ENERGIA E FONTI RINNOVABILI

Partecipano: Maurizio Cumo, Presidente SOGIN; Carlo Andrea Bollino, Presidente GSE; Umberto Di Matteo, Università Telematica Guglielmo Marconi; Paolo Paoletti, Direttore Generale Divisione Energie Rinnovabili di Sorgenia; Andrea Ramonda, Direttore Commerciale Veolia Italia. Introduce Silvio Bosetti, Direttore Generale Fondazione Energy Lab.

 

MODERATORE:
Signore e signori buon giorno, benvenuti a quest’incontro sul tema energia e fonti rinnovabili. Non poteva mancare in un Meeting che mette i protagonisti al centro, un protagonista importante della vita sociale, economica e ambientale del nostro paese, qual è l’energia. E soprattutto non possono mancare coloro che dentro questa realtà sono realmente persone con competenze, capacità e attenzione al bene comune del nostro paese, che sono realmente protagonisti per uno sviluppo adeguato in questo tempo. Da dieci anni, dal 1999, il nostro paese ha introdotto le regole per la liberalizzazione con il disposto di legge che porta il nome del ministro che allora lo introdusse, il decreto Bersani. Quindi parliamo di un mercato, di un mercato dell’energia in cui gli operatori, i soggetti istituzionali, i preposti al controllo e alle politiche sono diventati molteplici e cooperano tra di loro. Questa tavola rotonda evidenzierà diverse professionalità, diverse attenzioni a questo tema. È un paese, il nostro, in cui il consumo di energia è significativamente elevato, dove le competenze esistono, ma non mancano anche le complessità e una serie di anomalie. Innanzitutto, come ben sapete, i prezzi, che sono decisamente più alti, sia per gli usi industriali che per quelli domestici. Le famiglie e le imprese, sebbene possano scegliere il fornitore, pagano comunque oggi una bolletta che continua ad essere troppo onerosa rispetto alla media del continente. Sono oltre il 40% per famiglie e oltre il 25% per le imprese. L’Italia resta il paese che fa un utilizzo, per la maggior parte dei propri consumi di energia, di fonti derivate dagl’idrocarburi. Ben il 65% della nostra produzione viene fatta con i derivati da petrolio o con il gas naturale, con scelte che sono state attuate a metà degl’anni ’80 e che oggi ci consentono di produrre con una modalità sicuramente efficiente ma la cui caratteristica è di una presenza di mix produttivo decisamente differente da quello di altri paesi nel nostro continente e nel resto del mondo. Sono combustibili che producono e che hanno dei costi decisamente elevati e quindi correlati al tema del costo del petrolio che voi ben sapete in questo periodo, negl’ultimi due anni, è decisamente alto. Una serie di anomalie che portano dei costi medi di generazione elevati ed è stato calcolato che per il nostro paese, se si utilizzassero i prezzi di produzione medi delle altre nazioni del nostro continente, si avrebbe un risparmio quantificato in circa 5 miliardi di euro. E in questa situazione, comunque, c’è un’importante attenzione introdotta ormai a livello mondiale e recepita nel nostro continente attraverso direttive precise, che sono quelle del rispetto dell’ambiente. In un livello di produzione delle energie adeguate, quindi, anche il tema delle fonti rinnovabili copre un aspetto decisamente significativo. Il nostro paese ha una tradizione consolidata nel settore idroelettrico, ma se togliamo questa fonte, le altre fonti meno convenzionali, faccio riferimento al solare, all’eolico, ad altre, le biomasse, non arrivano al 5% della produzione nazionale. Occorre quindi oggi un programma di interventi, d’investimenti che rilanci con determinazione, con attenzione e sensibilità queste politiche, ed è questo che vorremmo affrontare nell’incontro di oggi, a cui abbiamo l’onore di aver presente Umberto Di Matteo, Andrea Ramonda, Paolo Paletti, il professor Maurizio Cumo e il professor Carlo Andrea Bollino, a cui abbiamo chiesto di intervenire secondo la specificità del loro comparto, della loro istituzione e delle loro professionalità specifiche. Cominciamo con il professor Umberto Di Matteo, Docente di Fisica Tecnica Ambientale all’Università Telematica Guglielmo Marconi di Roma, siciliano, ma a Roma ormai da una decina d’anni, che è già una conoscenza di questo Meeting, è già qualche anno che interviene.

