LA RIVOLUZIONE DIGITALE: QUALE IMPATTO SOCIALE?

La rivoluzione digitale quale impatto sociale?

Partecipano: Eric Gerritsen, Executive Vicepresident Communication & Public Affairs di Sky Italia; Maximo Ibarra, Amministratore Delegato di Wind; Mauro Nori, Direttore Generale dell’INPS; Agostino Ragosa, Direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Introduce Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere.

 

LA RIVOLUZIONE DIGITALE: QUALE IMPATTO SOCIALE?
Ore: 15.00 Sala D3
Partecipano: Eric Gerritsen, Executive Vicepresident Communication & Public Affairs di
Sky Italia; Maximo Ibarra, Amministratore Delegato di Wind; Mauro Nori, Direttore
Generale dell’INPS; Agostino Ragosa, Direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale.
Introduce Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere
BERNHARD SCHOLZ:
Buon pomeriggio a tutti, benvenuti a questo incontro sull’impatto sociale della rivoluzione
digitale. Abbiamo voluto questo momento perché viviamo in un momento dove le
informazioni sono raggiungibili come mai nella storia del mondo, dove però la conoscenza
mi sembra non vada pari passo, perché essere informati e conoscere sono due cose
diverse, perché per conoscere devo saper valutare i fatti, i dati, gli eventi. E quindi, questo
è un pomeriggio di riflessione sull’impatto che crea questa rivoluzione digitale nelle sue
varie sfaccettature, rappresentate questo pomeriggio da persone che lavorano in settori
molto diversi. do il benvenuto a Maximo Ibarra, Amministratore Delegato di Wind, Mauro
Nori, Direttore Generale dell’Inps, Agostino Ragosa, Direttore dell’Agenzia per l’Italia
Digitale e, invece di Andrea Zappia, Amministratore Delegato di Sky, che ha avuto un
impedimento, Eric Gerritsen, Responsabile delle Pubbliche Relazioni di Sky.
Adesso non vi tedio con gli innumerevoli numeri che abbiamo sugli accessi, sulla velocità,
sulla quantità di megabyte che girano, mi limito solo a una considerazione generale:
viviamo da 20 anni a questa parte una vera rivoluzione, perché ognuno di noi ha un modo
diverso di vivere il lavoro, il tempo libero, ognuno di noi vede una cultura che sta
cambiando per quanto riguarda la rivoluzione, anche, dell’informatizzazione della stessa
letteratura, che ha cambiato l’accessibilità a grandi opere. Se uno riflette a come ha
vissuto solo fino a 20 anni fa, capisce che oggi è completamente diverso. Vorrei
incominciare ad affrontare questo tema con una domanda ad Agostino Ragosa. L’agenda
digitale europea, che è all’origine di quella italiana, dice che lo scopo è sfruttare al meglio il
potenziale delle tecnologie, dall’informazione alla comunicazione, per favorire
l’innovazione, la crescita economica e la competitività. Sono stati coinvolti sei Ministeri, le
Regioni, i Comuni, per promuovere questa agenda digitale, quindi anche questa famosa
cabina di regia è già di per sé una cosa abbastanza complessa. Però mi preme parlare dei
sei assi strategici che questo comporta: infrastrutture, sicurezza, e-commerce, egovernment,
alfabetizzazione informatica, che riguarderebbe anche me, ricerca e
innovazione, smart cities, sulle quali abbiamo fatto domenica sera un bellissimo incontro in
questo Meeting. Nel sito dell’agenzia, c’è scritto che è previsto un investimento atteso a
produrre 4,3 miliardi di euro, fino a 54.000 occupati permanenti, 19.000 occupati
esclusivamente durante questa fase iniziale di spesa. A che punto siamo in Italia, che
burocraticamente non è all’avanguardia, come sappiamo, nell’agenda digitale?
AGOSTINO RAGOSA:
Grazie al Presidente per questo invito che mi dà l’occasione di fare il punto su una
situazione così importante per il nostro Paese, lo sviluppo del digitale in Italia. E’
importante sapere che l’Europa considera il digitale come uno degli assi di sviluppo
strategico del sistema competitivo industriale europeo, quindi, è un tema centrale per
l’Europa. In realtà si parla di digitale, con definizioni diverse, già da qualche anno, da
Lisbona: nel 2007 si parlava della società dell’informazione e questo punto era considerato
un asse di sviluppo dell’economia europea. Devo dire, per la mia esperienza nel campo,
che questo è un Paese – magari Massimo Barra mi contraddirà – che non considera le
infrastrutture tecnologiche, o non le ha mai considerate, come un vero e proprio asset
strategico. Questo è uno dei gravi problemi, un problema culturale, e negli ultimi anni
difatti, pur avendo a disposizione nella società dell’informazione qualcosa come 58 miliardi
di euro, noi siamo riusciti a spenderne solo 18: nel 2013 scade questo periodo e ne
dobbiamo restituire all’Europa circa 40. C’era un articolo anche del Ministro Moavero,
ultimamente sul Corriere della Sera, che lamentava questa capacità di pianificazione della
innovazione che è anche, a mio modo di vedere, scarsa capacità di progettazione del
nuovo nel nostro Paese. Quindi, abbiamo da correre, siamo in ritardo rispetto all’Europa,
siamo considerati un innovatore medio, dobbiamo sicuramente recuperare strada. C’è un
nuovo Programma Quadro alle porte, è il piano cosiddetto Horizon 2020, per il quale si
stanno stanziando circa 29 bilioni di euro solo da parte europea, più i soldi che dovranno
mettere i Governi centrali e locali in Italia, quindi avremo fondi intorno ai 50 bilioni di euro
per investire in poche assi strategiche. L’Europa ce le indica come un punto di riferimento
importante sul quale investire. L’Italia come sta? Siamo in ritardo, abbiamo recuperato
qualcosa nell’ultimo periodo, abbiamo più del 98% della popolazione che ha la possibilità
di agganciare come banda larga i due megabyte, ma abbiamo ancora ritardi importanti, in
particolare per quanto riguarda gli accessi a velocità e a larghezza di banda più sostenuta,
quindi 10, 20 megabyte, addirittura i 100 megabyte che sono un obiettivo europeo del
2020 per il 50% della popolazione. L’accesso alla banda larga è qualcosa che dobbiamo
fare, gli operatori di telecomunicazione ci stanno praticamente sopra, ci stanno
investendo, dobbiamo accelerare gli investimenti in questo ambito, dobbiamo creare le
condizioni, come Paese, perché questo avvenga e avvenga anche rapidamente. Per
