DALLA TOLLERANZA ALLA STIMA

In collaborazione con la Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale. S. Ecc. Mons. Alberto Ortega Martín, Nunzio Apostolico in Iraq e Giordania; Marc Schneier, Presidente della Foundation for Ethnic Understanding; Wajih Kanso, Director of the Royal Institute for Inter-Faith Studies (RIIFS). Intervento introduttivo di Joseph Levi, Presidente della Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale. Introduce Wael Farouq, Professore di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

Dalla tolleranza alla stima

In collaborazione con la Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale. S. Ecc. Mons. Alberto Ortega Martín, Nunzio Apostolico in Iraq e Giordania; Marc Schneier, Presidente della Foundation for Ethnic Understanding; Wajih Kanso, Director of the Royal Institute for Inter-Faith Studies (RIIFS). Intervento introduttivo di Joseph Levi, Presidente della Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale. Introduce Wael Farouq, Professore di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

WAEL FAROUQ:

Benvenuti a tutti, questa è una serata particolare perché oggi parliamo di un documento storico, quello sulla fratellanza umana, che è stato firmato due anni fa ad Abu Dabhi da papa Francesco e il Grande imam di Al-Azhar, con la presenza straordinaria di capi e leader di tantissime religioni. Siamo veramente onorati di avere oggi alcuni di loro, che erano presenti anche ad Abu Dhabi, in quel momento storico. La fratellanza umana, nonostante la diversità, nonostante le tantissime contraddizioni fra le religioni: come possiamo costruire una vera fratellanza nonostante queste differenze? A questa domanda, risponde un gruppo di filosofi musulmani dell’ XI Secolo, si chiamano Fratelli di purezza e vivevano a Baghdad, che all’epoca era una città cosmopolita. C’erano musulmani, cristiani, ebrei a Baghdad: ebreo era il medico del califfato, il più grande traduttore dell’eredità greca in lingua araba, un filosofo ebreo, viveva alla corte reale di Baghdad. In questo momento, fiorisce la civiltà islamica ma anche la diversità. La domanda è stata posta al gruppo dei Fratelli di purezza i quali, per rispondere, hanno utilizzato una metafora. Hanno detto che l’umanità è come un uomo che si ammala. Un giorno si sveglia malato nel cuore e va dal medico, Dio, chiedendogli una medicina. Dio gli ha dato come medicina il giudaismo. Passa il tempo e lui si ammala di nuovo, questa volta allo stomaco: va a chiedere la medicina e riceve il cristianesimo. Di nuovo si ammala, di nuovo chiede la medicina e di nuovo la riceve. I Fratelli di purezza commentano questa metafora dicendo: «Attenzione: come non c’è contraddizione tra diverse medicine, non c’è neppure, nonostante le grandi differenze, tra le religioni. Ma più di questo, ancora, è l’assenza di una medicina una minaccia alla vita di questa persona. Così come l’assenza di religione è una minaccia della vita spirituale dell’umanità intera». Quindi, l’altro religioso non solo deve essere tollerato, non solo deve essere accettato ma dobbiamo riconoscere la necessità della sua presenza perché, senza di lui, rischiamo la vita. Ecco, il documento della Fratellanza umana non è pieno di metafore ma di un nuovo linguaggio. Questo documento ha creato un nuovo dizionario dell’incontro tra le persone e tra le religioni. Il titolo stesso del nostro incontro stasera indica questo grande cambiamento nel linguaggio, “Dalla tolleranza alla stima”: la parola stima è una parola nuova nel dizionario del dialogo interreligioso. Io non voglio rubare tempo ai relatori di altissimo livello che parlano stasera di questo documento e anche di concetti che sono presenti in questo documento. Quindi, parto subito con il rabbino Joseph Levi, che è noto anche al pubblico del Meeting di Rimini: è uno psicologo, uno studioso, docente universitario in tante Università in Italia e all’estero. É anche, e secondo me è la cosa più importante, direttore della Scuola fiorentina dell’educazione al dialogo interreligioso. É un’altra novità nella nostra realtà, questa scuola, perché risponde ad un grande bisogno di educazione perché l’educazione è sempre la risposta. Partiamo con il rabbino Joseph Levi, lo ringraziamo per essere qui con noi.

 

 

JOSEPH LEVI:

Grazie mille innanzitutto al Meeting, agli organizzatori, alla presidente e ad altri ancora che hanno accolto questa idea di dedicare un incontro al documento di Abu Dabhi e altre attività come l’incontro tra un importante esponente dell’Arabia Saudita e il rabbino di un’importante comunità americana a New York. Passo subito all’argomento, vi ringrazio per la possibilità di mettervi davanti qualche informazione sul dialogo interreligioso.