UMBERTO DI MATTEO:
Allora, grazie presidente. In questo mio intervento voglio affrontare il problema dell’uso razionale o sostenibile, come oggi viene detto, dell’energia, e dell’introduzione delle fonti rinnovabili nel settore civile, focalizzando l’attenzione sulla città, quindi sull’agglomerato urbano, che rappresenta oggi in realtà la più grande macchina energivora che l’uomo abbia mai creato. Ebbene, la torta energetica sostanzialmente viene divisa dai tre settori principali, che sono il settore civile, il settore industriale e quello dei trasporti. Ebbene, il settore civile in questi ultimi vent’anni è stato solamente marginalmente interessato da un processo che, fra gli addetti ai lavori, viene indicato e chiamato come dematerializzazione, che consiste in un progressivo spostamento dei consumi individuali verso beni che hanno un minor contenuto di materia prima e di energia, ma con un alto contenuto di innovazione, di tecnologia e quindi di pensiero. Quindi, sostanzialmente, uno spostamento dei consumi dalla quantità alla qualità. Vediamo perché questo mio intervento. Recentemente l’Unione Europea ha dato l’ input a tutti gli stati membri di applicare delle politiche che potessero favorire un aumento dell’efficienza energetica. Normalmente questo piano d’azione viene ad essere indicato negli ambienti di lavoro come il 20 20 20, cioè una riduzione del 20% dei consumi di energia primaria, preso come dato di riferimento quello dei consumi del 2005, un aumento dell’efficienza energetica in tutti i comparti fino ad arrivare a una quota del 20% e arrivare a una quota del 20% delle fonti rinnovabili, calcolate sull’energia primaria. Quindi è un obbiettivo alto ed ambizioso e per raggiungere questo obbiettivo certamente dobbiamo intervenire anche in questo settore, cioè nel settore civile, che poi rappresenta un settore di interesse di tutti noi. Tutti noi viviamo all’interno di una città e all’interno di un edificio. Un’altra considerazione che mi è venuta quando ordinavo le idee per questo intervento, è il fatto che il tema dell’uso dell’energia che sia compatibile con l’ambiente sta ed è e pervade ogni giorno ogni aspetto del nostro vivere quotidiano, sia quello di vita vissuta, che quello della scienza e della tecnologia. E inoltre posso dire che c’è una consapevolezza delle tematiche ambientali più negli strati dei cittadini, che delle istituzioni e dell’apparato direttivo, che dovrebbe invece dare delle direttive. E inoltre un’altra considerazione che vedo fare e che anch’io, ahimè, faccio, è che ormai avvertiamo che questo modo odierno di vivere è insostenibile, anche se paragonato al fatto che circa trenta, quaranta anni fa, il rapporto tra uomo e natura logicamente era migliore di quello di adesso. Allora bisogna intervenire, e intervenire subito nel settore civile. Innanzitutto come? Nel cercare di diminuire e comunque di aumentare l’efficienza nel settore civile, che sostanzialmente è formato poi da settori di svago e divertimento, come possono essere ristoranti, negozi, attività di svago, e uffici dove andiamo a lavorare, quindi l’energia che viene ad essere impiegata negli uffici e l’energia che noi impieghiamo nelle nostre abitazioni. Cosa succede? Oggi il settore civile, come vediamo dalla slide, ha assunto un peso notevole, pari al 40% del nostro fabbisogno energetico, come fonte primaria serve per costruire, ristrutturare, ma soprattutto gestire i nostri edifici. Ma un dato allarmante, che dobbiamo iniziare a governare, è il fatto che se il tasso di crescita del fabbisogno energetico nazionale corre alla velocità dell’1% annuo, quello del settore civile è pari al doppio, al 2%, questo perché c’è una maggiore penetrazione dell’elettricità all’interno dei nostri edifici. Vent’anni fa circa, meno dell’1% aveva un sistema di climatizzazione, oggi siamo arrivati al 20% e questo è un trend che comunque sta crescendo, perché tutti noi vogliamo soprattutto d’estate poter dormire avendo delle condizioni climatiche interne che siano migliori, quindi dobbiamo cercare di governare. Un’altra cosa importante è questa: per realizzare per esempio un appartamento di 100 metri quadrati servono, occorrono circa 100 tonnellate di materiale da costruzione, quindi cemento, mattoni, ferro, piastrelle, tutto quello che necessita, ebbene, per fare questi materiali occorre energia e se noi calcoliamo l’energia che necessita per fare queste 100 tonnellate, più quelli che si utilizzano in cantiere per costruire l’appartamento, calcoliamo circa in cinque, sei tep l’energia necessaria per costruire un appartamento. Ebbene, per riscaldare questo stesso appartamento ogni anno noi spendiamo circa un tep di energia primaria. Questo che cosa vuol dire? Che dopo cinque anni noi abbiamo speso la stessa energia che è servita per costruirlo. Quindi il problema della gestione è un problema che deve essere affrontato immediatamente, perché non è possibile produrre delle macchine, io le chiamo così, delle abitazioni che non siano efficienti dal punto di vista energetico, anche perché i costi poi vengono a essere accollati a chi compra le case. Un’altra cosa, per esempio, che si evince da degli studi, è che seppur i nostri edifici consumano meno energia specifica a metro quadro, rispetto ai nostri vicini di Francia, Germania, è perché viviamo in un clima mediterraneo. Cioè, per fare una parodia, la nostra macchina consuma poco perché noi facciamo pochi chilometri, non perché è una macchina che è stata costruita con grande efficienza. Ma questo è solamente un aspetto, quello del consumo del riscaldamento, ci sono altri problemi interessanti che debbono essere affrontati e che tuttora non vengono affrontati. Uno è la previsione di raddoppio della popolazione di una città. Oggi circa il 50% delle persone vive in città e la città rappresenta un polo di aggregazione, per cui molte persone dalle periferie si spostano in città. Ebbene, in questa slide vediamo che, con un tasso di crescita annuale della città del 2,5%, il raddoppio è circa in 28 anni; contro per esempio un tasso di crescita del 4,5%, si ha il raddoppio in 16 anni. Attualmente noi viaggiamo su un tasso di crescita del 3-3,5%, vuol dire che in 20 anni noi abbiamo un raddoppio della nostra popolazione. E questo fenomeno dev’essere governato, perché se no rischiamo fra 20 anni di avere doppi consumi, con in più i problemi legati al traffico, quindi alla mobilità, al fabbisogno idrico, alla produzione di rifiuti e a tutta una serie di altre problematiche. A questo punto logicamente, cosa possiamo fare? Innanzitutto un obbiettivo, cioè quello di iniziare ad attuare delle politiche di sviluppo sostenibile, che possano permettere una riduzione dei consumi, intesi come energia, materia e territorio. Oggi si è fatto un gran parlare di certificazione energetica, ma tuttora non è decollata; anche recentemente ci sono dei segnali che tendono a far assopire questa ventata del mondo civile eccetera, cioè quella di dotare ciascuna unità abitativa di una certificazione energetica. Ma soprattutto è necessario programmare una crescita ordinata della città, in maniera tale da definire una mobilità alternativa. La città è stata costruita a misura e dimensione dell’automobile, e penso che questa visione non possa essere la visione del futuro, nel 2020, nel 2050 non possiamo permettere che tutte le persone si spostino in automobile all’interno della città. E inoltre, un aspetto molto importante, è definire i rapporti con il contesto, cioè con la campagna. La campagna, ricordiamoci, può vivere senza la città, ma una città non può vivere senza ampie zone produttive di campagna. Allora cosa fare? Posso dare una visione, una strategia: c’è bisogno di iniziare a definire, attraverso ampi dibattiti con tutta la popolazione, perché la città e il contesto urbano siamo noi, un master plan della ecocittà al 2020 o al 2050. Molti stati, soprattutto in America, stanno iniziando a perseguire questa strada. Tocca anche al nostro paese fare uno scatto, un colpo di nervi per cercare di definire una politica sostenibile di sviluppo, sostenibile inteso come sviluppo sociale, economico ed ambientale delle nostre città. Grazie.

MODERATORE:
Come vedete, partiamo dal tema del fabbisogno, dell’energia e della sua contestualizzazione dentro un sistema, non si può pensare all’energia se non dentro al sistema della città, e mi pare che, e lo ringrazio moltissimo, il professor Di Matteo abbia fatto un quadro, pur nella rapidità, molto chiaro, sottolineando alcuni aspetti e auspicando un lavoro comune, al quale non ci sottraiamo assolutamente. Una di queste opportunità della reale rete tra la città e l’energia può essere affrontata attraverso il tema dell’utilizzo dei rifiuti. La città produce i rifiuti e ha bisogno di energia, possono essere messi insieme questi due aspetti della nostra vita odierna? Ascoltiamo Andrea Ramonda, che è laureato in economia, è esperto ambientale e si occupa dello sviluppo commerciale nella sua società per la realizzazione di questi impianti di termovalorizzazione e per l’utilizzo di biomasse alternative. Veolia è uno dei più grandi gruppi ambientali ed energetici al mondo e lui è il direttore commerciale della sezione italiana. Grazie.