quanto riguarda invece il tema della pubblica amministrazione, che è un altro dei temi
importanti, negli ultimi anni abbiamo frammentato molto quello che abbiamo fatto, abbiamo
realizzato delle cose sparse nel paese senza avere un piano di politica industriale sul
digitale. Per cui, una delle cose che stiamo chiedendo al Governo, è un piano di politica
industriale sul digitale in Italia. Naturalmente questo riguarda sia il sistema pubblico sia il
sistema privato e dobbiamo fare in modo che ci sia un coordinamento importante di tutte le
attività che avvengono anche localmente. Il digitale è un sistema che attraversa molti
ambiti però ha necessità, soprattutto nell’ambito della pubblica amministrazione, di essere
governato centralmente, altrimenti la complessità che creiamo per il cittadino nell’accesso
ai servizi è veramente tanta. Lo vediamo tutti i giorni all’interno di una stessa città, quando
come cittadini ci portiamo da un’ASL all’altra dobbiamo ricominciare ogni volta da capo
perché le informazioni sono a isola, non riusciamo a fare comunicare i sistemi,
semplicemente perché non abbiamo mai costruito un sistema infrastrutturale della
pubblica amministrazione degno di questo nome. Quindi, un’altra grande sfida importante
è realizzare quella che gli anglo sassoni chiamano una “Enterprise Public Infrastructure”,
che non è fatta solo del sistema di telecomunicazione ma, per esempio, di sistemi di dual
center evoluti, sistemi che devono essere come minimo di quarta generazione per
assicurare che l’erogazione dei servizi avvenga con continuità anche in caso di disastri
naturali. E Dio solo sa se in questo Paese i disastri naturali non ci sono. Abbiamo davanti
un percorso molto impegnativo: l’agenda digitale italiana – che era stata pensata dal
Governo precedente ed è stata sostenuta anche da questo Governo – prevede che
vengano realizzate alcune di queste tappe. Per quanto riguarda l’Agenzia, abbiamo avuto
le solite difficoltà burocratiche: dipendere da quattro ministeri in Italia non è cosa facile,
perché significa dipendere da quattro Capi di Gabinetto, quattro capi del sistema
legislativo, ecc. Abbiamo chiesto al governo Letta di semplificare questa governance e
siamo riusciti ad ottenere questa figura del Commissario nella persona dell’Ing. Caio: già
stiamo operando per poter mettere in campo le prime cose, però la partita decisiva si
giocherà nella pianificazione ’14/’20. Non possiamo perdere l’occasione di non spendere
tutti i bilioni di euro che l’Europa ci sta mettendo a disposizione, dobbiamo avere la
capacità di concentrarli, di fare una sorta di piano operativo nazionale sul digitale dove,
naturalmente, i diversi attori in campo giocheranno il loro ruolo: ma diventa indispensabile
una regia centrale per evitare la frammentazione di cui purtroppo abbiamo sofferto nel
settennato precedente.
BERNHARD SCHOLZ:
Grazie, Agostino Ragosa. Rimaniamo un attimo nel mondo della pubblica amministrazione
che viene spesso criticata per mancanza di efficienza. Sentiamo se l’Inps, almeno per certi
versi, non fa un’eccezione per l’innovazione digitale che ha introdotto già da parecchi anni.
La parola a Mauro Nori.
MAURO NORI:
Si, grazie, Presidente. Ricordo che un paio di anni fa, in una riunione con alcuni dirigenti
dell’istituto, feci una domanda: qual è il core business dell’attività dell’istituto? I miei
colleghi rimasero abbastanza imbarazzati. Uno disse: le pensioni, qualcun altro, le
prestazioni temporanee a sostegno del reddito, qualcuno ancora, l’invalidità civile. Io ho
detto che in realtà l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale è la più grande società di
informazione che c’è in Italia. Abbiamo dematerializzato la cassa, ormai trenta anni fa, per
cui riceviamo dei flussi informativi, li elaboriamo e re-inviamo flussi che si trasformano in
pensioni, si materializzano in prestazioni temporanee, in certificati di malattia ed altro. Non
mi sottraggo ovviamente alla domanda del Presidente, ma voglio rimanere ancorato al
problema del rapporto tra la tecnologia e l’uomo. In termini di informazione, il linguaggio è
stato la prima forma di tecnologia. Abbiamo cambiato il meccanismo del pensiero, dal
pensiero emotivo siamo passati a quello analitico, dalle consuetudini al diritto, pensate che
tipo di evoluzione abbia avuto con la tecnologia del linguaggio! Quali sono i rischi e le
opportunità della tecnologia oggi, vista a livello generale e anche come operatore
nell’ambito dell’istituto? Negli ultimi 30 anni, il problema dell’istituto all’inizio era quello
dell’automazione semplice, quindi dell’informatizzazione dei database. Parliamo
nell’ambito di un’azienda che era agli inizi dei suoi problemi, quindi una società che aveva
dei problemi primari. Man mano, con l’evoluzione della tecnologia, aumentano i bisogni. Io
faccio sempre un esempio: se all’inizio del ’900 fosse mancata l’energia elettrica in Italia,
quali sarebbero stati i problemi in quella società? Pochissimi, anzi, probabilmente
inesistenti: quelle poche città che erano elettrificate, non avrebbero avuto nemmeno
soluzioni di continuità. Immaginate cosa accade adesso, in una società quale quella
attuale, se manca l’energia elettrica. La catena del freddo alimentare salta, e quindi
saltano sostanzialmente anche i meccanismi di approvvigionamento, il sistema del traffico
aereo e terrestre si interrompe: immaginate come diventa fragile una società nel momento
stesso in cui diventa più complessa. E questi sono i rischi di uno sviluppo della tecnologia:
la velocità dell’informazione, la capacità degli strumenti umani di regolazione, dal diritto ai
meccanismi decisionali, nel momento in cui, con una transazione, si spostano in una
frazione di secondo capitali che rappresentano il PIL di interi Paesi. Non voglio rimanere
solo sui rischi ma anche sulle opportunità della tecnologia: non ci sono solo elementi
problematici ma anche straordinarie opportunità che debbono essere governate. Ogni
volta che la tecnologia incrementa il suo intervento nella società, il lavoro umano viene in
qualche modo sollevato dagli aspetti basilari più faticosi, più imprecisi: e allora parliamo
dei nuovi strumenti di cura. Rispondo alla domanda del Presidente Scholz sull’Inps.
