ebrei, 6 milioni di ebrei in tutta Europa, è stato portato avanti soprattutto credendo in Cristo e nei cristiani. Mia moglie è qui presente in sala, la famiglia di sua madre viene dalla Slovacchia, cattolica, sono stati sterminati ad Auschwitz, probabilmente da cattolici che ogni domenica andavano a Messa. E i cristiani hanno cominciato a capire il male che era stato portato da tutti questi insegnamenti nella storia e hanno iniziato a capire che se il cristianesimo doveva avere una vera e propria voce morale, doveva cambiare i suoi insegnamenti sugli ebrei e sull’ebraismo e questo ha portato a un’introspezione nella Chiesa, a una purificazione dell’anima. Il risultato di tutto questo è la Nostra Aetate. Essa ha trasformato gli insegnamenti cattolici sugli ebrei e sull’ebraismo e ha dato la possibilità di creare un nuovo rapporto tra gli ebrei e i cristiani. Quante persone hanno letto la Nostra Aetate? Su le mani! Quante persone sono cattoliche nel pubblico? Su le mani! Dovete essere migliori come cattolici, dovete leggere questa Nostra Aetate. I teologi sì l’hanno letta, ma credo che molte persone del pubblico non l’abbiano fatto. Quindi siate migliori cattolici, per favore, leggete la Nostra Aetate! Questi sono i principi fondamentali: prima di tutto, la Chiesa condanna tutte le forme di antisemitismo, in tutti i luoghi, ovunque, e questo è un principio fondamentale, soprattutto per gli ebrei, che sono stati vittime dell’antisemitismo per 900 anni. Secondo principio: gli ebrei non sono responsabili della morte di Gesù, il concetto del deicidio non esiste. Terzo principio: l’ebraismo non è stato sostituito dalla Chiesa. Il patto di Dio con il popolo ebraico, che viene promesso negli scritti ebraici, non viene revocato. Quarto principio e questo penso sia il principio teologico più importante, più profondo: la Chiesa trae sostentamento dalla radice di quel buon albero di ulivo su cui sono stati innestati i rami di olivo selvatico dei gentili. In altre parole, la Chiesa ha capito veramente la propria identità, i cristiani hanno veramente capito la propria identità solamente capendo che hanno radici nell’ebraismo. Come Papa Giovanni Paolo II ha detto molte volte: per il cristiani l’ebraismo non è estrinseco ma è intrinseco alla loro identità, non si possono capire pienamente i cristiani senza capire l’ebraismo. Questo ha portato a una sorta di rivoluzione copernicana nel pensiero cattolico ed è stato proprio questo documento, questa trasformazione, questa rivoluzione direi, che ha permesso agli ebrei e ai cristiani di cominciare a rappacificarsi. Qui vedete un grande simbolo di questo processo di amicizia, la visita di Papa Giovanni Paolo II alla sinagoga a Roma e il suo incontro con Toaff, il grande rabbino di Roma. Era la prima volta in 2000 anni che un Papa andasse in visita in una sinagoga. E questo rappresenta il simbolo di riconoscimento da parte della Chiesa della validità e della vita del popolo ebraico e dell’ebraismo. Ecco i quindi i principali principi della dichiarazione, poi ne parleremo più in dettaglio successivamente, durante il nostro dialogo. Prima di tutto i cristiani e gli ebrei devono lavorare insieme. Numero due: la shoa, l’olocausto, è successo in parte a causa dell’incapacità di ebrei e cristiani di capirsi e di cooperare insieme. E questo ha portato a indebolire la resistenza alle forze del male dell’antisemitismo, dell’assassinio e del genocidio. Inoltre il cristianesimo non è un incidente né un errore. Non c’è separazione tra Chiesa e sinagoga, non ci sono grandi differenze, non è una separazione tra nemici, ma ci sono soltanto importanti differenze teologiche. In italiano si dice: “Tu sei un bene per me”, cioè Dio vuole che entrambi siamo benevolenti nei confronti dell’altro, non vuole inimicizia tra di noi. Un altro grande principio di questa dichiarazione, quello che Alberto ha già citato, è che nessuno di noi, né la Chiesa né la sinagoga, può realizzare da solo la missione di Dio nel mondo. Abbiamo bisogno di cooperare e lavorare insieme per raggiungere e compiere la nostra missione appieno. Altro principio importante: anche se abbiamo grandi differenze – e queste differenze continueranno ad esistere, rimarranno per sempre, almeno fino all’era messianica -, abbiamo molto più in comune di quanto ci divida. Il monoteismo etico di Abramo, la relazione con l’unico Creatore del cielo e della terra, che ama e si prende cura di tutti noi, i valori della vita, della famiglia, della compassione, della giustizia, della libertà, dell’amore e della definitiva pace nel mondo. Questi sono principi che noi condividiamo e in questo mondo terribile, molto violento, sono solamente gli ebrei e i cristiani che condividono questi valori e quindi cristiani e ebrei, per vivere una vita religiosa, devono essere modelli di servizio e di amore incondizionato e di santità. Qual è la nostra missione? Cosa vuole di Dio da noi? Cosa dobbiamo produrre noi nel mondo? Non è una nuova visione, ma una visione bella, un disegno bello, di cui ci parla il profeta nelle scritture ebraiche. E’ una visione di libertà, una visione di pace, di sicurezza, dove tutti capiscono l’autorità e la moralità della legge di Dio, dove ognuno di noi, anche se forse chiamiamo Dio in maniera diversa, può camminare insieme nel nome di Dio per sempre. E’ questo che Dio ci chiede di fare. A tutti, ma soprattutto ai cristiani e agli ebrei. La grande speranza è proprio questa, quella che vedete: la grande speranza è che il Rabbino ebraico e un Papa della chiesa cattolica e un Imam insieme possano alla fine abbracciarsi come partner, come amici sotto la luce di Dio, il creatore del cielo e della terra. Grazie.