In questi ultimi anni, con l’aiuto dell’amministrazione e delle diocesi di Firenze, della comunità ebraica e di quella comunità islamica, abbiamo creato questa scuola per rispondere alla necessità di un maggiore dialogo fra le religioni. Una necessità semplice di informazione, di educazione, ma anche la necessità teologica e filosofica di scoprire le radici antropologiche comuni a tutti noi, che ci hanno portato, per vie diverse, a religioni diverse: il desiderio di rintracciare quello che ci accomuna per poter andare avanti insieme. Un lavoro assolutamente importante e necessario. Vorrei fare due riflessioni che possono avere un lato non negativo ma problematico, e uno positivo, con il quale forse è bene anche aprire questo nostro dibattito e la valutazione del documento. Il dialogo ebraico-islamico esiste da più di venti anni. Abbiamo partecipato a conversazioni profondissime tra i teologi islamici, ebrei e cristiani. Qual era il problema? Come dicono, i tempi non erano pronti. Si facevano incontri importantissimi ma la stampa non dava la giusta valutazione all’importanza del futuro di questi incontri. E quindi, siamo passati ad attività più pratiche di conoscenza, e così via. Questo è il lato che ci deve fare riflettere: a volte noi stessi giornalisti, o chi tra noi, non cogliamo la vera atmosfera, il vero problema dell’epoca, e non riusciamo quindi a comunicarlo bene. In questo senso, ovviamente, il documento ha fatto un passo gigantesco in avanti. Adesso è veramente al centro della riflessione: sentiremo stasera cose certamente interessanti e potremo coinvolgerci nel dialogo interreligioso, in questo caso fra le religioni abramitiche. La seconda, invece, è una buona notizia legata alla precedente: il documento, come lo abbiamo davanti, è firmato da papa Bergoglio e dall’imam di Al-Azhar, due esponenti importanti del mondo cattolico e del mondo islamico. C’è dietro una lunga preparazione, ci sono lunghi incontri, c’è un lavoro teologico profondissimo. E quindi, mi fa molto piacere che ci troviamo qui per parlare pubblicamente dell’argomento. Però volevo sottolineare che dietro c’è stato anche un lavoro politico, che ci interessa fino ad un certo punto, certamente non qui, e teologico di profonda importanza. Ci sono altri istituti che hanno lavorato ad elaborare il tema, come sentiremo anche stasera: il direttore del dipartimento interreligioso della Giordania, Marc Shneier, ovviamente. Solo come aneddoto, volevo ricordare un incontro al quale ho avuto l’occasione e il merito di partecipare nel dicembre 2018 ad Abu Dhabi, alcuni mesi prima del documento che stiamo valutando stasera. Il personaggio principale è un importantissimo teologo del mondo islamico che ha invitato ad Abu Dabhi, grazie al Governo, 700 teologi, 700 dirigenti del mondo islamico, del mondo ebraico americano, del mondo cristiano nelle sue varie sfaccettature, per spiegarci alla fine la sua dottrina secondo la quale il concetto di cittadinanza è un concetto islamico, dove il mondo poggia su un equilibrio prestabilito e ogni uomo, accanto ai suoi diritti, ha il dovere di mantenere una certa fratellanza, un certo comportamento per salvaguardare l’equilibrio del mondo intero. È anche un concetto ebraico, ma non voglio entrare adesso nei particolari. In base a questa visione filosofica, teologica, lui ha cercato di spiegare agli esponenti islamici, in un convegno che si chiamava “Organizzazione per portare la pace nel mondo islamico”, che la tradizione coranica c’era già ancora prima della rivelazione al profeta Maometto. Uno sviluppo fra i cittadini de La Mecca e di Medina, per trovare un concetto di convivenza e fratellanza che permetta di portare avanti il loro progetto sociale, basandosi su questa idea. Diceva: ecco, noi abbiamo nell’Islam i concetti fondamentali per poter andare avanti e proporlo oggi, qui tra di noi, per il futuro dell’umanità. Ve lo racconto perché per me, anche per il mio interesse al dialogo interreligioso, è stato un momento affascinante: trovarsi insieme a 700 teologi mussulmani e non parlare di esclusione o delle cose che leggiamo sui giornali ma trovarsi in profonda armonia, giustificata da una teologia vicinissima, a mio parere, alla teologia dell’uomo nel mondo ebraico, basata su concetti giuridico-teologici della stessa tradizione islamica. Siamo tornati da lì, veramente pieni di speranza nel dire: ecco, il cambiamento sta arrivando! Sono passati quattro mesi, è stato pubblicato l’altro documento firmato ad Abu Dhabi, e io, con il vostro permesso, vorrei dare questa testimonianza come introduzione alle parole importanti che sentiremo adesso. Grazie.