Ripercorrendo lo sviluppo e anche le difficoltà che abbiamo avuto negli anni ’80, ho citato il
problema dell’automazione: il primo vero problema era automatizzare le informazioni che
erano dentro all’istituto, il problema dell’azienda muscolare era automatizzare i propri
processi, le proprie basi dati. Questo nel 2000 non era più sufficiente, perché quella era
un’azienda che si guardava i piedi, era un’azienda autoreferenziale, era un’azienda non in
contatto con la società. All’inizio degli anni 2000, lo sviluppo era il primo vero obiettivo, la
comunicazione, quindi la capacità dell’ente previdenziale più importante in Italia –
attualmente l’unico, all’epoca il più importante – di aprirsi alla società. L’apertura su
Internet è stata la seconda grande innovazione dell’istituto, la capacità di aprire le porte di
casa e di mettersi in contatto e in sintonia con la società civile che rappresenta ovviamente
il nostro mercato di riferimento. Quali le sfide del 2014? Ci rendiamo conto che ormai una
struttura, un sistema, un’organizzazione non vive se non in termini di integrazione – lo
ricordava il dottor Ragosa -, sulla capacità, o meglio, sull’incapacità che ha avuto il
sistema Italia di spendere i soldi messi a disposizione. Non era solo un’incapacità del
sistema, era un’incapacità progettuale, una incapacità dovuta al fatto che il sistema
mancava di alcuni elementi, anche sotto il profilo delle cognizioni e dell’insegnamento del
knowledge. Qual è la sfida? La sfida è entrare in cooperazione, entrare in integrazione,
faccio un esempio pratico: 20 anni fa, per eliminare una pensione ci voleva un mese di
tempo, l’informazione del decesso arrivava in via cartacea dai comuni, veniva processata
all’interno dell’istituto, si facevano le scritture contabili, si comunicava alla banca che non
doveva essere rimesso il mandato di pagamento: il tutto doveva essere contenuto in 30
giorni, perché questo la legge presuppone. Quindi, la nostra capacità consisteva nel
velocizzare questo processo interno. Abbiamo velocizzato tanto che questo tipo di
informazione la gestiamo attualmente in tempo reale: arriva l’informazione, una procedura
in modo automatico scrive e cancella la pensione, emette una nota di comunicazione
all’istituto di credito e quindi di fatto blocca il pagamento della rata di pensione. Ci siamo
resi conto che non era sufficiente perché, se l’informazione dal Comune ci arriva sei mesi
dopo l’evento, come sistema noi abbiamo perso cinque rate di pensione, abbiamo creato
un danno allo Stato, all’erario, alla società. Porto questo esempio per dare un segnale di
come oggi o cresce il sistema o altrimenti non cresce la struttura, non riesce più,
nemmeno se è autoreferenziale, a migliorare i propri sistemi attraverso le migliorie
tecnologiche.
BERNHARD SCHOLZ:
Andiamo sul nostro tempo libero e sulla necessità che abbiamo di essere informati sempre
di più, quasi a scadenza di ore, su come va il mondo. A quali bisogni risponde Sky, e quali
sono però gli altri bisogni che crea, rispondendo a questi bisogni? Quale impatto suscitate
sui comportamenti della popolazione?
ERIC GERRITSEN:
Una bella domanda, grazie. Io mi vorrei concentrare su un aspetto, il ruolo che giochiamo
noi tutti come persone nello sviluppo e nella crescita del digitale. La domanda del
Presidente è molto puntuale, io voglio citare due esempi. Da circa dodici mesi, Sky ha
creato la possibilità di collegare il proprio decoder a Internet, e circa 700mila persone lo
hanno fatto, quelli che, con linguaggio anglosassone, chiameremo gli early adopters.
Abbiamo visto che molto rapidamente, in circa un anno, queste 700mila famiglie hanno già
fatto un downloading di 30 milioni di titoli, stiamo andando al ritmo di circa un milione di
titoli alla settimana. E’ un’indicazione, secondo noi, di due cose: la prima è che se le
persone vengono messe nella condizione di utilizzare a loro favore la tecnologia, e noi li
aiutiamo ad utilizzarla, in effetti la utilizzano sempre di più. Un altro esempio è quello di
Sky Go. Sky Go è la televisione in mobilità: oggi ci sono circa un milione e 600mila
abbonati che hanno scelto di avere gratuitamente la televisione sul loro iPad e il consumo
si incrementa di settimana in settimana. La cosa interessante è che questo poi
contribuisce anche alla educazione delle persone. A titolo esemplificativo: qualche
settimana fa c’era una persona, un autista che aspettava un funzionario di un’azienda, di
un ministero, non so bene. Era in macchina e stava guardando Sky Go, la partita. Aveva
inoltre cominciato anche a mandare una e-mail, a visitare vari siti. Ecco, è quel processo
educativo di cui certamente i giovani non hanno bisogno, perché nascono digitalizzati, ma
tutta quella popolazione, magari della mia età, che è meno abituata a fare questo, può
essere messa nella condizione di abituarsi a un prodotto come Sky Go e di cominciare a
utilizzarlo anche in contesti più ampi, dimostra che c’è una educazione e una
digitalizzazione sempre maggiore. Queste persone cominciano ad usare sempre di più, ad
essere sempre più digitali. E’ evidente che per fare questo ci vogliono quelle condizioni
che sono state menzionate prima: l’infrastruttura gioca un ruolo importante. Però, pensare
meramente che l’infrastruttura risolva il problema, è un errore. Qualche tempo fa mi hanno
raccontato una storia divertente di due persone che erano state in India, mi hanno
raccontato che da poco tempo hanno costruito una grande autostrada, 4 corsie che vanno
da New Dehli a Jaipur. Mi dicevano che la cosa più incredibile è che quella autostrada è
vuota, perché le persone non sono abituate a pagare un pedaggio, ad andare in
autostrada. Probabilmente, per quelli di voi che si ricordano i primi anni delle autostrade
italiane, non era molto diverso, le autostrade erano fondamentalmente vuote, quindi
l’infrastruttura è importante, però pensare che sia il punto focale, forse, non è la
motivazione chiave. Dipende dalla volontà che le persone hanno di entrare in contatto con
questo mondo e di vederne un beneficio. Ne possono vedere un beneficio per il loro
entertainment, per il business, una parte molto importante che vede l’Italia, rispetto ad altri
Paesi occidentali, nettamente sottosviluppata, con una penetrazione molto bassa. Per
tornare alla domanda del Presidente, noi di Sky pensiamo che portare tecnologia aiuta le
persone a cominciare ad abituarsi, ad essere più digitali. La cosa di cui siamo consapevoli
è che questo processo è estremamente veloce: se la rivoluzione industriale ha richiesto
cento anni, la rivoluzione digitale non ne richiederà cento ma sicuramente non avverrà
dalla mattina alla sera, e quindi dobbiamo comunque aspettarci un giusto tempo perché
possa avvenire. La tecnologia poi fa sì che diverse fasce di pubblico hanno aspettative e
richieste diverse, e questo, per un’azienda come Sky, porta delle opportunità ma anche
delle sfide, perché chiaramente il consumo dei giovani di televisione, di intrattenimento, è
molto diverso da quello delle persone più avanti con gli anni. E questa è una grossa sfida
per noi. Un altro punto – e poi termino il mio intervento – è il business digitale legato al
mondo dell’intrattenimento. Oggi, sempre di più, stiamo andando verso quello che noi
tendiamo a chiamare il mercato unico dell’intrattenimento, dove i ragazzi chattano su
Facebook e guardano contemporaneamente la televisione. Si tratta di una conquista che
dobbiamo fare per il loro tempo libero e l’interazione continua tra queste diverse fonti di
intrattenimento fa sì che sia un mercato unico. Questo mercato viene alimentato da un
business digitale dove l’Italia può ancora fare molto nelle produzioni originali. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. Tempo fa, in una vecchia storia, utilizzavamo il cellulare per telefonare, oggi lo
utilizziamo per tantissime altre cose, anche per telefonare, e quindi gli operatori di quel
settore sono radicalmente cambiati. Io non so cosa ci aspetta nel futuro, però mi
interesserebbe anche capire come voi vedete il futuro negli utilizzi di questi iPhone, iPod,
cellulari di varia natura, perché – ma sarà la domanda nel secondo round – prevedo che
questo creerà un cambiamento sociale notevolissimo. Però la prima domanda che vorrei
porre è qual è, secondo la vostra esperienza, l’evoluzione che ci aspetta ancora: o
pensate che rimarremo a questo livello nell’utilizzo degli strumenti, perché adesso già
posso, per fare un esempio, avere un accesso alla mia posizione INPS, in due, tre minuti,
posso capire quanto l’INPS mi pagherà se vado in pensione? E’ possibile perché avete
creato questo sistema, e posso vedere tantissime altre cose. Solo un esempio, ma con
tutte le applicazioni che abbiamo, siamo arrivati a un punto che resterà fermo per i
prossimi dieci anni o voi vedete già un’ulteriore evoluzione?