ALBERTO SAVORANA:
Dovete riconoscere che non è normale ascoltare queste parole e questi giudizi, che feriscono profondamente la coscienza di tanti tra noi oggi, e accoglierli come un bene, perché noi siamo educati ad amare così la verità da non avere paura, timore di riconoscere, lì dove li abbiamo commessi, errori e ingiustizie. E adesso sentiamo l’altra voce, l’altra campana diremmo, Carbajosa. In che modo il Concilio Vaticano II e quindi il documento Nostra Aetate ha creato le condizioni per recuperare questo rapporto, la coscienza del valore dell’Antico Testamento e il ruolo del popolo ebraico all’interno della teologia cattolica? Che cosa ha rappresentato, visto che sei all’origine dell’incontro di oggi, per te che studi per professione, per mestiere, la storia antica d’Israele, leggere questo documento?

IGNACIO CARBAJOSA PÉREZ:
Grazie, Alberto. Innanzitutto ringrazio Dio che mi ha fatto imparare questa bellissima lingua, l’italiano, allora posso rivolgermi a voi. Per rispondere a questa domanda su cosa ha fatto la Nostra Aetate, la dichiarazione del Concilio Vaticano II, nel mondo cattolico, devo fare un flash back per capire dov’è la radice di un certo atteggiamento che dobbiamo riconoscere tra noi cattolici verso il popolo ebraico. Un atteggiamento che non è giusto e vorrei soprattutto guardare, visto che il rabbino ha guardato un po’ la storia di questi scontri, vorrei guardare piuttosto il rapporto che noi stessi abbiamo avuto con quella parte della Bibbia che si chiama Antico Testamento, che condividiamo con gli ebrei. A un certo punto, abbiamo cominciato a guardare con diffidenza quella parte che appartiene alla nostra storia comune. Allora voglio delineare velocemente alcune tappe della svalutazione dell’Antico Testamento nella vita della Chiesa, che soltanto il Concilio Vaticano II è riuscito a riprendere e che, come vedete, è molto legato all’atteggiamento che abbiamo cominciato ad avere verso il popolo ebraico. E vorrei cominciare velocemente con la teologia della storia di Gioacchino da Fiore, che magari per la maggioranza dei presenti non è un personaggio conosciuto, del secolo XII. Prima di Gioacchino da Fiore la teologia della storia si divideva in tre tappe. La prima era il regno del Padre, tutta la creazione, la seconda l’intervento di Dio nella storia, cioè da Adamo al Redentore, e questo vuol dire che all’interno dell’intervento di Dio nella storia c’è l’Antico e il Nuovo Testamento, e finalmente il regno dello Spirito Santo, il regno odierno, quello della Chiesa. Invece cosa fa Gioacchino da Fiore? Divide in tre tappe ma con un piccolo cambiamento che avrà conseguenze fino a oggi, come adesso vedremo. Nella prima parte c’è il regno del Padre, che va dalla creazione all’arrivo di Cristo, quindi in questa parte mette l’Antico Testamento. Nella seconda parte c’è il regno del Figlio, dove mette il Nuovo Testamento e la Chiesa. La terza parte della storia è il regno dello Spirito, che deve ancora arrivare, e che coincide con il momento del compimento della storia, dove comprenderemo veramente lo spirito racchiuso nella “lettera” dell’ Antico e del Nuovo Testamento. Le conseguenze di queste divisione: da una parte Antico e Nuovo Testamento vengono separati in due tappe diverse e implicitamente viene introdotto un principio di superamento, in un certo senso possiamo prescindere dall’Antico Testamento perché il Nuovo Testamento lo contiene, aspettando quella terza tappa che verrà più avanti. Ma questo principio del superamento fa sì che l’Antico Testamento cominci ad allontanarsi dalla vita della Chiesa. La seconda tappa concernente la svalutazione dell’Antico Testamento nella vita della Chiesa è la scolastica posteriore a Tommaso d’Aquino. Bisogna dire che fino all’arrivo di Gioacchino da Fiore tutta la teologia cristiana è stata fatta sulla Scrittura, cioè i Padri della Chiesa hanno commentato il libro della Genesi, il Cantico dei Cantici, i Salmi, i Vangeli, la teologia si faceva a partire dalla Bibbia. Ancora San Tommaso parte della Bibbia, ma dopo di lui comincia a prevalere una tendenza a costruire la teologia a partire da un sapere speculativo e si usano piuttosto citazioni della Scrittura come prove e non si parte più dalla Scrittura. Terzo momento molto importante, un momento drammatico in Europa, quello della riforma protestante nel ’500, che ha avuto anche delle conseguenze paradossali, perché Lutero parla della Sola Scriptura, che sembra una valorizzazione della Scrittura, ma svincola l’interpretazione della Bibbia dalla vita della Chiesa, dalla tradizione. Questo, purtroppo, ebbe come conseguenza non voluta, specialmente nel Magistero, una certa prevenzione contro l’uso della Bibbia, anzi in qualche Paese, c’è il divieto della traduzione in lingua volgare. All’interno