 

WAEL FAROUQ:

Non voglio che pensiamo che questo documento sulla fratellanza umana era dedicato solo al dialogo interreligioso. Il documento era pieno di tutto quello che ci interessa oggi: l’ambiente, le povertà, le periferie. Un documento che guarda la fratellanza umana in tutti i suoi aspetti. Quindi, chiedo a Sua Eccellenza mons. Ortega Martin di spiegarci queste dimensioni diverse del documento, ma prima presento mons. Marin, conosciuto dal pubblico del Meeting. É anche lui un diplomatico del Vaticano, nunzio ad Aleppo, nunzio in Giordania e Iraq, arcivescovo dal 2015: vive in questa realtà. Ho sentito la sua straordinaria testimonianza sui tempi più bui in questa zona, e credo che dalla sua esperienza possiamo capire ancora di più che da questo documento. Prego.

 

  1. ECC. MONS. ALBERTO ORTEGA MARTÍN:

Sono molto lieto di partecipare a questo incontro, ringrazio gli organizzatori. È una iniziativa, parlare del dialogo, sempre necessaria ma più ancora in questi momenti.

Mi congratulo con la Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale e saluto il suo presidente. Mi piace il titolo dato all’incontro: “Dalla tolleranza alla stima”, preso come vedremo da un discorso di papa Francesco, perché indica un cammino dove il fatto di arrivare alla tolleranza era già stato un passo in avanti riguardo al passato, ma che chiaramente non era sufficiente. Non basta semplicemente tollerare l’altro, siamo chiamati ad un vero riconoscimento e perciò ad una stima. Nell’ambito del dialogo interreligioso, la chiesa cattolica ha fatto un bel percorso, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II e dalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, che è sempre un punto di riferimento. I pontefici successivi al Concilio hanno favorito questo dialogo, cominciando da san Paolo VI.

