Uomini nella storia uomini controcorrente. San Benedetto e altri fondatori

Hanno partecipato: Vito Fumagalli, Ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi di Bologna; Lèo Moulin, Docente presso il Collegio d’Europa di Bruges.


Fumagalli: Quando si pensa al monachesimo, bisogna sgombrare la mente dall’idea completamente sbagliata di un fenomeno unitario di piccoli gruppi, come ci fanno pensare le sedi del monachesimo che esistono tuttora, abbandonate o abitate da pochi monaci. È stato invece un fenomeno di consistenza numerica rilevantissima soprattutto lungo la storia. Al di là della quantità, ha costituito il correttivo indispensabile alle vicende storiche: in un qualche modo, ha controllato la storia. Quindi, attualità e memoria nel monachesimo si legano: purtroppo accade spesso che ciò che va controcorrente, che vuol correggere e vuol cambiare, si trova chiuse le porte dell’informazione. Di ciò che va contro il male della società, la società percepisce soltanto i propri vantaggi, ne estrapola i vizi, ma lo nasconde, lo rimuove. Il monachesimo è proprio quella coscienza che pesa all’uomo e che quindi l’uomo tende nella sua debolezza a emarginare.

Che cos’è il monachesimo? È difficile rispondere a una tale domanda. Direi che in tutti i tempi è stato ed è la riflessione presa a distanza di un mondo in gravi crisi, come accadde nei primi secoli di diffusione del fenomeno monastico, a iniziare dalla fine dell’età romana, fino ai nostri giorni. Il monachesimo è un richiamo potente ad alzare il tono e la tensione della vita morale e spirituale. Come ce ne fu bisogno in quei secoli lontani di caduta dei sistemi di valori — i secoli IV, V, VI —, così ce ne è bisogno oggi.

L’antidoto fondamentale del monachesimo contro la crisi, è la solidarietà. La solidarietà infatti è insita nell’anima monastica: pater si chiamava l’abate, fratres i monaci, ma era una fraternitas generale, per cui l’abate era pater e frater insieme. La solidarietà si oppone alla solitudine, al chiudersi degli uomini in se stessi, all’isolamento reciproco, all’indifferenza, spesso alla guerra e all’odio. Quest’anima profonda del monachesimo è ciò che ci vuole contro la dispersione da se stessi e dagli altri. Il monachesimo forniva l’esempio e la predicazione della comunione e della compartecipazione, vivendo in comune e studiando in comune, cercando mete lontane in comune.

Prendiamo come esempio — siamo nei secoli VI e VII d. C. — san Colombano, il monaco santo che parte dall’Irlanda, attraversa la Francia e scende in Italia. San Colombano fonda un monastero in Francia e uno in Italia, destinato a diventare famoso: san Colombano di Bobbio, nel piacentino. Colombano va là perché gli è stato detto che c’è una chiesa diroccata, dedicata all’apostolo Pietro, dove di notte sembra che, improvvisamente, si accendano strani bagliori. La prima cosa da fare è rimettere in chiesa in sesto, farla tornare dimora della sacralità, riconsacrare il luogo.

In questi secoli, non solo Colombano ma tutti i monaci in Europa circolano cercando il locus amenus, il luogo predestinato per la sua bellezza, da Dio, per vivere in terra l’esperienza ultraterrena. Il monachesimo è anzitutto questo, palestra celestis, esperienza celestiale già in terra; il monachesimo è anche cercare luoghi nei quali rimettere a coltura le terre, ricostruire le chiese, i villaggi. Uno storico francese recentemente, nel 1988, ha scritto un bellissimo libro su circa 300 monaci e monache, in gran parte eremiti, che in un angolo della Francia del Nord, tra la Senna e il Reno, un angolo battuto dalla incursioni barbariche, e spopolato per tante ragioni, hanno messo in vita dal secolo VI all’XI un centinaio di città e di monasteri. Hanno ripopolato una zona che l’agonia e la morte del mondo antico aveva quasi completamente distrutto. E questo caso non è un’eccezione, ma la regola.

Il monachesimo di punta, aspro, eroico, combattivo degli irlandesi, di Colombano, ebbe un raggio di azione molto incisivo. C’erano anche altre forme monastiche, irregolari, prodotte da quei tempi, tempi in cui si era alla ricerca di cose nuove, tempi in cui si voleva cambiare, si voleva mantenere dell’antico ciò che di buono esso lasciava, ma si voleva aggiungere soprattutto il nuovo. Se noi leggiamo quell’opera magnifica che sono i Dialoghi di papa Gregorio Magno (il cui pontificato va dal 590 al 604), abbiamo di fronte ai nostri occhi questi personaggi, con la loro modestia e la loro pochezza esterna.