della Bibbia l’Antico Testamento per ragioni ovvie era considerato come qualcosa da tenere lontano dalle famiglie, dai laici, dagli ignoranti. Quarta tappa, che vi fa capire perché sono partito così da lontano: l’influsso di Gioacchino da Fiore su Lessing, uno dei padri dell’illuminismo. Le tre tappe di Gioacchino da Fiore determinano le tre tappe dell’educazione del genere umano di Lessing. La prima tappa è quella dell’Antico Testamento, la seconda quella del Nuovo Testamento e la terza tappa quella della ragione. Nell’illuminismo si può prescindere ormai, lo dice Lessing, dall’Antico Testamento, perché abbiamo raggiunto le cose a cui ci introduceva l’Antico Testamento. Lui dice che l’Antico Testamento è un “libro elementare, sia per fanciulli che per un popolo fanciullo. Ma ogni libro elementare vale solo per una certa età: dannoso è trattenere il fanciullo sul libro che la sua età ha superato (…). Un migliore pedagogo bisogna che venga e strappi di mano al fanciullo il libro elementare ormai superato – E venne Cristo”. Guardate, noi possiamo dire davanti al rabbino Korn che questo non è un atteggiamento cattolico. E venne Cristo per superare quel libro per i fanciulli. Anche il Nuovo Testamento, in quella tappa della ragione in cui viviamo adesso, finalmente è superato. Ovviamente Lessing ebbe un grande influsso su Harnack, che è un personaggio importante come storico e come teologo alla fine dell’800 inizio del ’900. Harnack rompe il vincolo che univa l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento. Sentite questa affermazione: “Fu Paolo colui che trasse la religione cristiana dal grembo dell’Ebraismo. Egli riconobbe che la nuova formula religiosa appartiene all’individuo e perciò a tutti; di ciò persuaso e pienamente conscio di quello che faceva, portò l’Evangelo tra le genti, lo tolse al materno suolo ebraico e lo trapiantò nel mondo greco-romano. L’Evangelo non è una formula di conciliazione fra Greci ed Ebrei, perché il tempo dell’Ebraismo è passato”. Da Gioacchino da Fiore fino ad Harnack per dire: abbiamo strappato questo vangelo eterno dall’Ebraismo, è passata la sua tappa e adesso è la nostra. Allora si può prescindere dall’Antico Testamento. Sentite questa affermazione di Harnack che mette la pelle d’oca: “Rifiutare l’Antico Testamento nel II secolo – sta parlando di Marcione di cui accennerò più avanti – fu un errore che la Chiesa universale giustamente respinse; conservarlo nel XVI secolo in forma protestante, fu un destino al quale non ha ancora potuto sfuggire la Chiesa della Riforma; ma conservarlo ancora nel protestantesimo ad iniziare dal XIX secolo, come documento canonico, con lo stesso valore del Nuovo Testamento, è la conseguenza di una paralisi religiosa ed ecclesiale”. Guardate come la svalutazione dell’Antico Testamento vada di pari passo con la svalutazione del popolo Ebraico. Evidentemente la teologia di Harnack ebbe un grande influsso nella Germania dei primi decenni del secolo XX. L’antisemitismo nazista, dobbiamo dire giustamente, è un fenomeno essenzialmente non cristiano, ma indubbiamente, dobbiamo riconoscere, alcuni passi dello spirito delle idee elaborate in campo cristiano (fondamentalmente protestante) contribuirono a sostenere un discorso ideologico antisemita. L’abbiamo visto bene con il teologo Harnack. E guardate la conclusione che tiro io: “Mentre l’elemento giudaico rimaneva come un fattore integrante del cristianesimo, l’antisemitismo (nonostante le ingiustizie che ha rilevato il rabbino Korn) costituiva un fenomeno con dei limiti assai circoscritti. Quando si arrivò a considerare l’elemento giudaico come una tappa da superare o un vecchio indumento di cui disfarsi, vennero a mancare le barriere che impedivano di dare sostegno teorico ad un crimine abominevole come il genocidio del popolo ebraico”. Ma possiamo dire come Gesù: “All’inizio non fu così”. Adesso facciamo un flash-back a prima di Gioacchino da Fiore, per capire soprattutto in un momento molto decisivo per la vita della Chiesa, il secolo secondo, perché soltanto questo momento della storia è decisivo per capire il rapporto della Chiesa con il popolo ebraico e con l’Antico Testamento. Marcione accusa il cristianesimo della sua epoca di insistere troppo sul compimento della promessa del Antico Testamento, di utilizzarlo eccessivamente nell’educazione e, nello stesso tempo, di non tenere conto dell’insegnamento dell’apostolo Paolo (basato sulle antitesi legge-grazia, Antica Alleanza-Nuova Alleanza). La sua tesi principale è che il Dio dell’Antico Testamento non è lo stesso del Dio del Nuovo Testamento. Il Dio dell’Antico Testamento è un Dio violento, un demiurgo, non è un Dio nel senso stretto, ma il vero Dio è quello del Nuovo Testamento. Conclusione, lui fa un canone delle Scritture nella liturgia che toglie dal canone l’Antico Testamento, ma rifiutando l’Antico Testamento deve cominciare a tagliare anche il Nuovo Testamento, per esempio il Vangelo di Matteo che è pieno di citazioni di compimento: “e questo perché si adempisse la Scrittura che dice…”.