Mi piace sottolineare il ruolo di san Giovanni Paolo II, con tanti incontri e tante visite. A modo di esempio, ricordo l’indimenticabile incontro con i giovani a Casablanca in Marocco. O l’iniziativa dell’incontro interreligioso di preghiera per la pace ad Assisi. Anche papa Benedetto ha svolto un ruolo molto importante e positivo. Come sapete, egli è stato frainteso in occasione di un importante discorso tenuto a Ratisbona. Ma pure i malintesi e il dibattito successivo al famoso discorso hanno favorito che ci fossero, da parte musulmana, iniziative importanti come il documento “Una parola comune tra noi e voi”. Penso che papa Benedetto abbia segnato un passaggio molto importante nel dialogo interreligioso. E papa Francesco, aiutato in questo anche dalla sua capacità di stabilire rapporti personali, sta dando un impulso importante al dialogo interreligioso. Che non è tanto un dialogo tra religioni ma tra persone di diversa fede. I rapporti personali, la stima sincera, l’amicizia sono fondamentali. Ne è un esempio il Meeting di Rimini che festeggia 40 anni. Un segno dell’importanza che attribuisce la Santa Sede al dialogo interreligioso è il fatto che nella Santa Sede, in Vaticano, ci sia proprio un Dicastero, sarebbe l’equivalente di un Ministero, che si occupa di questo, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Un Consiglio molto attivo e con tanti contatti anche a livello ufficiale. Prendo come riferimento tre viaggi importanti di papa Francesco e mi servo delle sue parole. 1. Il primo è quello in Egitto nell’aprile 2017, dove il Papa ha partecipato ad una conferenza internazionale per la pace all’Università di Al Azhar. Questo fatto sottolinea già l’importanza del dialogo interreligioso per la promozione della pace. Il Papa ha tenuto un importante discorso dove, tra le altre cose, parlando in un’Università sottolinea l’importanza dell’educazione. Proprio nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipenda anche dall’incontro tra le religioni e le culture. Il Papa presenta tre orientamenti fondamentali che possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Il Santo Padre afferma che «educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, costituisce la via migliore per edificare insieme il futuro, per essere costruttori di civiltà. Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è la inciviltà dello scontro, non ce n’è un’altra». 2. Un’altra tappa è stata il viaggio ad Abu Dhabi nel febbraio 2019. Così lo descrive il Papa nell’udienza successiva: «Un viaggio breve ma molto importante che, riallacciandosi all’incontro del 2017 ad Al-Azhar, in Egitto, ha scritto una nuova pagina nella storia del dialogo tra cristianesimo e islam e nell’impegno di promuovere la pace nel mondo sulla base della fratellanza umana». In quell’udienza, il Papa afferma: «In un’epoca come la nostra, in cui è forte la tentazione di vedere in atto uno scontro tra le civiltà cristiana e quella islamica, e anche di considerare le religioni come fonti di conflitto, abbiamo voluto dare un ulteriore segno, chiaro e deciso, che invece è possibile incontrarsi, è possibile rispettarsi e dialogare, e che, pur nella diversità delle culture e delle tradizioni, il mondo cristiano e quello islamico apprezzano e tutelano valori comuni: la vita, la famiglia, il senso religioso, l’onore per gli anziani, l’educazione dei giovani, e altro ancora». Ad Abu Dhabi, papa Francesco ha pronunciato un discorso molto importante. In esso afferma: «Il punto di partenza è riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana. Egli, che è il Creatore di tutto e di tutti, vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato che Egli ci ha donato. Si fonda qui, alle radici della nostra comune umanità, la fratellanza, quale “vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio”. Il Papa si domanda: «Come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come, insomma, le religioni possono essere canali di fratellanza anziché barriere di separazione? Ciò avviene anzitutto mediante un dialogo quotidiano ed effettivo. Esso presuppone la propria identità, cui non bisogna abdicare per compiacere l’altro. Ma al tempo stesso domanda il coraggio dell’alterità, che comporta il riconoscimento pieno dell’altro e della sua libertà… Il coraggio dell’alterità è l’anima del dialogo, che si basa sulla sincerità delle intenzioni». Vediamo sempre i tre criteri: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. E in tutto ciò, la preghiera è imprescindibile, la preghiera fatta col cuore è ricostituente di fraternità. Nel discorso, il Papa parla anche dell’educazione e della giustizia. 3. Un’altra tappa, Marocco nel marzo 2019. Nell’udienza in cui si è riferito a questo viaggio, il Papa ha affermato: «Ringrazio soprattutto il Signore che mi ha permesso di fare un altro passo sulla strada del dialogo e dell’incontro con i fratelli e le sorelle musulmani, per essere – come diceva il motto del viaggio – “servitore di speranza” nel mondo di oggi». In quell’udienza ha ribadito che «Non dobbiamo spaventarci della differenza: Dio ha permesso questo. Dobbiamo spaventarci se non operiamo nella fraternità, per camminare insieme nella vita». In Marocco, il Papa ha avuto un importante discorso davanti alle autorità. Il Papa fa memoria – ottocento anni dopo – dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il Sultano al-Malik al-Kamil e afferma: «Quell’evento profetico dimostra che il coraggio dell’incontro e della mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità, là dove l’estremismo e l’odio sono fattori di divisione e di distruzione». Nel discorso ribadisce delle indicazioni importanti: «È quindi essenziale, per partecipare all’edificazione di una società aperta, plurale e solidale, sviluppare e assumere costantemente e senza cedimenti la cultura del dialogo come strada da percorrere, la collaborazione come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio». Anche in questo discorso, il Papa si riferisce spesso all’importanza di ravvivare il vero senso religioso nei cuori delle nuove generazioni e afferma: «Pertanto, un dialogo autentico ci invita a non sottovalutare l’importanza del fattore religioso per costruire ponti tra gli uomini e per affrontare con successo le sfide precedentemente evocate. In questo spirito, abbiamo sempre bisogno di passare dalla semplice tolleranza al rispetto e alla stima per gli altri. Perché si tratta di scoprire e accogliere l’altro nella peculiarità della sua fede e di arricchirsi a vicenda con la differenza, in una relazione segnata dalla benevolenza e dalla ricerca di ciò che possiamo fare insieme. Così intesa, la costruzione di ponti tra gli uomini, dal punto di vista del dialogo interreligioso, chiede di essere vissuta sotto il segno della convivialità, dell’amicizia e, ancor più, della fraternità». 4. Iraq 2020. Auspico che ci sarà una nuova tappa importante l’anno prossimo. A giugno, il papa Francesco ha annunciato la sua intenzione di recarsi in Iraq l’anno prossimo. Là è cominciata la storia della salvezza. Abramo è uscito da Ur dei Cadei per recarsi là dove Dio gli avrebbe indicato. Penso che sarà un bel messaggio. Particolare rilevanza ha il documento sulla fratellanza. Continuità e in un certo senso frutto del viaggio in Egitto, dove il tema della fratellanza era stato già sottolineato. Sono continuati i rapporti con l’iman di Al Azhar ma anche del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e detta Università che dopo un periodo travagliato sono ripresi. Un documento importante, firmato con i musulmani di Al-Azhar ma con una valenza per tutti. Non si tratta solo perciò di un documento sul rapporto tra cristiani e musulmani ma serve da riferimento a tutti,

