Polkinghorne, lo scienziato (e teologo) che ci parlò della certezza

Marzo 2021
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Certezza della conoscenza scientifica e certezza della fede: in che relazione stanno? John Polkinghorne in tutta la sua vita ha saputo rispondere a queste domande con profondità teologica (da teologo e pastore della Chiesa anglicana) e l’esperienza diretta di chi ha vissuto in prima persona da protagonista la ricerca scientifica. Polkinghorne, che era Fellow della Royal Society e Fellow del Queen’s College di Cambridge, è scomparso il 9 marzo 2021 all’età di 91 anni. Di lui ha tracciato un bel ricordo Mario Gargantini su IlSussidiario.net, noi lo ricordiamo anche perché nel 2011 era intervenuto al Meeting proprio sul tema “La certezza nella conoscenza scientifica”, introdotto da Marco Bersanelli, ordinario di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano.

«Non ritengo che si possa parlare di risultati scientifici dotati di certezza assoluta», disse in quell’occasione. «La scienza è un continuo stato di fluire intellettuale. Questa apertura ai cambiamenti ha portato gli scettici ad affermare che gli uomini di scienza sono guidati dal dubbio. Ma solo un delicato bilancio tra fiducia e domanda permette il progredire delle scoperte». È necessario un «inevitabile atto di giudizio nel riconoscere le cose. Per questo motivo il soggetto è drammaticamente in gioco».

Come afferma Einstein: “La conoscenza teorica profonda deve essere liberamente inventata”. Secondo Polkinghorne «occorre un salto di immaginazione per una scoperta scientifica profonda. Ogni teoria – continua il relatore – necessita di un punto di partenza, un nucleo di base, che può essere ‘tamponato’ grazie al contributo dei dati sperimentali». Così anche se la teoria di Newton è stata modificata grazie alle scoperte di Einstein, non possiamo non riconoscere che il nucleo centrale rimane valido perlomeno per quanto riguarda i corpi di grandi dimensioni. Tutte le verità possono essere messe in discussione, ma nel formulare nuove teorie non è possibile tralasciare il bagaglio culturale già presente. In questo modo «anche se la scienza non può raggiungere una certezza positiva, certamente, a differenza di quanto ritiene la cultura popolare, può raggiungere una certezza negativa».

«La bellezza matematica svolge un ruolo fondamentale», continuava lo scienziato e teologo, «se una nuova teoria non sembra adeguarsi ai fatti, solo la bellezza delle equazioni può permettere l’esistenza di una speranza residua. È il senso di meraviglia che spinge il fisico a continuare l’indagine». L’apertura all’inatteso risulta la spinta fondamentale per ogni ricerca. Un’apertura che ci permette di camminare verso altri aspetti della realtà, perché la ‘mappa’ della scienza non descrive tutto, ma offre un metodo per muoverci nel reale.

Non è mancato in quell’occasione un velo di polemica nei confronti dei colleghi che ritengono un ostacolo la fede religiosa: «La fede non è un salto nel vuoto, ma nella luce». E alla domanda di Bersanelli: «Se anche la conoscenza scientifica è rapporto vivo con la realtà, qual è l’atteggiamento umano e razionale per cui questo cammino è possibile?» «Cercare di partire dall’esperienza», è stata la pronta risposta, così ulteriormente approfondita da Bersanelli: «Partire dall’esperienza è la modalità con cui un uomo certo si muove verso la verità, nella scienza e nel cammino umano di ciascuno».