ANDREA RAMONDA:
Grazie presidente, per l’introduzione. Come diceva giustamente, Veolia è una società francese che si occupa, tra le altre cose, di gestione di rifiuti e in questa gestione di rifiuti abbiamo anche la termovalorizzazione, cioè quella che in inglese si chiama “waste to energy”, la produzione di energia elettrica o di calore, quindi teleriscaldamento coi rifiuti. Proseguendo un po’ il discorso del professor Di Matteo sulla termovalorizzazione, lo scopo di questa mia breve presentazione oggi è quello di introdurvi un po’ a questo argomento, che spesso è visto in un modo un po’ negativo, perché fa paura, perché non si conosce. In realtà la termovalorizzazione è una fonte rinnovabile, una di quelle che può dare un contributo a questa mancanza di energia. Tenete presente che in Italia, oggi, si producono 32 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, cioè ognuno di noi produce ogni anno 500 chili di rifiuti, e li produciamo noi, li produco io, li producete voi, e questi rifiuti vanno smaltiti e vanno smaltiti in un modo corretto. Esistono delle politiche di gestione di questi rifiuti, che sono imposte dalla normativa nazionale e dalla Comunità Europea. Qui vedete qual è il trattamento dei rifiuti oggi in Italia e, come potete notare, la parte più grande è ancora la discarica, cioè questi rifiuti vengono riciclati per una parte, circa il 28%, col compostaggio viene riprodotta della materia e solo circa il 10% viene trasformato in rifiuti solidi urbani. Quindi significa che il 50% di questi rifiuti finisce ancora in discarica. Questa è la percentuale, una cartina molto interessante non solo perché mostra quant’è la percentuale di raccolta differenziata, ma anche perché vi fa vedere dove c’è questa raccolta differenziata; come vedete, la parte più scura del Nord è dove il livello di raccolta differenziata è più alto e supera il 35%, che è quello previsto dalla legge, mentre poi se scendiamo al Sud ci sono meno infrastrutture e comunque sia meno raccolte differenziate, che è il primo punto di una corretta gestione dei rifiuti. Questa invece è la cartina relativa agli impianti di incenerimento. Oggi esistono circa 51 impianti di incenerimento in Italia, è importante vedere rispetto alla slide precedente, il fatto che dove c’è più raccolta differenziata, quindi dove c’è un sistema corretto di smaltimento dei rifiuti. là ci sono anche più inceneritori. Guardate in Lombardia e in Emilia, invece guardate la situazione del Sud. Stesso discorso vale anche a livello europeo: l’Italia si posiziona in una fascia, diciamo, medio-bassa, mentre invece più andiamo al Nord, dove sempre tendiamo a dire che sono i paesi più sviluppati, più strutturati da un punto di vista proprio di infrastrutture, là abbiamo anche più impianti, c’è più raccolta differenziata e più impianti. Insisto su questo doppio concetto, raccolta differenziata e inceneritori, perché devono andare e vanno in parallelo. Che cos’è alla fine un impianto di termovalorizzazione? Un impianto di termovalorizzazione è un impianto che era nato già negli anni ’70 per la riduzione del volume dei rifiuti, poi con lo sviluppo di nuove tecnologie, oltre a ridurre il volume, ha soprattutto dato vita a nuove energie, che si traducono in energia elettrica e in energia termica, là dove vengono installati anche degli impianti di teleriscaldamento. Questo qua è un esempio di un impianto che si trova alle porte di Parigi e sono impianti che, come potete vedere, si trovano anche dentro la città. Questa slide è forse quella più interessante nel ragionamento che stiamo facendo oggi, perché dimostra quello che potrebbe essere la potenzialità di questo settore. Se immaginiamo nei prossimi quindici anni di aumentare la raccolta differenziata e passare dall’attuale 25% al 45%, che è un obbiettivo fattibile e concreto e comunque imposto dalla normativa europea, abbiamo anche la possibilità di far passare la termovalorizzazione dal 12 al 35%. Questo ci permetterebbe di costruire circa altri 50 impianti di una taglia media di 200.000 tonnellate all’anno di smaltimento, con una potenza elettrica installata di 1.500 megawatt, corrispondenti a circa 2 milioni di abitanti. Su una popolazione di 60 milioni di abitanti, voi capite che è un passo importante, soprattutto se si considera che la metà di questa energia è energia che deriva da biomassa, dalla parte organica dei rifiuti e quindi è comunque un’energia da fonte rinnovabile. Voi sapete che l’obbiettivo è anche quello, oltre di raggiungere un livello adeguato di produzione di energia elettrica, quello di raggiungere il 25% di questa energia prodotta da fonti rinnovabili. Oltre a questa opportunità, legata alla produzione di energia elettrica, bisogna anche ricordare che la termovalorizzazione dei rifiuti, fatta in un modo corretto, permette di ridurre le emissioni di CO2 e quindi l’effetto serra. Una tonnellata di rifiuti tal quale corrisponde a circa 0,250 tonnellate equivalenti di petrolio e questo permette anche di ridurre, per ogni tonnellata di rifiuti, 500 chili di CO2 immessi nell’atmosfera. L’ultima slide l’ho voluta dedicare a un caso che è diventato, diciamo, un po’ famoso. Tutti avete sentito negl’ultimi mesi il problema di Napoli, che ha reso gli impianti di incenerimento un pochettino più famosi, permettetemi quest’espressione, più conosciuti e forse la gente ha cominciato, ha iniziato a capire qual è veramente il bisogno di questi impianti. Pensate che in Campania, a oggi, attraverso gli impianti di pre-trattamento dei rifiuti, sono stoccate, in giro per la Campania, soprattutto nell’interland di Napoli, più di 6 milioni di tonnellate di ecoballe, che sono balle vere e proprie di rifiuti, che corrispondono a 2 milioni e 300.000 tonnellate equivalenti di petrolio. Quindi pari, vedete qua i dati, al fabbisogno energetico annuo di una regione come l’Abruzzo. Quindi, e qua termino, questo è per farvi capire un po’ che la termovalorizzazione dei rifiuti è una necessità in una società sempre più grande.