MAXIMO IBARRA:
Devo dire che è la domanda che più mi appassiona. Penso che noi tutti abbiamo fatto
esperienza, almeno in qualche momento, di guardare quello che fanno le persone in
spiaggia. Non so se vi è capitato, però l’estate 2013 è stata l’estate in cui, non dico il
100%, ma sicuramente il 90, 95% delle persone, avevano un device in mano e facevano
qualcosa in spiaggia. Ancora, per fortuna, qualcuno gioca con la palla, racchettoni e
quant’altro, però purtroppo adesso nelle spiagge tendono ad impedire anche il gioco con
la palla, per cui le persone si siedono lì, sotto l’ombrellone, e cominciano a fare delle cose
con il tablet piuttosto che con lo smartphone. Se io faccio il confronto con gli anni
precedenti, nel 2012 erano il 50%, nel 2011 il 20%, nel 2010 il fenomeno era praticamente
inesistente. Questa progressione è quasi geometrica, ed è impressionante anche vedere
come le persone che non fanno parte della generazione digitale, le persone che sono più
senior, cominciano ad essere interessate al tema digitale, benché non lo chiamino mai
digitale, lo chiamano semplicemente possibilità, e chiedono la possibilità di poter accedere
a Internet. Cosa fanno? Mandano la foto con WhatsApp, perché ormai gli sms, di fatto,
stanno scomparendo: in Italia esistono ancora, però in altri Paesi europei sono
praticamente morti, il breve messaggio di testo viene inviato attraverso Internet con queste
nuove applicazioni. Per cui, lo sviluppo è enorme, noi vediamo come operatore telefonico
quello che è il carico di rete, e il carico di rete è impressionante: vi do qualche dato, giusto
per allinearci su quello che sta capitando. Tre anni fa dire che un cliente poteva utilizzare
200/330 megabyte al mese, poteva risultare qualcosa di molto alto come consumo, oggi
200 Mb sono praticamente nulla. Il 70% del consumo dati che viene fatto sulle reti di
telefonia mobile è in streaming, quindi le persone sono diventate ormai degli appassionati
di applicazioni di streaming, tipo Youtube, che tutti conoscono e sta diventando una delle
emittenti televisive, se così vogliamo definirla, più importanti esistenti in questo momento
sulla faccia della terra: perché le persone che si collegano a Youtube per poter fare
un’esperienza di microvideo, sono ormai qualcosa di significativo. Lo sviluppo è
incredibile, io penso che la pubblica amministrazione non si sia ancora resa conto di che
cosa abbiamo davanti. Non è un fenomeno che ha una progressione normale ma
geometrica. Qual è il tema? Il tema è che se oggi parliamo di accesso broadband
attraverso il proprio device, domani parleremo anche del famoso Internet delle case, la
domotica. Già tutti noi cominciamo ad avere – forse non tutti, magari quelli che tra di noi
sono un po’ più paurosi – a casa un sistema di allarme con dentro una sim: quella è
domotica. Io ho cominciato a vedere anche le linee di produzione di alcune aziende che si
occupano di elettrodomestici e tutti prevedono almeno un prodotto che abbia la possibilità
di collegarsi Wi-Fi o attraverso la rete telefonica mobile, per mandare informazioni. Senza
arrivare alle esagerazioni per cui il frigorifero ci dirà esattamente quello che dobbiamo
acquistare, però magari, in alcuni Paesi dell’Europa del nord piuttosto che negli Stati Uniti,
sicuramente vedremo delle famiglie che si affideranno alle informazioni che fornisce il
frigorifero per poi andare a fare la spesa; in Italia, no, perché in Italia la spesa si fa
diversamente, per fortuna. Però, ecco la domotica. E se poi partiamo invece
dell’esperienza che i clienti cittadini fanno con la pubblica amministrazione, è vero che
oggi si possono fare molteplici cose in maniera molto efficace, ma è altrettanto vero che
l’esperienza, nella stragrande maggioranza dei casi, è ancora un’esperienza frustrante.
Perché tutti vorrebbero avere un’esperienza tipo quella dell’home banking, oggi è la
normalità avere un conto corrente online e poterlo consultare, più o meno tutti ci riescono,
lo possono fare dallo smartphone come da casa. Però, qualsiasi altra interazione nei
confronti con la pubblica amministrazione è difficile. E quello che succede nel normale
comportamento di consumo di un cliente cittadino è che, se la sua prima esperienza è
fallimentare, prima di riprovarci ci impiegherà sicuramente molto tempo, per la mancanza
di feedback che spesso si ha. Non è come quando ti torna indietro la mail dicendo che la
pratica è stata presa in gestione, ma è proprio l’execution legata a questa pratica: ora che
mi hanno risposto e mi hanno detto che la mia pratica è stata presa in considerazione,
avverrà ciò che mi stanno dicendo oppure semplicemente è un automatismo per cui mi
viene notificata una mail che mi dice qualcosa giusto per farmi stare tranquillo? A me
capita spesso di dover interagire con la pubblica amministrazione. Mi dicono: “Sì, è stato
preso in consegna”, però poi non avviene assolutamente nulla. Recentemente ho appreso
dal “Decreto del fare” che c’è una sorta di rivoluzione per quanto riguarda la pubblica
istruzione: non si potrà utilizzare più il fax. Direi che non stiamo entrando nell’era digitale,
stiamo uscendo dalla preistoria digitale, quindi siamo 770mila anni indietro: il fax nella
testa della stragrande maggioranza delle persone è morto ma non è ancora morto nella
pubblica amministrazione. Poi è chiaro che il fax provoca una serie di inefficienze: provate
ad immaginare il burocrate tipo della pubblica amministrazione che dice “è il fax”, lo mette
da qualche parte e qualcun altro lo gestirà. Quindi esiste anche una fortissima barriera
culturale, che non consiste soltanto nel prendere decisioni per quanto riguarda
l’eliminazione del fax: bisogna anche cambiare la testa delle persone, di chi lavora
quotidianamente nell’ambito della pubblica amministrazione, per far sì che tutti si
assumano le proprie responsabilità e possano lavorare in maniera più efficace ed
efficiente ed agevolare questa relazione con il cliente cittadino. Tocco anche il punto di
quello che accadrà nel futuro. Quando dico che nessuno lo sa, per scherzare mi viene
sempre da dire: andiamoci a guardare qualche film di qualche tempo fa. Dieci anni fa nelle
sale andava molto di moda Minority report, questo bellissimo film di Steven Spielberg, mi
pare che l’attore fosse Tom Cruise, dove ci sono cose che in questo momento stanno
diventando realtà. Nell’ambito di un’attività commerciale, ad esempio, ti leggono