Resta soltanto con le lettere di San Paolo e anche lì fa dei tagli, e resta alla fine solo con il Vangelo di Luca che è quello della Misericordia, togliendo anche i primi due capitoli che parlano dell’infanzia di Gesù e del compimento delle Scritture. L’eresia marcionita fu respinta dalla Chiesa (144 d.C.), nonostante per un periodo ci fossero più marcioniti che ortodossi. Questo è stato un momento decisivo, come sono stati decisivi tutti quei momenti in cui la Chiesa ha detto no alle eresie. Per capire il volto della Chiesa oggi è stato decisivo quel momento in cui la Chiesa ha detto no, noi siamo dagli Ebrei, le nostre radici sono le stesse radici di quel popolo, siamo un’unica storia all’interno della vita dell’umanità. Ho detto anche in questa terza conclusione già come è paradossale che quando uno deve togliere parte dell’Antico Testamento per forza deve togliere anche parte del Nuovo, perché è proprio radicato nell’antico Testamento.
Un altro punto voglio trattare che riguarda San Paolo, il dolore di Paolo per gli ebrei. San Paolo sperimentò nella sua carne tutto il dolore per come la maggior parte degli ebrei non riconosceva Cristo. Fariseo, rigido osservante della legge ebraica, persecutore dei cristiani, la sua conversione lo condusse a predicare Cristo crocifisso, e a soffrire la prigionia e la morte per l’opposizione dei suoi antichi correligionari
Tuttavia, nei capitoli 9 e 11 della Lettera ai Romani, nei quali si sofferma sul rifiuto di Israele, non si respira odio, ma il desiderio di penetrare il mistero del disegno divino.
Scrive: “Ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua, vorrei infatti essere io stesso anatema separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Il desiderio del mio cuore e la mia preghiera salgono a Dio per la loro salvezza, infatti rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio. Ora io domando (si fa a se stesso questa domanda), forse inciamparono per cadere per sempre, come magari in qualche momento della storia abbiamo potuto capire? Certamente no, ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta ai pagani, per suscitare la loro gelosia. Se pertanto la loro caduta è stata ricchezza del mondo e il loro fallimento ricchezza dei pagani, che cosa non sarà la loro partecipazione totale?”.
Paolo aspetta all’interno del disegno divino la partecipazione totale, come un unico popolo, della Chiesa e del popolo ebraico. E fa questa stupenda immagine dell’olivo buono: “Se le primizie sono sante, lo sarà anche l’impasto; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non vantarti contro i rami! Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te” Possiamo dirlo anche dal punto di vista storico del popolo ebraico che continua, dal punto di vista etnico, quella storia del popolo di Israele. “Se tu infatti, dall’olivo selvatico, che eri secondo la tua natura, sei stato tagliato via e, contro natura, sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo!”.
Vorrei concludere parlando di un precedente del Concilio Vaticano II, l’Enciclica Mit brennender Sorge che Papa Pio XI, proprio nei momenti in cui i nazisti sono al potere, indirizza al popolo tedesco per fronteggiare l’ideologia del III Reich. Davanti alla relazione tra la svalutazione dell’Antico Testamento e il campo libero lasciato per ammazzare tutti gli ebrei, davanti a questa svalutazione che avveniva nelle scuole tedesche, in cui non si insegnava più l’Antico Testamento, Pio XI dice: “Solo cecità e caparbietà può far chiudere gli occhi davanti ai tesori di salutari insegnamenti, nascosti nell’Antico Testamento. Chi quindi vuole banditi dalla Chiesa e dalla scuola la storia biblica e i saggi insegnamenti dell’Antico Testamento, bestemmia la parola di Dio, bestemmia il piano della salute dell’Onnipotente ed erige a giudice dei piani divini un angusto e ristretto pensar umano» (n. 17)”. E infine la mia impressione sul documento dei rabbini ortodossi: innanzitutto la mia sorpresa grandissima, la mia gioia quando ho visto in quel testo questa affermazione, che il cristianesimo non è uno sbaglio storico, ma attiene al disegno divino per la salvezza dei popoli pagani. Secondo me è un nostro compito tornare insieme alle nostre radici, tornare insieme anche a questo mistero che è la divisione tra gli ebrei e i cristiani, ma tornare insieme soprattutto al disegno divino che ha voluto sì che il libro dell’Antico Testamento, il disegno di Dio e la storia della rivelazione oggi siano conosciuti nel mondo intero. Grazie.