affermando principi fondamentali. Il Papa ha chiesto che sia diffuso. Il tema della fratellanza sarà sempre più al centro del dialogo interreligioso. È un documento che viene presentato nella prefazione come una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli. In nome di Dio, della fratellanza, della giustizia e della misericordia, i firmatari dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio. Si rivolgono a diverse categorie di persone. Esprimono un giudizio sulla crisi del mondo moderno. Tra le cause di ciò, c’è una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti. Segnalano l’importanza della famiglia. Attestiamo anche l’importanza del risveglio del senso religioso e della necessità di rianimarlo nei cuori delle nuove generazioni, tramite l’educazione sana e l’adesione ai valori morali e ai giusti insegnamenti religiosi, per fronteggiare le tendenze individualistiche, egoistiche, conflittuali, il radicalismo e l’estremismo cieco in tutte le sue forme e manifestazioni. Il documento afferma che l’uso della violenza è una deviazione della religione. Non mancano affermazioni sul ruolo delle religioni nella costruzione della pace e si trattano una serie di argomenti importanti, quali la libertà, inclusa quella di credo e di pensiero, la giustizia basata sulla misericordia, il dialogo su valori comuni, la protezione dei luoghi di culto, il terrorismo, il concetto di cittadinanza, il ruolo della donna, la tutela dei diritti dei bambini e anche degli anziani.

Riconoscendo l’importanza dell’iniziativa, auspicano che il documento sia studiato e diffuso. Non mi resta che auspicare che si possano invitare tutti quanti alla preghiera per queste intenzioni e a cercare anche noi, nel nostro piccolo, di passare sempre dalla tolleranza alla stima, per scoprire la possibilità di fare insieme sapendo che l’altro è un bene per me. Grazie.

 

WAEL FAROUQ:

Grazie mille, sua eccellenza ha spiegato bene questo cambiamento di linguaggio ma io posso dire anche che c’è un cambiamento di sguardo. Ricordo, parlando della visita del Papa al Cairo, che prima dell’arrivo del Papa tutti gli angoli della città del Cairo avevano fotografie del Papa vestito di bianco. Dietro, c’erano le nostre famosissime piramidi, sopra la colomba bianca che si trova ovunque al Cairo. Il giorno dopo, tutte queste immagini erano sparite: al loro posto ne era uscita un’altra: sopra c’era il Papa che abbraccia il grande iman, sotto, san Francesco che abbraccia il sultano dell’Egitto. La particolarità e l’importanza di questo documento e dei gesti del Papa è consistita esattamente in questo, nella capacità di generare un nuovo sguardo, non solo al futuro ma anche alla storia, al passato. Questo incontro tra Francesco e il sultano era dimenticato ma questo gesto lo ha fatto tornare a vivere, ha indicato un nuovo futuro. Il professor Wajih Kanso, che insegna Ermeneutica alla Università libanese, direttore dell’Istituto reale degli studi interreligiosi, autori di numerosi libri e articoli, ci spiega che cosa significa questo passaggio dalla tolleranza alla stima, che distanza abbiamo attraversato passando da questo concetto a quell’altro. Grazie, un benvenuto al professore.

 

WAJIH KANSO:

Grazie molte, buona sera, innanzitutto vorrei esprimere la mia gratitudine e la felicità per essere con voi questa sera. Si tratta veramente di un evento straordinario, globale, quindi vorrei ringraziare tutti gli organizzatori e quelli che vi hanno contribuito. In questo panel, parliamo della tolleranza e della stima: probabilmente bisogna cercare di capire qual è il significato di questi due termini, qual è la tolleranza e quali sono le componenti fondamentali della stima. In breve, vorrei presentare tre punti principali. Innanzitutto, il significato del passaggio dalla tolleranza alla stima; poi, come questo si è riflesso nella dichiarazione di Abu Dhabi, e poi, se avrò ancora del tempo, vorrei parlare della sfide che stiamo affrontando. In generale, con la tolleranza si parla dell’accettazione e dell’apertura mentale: alcuni l’hanno considerato un concetto molto negativo, ma questo concetto è un elemento fondamentale della modernità occidentale, perché è stato elaborato nel XVII°, XVIII° Secolo, da parte di tanti filosofi occidentali. L’elemento fondamentale della tolleranza è quello che potremmo definire l’autocontrollo: dobbiamo in un certo senso resistere alla spinta che sentiamo di proibire forzatamente l’espressione di attività che troviamo sgradevoli. In un certo senso, questo concetto ci dice che la tolleranza è differente nei confronti dell’oggetto o di altre attività; semplicemente, dà spazio all’oggetto e ci fa uscire dall’egocentrismo, riconosce all’altro il diritto di esistere. Un altro concetto centrale riguarda quello che potremmo chiamare l’autonomia. Il concetto dell’autonomia è stato ben trattato da John Stuart Mill, il noto filosofo che ha sostenuto che l’individuo deve essere lasciato libero di soddisfare il proprio bene nel modo in cui lo sa fare, perché ogni individuo si conosce, conosce se stesso, i suoi bisogni e i suoi interessi meglio di chiunque altro. E questo concetto ha alcune implicazioni: una di queste è di tipo epistemologico, ha a che vedere con la verità. Questo significa che nessuno ha il diritto di imporre la propria verità sugli altri, che si tratti di una comunità o di un individuo, di una persona. Quindi, la persona è l’unica che ha il diritto di andare alla ricerca della verità e di trovarla. Tra l’altro, questo è diverso dal dire che la verità è relativa. Poi passiamo al livello morale: a livello morale, l’autonomia è l’impegno secondo cui io consento a un’altra persona di fare qualcosa che io trovo inaccettabile, non perché i valori siano relativi ma perché penso che l’autonomia sia così importante che mi impedisce di negare l’azione autonoma di un altro agente libero. Questo tipo di concetto ha portato di fatto all’idea della libertà perché la liberta non sta nel trovare ciò che è vero, ciò che è falso, giusto o sbagliato, ma nel limitare la possibilità di nuocere agli altri. Poi passiamo al livello politico: il concetto di tolleranza a livello politico è stato pensato come essere neutrali a livello di status, a livello di oggetto o di equità. In altre parole, uno Stato non ha il diritto di adottare un concetto specifico o di incolpare una certa comunità sulla base di quello che pensa un’altra comunità. Diventa quindi, lo Stato, un arbitro politico imparziale e senza pregiudizi. Queste sono le conclusioni a cui sono giunto sul concetto di tolleranza. Per quanto riguarda la stima, in generale questa è una modalità particolare di comprendere l’altro. La persona che ha stima di qualcosa presta attenzione a quella cosa e la percepisce in maniera diversa rispetto a qualcuno che non risponde alla stessa maniera alla luce di questa percezione. Cosa vuol dire stima? Vuol dire che si vede l’oggetto o l’altro in maniera chiara, per quello che è. Il fondamento filosofico di questo concetto si può ritrovare nella filosofia kantiana dove viene riconosciuta la persona come un’entità che ha valore in se stesso. Quindi, ad ogni persona è dovuto rispetto solo per il fatto di essere delle persone; essere una persona vuol dire avere uno status e un valore che è diverso da quello che hanno tutti gli altri esseri. Questo rende la persona un fine in se stessa. Tutti gli esseri razionali sono finalità in se stesse, quindi, per capire il passaggio dalla tolleranza alla stima dobbiamo capire che tolleranza vuole dire diritti: diritti umani, legge. Invece, stima vuole dire valori. Tolleranza vuole dire spazio ontico o spazio fisico; rispetto vuole dire spazio esistenziale. Quando parliamo di spazio esistenziale, parliamo della risposta alla domanda: cosa vuol dire esistere? Tolleranza vuol dire autolimitazione, stima vuol dire significato e senso della vita; tolleranza vuol dire gestire la vita, stima vuol dire amare la vita; tolleranza vuol dire vivere, stima vuol dire esistere; tolleranza vuol dire sopravvivenza, uscire dallo stato di guerra o del “tutti contro tutti”. Rispetto, vuol dire esplorare il flusso dei desideri e delle forme della vita. Ho quasi finito: tolleranza vuol dire economia o equilibrio di poteri e autorità, rispetto vuol dire esplorare la differenza e le infinite possibilità dell’esistenza umana. Ebbene, come si può riscontrare tutto questo all’interno della dichiarazione di Abu Dhabi? Posso portare tre riflessioni principali. La prima è che il linguaggio religioso, il discorso religioso, considera l’intera umanità come un’unica comunità. Quindi, adesso la questione non è per le religioni di aumentare il numero dei credenti, ma la vera domanda è: «Che cosa può fare veramente la religione per l’umanità?». L’altro punto è che la salvezza non si limita più a che cosa succede il giorno dopo. La salvezza ha a che fare con la vita. Quindi, la vita stessa ha valore per quello che è, e deve essere amata. Non si tratta di arrivare ad avere il perdono di Dio, dopo la fine della vita, ma di rendere degno omaggio alla nostra vita tutti i giorni. E il terzo punto che possiamo trarre è: come riuscire a dare significato alla vita? Non basta vivere ma che cosa significa vivere? Quindi, il discorso religioso e le principali religioni si trovano adesso di fronte a queste sfide, che sono le sfide principali, per rispondere alla domanda: «Che cos’è il significato di questa vita?». La vita stessa che viviamo tutti i giorni, non solo la vita dell’aldilà e la vita che verrà nel giorno del giudizio. Dato che non mi rimane altro tempo, la parte sulle sfide ve la risparmio, mi fermo qui e vi ringrazio dell’attenzione.