MODERATORE:

Lo sviluppo tecnologico consente oggi quindi soluzioni intelligenti ed efficienti oltre che efficaci per la risoluzione dei problemi delle città, in particolare quello degli aspetti dei rifiuti e ambientali. Questa esemplificazione, e ringrazio molto il dottor Ramonda, è significativa, significativa anche perché, nell’evidenziazione dei dati del nostro paese, ci sono alcune regioni che già stanno diventando virtuose e sono di esempio mi pare, anche per le zone più critiche del nostro paese. Voi ben sapete che la Comunità Europea lavora dando a ciascuna nazione degli obbiettivi, degli obbiettivi di produzione di energia con le fonti rinnovabili. Il nostro paese ha anch’esso una quota di energia da prodursi con le fonti rinnovabili, nelle quali rientrano il solare-fotovoltaico, l’eolico, le biomasse e tutta una serie di tecnologie che sono state censite, convalidate dalla Comunità Europea, per le quali il nostro paese sta attuando dei piani di investimento. Lo sta facendo incentivando le imprese e i privati, come sentiremo anche dal professor Bollino, attraverso delle soluzioni istituzionali che premiano la produzione con queste fonti. La individuazione delle tecnologie, la localizzazione di questi impianti, gl’iter di validazione economica sono sempre comunque complicati e interessanti. La parola a Paolo Paoletti che è Direttore Generale della Divisione Energie Rinnovabili di Sorgenia. Sorgenia è uno degl’operatori nati dopo la liberalizzazione nel nostro paese, quindi che si è affacciato ex novo nel nostro mercato dell’energia e quindi oltre a essere giovane lui, è giovane la sua esperienza, anche se ormai è un protagonista del nostro paese, prego.

PAOLO PAOLETTI:
Sì, grazie Bosetti. E’ vero, noi abbiamo dei target imposti dalla Comunità Europea estremamente importanti e non dico non raggiungibili, perché il problema non è il solo fatto che sono molto aggressivi, secondo me il vero problema è il nostro paese. Noi abbiamo questo 20-20-20 da raggiungere, al qual fine, solo per darvi un numero, dovremmo raddoppiare la produzione di energia rinnovabile da qui al 2020 passando da 50 terawatt/ora a 355. Quindi siamo a un settimo della produzione rinnovabile. Io sono molto pessimista. Un settore che era così trainate e che tutt’oggi in Comunità Europea è uno delle energie rinnovabili dove si stanno realizzando più investimenti, è il settore eolico. Esso ha visto la realizzazione di 800 megawatt, che così sembra un numero grosso, però per questi megawatt erano stati pensati e iniziati gli iter autorizzativi già tre anni prima dell’agosto dell’anno scorso, quindi hanno trovato una realizzazione solo quattro anni dopo l’inizio degl’iter autorizzativi. Questo secondo me è un aspetto veramente significativo perché, vorrei proprio rimarcare questa cosa, un gruppo come il nostro, non può non tenere in considerazione il tempo di sviluppo e di investimento dei propri soldi. Le tariffe cambiano negli anni anche se in Italia è risaputo che ci sono le tariffe più alte d’Europa. Quindi, io sinceramente vedo una grossa fatica a portare avanti questo discorso rinnovabili, spero e mi auguro, è quello che noi stiamo sempre dicendo un po’ ovunque andiamo a parlare e a livello anche istituzionale, che ci sia veramente una spinta a livello amministrativo. La grossa fatica è che noi abbiamo oggi una legge chiarissima, la 387 del 2003, che regola in modo inequivocabile qual è l’iter autorizzativo che tutte le forme di energie rinnovabili devono seguire. Purtroppo in Italia c’è un aspetto che è l’aspetto provinciale, regionale, comunale, e ognuno di questi enti può legiferare in questo settore, soprattutto le regioni, che hanno attuato da quell’anno in poi tutta una serie di norme guida, di delibere particolari che hanno bloccato significativamente il settore eolico, e ultimamente anche il settore fotovoltaico. Un altro di quei settori che in Italia, visto la presenza del sole, era partito, direi, in modo deciso un anno fa, con i famosi impianti a terra che avevano permesso in un certo senso di dare questo avvio a questa nuova tecnologia, si è però arenato. Si è arenato perché? Perché oggi tutti questi enti amministrativi, che si trovano a utilizzare i progetti, hanno visto la presentazione di enormi quantità di megawatt da posizionare sul territorio. Un esempio particolare: in Sicilia c’è un progetto da 50 megawatt fotovoltaici, che in termini di aree occupate impiega 750 mila metri quadri a impianto. Le amministrazioni si trovano in difficoltà ad autorizzare queste cose, e cosa fanno? Bloccano, con delle delibere o con moratorie, ogni iniziativa. Quindi noi ora ci troviamo in questa situazione di stallo anche dal punto di vista di chi vuole proporre impianti e di chi li deve realizzare e quindi della tecnologia. Questo è un documento della Comunità Europea, che offre dei numeri relativi al numero di megawatt e di energie rinnovabili che si dovrebbero realizzare a livello europeo, ma soprattutto, in un bellissimo paragrafo parla dell’occupazione che questo processo di energie rinnovabili avrebbe creato, e l’individua in circa un milione di posti di lavoro. Cosa che a tutt’oggi si è realizzata in pochissimi degli stati europei e pochissimo in Italia in termini di numeri, e questo vuol dire non solo che in Italia non si realizzano impianti e quindi non riusciremo a raggiungere i target che ci sono stati assegnati, ma non daremo neanche una forte spinta all’occupazione e quindi alla tecnologia che potremmo veramente in modo forte realizzare sul nostro territorio. Ho visto in sala un amico che è responsabile di una società che realizza impianti e mi ha colpito perché poche settimane fa è uscito un articolo sul giornale dove la sua società era il soggetto dell’articolo e si diceva che ha fatto un grosso contratto, però non in Italia, in Sud America. Concludendo, il mio auspicio è che ovviamente qualcosa cambi anche a livello politico. Il governo parlava di una ulteriore legge sblocca-rinnovabili, speriamo che sia varata in tempi brevissimi e possa veramente dare questi tempi certi e regole corrette e giuste, cosicché chi investe le possa seguire tranquillamente. Noi non siamo spaventati dal non ottenere l’autorizzazione, noi siamo spaventati dal non sapere se la otterremo o non la otterremo e quindi dal fatto che non possiamo collocare nel nostro piano di investimenti correttamente tutte le nostre ipotesi, che ogni anno immancabilmente dobbiamo rifare. Quindi auspico veramente che ci sia una spinta in questo senso. Siccome dopo di me parlerà una persona che non a caso si occupa di nucleare da moltissimo tempo, mi auguro anche, perché da un anno a questa parte è entrato nel panorama energetico italiano e mondiale il tema del nucleare, che questo non oscuri ulteriormente il processo difficile volto alla realizzazione di questa quota, che ci è stata imposta dalla Comunità Europea. Grazie.