nell’occhio per identificarti, i pagamenti elettronici possono avvenire in una certa maniera,
come di fatto stanno già avvenendo, le nanotecnologie, le neuroscienze, le nuove frontiere
della biologia molecolare: ecco, sono tutte cose che vanno di pari passo con l’evoluzione
digitale, l’una non esclude l’altra. Ecco perché dobbiamo lavorare in maniera integrata. Per
quanto riguarda le infrastrutture, penso che questo sia un tema importantissimo. Qui mi
piace richiamare un concetto che è stato di fatto toccato prima: se parliamo di telefonia
mobile, devo dire che nella stragrande maggioranza dei casi ormai siamo dotati, come
Paese, di un’infrastruttura che non ha da invidiare assolutamente nulla a nessun’altra
economia europea. Non parlo degli Stati Uniti ma anche nei confronti degli Stati Uniti,
anche nei confronti di alcune economia asiatiche, perché di fatto la stragrande
maggioranza della popolazione italiana ha la possibilità di accedere ad Internet in modalità
wireless con una qualità soddisfacente, ad eccezione di quei momenti in cui c’è
un’altissima concentrazione di persone, tipo uno stadio o una spiaggia: quando ci sono
troppe persone la domenica, è chiaro che quest’esperienza può diventare un’esperienza
negativa. Quello che manca nell’ambito delle infrastrutture, in realtà l’Italia aveva provato a
percorrerlo, non so se vi ricordate il famoso progetto Socrate di tantissimi anni fa, quando
l’Italia esprimeva un’azienda che era leader assoluto mondiale nell’ambito della telefonia,
mi riferisco alla Telecom Italia del 1995, ’96: forse molti di voi se lo ricorderanno, l’Italia era
leader mondiale nell’ambito della telefonia e per di più stava immaginando di cablare tutta
l’Italia in fibra, già allora, forse nel 1994, addirittura. Però, dal punto di vista di quelle che
sono le infrastrutture fisse, non entro nel merito di quanta competizione c’è o non c’è,
perché altrimenti vi tedio. Sicuramente potrebbe esserci molta più competizione rispetto ad
oggi, non essendoci, come negli altri Paesi europei, delle infrastrutture dirette di
televisione via cavo. Comunque, tutto sommato le possibilità ci sono. Oggi, in una città
italiana media, la possibilità di accedere a Internet in modalità convergente, wireless, con
una prestazione che sia superiore ai 2, 3, 4, 5 Mb, è di fatto una realtà. In città come
Roma, per esempio, tanto per citare la capitale d’Italia che è una delle più grandi metropoli
esistenti in Europa, la possibilità di poter accedere broadband, in qualsiasi salsa e poter
avere una prestazione che superi i 7, 8 Mb, è un’assoluta realtà. Ma pur essendoci questa
infrastruttura, devo dire che la capitale italiana non è assolutamente all’altezza delle altre
metropoli europee per quanto riguarda i rapporti con il cliente e cittadino. Finisco col dire
una cosa importante: l’evoluzione sul broadband c’è, il cliente è già digitalizzato, anche se
non lo sa pienamente, lo è già, non soltanto i giovanissimi ma anche le persone più senior:
è vero quello che diceva il collega di Skype, ci sono molte persone che ormai, una volta
che le metti in mano una tecnologia semplice, la utilizzano. Quando per esempio parliamo
dell’iPad, tanto per citare il re dei tablet, e diciamo quanto sono intelligenti questi bambini
di tre, quattro anni, non sono i bambini ad essere intelligenti, è che la tecnologia che
hanno tra le mani facilita la capacità di interagire con quello strumento. Dal punto di vista
di quello che è lo sviluppo, dobbiamo prendere atto di due aspetti importanti. Il primo:
dev’esserci una politica industriale in Italia che non c’è, dev’esserci una rivoluzione
culturale e dobbiamo investire sul futuro. Per investire sul futuro, bisogna far sì che i
giovani nell’ambito della scuola, nell’ambito dell’università, possano avere una formazione
che sia all’altezza, e oggi purtroppo non lo è. Nel momento in cui c’è una politica
industriale, nel momento in cui c’è un investimento sulle competenze, nel momento in cui
si agevola anche in maniera intelligente lo sviluppo di nuove infrastrutture, grazie anche ai
contenuti che in questo momento stanno venendo fuori – Skype fra i tanti, per citare un
esempio -, allora potremo dire che in Italia esiste una digitalizzazione che segue
esattamente i trend che stanno seguendo altri Paesi, che quindi siamo entrati nella
normalità digitale e stiamo finalmente uscendo dalla preistoria digitale. Grazie mille.
BERNHARD SCHOLZ:
Vorrei porre ad Agostino una seconda domanda, che è stata già accennata da Massimo
Ibarra: questa agenda digitale aiuterà il Paese ad avere un rapporto con la pubblica
amministrazione più veloce, più trasparente, più facile, visto che tanto di semplificazione si
parla? Se vediamo le ragioni per le quali è così difficile fare impresa in Italia, una delle
ragioni principali, oltre ai problemi fiscali, infrastrutturali, della giustizia civile è la difficoltà
di una pubblica amministrazione che risponde quasi sempre in ritardo alle esigenze dei
cittadini.
AGOSTINO RAGOSA:
Io penso che il digitale non può ma deve aiutare la pubblica amministrazione a migliorare
la sua capacità di trasparenza, la sua capacità decisionale, accorciare i percorsi verso il
cittadino e rendergli più semplice l’interazione con i processi. Abbiamo degli esempi nel
Paese che in qualche modo sono importanti: l’Inps è uno di questi, il sistema fiscale è uno
di quelli più avanzati. Dobbiamo migliorare su tutto il resto, dalla giustizia alla sanità, al
rapporto in generale che il cittadino ha con la pubblica amministrazione. Penso che il
digitale sia veramente una grande occasione per il nostro Paese. Vorrei tornare su alcuni
temi, il primo è quello delle competenze: per poter affrontare in modo corretto la
situazione, al di là degli slogan, abbiamo bisogno di gente competente all’interno della
pubblica amministrazione e di aiutare i cittadini. Dobbiamo lanciare un piano nazionale di
formazione digitale. Sky ci dice che ha milioni di utenti che usano il digitale, ma noi
dobbiamo superare un rischio grave, quello dell’inclusione o dell’esclusione da questo
mondo. Va fatto un grande piano di formazione nazionale, anche all’interno della pubblica
amministrazione. Considero decisivo il tema delle competenze, che risponde anche ad
una delle emergenze di oggi, quella dell’occupazione giovanile. Noi abbiamo tassi di
disoccupazione dei giovani, impietosi: abbiamo il 40% di ragazzi senza possibilità.