 

WAEL FAROUQ:

Il suo “short” curriculum vitae sono tre pagine piene, e a me piace presentarlo come “il visionario”, il visionario in tutte le istituzioni che ha costruito, in tutte le cariche che ha occupato e anche nei due libri che ha scritto. È stato sempre un uomo di visioni, un uomo che ha aperto il campo al dialogo ebraico-musulmano in quasi tutto il mondo, non so dove abbia trovato il tempo di aprirlo in Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Oman, Bahrein, Palestina, Singapore, in tutta Europa, Sudamerica, Kazakhstan, Marocco. La lista è ancora più lunga. Il rabbino Marc Schneier porta a noi il cuore dell’esperienza vissuta di questi dialoghi e di questi incontri, grazie.

 

MARC SCHNEIER:

So che ci sono alcune persone che sono già uscite, e voglio ringraziare tutti voi per essere rimasti qui ad ascoltarci. Mi ricorda una barzelletta su una conferenza interreligiosa che doveva tenersi alle 6: c’erano 500 persone. Alle 7.30, al 18° oratore, ce n’erano solamente 150. Alle 8.30, mentre il 24° oratore stava parlando, c’era solamente una persona. Il 24° oratore dice a quella persona: «Grazie, grazie mille per essere qui». E l’uomo risponde: «No, in realtà io sono il 25° oratore». Quindi, io sono il 25° oratore e cercherò di andare dritto al punto. C’è una bellissima storia di Picasso, il grandissimo artista. Un atelier a Parigi aveva acquistato un suo dipinto, lo portano a Picasso e vogliono un autografo. Picasso guarda il dipinto e dice: «No, no, guarda che questo non è un mio dipinto, è un falso». Tre anni dopo, lo stesso commerciante d’arte acquista un altro dipinto di Picasso, glielo porta, gli chiede l’autografo e lui dice: «No, no, guarda che è un falso». E questa volta il commerciante d’arte protesta, e dice: «No, signor Picasso, ero nel suo studio e ho visto che dipingeva questa cosa». E Picasso risponde: «Mi scusi, signore, spesso dipingo cose false». Ora, amici miei, quanto spesso noi dipingiamo cose false, io e voi? Le nostre parole sono false, i nostri impegni sono falsi, i nostri gesti sono falsi, e c’è un grande bisogno di cose che in realtà siano vere, di impegni che siano veri, di gesti che siano sinceri. Io ho avuto la fortuna di andare ad Abu Dhabi a febbraio, quando c’era anche il Papa, ho avuto la fortuna di parlare durante quella conferenza. E posso dirvi che il documento che è stato firmato, quel documento, non era un falso, quel documento è vero. C’è un vero e proprio impegno nel mettere insieme la comunità musulmana e quella cristiana; il documento è talmente vero che vorrei raccontarvi l’impatto che ha avuto sulla comunità ebraica. C’è una piccola comunità ebraica a Dubai e in tutti gli Emirati: alla fine è stata ufficialmente riconosciuta negli Emirati arabi uniti, proprio grazie a questo documento. Fino al febbraio 2019, nessuno negli Emirati parlava della comunità ebraica. Ma proprio grazie a questo documento, i leader musulmani del Golfo hanno ufficialmente riconosciuto l’esistenza di una comunità ebraica. E prima di parlare di stima e tolleranza, prima di tutto c’è bisogno di riconoscimento, c’è bisogno di riconoscere che una comunità religiosa c’è, esiste. E questo è stato esattamente il risultato del documento che è stato firmato. Grazie a Sua Santità il Papa, e grazie alla leadership musulmana dell’Università di Al-Azhar, grazie perché adesso c’è una comunità ebraica ufficiale negli Emirati arabi uniti.