MODERATORE:
Realizzare impianti vuol dire quindi anche superare il tema dei localismi e degli aspetti autorizzativi. Come giustamente diceva Paletti, occorre un adeguato, lo si chiama tra gli addetti ai lavori, mix di produzione, cioè bisogna che a fianco delle energie rinnovabili ci siano anche delle forme di produzione di potenze energetiche più elevate, adeguate per il nostro paese, mi riferisco al tema dell’energia nucleare. Il professor Maurizio Cumo è presidente di SOGIN che è la Società Gestione Impianti Nucleari, che fu costituita nel ’99, alla fine degl’anni ’90 per la gestione e la chiusura del ciclo di vita delle centrali nucleari che erano state realizzate nel nostro paese. E’ ordinario di impianti nucleari all’Università della Sapienza ed è quindi persona esperta in tutto il tema della produzione dell’energia di grande potenza. Grazie di essere qui tra di noi, so che lei è di Rimini anche, quindi gioca un po’ in casa.

MAURIZIO CUMO:
Non potevo mancare a Rimini… chiaramente… Quello che diceva poco fa l’ingegner Paoletti è sacrosanto, è un problema, io direi, di intelligenza. Il nostro paese non è ricco di fonti fossili, può solo impiegare lavoro e ingegno per andare avanti, e quando poi queste cose ci sono anche imposte dall’Europa, dall’Unione Europea, è veramente strano, per non dire da imbecilli, non seguire questa linea. Perché il nucleare da solo non ce la fa e le energie rinnovabili da sole non ce la fanno, noi siamo costretti a seguire questa linea, quindi non è un problema di rivalità, queste erano le cose che c’erano trent’anni fa. Oggi non ha veramente più senso, con un mondo che va avanti in questa maniera. E io qui dagli amici sono stato pregato di fare un po’ un panorama sul nucleare. Posso incominciare con qualche dato. C’è nel mondo l’energia nucleare elettrica, parliamo di elettricità, consumo di elettricità: la percentuale del nucleare è sul 16%. Nell’Unione Europea a 27 è sul 33% ed è la prima fonte energetica che viene utilizzata per l’elettricità, la prima. Nei paesi dell’OCSE, il complesso dei paesi più sviluppati, industrializzati, è il 24% la percentuale. Il fatto che da noi sia zero, fa pensare, fa pensare. Questo tanto per fare un rapidissimo panorama. C’è poi il problema dei costi dell’energia elettrica. Ora sappiamo che la dipendenza energetica italiana dall’estero è dell’86%, quindi la più alta in Europa, che ha una media, l’Unione Europea, del 54%. Se non adottiamo una nuova politica energetica, nel senso di rinnovabile e nucleare, tale percentuale potrebbe salire nel 2020 al 94%, cioè saremmo gas e petrolio dipendenti. Allora, noi abbiamo avuto anche delle indicazioni precise, come diceva prima l’ingegner Paoletti e dobbiamo per forza rilanciare l’opzione nucleare. Io mi sono occupato in particolare di SOGIN. Voi sapete che una volta l’ENEL era l’unico produttore, praticamente l’unico produttore italiano di energia elettrica e che aveva un gruppo di professionisti che gestivano le centrali nucleari che avevamo, siamo stati fra i primi paesi a seguire questa strada. Ora questi specialisti ci sono ancora e sono tutti raccolti in una società, SOGIN, che ha avuto l’incarico di fare il decommissioning, cioè lo smantellamento delle vecchie istallazioni, comprese quelle dell’Enea, l’ente di ricerca e del ciclo del combustibile nucleare, entro tempi possibilmente più brevi possibili. In questo caso, queste operazioni di decommissioning sono importanti perché servono a dimostrare, e nel mondo è stato così, all’opinione pubblica che il nucleare non è una scelta irreversibile, ma è una scelta reversibile, nel senso che nel ciclo di vita dalle miniere, diciamo, ai depositi finali, si possono fare centrali e poi si possono smantellare. Quello che cerca di fare oggi la società SOGIN è il decommissioning di tutti questi impianti nucleari, vecchie centrali e vecchie istallazioni sperimentali del ciclo del combustibile nucleare, comprese le fabbriche. Quindi questo è un compito importante; ci sarà un grossissimo mercato del decommissioning delle vecchie installazioni nucleari, sono centinaia le centrali nucleari che, a breve, entro il 2030, dovranno essere smantellate in tutto il mondo, si parla di centinaia di miliardi di euro come importanza del mercato; quindi una presenza italiana in questo settore è pure importante. Allora per tutte queste cose il consiglio di amministrazione di Sogim ha accelerato al massimo i programmi; cerca di anticipare di cinque anni la fine del decommissioning di tutti gli impianti nucleari italiani. Se adesso vogliamo fare le centrali da chi andiamo? Dai neo-laureati in Ingegneria Nucleare? Io sono felice perché sono ingegnere nucleare, ma ci vogliono dei professionals, delle persone esperte; quindi non si può che ricorrere a queste persone. Ora, su alcuni punti in particolare ci tenevo a fare delle considerazioni. Il ritorno alla produzione del nucleare non deve essere vissuto in Italia solo come una riflessione critica rispetto alla critica fatta nel 1987 dopo Chernobyl; a distanza di oltre vent’anni il mondo è cambiato e sono mutate le priorità politiche e la natura stessa delle sfide che ora siamo chiamati ad affrontare. Permangono invece alcune criticità; essendo il nostro paese povero di risorse energetiche e dunque destinato sempre di più a dipendere dall’estero per il suo approvvigionamento, il fatto di dipendere fortemente dall’estero per i rifornimenti di energia fossile, gas e petrolio, da paesi che sono politicamente instabili, è già una dipendenza che il nostro paese assume; il costo dell’energia elettrica in Italia è il più alto in Europa, il Professor Bollino sa bene queste cose. Allora la scelta che dobbiamo compiere oggi non è tra nucleare sì e nucleare no; il nucleare infatti è già una parte rilevante della nostra energia elettrica: siamo intorno al 15% delle nostre importazioni dall’estero, dalla Francia, dalla Svizzera e persino dalla Slovenia. Il problema è se il nucleare possa essere prodotto nel nostro paese o se debba inevitabilmente essere solo importato. A mio parere. oggi esistono schiaccianti elementi di convenienza economica, di sicurezza degli approvvigionamenti, di indipendenza dai paesi produttori di petrolio e gas e di opportuno sviluppo tecnologico e scientifico dell’Italia che consigliano fortemente un rapido e razionale ritorno al nucleare. Ripeto, da risolvere senz’altro l’equivoco di una vecchia competizione che c’era trent’anni fa tra le fonti rinnovabili e il nucleare: credo che oggi parlare di questa cosa non esiste, perché abbiamo bisogno di tutti e due fortemente e quello che è importante viceversa è ottenere un ampio consenso dell’opinione pubblica su questa scelta. Quindi è estremamente importante diffondere nella maniera più trasparente e aperta possibile tutte le informazioni, tutto quello che fanno gli altri paesi, proprio per informare il pubblico, perché altrimenti succede quello che ci diceva prima Paoletti: se non si hanno i consensi non si va da nessuna parte. È estremamente importante muoversi, ma muoversi presto. Per quanto riguarda poi le cose del nucleare ci sono dei luoghi comuni: c’è il problema di dove si mettono i rifiuti, il problema dei rifiuti che durano due o trecento anni etc. Questi sono problemi che gli altri paesi hanno già risolto. Le soluzioni ci sono; ci sono anche delle soluzioni scientifiche che si risolveranno nell’arco di venti-trent’anni, con la trasmutazione di questi prodotti radio-attivi che hanno centinaia di migliaia di anni di durata, distruggendoli con gli stessi reattori. Sono problemi che o sono già stati risolti o sono in via di risoluzione e, comunque, c’è da pensare seriamente che tutti i paesi che stanno seguendo queste linee sono i paesi più importanti del mondo. Guardate che ci sono tutti. Ho portato una serie di dati sui lavori di decommissioning che sta facendo la Sogim, però nel contesto generale di una chiacchierata così, mi sembra fuori luogo dire quanto siamo bravi a smantellare in fretta gli impianti. Abbiamo aumentato la velocità, ci proponiamo nell’arco del 2011 di fare il 40% dello smantellamento, di anticipare di cinque anni il tutto e, ovviamente, di fare risparmiare i contribuenti italiani; perché noi paghiamo con la bolletta elettrica questo lavoro.

