Ucraina, la voce di papa Francesco

Aprile 2022
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«Facciamo nostre le parole del Santo Padre, perché sia accolto da chi ha responsabilità politiche e nella speranza che l’amicizia tra i popoli sia perseguibile anche in conflitti così drammatici». Sono le parole del presidente della fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, Bernhard Scholz, alle notizie che arrivano dall’est d’Europa, con l’ingresso delle truppe russe nello Stato ucraino.

MESSAGGIO URBI ET ORBI DEL SANTO PADRE FRANCESCO | PASQUA 2022

Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!

Gesù, il Crocifisso, è risorto! Viene in mezzo a coloro che lo piangono, rinchiusi in casa, pieni di paura e di angoscia. Viene a loro e dice: «Pace a voi!» (Gv 20,19). Mostra le piaghe nelle mani e nei piedi, la ferita nel costato: non è un fantasma, è proprio Lui, lo stesso Gesù che è morto sulla croce ed è stato nel sepolcro. Davanti agli sguardi increduli dei discepoli Egli ripete: «Pace a voi!» (v. 21).

Anche i nostri sguardi sono increduli, in questa Pasqua di guerra. Troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza. Anche i nostri cuori si sono riempiti di paura e di angoscia, mentre tanti nostri fratelli e sorelle si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe. Facciamo fatica a credere che Gesù sia veramente risorto, che abbia veramente vinto la morte. Che sia forse un’illusione? Un frutto della nostra immaginazione?

No, non è un’illusione! Oggi più che mai risuona l’annuncio pasquale tanto caro all’Oriente cristiano: «Cristo è risorto! È veramente risorto!» Oggi più che mai abbiamo bisogno di Lui, al termine di una Quaresima che sembra non voler finire. Abbiamo alle spalle due anni di pandemia, che hanno lasciato segni pesanti. Era il momento di uscire insieme dal tunnel, mano nella mano, mettendo insieme le forze e le risorse... E invece stiamo dimostrando che in noi non c’è ancora lo spirito di Gesù, c’è ancora lo spirito di Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo. Abbiamo bisogno del Crocifisso Risorto per credere nella vittoria dell’amore, per sperare nella riconciliazione. Oggi più che mai abbiamo bisogno di Lui, che venga in mezzo a noi e ci dica ancora: «Pace a voi!».

Solo Lui può farlo. Solo Lui ha il diritto oggi di annunciarci la pace. Solo Gesù, perché porta le piaghe, le nostre piaghe. Quelle sue piaghe sono nostre due volte: nostre perché procurate a Lui da noi, dai nostri peccati, dalla nostra durezza di cuore, dall’odio fratricida; e nostre perché Lui le porta per noi, non le ha cancellate dal suo Corpo glorioso, ha voluto tenerle in sé per sempre. Sono un sigillo incancellabile del suo amore per noi, un’intercessione perenne perché il Padre celeste le veda e abbia misericordia di noi e del mondo intero. Le piaghe nel Corpo di Gesù risorto sono il segno della lotta che Lui ha combattuto e vinto per noi, con le armi dell’amore, perché noi possiamo avere pace, essere in pace, vivere in pace.

Guardando quelle piaghe gloriose, i nostri occhi increduli si aprono, i nostri cuori induriti si schiudono e lasciano entrare l’annuncio pasquale: «Pace a voi!».

Fratelli e sorelle, lasciamo entrare la pace di Cristo nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri Paesi!

Sia pace per la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata. Su questa terribile notte di sofferenza e di morte sorga presto una nuova alba di speranza! Si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Pace! Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: «Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?» (Manifesto Russell-Einstein, 9 luglio 1955).

Porto nel cuore tutte le numerose vittime ucraine, i milioni di rifugiati e di sfollati interni, le famiglie divise, gli anziani rimasti soli, le vite spezzate e le città rase al suolo. Ho negli occhi lo sguardo dei bambini rimasti orfani e che fuggono dalla guerra. Guardandoli non possiamo non avvertire il loro grido di dolore, insieme a quello dei tanti altri bambini che soffrono in tutto il mondo: quelli che muoiono di fame o per assenze di cure, quelli che sono vittime di abusi e violenze e quelli a cui è stato negato il diritto di nascere.

Nel dolore della guerra non mancano anche segni incoraggianti, come le porte aperte di tante famiglie e comunità che in tutta Europa accolgono migranti e rifugiati. Questi numerosi atti di carità diventino una benedizione per le nostre società, talvolta degradate da tanto egoismo e individualismo, e contribuiscano a renderle accoglienti per tutti.