Attenzione, l’area del digitale è un’area di nuova occupazione, c’è un progetto guidato
dall’Europa, che dovremmo ascoltare di più, che ci dice che nei prossimi due anni in
Europa mancheranno competenze per circa due milioni di persone. In Italia significa, fatti i
dovuti calcoli, la possibilità di mettere in campo circa 200mila posti di lavoro in
quest’ambito. Dobbiamo crederci perché abbiamo bisogno di queste competenze, non
solo nella pubblica amministrazione ma anche nelle imprese: basta considerare che la
piccola e media impresa in Italia usa pochissimo i servizi di iGov, qualcuno dice perché
sono complessi, sicuramente è vero, ma anche perché abbiamo delle carenze di
competenza nella piccola e media impresa. Pensate soltanto al mondo dell’open day.
Mauro diceva che abbiamo bisogno di informazione, allora gli americani, assieme agli
inglesi, hanno detto: dobbiamo aprire i sistemi informativi pubblici ai privati per generare
servizio a valore aggiunto. Dicono che questa operazione comporterà, nei prossimi tre,
quattro anni, 4 punti di aumento del PIL americano, ci hanno già inviato le tabelle e le
modalità di interazione con i loro sistemi e quindi dati da pubblicare. Questa è un’area
incredibile: lei diceva prima, Presidente, che abbiamo bisogno di informazione ma
soprattutto di avere la capacità di trasformare queste informazioni in servizio e
conoscenze. E’ quello che succederà nei prossimi due, tre anni, i bit sono come i semi di
una volta, devono essere lavorati, il lavoro dei bit genererà servizi, i servizi generano
ricavi, i ricavi generano PIL e il PIL genera occupazione. Dobbiamo metter in campo
questa filiera e abbiamo un’occasione unica, quella del digitale. Io sento tutta la
responsabilità del ruolo dell’Agenzia, sto in qualche modo coinvolgendo il sistema
pubblico, sto facendo riunioni con tutti i presidenti delle Regioni, sono convito di una cosa:
che la digitalizzazione dell’Italia si fa sui territori, non si fa scrivendo le regole a Roma. Ma
ne dobbiamo scrivere e dobbiamo fare più progetti e realizzazioni sul territorio, altrimenti
rischieremmo di far affievolire ulteriormente il desiderio in cui si parla nel Meeting. Se non
riusciamo a creare questo ambito lavoro per almeno 200mila persone, potremo fare tutti i
digitali del mondo ma avremmo fallito sicuramente, ancora una volta.
BERNHARD SCHOLZ:
Non è per complimentarvi, ma è un dato di fatto che il sistema informatica delle Entrate e
dell’Inps sono tra i primi d’Europa. Per quanto riguarda i sistemi all’interno della pubblica
amministrazione, vorrei fare una domanda legata all’esperienza dell’Inps. Mauro Nori, che
passo culturale è stato fatto? Perché è stato possibile farlo lì e non da altre parti? So che
la costringo a parlare di una cosa su cui ha qualche esitazione: la digitalizzazione, l’hanno
detto tutti i presenti, ha bisogno di un passo, di un cambiamento culturale. Qual e il
problema di una pubblica amministrazione che fa così fatica ad adeguarsi? Poi torno sul
problema della piccola e media impresa, ma parliamo un attimo di pubblica
amministrazione.
MAURO NORI:
L’argomento è stato toccato anche prima, parlerò dell’istituto della previdenza sociale, do
un paio di dati per fare il paragone. Attualmente l’Italia, nella gestione di struttura del
welfare della previdenza, è un unicum a carattere mondiale. Non esiste nessun Paese al
mondo che abbia un ente che gestisce previdenza, assistenza e un pezzo di sanità. Non
entro nel merito degli aspetti qualitativi, diventerebbe quasi uno stop e una celebrazione
che non è qui il momento di fare. Dico semplicemente che è un unicum e faccio alcuni
paragoni in Europa con due Paesi di riferimento: in Francia, per fare le stesse cose che in
Italia fa l’Inps, ci sono nove enti con 120mila persone. In Italia, c’è un ente che ne ha
30mila, in termini di risorse umane. In Germania, la situazione è leggermente differente
perché l’assistenza è delegata sostanzialmente ai Lander, la previdenza invece è affidata
a un ente che ne sta riunendo due. In termini di spesa rispetto alle masse amministrate,
l’Italia spende, ante Spending Review, un punto e 7 meno della Francia e un punto e 2
meno della Germania. Questo, per darvi il quadro di riferimento. Un altro elemento che qui
voglio dare, che probabilmente è sconosciuto ai più. L’Italia è attualmente ancora l’unico
Paese al mondo che ha in tempo reale le informazioni retributive e contributive sulla vita
del lavoro, la certificazione malattia, attraverso la trasmissione del sistema EMens, ovvero
il cedolino paga di tutti i lavoratori italiani. Il Presidente chiedeva: come è avvenuto tutto
ciò? Ci sono due aspetti importanti: avere avuto, negli anni ’80, dei leader aziendali con
una visione che era quasi un sogno, quello di gettare il cuore oltre l’ostacolo, prendere una
pubblica amministrazione tradizionale e dire: voglio trasformarla in un’azienda moderna. Il
paragone allora era con le aziende private. Pensate che, nell’ambito di una pensione,
c’era chi conteggiava il conto assicurativo, chi verificava che quello che aveva conteggiato
il conto assicurativo avesse fatto bene il lavoro, il liquidatore della pensione che doveva
prendere i dati dal conto assicurativo e quello che controllava che il liquidatore della
pensione avesse fatto bene. Attraverso l’investimento in tecnologie, tutto questo
meccanismo è stato travolto e c’è stato un risparmio in termini di risorse umane, investite
ovviamente in altri segmenti, in altri campi, all’interno dell’istituto. Ma c’è un ma. In realtà, il
vero grande investimento che fece Gianni Biglia, la persona che entrò, ovviamente, nel
pantheon dell’istituto, non è stato solo quello in tecnologia. L’ha detto Agostino Ragosa
quando parlava di competenze, l’ha detto Maximo Ibarra quando parlava di formazione e
di scuola. In realtà, la vera grande sfida è stata aver cambiato la testa, all’epoca, a 40mila
persone, con grossi investimenti in formazione, con grossi investimenti anche culturali,
sulla modifica dell’atteggiamento mentale soprattutto della dirigenza, partendo prima dalla
dirigenza. Faccio un esempio, salto fuori dall’Inps e vado nell’ambito della società. Quando
si parla di competenze, quando si parla di scuola, fino a quando in Italia continueremo a
considerare le scuole tecniche come scuole di serie b o di serie c, rispetto al liceo classico
o al liceo scientifico, rimarremo un Paese arretrato rispetto ai Paesi avanzati. Non è più
possibile che una persona iscritta a un istituto si debba sentire guardare dal proprio
interlocutore, dal proprio genitore, con il sopracciglio alzato: “Come, non ti sei iscritto al
classico o allo scientifico?”. Qui stiamo parlando di ragazzi che già hanno l’economia in
mano a 8 anni. Passatemi una digressione. Tre anni fa sono stato invitato a Parigi dal
sistema bancario Italia, si parlava di monetica. Siccome siamo uno dei grossi player del
sistema di pagamento ed altro, c’era allora tutto questo dibattito sul fatto che in Italia si
usano poco le carte di credito, che dovrebbe essere sviluppato l’utilizzo. Io ho detto:
“Guardate che mio figlio – all’epoca aveva 11 anni – con il proprio telefonino fa acquisti
online con importi da poco meno di 1 euro, praticamente tutti i giorni, quando si scarica le
proprie applicazioni ed altro”. Quella è già monetica e noi stiamo parlando di carte di
credito che forse sono già preistoria. Non c’è solo la tecnologia, la tecnologia va governata
dall’uomo, va governata dalle competenze, va governata dalla cultura perché se il sistema
culturale, il sistema evolutivo dell’uomo non riesce a governare attraverso gli strumenti, la
tecnologia in sé può diventare anche, come avveniva all’apprendista stregone di Walt
Disney, un qualcosa che crea danni anziché straordinarie opportunità. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
Nell’incontro sulle smart cities di domenica sera, è emerso un dato che tutti sappiamo ma
che è importante, che per esempio il controllo del traffico nelle città si fa in gran parte
guardando quanti cellulari sono accesi in una determinata area. Ho fatto questo esempio
per dire che nell’area digitale, qualunque uso del digitale da parte nostra dà informazioni
sul nostro comportamento, sulla nostra posizione, sulla nostra modalità di muoverci, in
modo più o meno anonimo, ad altri enti educatori, pubblica amministrazione e così via. E
quindi, a Sky, voi vedete tantissimi comportamenti, modalità d’uso, quantità di modem
comprati, cambiati, avete una miriade di informazioni indirette sul nostro consumo di
informazione e di entertainment. Dal vostro di punto di vista, quali sono i dati importanti sul
nostro comportamento in questi settori negli ultimi dieci anni? Come è cambiata la nostra
società da questo punto di vista, attraverso il digitale che voi offrite?