MODERATORE:
Bellissima questa relazione del Professor Cumo, che segue da anni, sia con delle responsabilità ben precise come la presidenza di Sogim, ma anche nella sua capacità di docente universitario, questo tema dell’energia. Grazie anche per averci ricordato un fatto che non è assolutamente scontato, ovvero che il nostro paese è veramente povero di risorse energetiche, non disponiamo di giacimenti, ma è decisamente ricco di capitale umano e quindi ci ha chiesto di lavorare con l’ingegno e questa mi pare la sottolineatura più importante. Grazie ancora Professore. L’ultimo intervento è del Professor Andrea Bollino che è ordinario di Economia Politica all’Università di Perugina. Anch’egli è una persona che sta dando molto al nostro paese nelle istituzioni del settore elettrico, istituzioni che sono nate in gran parte successivamente all’avvio della liberalizzazione, infatti finché il sistema nazionale è stato integrato, molte delle attività, che oggi svolge il gestore del servizio elettrico, il gestore del mercato elettrico, non esistevano, venivano svolte totalmente dall’unico operatore nazionale. Il mercato libero esige anche una capacità di gestire il sistema, di osservarlo e di fare crescere i legami tra i vari operatori del sistema. Il GSE è anche l’osservatorio preposto a valutare gli avanzamenti della realizzazione degli impianti e a dare costantemente dati. È anche il luogo preposto a gestire il conto-energia e altre istituzioni che nel nostro paese sono state avviate per facilitare gli investimenti nel settore delle rinnovabili. Grazie anche a Lei per essere intervenuto.