Al monachesimo irlandese subentra quello benedettino, il monachesimo fondato da Benedetto da Norcia nel secolo VI, un monachesimo più realistico, più sensibile alle esigenze dell’uomo, anche alle sue debolezze. Il monachesimo benedettino esisteva già, ma si sostituisce a quello irlandese non tanto per ragioni di tempo, ma perché più facile ad attecchire e più facile a risolvere ogni tipo di problemi. Inoltre, esso è più impegnato nell’opera di ricostruzione, ora — prega, leggi, studia — et labora, e lavora, anche manualmente ma con discrezione. Benedetto non condanna nessuno, non impone asprezze penitenziali, non impone niente che possa togliere l’aria. Nel secolo VII vediamo le grandi sedi del monachesimo raccogliere in parte la regola benedettina e in seguito, con il tempo, accoglierla completamente.

C’è stato anche un altro monachesimo, quello greco orientale, segnato dalla penitenza e dal ritiro, dall’isolamento, dal rigore: esso ha avuto la grande funzione di essere lo stimolo rigoroso del lassismo nei momenti di cedimento alla mondanità, ha avuto la funzione di sollecitare, di pungolare e di sorvegliare.

La civiltà riprende il suo corso dopo la fine del corso antico per merito dei monaci; è duro purtroppo dover ammettere che il monachesimo è stato studiato in supporto di altre istituzioni. La storiografia tedesca ha studiato il monachesimo come fondazione del regno e del potere pubblico; altre storiografie lo hanno studiato come sostituto del potere civile, altre ancora perché ha risolto il problema dell’agricoltura, dei terreni, diradando foreste per sostituirvi campi piantati a vigna… Invece, il monachesimo va studiato soprattutto perché ha avuto quest’anima di fraternità, di partecipazione, di comunione, che ha ridato senso alla comunicazione del proprio io agli altri, in epoche in cui questo io veniva meno.

In conclusione, non dobbiamo dimenticare che i monaci hanno ricostruito gli animi e il paesaggio nel passaggio dal mondo antico al mondo medioevale. A Bobbio si abbattono alberi, si costruiscono siepi, si riportano uomini — non solo monaci — dove prima la terra era stata abbandonata e ridotta in solitudine. Nei testi di quell’epoca, una parola che risuona continuamente è solitudines, solitudine ovunque. I monaci percorrono queste solitudines finché non trovano luoghi dove l’uomo è già stato e può tornare, e li ripopolano. I monaci rivitalizzano sia la solitudine del paesaggio che quella degli animi. Il lavoro è rivalutato come lavoro comune, partecipato l’uno con l’altro. Questa è l’anima più profonda del fenomeno monastico, la fraternità, il non voler prevalicare l’uno sull’altro, neppure sul lavoro, che è segnato crudelmente dallo spirito di concorrenza.

Moulin: Non basta ritenersi emarginato e fallito per poter affermare di essere controcorrente. Non si può pensare: “Non sono compreso: è la prova del mio genio, la mia originalità è assoluta, quindi sono differenti tutti gli altri uomini”. Non basta scandalizzare, avere i capelli lunghi o la testa rasata, aver la zucca vuota per essere controcorrente.

La scelta di San Benedetto non è stata dettata né da una volontà di successo mondano e materiale, né dalla volontà di acquistare un qualsiasi potere, neppure dalla volontà di ottenere fama di santità o di dominare gli altri o addirittura di conquistare le donne…, né di fare la dolcevita per seguire la tradizione della sua famiglia, del suo ambiente, né dalla volontà di essere differente dagli altri uomini, né di provocare, né di andare contro corrente… san Benedetto non ha voluto nulla di questo.

Così sono già eliminati gran parte degli obiettivi comuni a cui puntano gli uomini del nostro tempo. San Benedetto ha scelto per vivere la vita cristiana autentica, seguendo Cristo, una vita insieme magnifica e impossibile: è andato contro corrente nella società, contro la cristianità della sua epoca. Questa è la difficoltà anche per noi oggi, la difficoltà di essere insieme cristiani e non credenti, uomini liberi e buoni cittadini, di essere capaci anche di andare, se e quando è necessario, contro l’opinione pubblica.

Per essere sicuri di aver scelto una buona strada che vada controcorrente basta riprendere la via più dolorosa. La via in cui tutto è niente se non critiche acerbe, la via degli insuccessi fino all’estrema fine della vita senza neppure la consolazione che, in un giorno, forse la prosperità renderà giustizia.

 

Data

23 Agosto 1995

Ora

11:30

Edizione

1995
Categoria
Incontri