ERIC GERRITSEN:
Ma i comportamenti sono cambiati radicalmente, nel senso che dieci anni fa non c’era
l’HD, non c’era la mobilità, non c’erano diverse tecnologie. Eravamo abituati a una
televisione lineare che alle 9 aveva il telegiornale, alle 10 il film, e così via. Quello che la
tecnologia ha portato è una maggiore libertà a ciascuno di noi. Direi che questo è il
fenomeno generale più importante. Credo che la sfida alla quale qualunque televisione,
inclusa la nostra, deve rispondere, è di come riuscire ad avere tutta quella creatività che
un Paese come l’Italia ha. L’Italia esprime un’enorme quantità di creatività, nella
televisione, nell’editoria, sul web. E allora noi siamo convinti che attraverso una maggiore
liberalizzazione, una maggiore messa in moto di tutto quello che offre il sistema digitale,
possiamo beneficiare anche noi. Già quest’anno abbiamo prodotto sempre più ore di
televisione nazionale, questo vuol dire creare ricchezza per il Paese, vuol dire esportare,
per esempio, Romanzo criminale, che non abbiamo comprato da un altro Paese ma
abbiamo prodotto qua, in Italia, e che poi abbiamo venduto in 60 Paesi diversi. Questo
vuol dire creare ricchezza per l’industria creativa. Volevo tornare su un paio di punti che ha
già menzionato anche Ragosa. Il primo è la liberalizzazione, la regolamentazione. C’è un
dato molto incoraggiante che vorrei condividere con voi, un esempio positivo. Lo leggo: nel
recente “Decreto del fare”, l’articolo 10 parla della liberalizzazione del Wi-Fi su tutti i
negozi, ristoranti, bar. Ecco, può sembrare una cosa piccola invece è una cosa molto
importante. Ad oggi, chi voleva avere il Wi-Fi in un punto vendita, in un bar, in un negozio,
aveva questioni burocratiche, oneri, molto complessi. Con questa liberalizzazione,
cominciate a pensare che cosa possiamo creare in termini, non solo di uso ma anche di
geo-localizzazione. Poi, vorrei citare un dato per quanto riguarda l’occupazione. Cito uno
studio di un docente della London School of Economics, il professor Marco Simoni che,
nel suo rapporto sulla crescita digitale, ha detto che in un Paese medio l’aumento della
diffusione di Internet del 10% porta ad un aumento dello 0.44% dell’occupazione, ma
soprattutto che porta a un incremento di occupazione dell’ 1,47% nel settore giovanile. E’
un punto importante, liberiamo tutto quel talento creativo che questo Paese ha,
aumentiamo la competitività di questo Paese: come azienda che crea contenuti, non
possiamo che averne beneficio. Lascio stare quelli che poi sono gli aspetti culturali,
l’identità locale, ecc., perché è ovvio che se c’è un’industria creativa forte che può
esprimersi in maniera libera, questo crea un indotto estremamente importante. Anche qui,
vorrei tornare sul fatto che liberalizzare maggiormente questo mercato, non avere timore
di volerlo sovra regolamentare, lasciare più potere alle persone di decidere come vogliono,
crea beneficio, fatturato, business e valore per il Paese. Quindi, se pur piccolo, questo
articolo 10 del “Decreto del fare” è una cosa che noi abbiamo visto con grande
incoraggiamento. Per tornare alla sua domanda, le abitudini di consumo, le abitudini di
intrattenimento cambiano molto. Io credo che negli anni a venire vedremo questo mercato
unico dove tra televisione, social media e digitale non c’è più un netto confine, come oggi
si vuol far credere che ci sia: sarà un mercato unico che aspira a prendere il vostro tempo,
il nostro tempo, il nostro entertainment. Però il punto centrale è riuscire a liberare quella
potenza creativa che questo Paese ha, perché questo ci consente di fare contenuti e di
continuare ad alimentare il nostro business. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
All’inizio della settimana, abbiamo avuto un incontro dove al posto di Ragosa c’era il
Presidente di Confagricoltura: la cosa che ha sorpreso tutti, è che se uno domanda quali
sono le sue priorità rispetto agli agricoltori italiani, rispetto alla sua associazione, della
quale fanno parte 800mila imprese, lui risponde: la banda larga, devono tutti collegarsi. E’
questa la mia risposta alla questione che lei ha posto sullo sviluppo delle piccole e medie
imprese, perché senza questo rimangono indietro, sia in termine di conoscenza che di
accesso, di aggiornamento, di informazioni ma anche di utilizzo di tanti servizi che oramai
sono decisivi. Volevo fare a Maximo Ibarra la domanda. Lei ha parlato di educazione
all’altezza della situazione, quali sono dal vostro punto di vista i passi che le PMI – che qua
penso siano anche rappresentate attraverso tanti partecipanti – devono fare? E qual è il
servizio che voi e altri operatori potete dare a loro perché il digitale diventi utile anche per
lo sviluppo economico e la crescita imprenditoriale?