ANDREA BOLLINO:
Grazie Presidente. A questo punto avete tutti ascoltato degli autorevoli interventi; vorrei fare qualche chiosa per non appesantire, alla fine di una così ricca giornata sull’energia, dandovi troppi dati. Vorrei fare però qualche considerazione per voi, per mettere a punto alcuni fattori fondamentali. Il professor Di Matteo ci ha detto che lo sviluppo così come lo conosciamo in questo momento non è sostenibile. Fatemi fare il professore universitario per un momento; in maniera molto didattica vuol dire che noi, paese occidentale in Europa, come sappiamo, possediamo 800 automobili ogni 1000 abitanti; in Cina ce ne sono 12 ogni 1000 abitanti, nonostante i fumi e la congestione di Pechino, che abbiamo potuto vedere in televisione durante le Olimpiadi. Questo è la misura concreta tecnico-economica di quello che voleva dire il Professor Di Matteo, perché se noi prendiamo il nostro livello (800 automobili ogni 1000 abitanti) per i pochi centinaia di milioni di privilegiati che siamo noi in Europa Occidentale e cerchiamo di proiettare questo tenore di vita per 2 miliardi di cinesi e un miliardo di indiani che stanno nel pianeta, non solo non c’è abbastanza petrolio conosciuto per poter fare girare queste automobili, ma probabilmente non c’è neanche l’acciaio per costruirle. Quindi siamo davanti a una visione che ci pone degli interrogativi profondi. Questo è proprio il momento per riflettere che se vogliamo dare una prospettiva alla popolazione mondiale, bisogna che gli ingegneri, i tecnici, i professori, i politici si rimbocchino le maniche e si spremano il cervello per trovare qualcosa da fare; perché, fatemi dire, ancora non abbiamo visto che cosa serve per il futuro. La seconda considerazione che vorrei fare per voi, chiosando l’intervento del collega Di Matteo, è sul problema dei termovalorizzatori. Osservate, ricordando la cartina che lui ha proiettato (io me la ricordo perché la conoscevo bene, quindi adesso ve la rivisualizzo di fronte agli occhi), osservate che dei 51 termovalorizzatori in Italia ce ne sono 20 tra Lombardia e Veneto e 20 tra Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche. La preponderante parte dei termovalorizzatori in Italia stanno equamente divisi fra regioni rosse e regioni di destra. Lo voglio dire perché questo significa che il problema non è politico, è di tipo culturale e tecnologico. Laddove c’erano amministrazioni di destra o di sinistra entrambe sono riuscite a fare, quando hanno voluto, esattamente quello che serve per rimanere nei parametri europei: più del 35% di raccolta differenziata. Laddove ci sono state amministrazioni di destra o di sinistra, parlo del Sud, a cominciare dalla scandalosa gestione campana (lo abbiamo visto ovviamente come il fallimento fino a pochi mesi fa della gestione dei rifiuti), il problema non è stato affrontato correttamente. La raccolta differenziata è un problema di educazione civile, che si deve incominciare a fare nelle case. Mia madre, che abita a Milano, la raccolta differenziata la fa tranquillamente senza alcun problema; la sua amica napoletana o siciliana pensa che sia un fastidio (non so perché) fare quello che nel Nord Italia è una cosa di educazione civica, come non buttare le carte fuori dal finestrino. Diciamocele queste cose, perché anche questo fa parte di educazione, in un certo senso, civica a cogliere un’opportunità, perché se si fa la raccolta differenziata quelle tonnellate divise poi possono essere bruciate. L’ecoballe sono balle che si possono bruciare, perché una volta compattate tutte insieme non hanno più, a parte quel po’ che si potrà tirare fuori, quel potenziale che ormai è stato sprecato o buttato via. Allora vengo al rapporto (sono altri due punti che mi interessa toccare) che c’è fra nucleare e fonti rinnovabili. Per la prima volta – vorrei portare alla vostra attenzione – finalmente in Italia (anno 2008 con la nuova visione annunciata dal Ministro Scajola) siamo in grado, come tutti gli altri paesi peraltro, di poter considerare nucleare e rinnovabile come complementari – si direbbe in termini tecnici – cioè, banalmente, come due cose che viaggiano insieme per il bene e il benessere, lo sviluppo del paese e non visti o considerati in maniera ideologica come antagonisti. Dico questo perché sappiamo dalle parole del Ministro pro-tempore dello Sviluppo Economico Scajola che il piano del governo è quello di raggiungere l’obiettivo del 25% di fonti rinnovabili e 25% nucleare per la produzione di energia elettrica, lasciando alle fonti fossili quel restante 50%. Intanto cominciamo a vedere i tempi del nucleare; l’ultimo impianto nucleare ordinato, costruito e pronto per entrare in servizio in Finlandia, ci ha messo 12 anni. Quindi non illudiamoci che il nucleare si possa fare domani mattina, ma non culliamoci sotto l’idea che, siccome ha tempi leggermente più lunghi di quelli che servono per aprire una pizzeria, non le potremo mai fare perché l’Italia, per carità…etc. etc. Se i finlandesi sono capaci di fare i Nokia (io per altro uso il Motorola) e sono stati capaci di fare il nucleare, non vedo per quale motivo noi, che siamo leader nel made in Italy, di tante altre produzioni tecnologiche e importanti nel mondo, non potremmo essere capaci di fare altrettanto con i nostri ingegneri, che derivano per altro dalla scuola di Enrico Fermi, che è stato il primo fisico nel mondo a creare gli impianti nucleari. L’applauso chiaramente non va a me ma va al professor Cumo, che è uno dei continuatori della scuola nucleare, anche perché ha qualche anno più di me e merita il suo posto tra coloro che hanno studiato l’energia nucleare. Allora, 12 anni ci hanno messo in Finlandia; siccome esiste quello che noi economisti chiamiamo learning by doing, cioè l’apprendimento con l’esperienza, probabilmente la prossima centrale ce ne metterà 11, quella dopo ancora 10 e si arriverà a quei 6-7 che sono gli anni stimati ormai dai tecnici in maniera ottimale: 2 di analisi e progettazione e soprattutto esecuzione dei permessi e gli altri quattro per colare il cemento e imbullonare l’acciaio, perché c’è poi anche la parte tecnologica da tirare avanti. Benissimo; per quale motivo oggi abbiamo questa complementarietà? Abbiamo questa complementarietà, finalmente, perché si è detto agli italiani quello che si era nascosto per molto tempo e cioè che i costi del nucleare e del rinnovabile, entrambi su una filiera tecnologica di avanguardia e quindi di frontiera rispetto al settore maturo delle fonti fossili, sono inferiori. Bisogna poi potenziare il fotovoltaico, l’utilizzo del vento, magari con le pale eoliche invece che solo ad asse orizzontale anche ad asse verticale, guardare all’utilizzo delle bio-masse compatibili, guardare alle nuove forme di filiere tecnologiche delle fonti rinnovabili in tutti i campi. Questa sfida uguaglia quella del nucleare. Sono anche degli obiettivi che sembrano, se li vogliamo giudicare freddamente, ragionevoli e non più velleitari dal punto di vista dei numeri. Perché dire, come abbiamo sentito dire al G8, che di fronte alla proposta di fare il 30% di fonti rinnovabili entro il 2030, faremo il 50% entro il 2050 (magari qualcuno vorrà fare l’80% entro il 2080 e poi il 100% entro il 2100), beh questi numeri servono soltanto per riempirsi la bocca: sposto l’obiettivo più avanti e penso di fare chissà che cosa. Cominciamo invece col vedere, e vengo con il secondo e ultimo punto, che se riusciamo ad avere una filiera autorizzativa, quindi di capacità anche tecnico-burocratica e non solo ingegneristica nel nostro paese, finalmente all’avanguardia con i tempi, potremo in tutti i campi, sia nel rinnovabile micro che per i grandi impianti, nucleare, carbone pulito e quant’altro, fare un salto in avanti che costi di meno per il paese. Sul problema delle autorizzazioni il cambio di cultura che vi propongo (e questo è l’ultimo punto sul quale voglio chiudere come idea) è il seguente: si è sentito dire più volte nel passato, quasi come se ci fosse come un momento di paura, “ci sono troppe domande”; quindi le autorizzazioni si negano perché la burocrazia pubblica si spaventa di fronte a troppe domande. Ma come, ho un territorio piccolo così e ci arriva la domanda di 100 MW di ettari di fotovoltaico; su quella povera valle arrivano 20 domande per fare 20 centrali tutte insieme quando, ovviamente, il territorio ne può contenere una sola. Allora io vorrei farvi riflettere su questo fatto: prendiamo il corso cittadino – questo è l’esempio didattico che voglio offrire – della nostra città di provincia il sabato pomeriggio, in cui vediamo tanta gente che passeggia davanti alle vetrine dei negozi. Quanti guardano e quanti comprano? Cento guardano e poi uno solo compra. Forse che vogliamo dire che tutta quella gente che passeggia spaventa il negoziante perché: “oddio tutti vogliono comprare la merce e io non ce l’ho?”. No, c’è una forma di “guardarsi in giro” e poi c’è una forma di concretezza del comportamento. Allora il cambiamento culturale che le amministrazioni pubbliche, la burocrazia e gli imprenditori anche devono capire, è che quando sul territorio arrivano venti imprenditori che fanno la domanda, stanno facendo quella specie di “guardarsi intorno” esattamente come quelli che girano intorno alle vetrine del corso del paese. Questa è la metafora che voglio proporvi come idea. Dopodiché il migliore vincerà, quello che ha i soldi compra, tutti gli altri continuano a passeggiare e quindi tutti gli altri imprenditori si ritirano. Qual è la morale di questa analisi? Che non c’è bisogno di fare cento negozi per soddisfare tutti quelli che passano; quindi -analogia – non ci deve essere la paura preventiva dell’amministrazione pubblica, del capo della regione, della provincia, del comune che “oddio qui mi distruggono il territorio perché vengono in cento!”. Si deve capire in maniera intelligente che la competizione tra gli imprenditori è quella che crea le migliori soluzioni, perché gli imprenditori sono in competizione con i progetti di carta, ma poi uno si realizza e gli altri 99 diventano carta straccia o rimangono solo idee. Questo significa che quel territorio, quella amministrazione comunale, quella amministrazione regionale avrà, se è stata intelligente ad accogliere questo meccanismo, il meglio sul territorio e non l’affollamento che l’ha spaventata soltanto perché ha visto la coda fuori dalla porta. Qui concludo parlando del GSE, parlando per ancora trenta secondi. Ci sono anche dei miei colleghi in sala; noi del GSE siamo, lo dico con orgoglio ma anche perché ci è riconosciuto, un’amministrazione pubblica (o un’agenzia pubblica) che ha già interiorizzato questo modo di operare: noi riceviamo le domande per il conto-energia, le domande di qualificazione degli impianti e le processiamo a favore della comunità – quindi del paese e del cittadino -, sapendo che la filiera è a imbuto: tante se ne cominciano, tante se ne guardano in maniera intermedia, si finiscono quelle che il mercato poi vorrà e saprà accettare. Con questa capacità, che significa call-center, attenzione al cittadino, risposta alle domande che sono molte di più delle risposte ai quesiti che facciamo, rispetto agli impianti che poi alla fine vengono costruiti. Ci poniamo al servizio del cittadino in maniera moderna e intelligente.