Il conflitto in Europa ci renda più solleciti anche davanti ad altre situazioni di tensione, sofferenza e dolore, che interessano troppe regioni del mondo e non possiamo né vogliamo dimenticare.

Sia pace per il Medio Oriente, lacerato da anni di divisioni e conflitti. In questo giorno glorioso domandiamo pace per Gerusalemme e pace per coloro che la amano (cfr Sal 121 [122]), cristiani, ebrei, musulmani. Possano israeliani, palestinesi e tutti gli abitanti della Città Santa, insieme con i pellegrini, sperimentare la bellezza della pace, vivere in fraternità e accedere con libertà ai Luoghi Santi nel rispetto reciproco dei diritti di ciascuno.

Sia pace e riconciliazione per i popoli del Libano, della Siria e dell’Iraq, e in particolare per tutte le comunità cristiane che vivono in Medio Oriente.

Sia pace anche per la Libia, perché trovi stabilità dopo anni di tensioni, e per lo Yemen, che soffre per un conflitto da tutti dimenticato con continue vittime: la tregua siglata nei giorni scorsi possa restituire speranza alla popolazione.

Al Signore risorto chiediamo il dono della riconciliazione per il Myanmar, dove perdura un drammatico scenario di odio e di violenza, e per l’Afghanistan, dove non si allentano le pericolose tensioni sociali e dove una drammatica crisi umanitaria sta martoriando la popolazione. Sia pace per tutto il continente africano, affinché cessino lo sfruttamento di cui è vittima e l’emorragia portata dagli attacchi terroristici – in particolare nella zona del Sahel – e incontri sostegno concreto nella fraternità dei popoli. Ritrovi l’Etiopia, afflitta da una grave crisi umanitaria, la via del dialogo e della riconciliazione, e cessino le violenze nella Repubblica Democratica del Congo. Non manchi la preghiera e la solidarietà per le popolazioni del Sudafrica orientale, colpite da devastanti alluvioni.

Cristo risorto accompagni e assista le popolazioni dell’America Latina, che in alcuni casi hanno visto peggiorare, in questi tempi difficili di pandemia, le loro condizioni sociali, esacerbate anche da casi di criminalità, violenza, corruzione e narcotraffico.

Al Signore Risorto domandiamo di accompagnare il cammino di riconciliazione che la Chiesa Cattolica canadese sta percorrendo con i popoli autoctoni. Lo Spirito di Cristo Risorto sani le ferite del passato e disponga i cuori alla ricerca della verità e della fraternità.

Cari fratelli e sorelle, ogni guerra porta con sé strascichi che coinvolgono tutta l’umanità: dai lutti al dramma dei profughi, alla crisi economica e alimentare di cui si vedono già le avvisaglie. Davanti ai segni perduranti della guerra, come alle tante e dolorose sconfitte della vita, Cristo, vincitore del peccato, della paura e della morte, esorta a non arrendersi al male e alla violenza. Fratelli e sorelle, lasciamoci vincere dalla pace di Cristo! La pace è possibile, la pace è doverosa, la pace è primaria responsabilità di tutti!

Il nunzio in Ucraina: invocare Maria non è un atto magico, è conversione dei cuori

(Vatican News) Dalla capitale ucraina Kiev, il Nunzio apostolico monsignor Visvaldas Kulbokas, tra ultimi diplomatici rimasti nel Paese, spiega il valore dell’Atto di consacrazione alla Vergine Maria per invocare la pace.

In questa circostanza così dolorosa, cosa suscitano in lei le parole della preghiera dell’Atto di Consacrazione che oggi in Vaticano è presieduto dal Papa?

È una occasione bellissima. Papa Francesco ha menzionato il popolo ucraino, che certamente sta soffrendo molto, ma ha menzionato anche i soldati russi perché nel dolore siamo tutti uniti, è tutta l’umanità che patisce. Quando ci rivolgiamo al Cuore immacolato di Maria, consacriamo prima di tutto noi stessi, in seconda battuta il mondo intero, e in particolare Russia e Ucraina: quando facciamo questo uniamo il nostro dolore al dolore della nostra Madre divina. E questo non è soltanto una consolazione, è molto molto di più. È un’unione intima con la Madre celeste che significa già di per sé la vittoria sul male, non solo sul male della guerra, un male inconcepibile, ma sul male che è nel cuore di tutti noi.