ALBERTO SAVORANA:
Proviamo, per il tempo che ci rimane, a dialogare a botta e risposta, a partire da questi due preziosissimo contributi. Il primo dato che emerge dalle loro comunicazioni è che il rapporto tra ebraismo e cristianesimo si configura come qualcosa di originale. Spesso si sente parlare genericamente di dialogo tra le religioni, ma qui c’è qualcosa di particolare, qualcosa che è diverso da un generico dialogo tra espressioni religiose. Allora, vorrei chiedere al rabbino Korn innanzitutto: che percezione ha la teologia ebraica di oggi della diversità, se così possiamo dire, del cristianesimo, della Chiesa, rispetto alle altre religioni con cui pure è in corso un dialogo? Che cosa rende originale questa relazione?

EUGENE B. KORN:
Grazie Alberto. Darò una risposta dal mio punto di vista ebraico. La teologia ebraica in generale ha un certo tipo di pluralismo, non abbiamo mai pensato “extra sinagogam nulla salus”, riconosciamo sempre che l’ebraismo è importante per gli ebrei, ma che c’è anche un altro patto per tutta l’umanità contemporaneamente, che è il patto di Noè, nel linguaggio rabbinico. Le persone vedono il patto di Noè e se lo capiscono possono guadagnare la salvezza eterna, quindi in termini rabbinici, c’è il popolo ebraico, c’è l’osservante, pio, il figlio di Noè, e poi ci sono gli idolatri. Quindi c’è un certo tipo di pluralismo. Questo lo chiamerei quasi una comprensione triplice dell’umanità, ma non è sufficiente per capire il cristianesimo. Proprio per molte delle cose che ci ha detto padre Carbajosa, io non uso il termine Vecchio Testamento, Nuovo Testamento, quelli sono termini cristiani; per noi il Vecchio Testamento non è obsoleto, è ancora vivo e vegeto, quindi io preferisco chiamarlo Primo Testamento e Secondo Testamento, oppure testamenti condivisi, Scritture condivise. Ebrei e cristiani condividono le Scritture e di conseguenza condividono anche la stessa concezione dell’universo, creato ex nihilo, condividono la chiamata di Dio all’umanità attraverso Abramo e proprio perché condividiamo queste cose, i cristiani sono teologicamente molto più vicini agli Ebrei e alla loro concezione del mondo rispetto ai buddisti o ad altre religioni. Papa Giovanni Paolo II ha detto che l’ ebraismo è intrinseco al cristianesimo, io non direi che il cristianesimo è intrinseco all’ebraismo, ma che il rapporto tra cristianesimo ed ebraismo è molto molto più forte e molto più complicato rispetto al rapporto tra ebraismo e altre religioni che non sono il cristianesimo, perché noi, ebrei e cristiani, condividiamo le Scritture, moltissimi valori e condividiamo la Weltanschauung. Una delle sfide, oggi, per i teologi ebrei è cercare di capire, cercare di creare nuove categorie, nuovi rapporti tra la concezione religiosa ebraica e il ruolo del cristianesimo, un rapporto che preservi i tratti distintivi del popolo ebraico e dell’ebraismo, ma che comunque cerchi di capire e di collaborare con il cristianesimo in maniera positiva e costruttiva.

ALBERTO SAVORANA:
Quali sono i tratti particolari di questo rapporto del cristianesimo con l’ebraismo che, come abbiamo ascoltato, non si può estendere a quello con altre forme religiose?