MODERATORE:
E’ con viva gratitudine che sottolineo questo intervento energico del professore Bollino, perché che nel nostro paese anche un’istituzione pubblica, un ambito dove potrebbe prevalere la burocrazia, abbia questa attenzione al bene comune e che ci si metta questa intelligenza nel gestirlo, non è assolutamente scontato. Quindi il mercato nostro dell’energia per svilupparsi e rispondere alle esigenze ha bisogno di uomini come lui, che conducano le istituzioni. che hanno le loro precise responsabilità e procedure, ma che sono guidate soprattutto con l’attenzione alla realtà e al bisogno del cittadino. Lascerei due brevissime conclusioni, due sottolineature che mi hanno chiesto: la prima al professore Di Matteo e l’altra a Maurizio Cumo.

UMBERTO DI MATTEO:
Due sole cose. La prima un ringraziamento: volevo ringraziare il Consorzio IPAS che è stato un po’ quello che ha organizzato questo evento; come anche l’anno scorso, quindi ci stiamo facendo un po’ prendere la mano. Qui c’è anche in sala il direttore del Consorzio IPAS, che è un consorzio per l’ingegneria per lo sviluppo dei sistemi sostenibili; quindi sia nel campo energetico che nel campo edilizio (il Professor Rossi). L’altra è un’informazione: sulle tematiche oggetto del mio intervento c’è attualmente un gruppo di lavoro in Italia che sta lavorando, che è formato oltre che dal Consorzio IPAS anche dall’Università Sapienza, dall’Università di Perugia, e dall’Università di Palermo e dall’ITC CNR. Vi invito, per chi volesse approfondire queste problematiche sullo sviluppo delle città sostenibili, al SAIE di Bologna, in cui ci sarà una giornata intera che stiamo organizzando, dedicata alla divulgazione di tutti gli studi che fin qui sono stati condotti in Italia. Con questo vi ringrazio.

MAURIZIO CUMO:

Una semplice considerazione sempre a sostegno di questa inevitabile, secondo me, scelta del nucleare. Quando il petrolio costava 30 dollari al barile, una centrale nucleare non era conveniente. Oggi è fortemente conveniente. Allora quello che dobbiamo pensare è quali sono le disponibilità di questi fossili, come dipendiamo dall’estero e quali saranno i prezzi. Gli imprenditori si devono giocare il futuro su queste cose.

MODERATORE:
Permettetemi alcune brevi conclusioni. Quando si parla di energia, abbiamo ascoltato oggi, occorre partire dal bisogno; dal bisogno degli utenti, dal bisogno delle famiglie, dal bisogno delle imprese. Come sfondo non detto, ma che era presente in questi interventi, questa esigenza era ben presente. Quindi prezzi in media con gli altri paesi europei, un approvvigionamento sicuro e un servizio affidabile per tutti; ma anche un utilizzo delle risorse naturali e del territorio che deve essere consapevole e lungimirante. Parliamo per questo di energie alternative, ma di energie presenti e disponibili. Comporre questo puzzle non è semplice, anche per l’eredità lasciata dai passati decenni; ci sono molte zone d’ombra, sono tante e tra loro collegate; abbiamo visto che la produzione elettrica ha rinunciato al nucleare ed è poco presente il carbone; c’è un predominio del gas tra le fonti di energia, che è singolarità nel nostro paese; la liberalizzazione forse non è totalmente compiuta, mancano rigassificatori forse ed elettrodotti; le energie rinnovabili sono utilizzate in una quantità inferiore agli altri paesi. Soprattutto i prezzi sono ancora molto elevati rispetto alla media europea. Tuttavia, e oggi ne abbiamo dato dimostrazione con questi autorevoli interventi, è possibile un programma di rilancio all’altezza delle esigenze di questi bisogni di imprese e di famiglie ed oggi non è assolutamente velleitario. Lo dico per due ordini di ragioni: in primo luogo, i settori italiani dell’energia elettrica e del gas (e qui ne abbiamo alcuni esempi a questo tavolo) vantano un capitale umano di primo ordine e coniugano livelli consistenti di investimenti in Italia anche con un buon livello di internazionalizzazione. In secondo luogo, forse per la prima volta in Italia, dopo molti anni esiste una maggioranza ampia e auspicabilmente coesa per riformare le condizioni di un dialogo su una questione fondamentale come è la politica energetica nazionale. Ringrazio i relatori e ringrazio chi è stato presente in questa sala ed presente anche in altre sale qui contigue, perché molta gente ha attenzione a questo tema e vi auguro di continuare l’esperienza in questo splendido Meeting di Rimini.

Data

27 Agosto 2008

Ora

15:00

Edizione

2008

Luogo

Sala Mimosa B6
Categoria
Incontri