MAXIMO IBARRA:
La PMI in Italia non rappresenta la totalità del tessuto produttivo italiano, però noi, come
Paese Italia, come sistema Italia, come italiani, alla fine siamo rappresentati
prevalentemente dalle PMI, anzi, più piccole che medie. Banda larga, intendiamoci. Che
cos’è la banda larga? Banda larga significa poter permettere a un cliente l’accesso al web
con prestazioni all’altezza delle sue esigenze. Per darvi oggi un criterio, 5 MB sono
sufficienti a soddisfare almeno l’85% delle esigenze di un cliente consumer o di un cliente
piccola e media azienda. Dobbiamo andare al di sopra dei 5 MB quando parliamo di
aziende più grandi, che possono fare magari un utilizzo anche di telepresence piuttosto di
teleconference, con applicazioni diverse. Dal punto di vista della banda larga come
strumento per mandare avanti la propria attività produttiva, sono richiesti 5 MB. Oggi 5 MB
ci sono praticamente su quasi tutto il territorio italiano. Esistono ancora delle aree dove,
sfortunatamente, esiste ancora il digital devide. Però, nel 95% restante, questa
prestazione oggi esiste. Poi, quando si parla di banda larga per le PMI, non si parla
esclusivamente di telefonia mobile ma si parla di telefonia convergente. Convergenza è
una parola molto brutta. Dieci anni fa, quando si parlava di convergenza, non si capiva
esattamente di che cosa stavamo parlando. Oggi la rete di fatto è unica, o meglio, è una
rete mobile o una rete fissa, ma la fruizione che ne fa il cliente è unica. Per cui, andare a
spiegare a un cliente che può utilizzare la rete mobile piuttosto che la rete fissa, ormai è
un concetto passato di moda. Si parla di rete unica perché l’accesso è unico. Oggi i
telefonini sono tutti dotati di Wi-Fi e si passa indistintamente da una rete all’altra senza
particolari difficoltà. Se qualche tempo fa bisognava configurare il proprio smartphone,
oggi non bisogna più farlo perché in automatico passa da una rete all’altra. Quindi, banda
larga significa poter garantire questa prestazione, soprattutto significa poter risolvere i
problemi dei clienti in un tempo ragionevolmente breve. Su questo, devo dire che un po’
tutti gli operatori stanno facendo degli sforzi, noi in particolare, perché la certezza del
servizio e la possibilità di poter risolvere questi problemi in tempi brevissimi è
fondamentale. Un altro aspetto su cui gli operatori di telefonia devono lavorare come
servizi per la piccola e media azienda, è la consulenza che io definisco pragmatica.
Significa che molto spesso le piccole e medie aziende non sanno cosa farsene dei sistemi
CRM, non sanno esattamente cosa significa trattare dei dati, digerirli, metabolizzarli e
poterli utilizzare al meglio. Non hanno idea di cosa sia un data center, non conoscono
molto bene la realtà dei cloud: quindi, la gestione informativa all’interno delle aziende è
ancora un grandissimo punto interrogativo e aziende come la mia possono ovviamente
fornire un valore aggiunto importante dal punto di vista della consulenza, dal punto di vista
dei servizi accessori. Siccome con i clienti bisogna parlarci e bisogna stare con i piedi per
terra e andarli a trovare, perché come abbiamo detto prima è inutile gestirli dal centro,
bisogna andare direttamente sul territorio perché lì è dove si svolgono le cose, parlando
con gli imprenditori, quello che si capisce è che hanno bisogno di una guida, di un
coordinamento che l’azienda privata può fare facilmente. Chiaro che poi si entra molto
spesso nella necessità di fare sistema, per cui gli enti territoriali, piuttosto che la pubblica
amministrazione, giocano un ruolo importante anche per poter far sì che queste aziende
possano offrire prodotti e servizi e diventare competitive, non soltanto nel mercato
domestico ma anche nel mercato non domestico. Una delle cose di cui mi sono reso conto
è che a noi piace giocare in piccolo. Cosa significa piccolo? Forse per motivi storici,
perché l’Italia storicamente è uno Stato non da moltissimi anni, è una Repubblica molto
giovane, se confrontata con le altre. Non esiste una cultura statale come può esistere in
altri Paesi europei. Piccolo, perché di fatto le aziende, quando diventano grandi, alla fine
non riescono a competere agevolmente sui mercati internazionali, perché probabilmente
non sono abituate. Piccolo perché quando parliamo di piccoli enti, allora le cose
funzionano molto meglio rispetto a quando si parla di grandi enti. Parlo appunti di enti
locali come possono essere i piccoli municipi confrontati con le grandi città. Ecco, questa
cultura di poter ragionare un po’ in grande manca e noi dobbiamo cercare di insegnarla, e
torno indietro all’argomento della formazione: cominciamo a far sì che le persone che
escono dal nostro sistema educativo possano avere questa forma mentis. Mi colpisce
moltissimo il titolo di questa edizione del Meeting di Rimini, Emergenza Uomo, e mi è
piaciuto molto anche l’intervento di Mauro di poc’anzi, perché alla fine se noi guardiamo
l’Italia come sistema, tutto si può dire tranne il fatto che gli italiani non siano una risorsa
preziosa, soprattutto se confrontata con altri Paesi. Tutto si può dire tranne che non siamo
creativi e non siamo capaci. Quindi, dal punto di vista dell’asset strategico della persona,
le risorse ci sono, basterebbe dare un occhio di più alla lotta all’evasione fiscale, magari
fare un po’ meno sprechi, come accade praticamente tutti i giorni, un po’ dappertutto. Le
risorse finanziarie ci sono, ci sono anche risorse finanziarie che arrivano dall’Europa. Cosa
manca? Manca fondamentalmente un assetto culturale che ultimamente ha visto questo
essere umano di fronte a un deterioramento, come lo chiamo io, civico. Non dobbiamo
soltanto insegnare le competenze, non dobbiamo cercare solo di colmare un gap per
quanto riguarda le nuove professioni che in questo momento sono ancora poche rispetto a
quello che dovrebbe avvenire, per essere al passo con gli altri Paesi. Però dobbiamo
sicuramente lavorare molto anche sulla formazione civica perché l’essere umano fa la
differenza. La fa nell’ambito dell’Inps, la fa nell’ambito di un’azienda privata, la può fare
nell’ambito di qualsiasi ente pubblico. Se non si convincono le persone che debbono fare
bene il proprio mestiere, non dico in maniera eccezionale ma normalmente, parleremo tutti
di impianti teorici interessanti ma con una scarsa probabilità di essere implementati. E’
molto importante che si possa lavorare sulla risorsa umana in modo tale che le aziende
possano avere un orizzonte culturale molto più aperto, molto più moderno e soprattutto
molto più efficiente, ecco perché insisto sul fatto della formazione, perché oggi
nell’università, nella scuola, sembra che questo aspetto delle competenze, e anche
l’aspetto civico, siano passati in secondo piano. E invece io ritengo che questo
investimento sul futuro valga assolutamente la pena, perché ci stiamo giocando il futuro di
tutti, non soltanto il nostro, ci stiamo giocando ovviamente il futuro delle generazioni
successive. Grazie mille.
BERNHARD SCHOLZ:
Io ringrazio voi che avete ascoltato, ringrazio voi che avete condiviso con noi le vostre
esperienze, le vostre conoscenze, in modo che ognuno di noi, penso, dopo questo
incontro sia arricchito di conoscenze che gli permettono di decidere con maggiore
diligenza rispetto all’utilizzo del digitale per il bene comune. Grazie.
Trascrizione non rivista dai relatori

Data

22 Agosto 2013

Ora

15:00

Edizione

2013

Luogo

Sala D3
Categoria
Incontri