IGNACIO CARBAJOSA PÉREZ:
Per noi cattolici è evidente, infatti non possiamo parlare di dialogo interreligioso con gli ebrei, appartiene a un altro tipo di dialogo, per la dinamica che abbiamo conosciuto nella storia dell’umanità. Una cosa è la religiosità comune a tutta l’umanità, a tutti gli uomini e le donne, da cui nasce la creatività religiosa e quindi la religione, e un’altra cosa, ma proprio un’altra cosa, è quella primissima mossa di Dio nella storia in assoluto, quando entra in dialogo con un uomo della Mesopotamia, cioè con Abramo, da cui deriva un popolo etnico, il popolo di Israele. Questo è il vero primissimo momento in cui si può dividere la storia in due. In Occidente noi dividiamo la storia in due prima e dopo Cristo, in realtà potremmo ancora prima dividere la storia in prima e dopo Abramo; è lì che Dio dice una parola che è decisiva per la storia dell’umanità, quella parola abita all’interno del popolo ebraico. E’ per questo che è assurdo tentare di capire per noi l’ebraismo come un’altra religione, tra l’altro è molto utile per noi, per me, capire e ripetere ogni tanto che Gesù era ebreo, nato da una donna ebrea. Infatti ricordo, quando ho cominciato i miei studi a Roma, i primi anni ho sentito in una conferenza il famoso studioso Meier sul Gesù storico e ha cominciato la sua conferenza così: “Il Verbo si è fatto carne, cioè si è fatto ebreo”. È assurdo allora parlare di un dialogo interreligioso con gli ebrei così come ne parliamo a un livello di senso religioso, creatività umana, come ha fatto Giovanni Paolo II nell’86 ad Assisi.

EUGENE B. KORN:
Adesso vi racconterò una storia che Papa Francesco ha raccontato a un collega Rabbino. Ha detto che prima della Nostra Aetate ebrei erano andati in una chiesa per assistere alla Messa. Durante l’omelia il prete aveva fatto, con molta passione, un’omelia secondo cui gli ebrei erano maledetti, gli ebrei erano ciechi, gli ebrei erano figli del male e quindi dovevano essere convertiti. Allora dopo l’omelia Gesù è sceso dalla croce, è andato dagli ebrei in fondo alla chiesa e ha detto: “Va beh, usciamo dalla chiesa, perché non mi piace più restare qua”. Cioè, Gesù era ebreo e la riscoperta dell’ebraismo in Gesù è proprio questo: la legittimità dell’ebraismo e del popolo ebreo da cui discende Gesù. Questo credo sia un aspetto fondamentale della teologia cattolica e credo che sia anche un punto fondamentale da cui possiamo partire per promuovere la collaborazione tra ebrei e cristiani.

ALBERTO SAVORANA:
Nel vostro documento voi invitate gli ebrei a riconoscere il cristianesimo come partner vostro nella redenzione del mondo e allora la domanda che rivolgo a entrambi è: cosa significa questo partner alleato? E quale speranza rappresenta questa nuova stagione di complementarietà, di missione comune? Rispetto alle grandi sfide, in un mondo che sta cambiando radicalmente, che compito mette sulle vostre quindi nostre spalle questo riconoscimento reciproco, che anche oggi sta avvenendo su questo palco?

EUGENE B. KORN:
Credo che ci siano due elementi fondamentali nel nostro partenariato, credo siano talmente essenziali che il futuro dell’umanità dipenderà proprio da questi due elementi. Il primo di questi elementi è che ebrei e cristiani credono entrambi molto fortemente che ogni essere umano, quindi io, voi, tutti voi del pubblico, sia creato a immagine di Dio e che quindi la vita umana è sacra, che ogni persona ha una dignità intrinseca e che Dio non vuole la distruzione né la morte della vita umana. Questo è un concetto fondamentale. La cosa interessante è che solamente i cristiani pii e gli ebrei pii la pensano così oggi. Viviamo infatti in un mondo caratterizzato da massacri, in cui vediamo estremismi religiosi in cui il diverso viene ucciso in mone di Dio, in cui il mondo non sembra essere molto interessato, oppure non si sente il dovere morale di porre fine a questi massacri. E questo è totalmente contrario ai principi fondamentali della moralità cristiana ed ebraica. Se Dio ha creato ogni essere umano a propria immagine e somiglianza, distruggere l’essere umano significa distruggere Dio che vive sulla terra ed Ebrei e cristiani devono lavorare insieme proprio per promuovere questo concetto etico fondamentale e combattere l’estremismo che porta alla morte delle culture. Io vivo a Gerusalemme e attorno a me c’è una cultura in cui i giovani non hanno leadership, non hanno speranze per il futuro, non hanno ideali e questo porta a una cultura della morte. Kamikaze, persone che vogliono diventare martiri per autoglorificarsi. Questo è fondamentalmente intollerabile dal punto di vista ebraico e cristiano ed è fondamentale quindi che ebrei e cristiani insegnino al mondo i valori intrinseci della vita umana e che Dio aiuti tutti noi a farlo, perché Dio non vuole la morte nella nostra vita.