A mio modo di vedere, questo atto sarebbe ancora più perfetto se fossimo tutti uniti, non solo cristiani, ma per lo meno i cattolici e gli ortodossi, non necessariamente con questo atto specifico, perché è piuttosto una tradizione occidentale. Sono convinto che arriverà il tempo, spero presto. Un aspetto molto significativo riguarda la conversione - così come se ne parla anche nei misteri di Fatima - non intendendola riduttivamente come conversione all’una o all’altra Chiesa: qui la conversione di cui parla Gesù è una conversione al Vangelo, alla luce, alla verità. Questa conversione supera i confini delle Chiese, delle appartenenze. È conversione a Dio, alla nostra umanità: “Convertitevi, e siate veramente quelli che Dio ha creato, cioè fratelli”.

Perché il Vangelo è piena restituzione di dignità all’uomo…

Sì, e questo messaggio è comune non solo ai cristiani, musulmani, ebrei, buddisti, induisti, non solo ai credenti ma a tutti, anche ai non credenti. Non è un atto magico quello che celebriamo. Ci vuole la nostra partecipazione, non si può chiedere la pace se i nostri cuori rimangono duri. È significativo che il Papa fa precedere l’Atto di Consacrazione con un atto penitenziale. C’è infatti la parte divina e la parte umana, quella della nostra volontà, della nostra libertà.

Insomma, chiedere la pace per i popoli presuppone una riconciliazione dei cuori a livello personale…

Sì, ed è molto significativo ciò che hanno sottolineato anche nel Consiglio delle Chiese e delle organizzazioni religiose in Ucraina invitando tutti, proprio tutti, a non subire la guerra. Sì, la guerra è atroce, drammatica, tragica, ripugnante, corrisponde alla logica diabolica – e questo è stato detto da entrambe le parti - ma dobbiamo pensare anche a costruire una cultura della riconciliazione. Non dobbiamo mai fomentare né l’odio, né la denigrazione dell’altro, nonostante la guerra. Anzi, proprio la guerra dovrebbe provocare una cultura di pace. Questa è la nostra risposta.

Stanno facendo il giro del mondo le immagini di madri, anche giovanissime, con il braccio i propri figli, spesso neonati, in atto di protezione in mezzo alle bombe. Sono vere e proprie icone mariane della contemporaneità…

Le immagini di madri che allattano i figli nelle stazioni della metropolitana mi fa letteralmente piangere. Grazie a Dio, qui a Kiev arrivano gli aiuti umanitari, ci sono diocesi, città intere, come Mariupol, dove neanche arrivano. Quando ci penso mi viene ancora di più da piangere. Quando non vediamo il volto in fotografia dei bambini che soffrono possiamo essere portati a pensare che allora il dolore è sopportabile. Quando vediamo invece di persona questi volti, è una cosa allucinante che ci deve spingere tutti a superare tutti i tipi di barriere: religiose, confessionali, politiche, diplomatiche. Dobbiamo essere tutti uniti nel trovare il modo di ricostruire subito la pace.

A Kiev quale è oggi la situazione?

In questi giorni stiamo vivendo un relativo confort rispetto ad altre regioni perché, è vero che i missili arrivano ogni giorno, ma non nella quantità con cui arrivano altrove. Io vedo che i servizi ecologici sono al lavoro, anche se non tutti i giorni per via del coprifuoco. C’è qualche barbiere che ha riaperto il negozio. Un giovane, per esempio, ha riaperto mettendo subito su un gruppo di volontari per assistere gli altri. Un collaboratore della nunziatura, un sacerdote, mi ha detto che ieri ha visto una signora anziana uscire dalla propria casa e cercare del cibo, dei pezzettini di pane per gli uccelli. E allora il prete le ha indicato un centro di volontari dove distribuiscono un po’ di minestra calda. Ecco, la guerra crea anche queste condizioni molto difficili dove, tuttavia, si trovano delle soluzioni con varie parrocchie cattoliche, ortodosse, vari centri musulmani, ebraici, o organizzati dal municipio che distribuiscono gli aiuti. Quindi, è vivibile la situazione, però tante infrastrutture sono state danneggiate. Mi fa piangere pensare che anche noi, come nunziatura, siamo costretti a ricevere aiuti umanitari, è un pensiero allucinante. A Kiev, in una capitale europea, nel XI secolo, dobbiamo vivere degli aiuti raccolti in Spagna, Italia, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania, Germania e in tanti altri Paesi.

Che effetto le fa sentire che, non solo da parte del presidente ucraino Zelenski, c’è il desiderio di una visita del Papa a Kiev?

Sarebbe certamente un sogno, tuttavia in mezzo a una guerra una visita del Papa non sarebbe analoga a quella di personalità politiche. Anche una presenza del Papa, da solo, sarebbe una bella immagine, ma non è di facile realizzazione.