Un ultimo messaggio. Ieri sera ho avuto il grandissimo onore – grazie al rabbino qui presente, grazie all’imam, grazie alla Scuola per il dialogo interreligioso -, il privilegio, insieme al Segretario generale della Lega musulmana mondiale, di un riconoscimento per il fatto di avvicinare la comunità musulmana alla comunità ebraica. Stavamo camminando per andare alla cerimonia, e ho ricordato ad Al-Issa che sono la 18° generazione di rabbini nella mia famiglia. Prima abbiamo iniziato in Russia, poi a Vienna e a New York. Cinque generazioni erano a Vienna, fino a quando Hitler è arrivato nel marzo del 1938 e la mia famiglia è stata sterminata ad Auschwitz. Il dottor Al-Issa mi ha detto che Adolf Hitler era il male, come il personaggio più maligno della Bibbia. Sono stato molto contento di sentire che il dottor Al-Issa sa qual è il personaggio più maligno della Bibbia e per il popolo ebraico. Con questo, voglio concludere. Con la storia del Dio che redime il popolo ebraico in Egitto. Dio ha visitato e ha maledetto gli Ebrei con dieci piaghe. La nona piaga era la piaga dell’oscurità: secondo la nostra religione, non era l’oscurità che colpiva gli occhi ma un’oscurità che colpiva il cuore. Fisicamente le persone potevano vedersi però non si preoccupavano dell’altro, non sentivano niente per l’altro. E questa, amici miei, è la piaga più tremenda di tutte. Questo documento è stato firmato ad Abu Dhabi proprio per portare la luce della comprensione, la luce dell’attenzione che permette a tutti noi di vedere l’altro. I cristiani, i musulmani, gli ebrei, che possono continuare a vedersi, continuare ad avere questa luce: è la mia preghiera di questa sera, che come membri di diverse fedi religiose ci si possa vedere gli uni gli altri. Vediamoci tutti come figli di Dio, e vediamoci tutti come persone che devono essere trattate con la dignità, con la giustizia che esigiamo per noi stessi. E grazie.

 

WAEL FAROUQ:

L’ultimo giorno del Meeting del Cairo 2010, abbiamo scelto la bellissima cittadella di Saladino per un concerto dedicato al noto professore Joseph Weiler, ebreo. Ma Weiler non arrivava. Stava camminando dal cuore del Cairo, salendo la montagna del Muqaṭṭam, dove c’è la cittadella di Saladino. Non poteva prendere la macchina perché oggi è sabato e lui deve rispettare il sabato. Quindi, io e il mio carissimo amico Andrea Simoncini, quando abbiamo visto la rabbia di Weiler che è arrivato sudato, con il fuoco che gli usciva dagli occhi, ci siamo allontanati da lui di nascosto. Lui si è seduto, ha seguito la musica e il suo umore è cambiato. Ma adesso doveva tornare all’albergo e scendere la montagna e farsi altre due ore di cammino. Noi, che all’inizio non avevamo riconosciuto la sua tradizione, dimenticando che il sabato lui non può neanche camminare, quando ha deciso di scendere e tornare all’albergo, siamo andati tutti insieme con lui, musulmani, cattolici, ortodossi ed ebrei. Per il rispetto del sabato. Secondo me, questo documento apre un cammino simile, che parte dal riconoscimento: è un pellegrinaggio, quello che ho sentito scendendo da questa montagna con loro, un pellegrinaggio al quale ognuno di voi può partecipare, donando al Meeting per continuare questo cammino. Ringrazio tantissimo i nostri relatori, Sua Eccellenza Ortega Martìn, il professore Wajih Kanso, il rabbino Levi, e il carissimo rabbino Schneier. Grazie mille e buona serata.

Traduzione non rivista dai relatori

 

190821 Dalla tolleranza alla stima

Data

21 Agosto 2019

Ora

19:00

Edizione

2019

Luogo

Sala Neri UnipolSai
Categoria
Incontri