IGNACIO CARBAJOSA PÉREZ:
Io prendo spunto da quello che ha detto Eugene, perché tutto quello che ha detto riguardo al fatto che noi siamo esseri umani fatti a immagine di Dio, è un pensiero che ha dominato l’Occidente per secoli ed è un pensiero certamente lui da recuperare. Ma io mi domando: da dove viene questo pensiero? Perché se è un pensiero in più, giustamente può essere rifiutato con gli altri pensieri nel crollo delle evidenze che viviamo oggi, ma se andiamo a guardare nella storia dove è nato questo pensiero, torniamo ancora una volta ad Abramo. L’anno scorso abbiamo voluto fare questa mostra su “Abramo, la nascita dell’io” proprio a partire dal dramma che viviamo oggi, cioè il crollo del evidenze, per capire che l’immagine dell’uomo così come la conosciamo oggi, così come l’abbiamo conosciuto fino a oggi, immagine che comincia a crollare, si capisce solo a partire da un avvenimento ed è soltanto all’interno di un avvenimento che questa immagine può essere ripresa. Questo secondo me è decisivo. E quell’avvenimento è il popolo ebraico e la chiesa che in sé hanno questo seme storico che permette di guardare l’uomo con quella densità con la quale, quando uno è guardato così, respira. Al di fuori di questo avvenimento, l’abbiamo visto con l’Illuminismo quando ha voluto togliere le fondamenta storiche di tutto questo pensiero, non c’è nulla; quando non c’è questo avvenimento, torniamo al prima di Abramo, cioè alla Mesopotamia, torniamo al pensiero pagano che torna oggi. Allora, secondo me, all’interno di questo partenariato, partnership, noi, ebrei e cristiani, siamo responsabili di mostrare di nuovo al mondo, all’interno delle nostre comunità, a partire dalla nostra storia, questo “recupero” del volto, del volto vero dell’uomo per la salvezza, perché la gente possa respirare di nuovo in questo mondo.

ALBERTO SAVORANA:
Eugene parlava poco fa del fatto che questa testimonianza di partenariato si deve realizzare in un mondo caratterizzato da massacri. Papa Francesco parla di una terza guerra mondiale combattuta a pezzi e allora vi chiederei di valutare un’espressione che abbiamo ascoltato proprio l’anno scorso qui al Meeting di Rimini, quando, incontrando il Gran Rabbino di Parigi, il Cardinale Jean Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso della Santa Sede, parlò, andando molto controcorrente, delle religioni non come parte del problema ma come parte della soluzione del problema di questa terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Come valuta questa affermazione?

EUGENE B. KORN:
Credo che sia un’ipotesi molto comune, soprattutto nel mondo accademico e nelle cerchie filosofiche, vedere la religione come una parte del problema e a livello pratico, a livello empirico, c’è una certa verità in questa affermazione. Direi che più persone, sempre più persone oggi, vengono uccise in nome di Dio, vengono più uccise in nome di Dio che per altre ragioni, diciamo. Ma questa non è religione, questa è idolatria. Questa è idolatria cioè credere in un Dio che vuole la morte e che vuole lo sterminio di persone che sono diverse da noi. Questa è semplicemente idolatria. Sono sicuro che ci sono molti esperti nel pubblico, io leggo la Bibbia, studio la Bibbia e la prendo molto seriamente e mi chiedo perché l’idolatria sia un peccato così grave. Non è il peccato più grave del mondo, ma è quando si equivoca Dio che si fa un peccato grave. Dio è assoluto, Dio proclama idee meravigliose nel mondo oppure può essere fonte di male se si equivoca Dio, se lo si capisce male. Se si pensa che Dio vuole uccidere allora si è sulla strada per l’inferno. Come vediamo in Europa, come vediamo nel Medio Oriente e in altre parti del mondo, il mondo ormai si sta dirigendo verso l’inferno proprio a causa di questo equivoco su Dio, un Dio che vuole la morte, un Dio che vuole lo sterminio delle persone che sono diverse da noi. No, non è così. Credo quindi che dobbiamo rafforzare le religioni e cercare di combattere l’idolatria e trovare il modo in cui far vivere Dio nel mondo, un Dio di amore, un Dio che ami tutti noi e che attribuisca il giusto valore alla vita. L’Ebraismo e il Cristianesimo ci chiedono di creare un posto in terra per questo tipo di Dio e questo è un lavoro che spetta alle religioni. L’idolatria è qualcosa che dobbiamo combattere con tutte le nostre forze, sia a livello spirituale sia a livello pratico: bisogna eliminare l’idolatria e la cultura della morte. Nell’Ebraismo Dio dice all’umanità “ti do una benedizione, ti do una maledizione”, cioè hai la vita di fronte a te e hai la morte di fronte a te: scegli la vita. Noi dobbiamo scegliere il Dio della vita e dobbiamo opporci al Dio della morte. Quindi, bisogna capire che l’idolatria fa parte del problema e che la religione deve essere parte della soluzione. Grazie.

IGNACIO CARBAJOSA PÉREZ:
Secondo me questa è una domanda decisiva oggigiorno: le religioni davvero sono parte del problema o parte della soluzione? È una delle domande decisive in questo momento storico. Guardiamo la storia: qual è stato il secolo più violento in assoluto nella storia dell’umanità? Certamente, senza dubbio, è stato il ’900 e veramente all’origine della violenza del ’900 non ci sono le religioni, ma piuttosto un’ideologia che è radicalmente irreligiosa, come il nazismo e il comunismo. E questo serve per evitare quella tentazione di identificare la soluzione con la scomparsa delle religioni – un po’ alla John Lennon (“imagine all the people living life in peace with no religion”, cioè immaginiamo che non ci siano religioni per vivere in pace) -, ma comunque allo stesso tempo dobbiamo dire “ma una religione positiva, storica, può diventare violenta?”. Dobbiamo dire di sì e certamente lo vediamo in questa epoca, ma sono d’accordo con Eugene Korn, nel senso che qui più che religione abbiamo un’ideologia, perché una religione, la religiosità, è essenzialmente non violenta. Perché identifico la irreligiosità con la violenza? Perché posso dire che la religiosità è agli antipodi della violenza? Perché l’uomo religioso è quello che arriva a questo livello di coscienza dove dice “io non sono Dio, io dipendo da Te”, l’altro è come me, è Dio che ha fatto l’altro, non ho diritti sull’altro. Addirittura, ciò che caratterizza una religione – innanzitutto i grandi avvenimenti della storia della Rivelazione – è come Dio viene incontro al desiderio dell’uomo. Nella misura in cui il cuore dell’uomo è soddisfatto o, meglio, ha incontrato il suo oggetto ultimo di desiderio, è più facile vincere la tentazione della pretesa sull’altro, che è proprio all’origine della religione (lo vediamo molto bene nella Bibbia con Adamo, cioè la violenza in Adamo con Eva nasce proprio quando si allontana da Dio; pensiamo ad Abele e Caino). In questo senso il gesto grande di Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986 – che è stato criticato all’interno della Chiesa cattolica – nasce da questa libertà dell’uomo che, proprio a partire dalla storia della Rivelazione – che noi condividiamo -, può capire, proprio perché l’oggetto del desiderio si è fatto carne, tutte le mosse del nostro cuore e possiamo guardare con simpatia tutte le mosse che cercano Dio, cioè tutto il movimento religioso, la creatività religiosa da cui nascono le religioni. Per questo questa libertà di radunare tutti. Secondo me le religioni non sono il problema, il problema sono le ideologie, la irreligiosità che è l’ideologia. Ci vuole proprio un’educazione in questa religiosità ultima che essenzialmente è non violenta.

ALBERTO SAVORANA:
Continuerei fino a sera a dialogare con questi due testimoni del nostro tempo, ma il programma del Meeting incalza. Io faccio solo un’osservazione: riconosco in questo dialogo di oggi un contributo imponente a capire in modo più critico e approfondito il titolo del Meeting “Tu sei un bene per me”, perché oggi noi abbiamo incontrato due persone che nei loro interventi introduttivi non hanno nascosto il comunicarsi di una profonda diversità, con cui gli uni hanno guardato gli altri per secoli, per quasi due millenni, eppure che razza di gratitudine emerge dell’uno nei confronti dell’altro, cioè dell’ebreo verso il cristiano e viceversa. Come è possibile che ciò che è diverso da me sia un bene? Oggi l’abbiamo visto. È possibile perché proprio la diversità dell’altro mi consente di iniziare un cammino, un percorso, per rendermi conto in modo più consapevole, più adeguato, della natura della mia identità, della originalità della mia storia. E questo ci rende partner con chiunque, non solo col compagno con cui condividiamo storie, idee, cammini, ma con l’ultimo uomo che incontriamo, perché l’ultimo uomo mi mette nelle condizioni di capire qualcosa di più di me. E questo fa scoprire anche quella radice profonda che c’è sotto la storia: pensate l’elenco che hanno fatto dei limiti, degli errori, delle bruttezze compiute da ambo le parti nella percezione dell’altro, eppure che storia grande, perché la storia è nelle mani di Dio. Allora finisco consegnandovi tre righe di una riflessione di don Giussani proprio su quella che Carbajosa ha chiamato “la mossa di Dio”: “Tutte le mosse di Dio con l’uomo passano attraverso quella storia, quei nomi (Mosè, Davide, Isaia, Geremia), storia di una preferenza. Questo è l’essenziale del pensiero ebraico e questa è la nostra prima mossa: non si capisce l’io se non si parte da Abramo. Gesù si capisce nel dipanarsi di uomini a partire da Abramo, Mosè e Davide e solo dall’interno di quella storia si sviluppa la concezione cristiana dell’io e della realtà, una rivoluzione nel modo di guardare il mondo”. Oggi noi siamo stati testimoni di questo sguardo rivoluzionario con cui si può guardare il mondo con misericordia, cioè con un senso ultimo di positività, anche di fronte a tutte le cose brutte che si possono aver commesso. Grazie per la testimonianza che ci avete dato e buon Meeting a tutti.

Data

22 Agosto 2016

Ora

15:00

Edizione

2016

Luogo

Salone Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri