STORIE DAL MONDO

Rassegna di reportage internazionali. A cura di Roberto Fontolan e Gian Micalessin: Un venerdì a Gerusalemme. Tre percorsi umani si incrociano nella città santa. In collaborazione con Sky. Produzione: National Geographic Television.

 

GIAN MICALESSIN:
Signori, buonasera! Grazie anche questa sera di essere tanti. Questa sera guardiamo Un venerdì a Gerusalemme, una produzione National Geographic. Anzi, prima di parlare del documentario, parliamo di chi non c’è, di Roberto Fontolan, che si scusa. Purtroppo questa sera non può essere qui, perché tiene un incontro sulle persecuzioni dei cristiani, tema particolarmente importante in questo periodo, tema particolarmente importante in Medio Oriente. Comunque Roberto è con noi in spirito questa sera, anche se la sua sedia è vuota apparentemente, ma lui è qui con noi. Invece noi stasera ci guardiamo Un venerdì a Gerusalemme. Un venerdì a Gerusalemme è un titolo particolarmente significativo per chi sta a Gerusalemme, per chi è passato per Gerusalemme, per chi ha vissuto a Gerusalemme, perché il venerdì è proprio l’inizio di quella magica atmosfera in cui si ricompongono le tre grandi religioni. Venerdì a Gerusalemme inizia con la preghiera alla moschea di Alaxa, continua con l’inizio del Shabbat, termina poi la domenica con le Messe cristiane, quindi diciamo che il fine settimana a Gerusalemme veramente riassume le tre grandi religioni, ed è un titolo significativo per un documentario che racconta Gerusalemme, la città delle tre grandi fedi, la città dove nel nome delle grandi fedi si sono combattute e si combattono, purtroppo, grandi battaglie, grandi sfide… però una città che affascina. Città senza dubbio affascinante, non ha caso è diventata incrocio delle tre grandi fedi e dei loro grandi simboli. Guardiamocelo, poi ne parliamo assieme con Sobhy Makhoul che a Gerusalemme vive, che è rappresentante della Chiesa Maronita a Gerusalemme e che sicuramente potrà rispondere meglio di me a tutte le vostre domande e le vostre richieste. Grazie, a dopo.

(video)

GIAN MICALESSIN:
Eccoci qua. Questo documentario è sicuramente un documentario girato da un troupe americana con alcune ingenuità, come quando vediamo Gesù Cristo che si rialza, risorge e viene messo quasi in scena. Però, pur essendoci stato decine di volte a Gerusalemme, ho guardato questo documentario affascinato, perché Gerusalemme è un città che ti affascina sempre. Io mi ricordo la prima volta che arrivai a Gerusalemme, era l ’88. Era ancora la prima Intifada, avevo 28 anni, e la cosa che mi colpì di più di Gerusalemme fu la vicinanza fisica dei luoghi santi. Quando tu vai a vedere il Muro del Pianto, alzi gli occhi a sinistra e vedi in alto la spianata del Tempio e la Moschea di Alaxa. Quando poi ci tornai infinite volte nel 2000, vedevo i palestinesi che si affacciavano alla spianata del Tempio per tirar le pietre verso chi pregava, verso… Ecco, questa vicinanza fisica, ma anche questa sacralità della città… Ogni volta che vado a Gerusalemme, ogni volta che ci vado, mi prendo, anche nei momenti di lavoro, perché ci sono sempre dei momenti di lavoro molto frenetici, mi prendo la libertà di farmi un giro da solo nella città antica e poi un giro dentro il Santo Sepolcro, perché la Basilica del Santo Sepolcro ha qualcosa di sacro che non ho trovato in nessun altra chiesa. Ecco, a Sobhy potrete fare, penso, tremila domande, potremmo andare avanti fino a mezzanotte, questa sera, ma Sobhy è particolarmente importante perché è stato anzitutto il maestro, l’insegnante di uno dei protagonisti di questo filmato: il prete francescano è stato suo allievo, lo conosce bene, conosceva quel fratello che è morto, e quindi ci può raccontare dal di dentro questa città, questa città così difficile. Soprattutto, un domanda: ecco, in questa città, che è sacra da sempre, dai primordi della storia, perché in una città sacra dai primordi della storia è così difficile perdonare?

SOBHY MAKHOUL:
Gerusalemme è una realtà unica al mondo. Il problema essenziale che vivevamo a Gerusalemme già, se vogliamo tornare alla storia, anche cinquemila anni prima di Cristo, è il problema di non accettare il diverso. Avete visto questi tre personaggi di tre diverse religioni, come ognuno vede le cose? Hanno parlato bene degli altri: l’ebreo ha detto che aveva rapporti buoni con i mussulmani prima del ’48, la donna spera di poter vivere tranquilla e il frate lo stesso. Se prendiamo delle realtà piccole, a livello individuale, ci sono molte realtà che vivono rapporti di amicizia e di collaborazione molto buoni. Il problema è quando il conflitto diventa a livello di gruppi e viene trascinato da fattori politici e religiosi. La situazione attuale qual è? Viviamo a Gerusalemme, ognuno rifiuta il diverso, ognuno vede nel diverso il nemico. E io non vorrei essere nel mio giudizio troppo categorico. Io dico sempre: nella realtà di Gerusalemme non ci sarà mai la pace. Mai la pace finché non riconoscano Gesù Cristo i mussulmani e gli ebrei, perché per arrivare a poter vivere la pace ci vuole giustizia. Avete visto quale ingiustizia si vive a Gerusalemme? Quel muro che avete visto, anche a me ha fatto del male. Ha tagliato la mia casa fuori città, ho dovuto lasciare casa mia, chiuderla, passare dall’altra parte e prendere in affitto un’altra casa, perché non potevo vivere dall’altra parte. Avete sentito parlare di questa signora che non può stare con suo marito. Anche noi abbiamo problemi del genere, perché cittadini di Gerusalemme hanno la carta d’identità blu ma non sono cittadini, sono residenti. Quelli della Cisgiordania hanno la carta d’identità palestinese, perciò non possono vivere a Gerusalemme. Tantissime famiglie vivono questa situazione di divisione famigliare. Ecco, dico io, per fare giustizia ho sempre ripreso questa questione e questo detto di Giovanni Paolo II: per fare la pace ci vuole giustizia, per fare giustizia ci vuole il perdono. E nei nostri fratelli ebrei e mussulmani, a livello dell’insegnamento generale, si può dire che c’è un richiamo al perdono, ma nella realtà della vita è difficile poter incontrarlo. Non dico che i cristiani sono meglio da questo punto di vista, anche noi facciamo le nostre cavolate come cristiani, e non c’intendiamo nemmeno nel seguire il segno del Vangelo, non c’è quel desiderio proprio del cuore di vivere in pace e fare giustizia. Ci sono piccoli gruppi, piccole iniziative: già si vede questa possibilità di riconciliazione tra mussulmani, ebrei e cristiani, ma non sono sufficienti. E perciò non vorrei che quello che abbiamo visto all’inizio, e cioè la guerra e la violenza sia considerato normale, perché già dal 2006 siamo più tranquilli, cioè quello che avete visto era tutto prima del 2006. Dal 2006 fino a oggi non ci sono queste violenze all’interno del territorio di Gerusalemme, del territorio palestinese. Mettendo a parte la questione di Gaza, la guerra a Gaza, c’è un processo di pace, un processo di riconciliazione. Finché la gente non prenderà coscienza di questa necessità di convivere insieme, di non vedere nell’altro il nemico, sarà difficile vedere questa pace. Perciò Gerusalemme, la città di Gerusalemme è una realtà unica, una realtà bella nella sua diversità, ma la gente che sta lì, deve essere aiutata, anche dal di fuori, ad apprezzare questa sua diversità, deve essere aiutata a invocare un processo di pace, partendo dalla giustizia, partendo dal perdono. Ma questo non è una cosa che viene fatta tra oggi e domani, è, come si dice sempre, un processo di educazione alla pace. Se forse molta gente parlasse in quel modo in cui hanno parlato i nostri amici nel film, cioè se diffondesse questo desiderio proprio tra la gente, sicuramente non oggi, domani, arriverà il momento in cui tutta la gente avrà nel cuore questo desiderio e lavorerà per questo desiderio di pace tra il popolo di Gerusalemme.

GIAN MICALESSIN:
Grazie Sobhy. Ecco, vedo che le tue parole hanno lasciato sconcertati. Vorrei che faceste qualche domanda, perché è il modo migliore per capire

DOMANDA:
Buonasera. Io innanzitutto ringrazio per questo video. Volevo dire che io sono tornata ieri da Berlino e sono molto sotto l’impressione della vicenda del muro di Berlino, perché anche quella è stata una ferita terribile, e quindi volevo chiedere questo: quello che mi ha colpito molto andando a Berlino, al museo del Checkpoint Charlie – non so se conoscete un po’ questo museo voluto da un civile, da una persona, diciamo, che ha voluto, fin da quando il muro nel ’61 è stato costruito, che esistesse questo museo per documentare un po’ tutto quello che stava accadendo, appunto, e anche tutti i tentativi di oltrepassare il muro, da sopra, da sotto…

GIAN MICALESSIN:
La domanda però, perché se no poi gli altri non hanno tempo

DOMANDA:
Sì, andando appunto in questo museo, io mi sono resa conto dell’importanza della documentazione civile, proprio delle storie delle persone, e anche oggi vedendo questo filmato, capisco che quello che ha prodotto è veramente una comprensione dal basso. Volevo chiedere se secondo voi il tipo di informazione a livello italiano ma anche mondiale è corretto ed è sufficiente, perché una cosa come questa la trovo molto utile, mentre i telegiornali…

GIAN MICALESSIN:
Va bene, ho capito. Sobhy, lei dice: quello che noi vediamo dai telegiornali è lontano dall’umanità vissuta ogni giorno a Gerusalemme.

SOBHY MAKHOUL:
Sicuramente, guardate, anche i mass-media vengono manipolati in un certo senso, questo lo sappiamo tutti, con tutto il rispetto. Il problema del muro: la prima giustificazione del muro è stata per cause di sicurezza. Io ammetto che ha anche aiutato o aiuterà un po’ a controllare l’accesso dei palestinesi, dei kamikaze verso il territorio israeliano, ma la mia domanda è: questo giustifica tutto il male che ha fatto questo muro? Cioè, non si poteva trovare un’altra soluzione alternativa al muro per risolvere il problema del kamikaze?

GIAN MICALESSIN:
Sobhy, io faccio un po’ l’avvocato del diavolo. Io stavo a Gerusalemme in quegli anni nel 2002 nel 2003. Non si riusciva ad andare neanche a cena al ristorante, c’era proprio la paura di uscire.

SOBHY MAKHOUL:
Ma neanche i miei figli potevano andare in pullman a scuola. Io non vorrei raccontarvi la storia di mia figlia, quando le è capitato un kamikaze che si è fatto scoppiare davanti alla scuola, la cui testa è stata trovata nel cortile della scuola, tra i piedi dei bambini della scuola. Abbiamo avuto un mese, due mesi di problemi per come far passare i bambini. Questo, non dico che non è vero, ma si poteva trovare una soluzione diversa? Cioè, bisogna risolvere il problema alle radici. Hanno messo il muro, ma i problemi ci sono ancora. Hanno messo dentro il muro tutti palestinesi, una piccola prigione. E così hanno dato in mano questo popolo già frustrato, abbandonato, controllato, ai fondamentalisti, che volevano che aumentassero gli atti di kamikaze, e che hanno trovato terra fertile tra gente disperata per essere disposti a suicidarsi anche di più. Guardate la zona di Gaza. Il problema è che, secondo me, non giustifica quello che è stato fatto e perciò ci potevano essere delle alternative. E questo non lo dico solo io, ma anche tanti ebrei. Altre soluzioni le potevano trovare. Hanno messo tutti i palestinesi là, senza lavoro, senza la possibilità di vivere e che cosa fa questa gente? Sono tutti disperati. I fondamentalisti hanno trovato la possibilità di trovare tanti giovani che sono disposti a fare questi atti di pazzia perché non hanno niente da perdere. Ecco, secondo me, c’erano altre possibilità, altre soluzioni alternative a quella del muro. Perché le conseguenze sono drammatiche a livello umano, a livello familiare e anche a livello della natura. Hanno infatti diviso le zone dove non possono passare più gli animali. Le conseguenze sono molto drammatiche. Adesso c’è una grande parte, anche un recente studio fatto da un comandante militare israeliano, che richiede l’immediato abbattimento di questo muro, per le conseguenze negative che ha avuto.

DOMANDA:
Volevo sapere più precisamente che cosa si poteva fare invece di questo muro, perché effettivamente condivido quello che è stato detto da lei, ma prendo atto che comunque statisticamente i morti sono diminuiti. La vita, la vita, comunque, è la prima cosa da salvaguardare. Per cui che cosa si poteva fare per non arrivare a questa cosa negativa, insomma?

GIAN MICALESSIN:
Grazie.

SOBHY MAKHOUL:
Allora. I kamikaze non ci sono, non perché è stato fatto il muro, numericamente parlando, ma perché Israele ha potuto ammazzare tutto il braccio armato di Hamas, in quelle famose uccisioni mirate che hanno fatto negli ultimi tre anni. Perciò hanno distrutto l’infrastruttura di questi gruppi che non esistono più. È questo che ha fatto diminuire moltissimo i fatti di sangue. Perché per dirti la verità, adesso, chi vuole passare il muro, lo passa anche senza essere controllato dagli israeliani, ci sono tanti modi. Hanno trovato anche delle gru: la gente le metteva da questa parte, le prendeva da questa parte e li buttava dall’altra parte. Cioè, tecnicamente, non è una divisione completa per proteggere e non fare entrare i kamikaze. La soluzione, come dicevo prima, poteva essere quella di dare ai palestinesi, la cosa più semplice, il territorio palestinese, fargli costruire il loro stato e che si arrangiassero tra di loro. Ma Israele non ha voluto mai mollare, ha sempre voluto tenere il territorio palestinese sotto controllo. Nonostante ci fosse l’accordo di dare loro questo territorio per fare il loro stato, Israele voleva continuare a tenere il controllo, a tenere anche gli insediamenti all’interno del territorio palestinese. Perciò non si poteva fare, bisognava evacuarli. Sharon, con tutto quello che ha fatto, è stato più intelligente. Cioè, prima della sua malattia ha fatto il grande gesto di evacuazione degli insediamenti a Gaza. È stato un gesto intelligentissimo, perché lui ha evitato molti problemi, ha evitato molti morti, perché tenere 1800-2000 persone in una zona dove ci sono due milioni di palestinesi era una pazzia. Condizionare la vita di due milioni di persone quasi per 1500 persone, non era giusto. E ha evacuato la zona e li ha lasciati per conto loro. Secondo me, se si lasciava il territorio palestinese e si dava ai palestinesi la possibilità di fare il loro stato, loro si sarebbero arrangiati tra di loro. Almeno così si sarebbe evitato il ritorno dei kamikaze e della violenza.

DOMANDA:
Velocemente, una delle cose che più colpisce in questo Meeting è la possibilità di incontrare delle persone, andando proprio alla radice dell’umanità, anche se ci sono diversità grandissime (culturali e religiose). Lei ha degli amici palestinesi e ebrei ma proprio amici, cioè al di là di un rapporto superficiale?

SOBHY MAKHOUL:
Ho un amico, qui con me, ebreo, che fa parte della nostra CdO di Gerusalemme, che sta qui con noi. Un ebreo, Jonathan. Mussulmani, ci sono tanti amici mussulmani. Come dicevo prima a livello individuale è così, si trovano tante realtà, c’è possibilità di creare dei rapporti di amicizia, vera amicizia, veramente. Ma quando scatta il fatto politico allora lì si comincia a cambiare. In oriente, quando il problema diventa il problema del gruppo, allora la posizione diventa più rigida. E questo si trova nella mentalità mussulmana, nella mentalità ebraica, più che nella mentalità cristiana. Allora diventa posizione di gruppo, il clan che decide, il gruppo che decide e allora lì prendono piede le posizioni estremiste, anche se c’è qualche individuo che ha un’opinione più conciliante, più tollerante, non si azzarda a dirla. Ma a livello individuale si trovano rapporti, ci sono molti buoni rapporti. Anche i nostri amici italiani che vivono a Gerusalemme, vivono in questa realtà la possibilità di avere dei veri amici, veramente, tra mussulmani e tra cristiani. Perché adesso non dobbiamo generalizzare il fatto che tutti sono cattivi, per dire o che tutti rifiutano l’altro: ci sono delle realtà di vera amicizia.

DOMANDA:
Buona sera, io volevo fare due domande e poi una considerazione. La prima domanda riguarda quella signora mussulmana che non poteva vivere con suo marito, cioè, poteva vederlo solo il venerdì, non ho capito bene il motivo e se anche quando sono sposati hanno una situazione simile. E poi perché proprio il venerdì poteva vederlo? La seconda domanda riguarda questa realtà che ha appena nominato delle CdO di Gerusalemme, dei rapporti i amicizia che è una realtà poco conosciuta, almeno che io non conoscevo; se può spiegare qualcosa riguardo a queste iniziative di amicizie e di aiuto, non solo individuali ma a livello, anche, di piccoli gruppi, cioè, non a livello politico ma a livello di piccoli gruppi di persone: come sono sviluppate? cos’hanno creato? Come sono i rapporti? E la considerazione riguarda la questione del muro e della soluzione che ha proposto, cioè la soluzione auspicabile. In base a quello che so di Israele, ora come ora non penso che sia possibile, perché è anche una democrazia e penso che un governo che proponesse di dare la terra ai palestinesi, ora come ora, non credo che vincerebbe mai in Israele, non verrebbe mai eletto.

GIAN MICALESSIN:
Sobhy, domanda interessante, no, questa. Lei ha detto un governo che proponesse di lasciare i territori non vincerebbe mai le elezioni oggi.

SOBHY MAKHOUL:
Guardi, il problema è che oggi in tutto il mondo stiamo andando verso l’estremismo. Il problema oggi, in Israele, è che le ultime elezioni hanno messo in evidenza che la maggior parte del popolo israeliano, del quale io faccio parte, anche come arabo, vanno verso destra. Vi immaginate che…

GIAN MICALESSIN:
Non dimentichiamoci chi ha preso più voti di tutti alle elezioni. Era chi proponeva…

SOBHY MAKHOUL:
Ecco quelli che ne hanno presi di più sono Kadima, che anch’ io ho votato, perché ho visto in questo un partito equilibrato che poteva guidare tutto il processo di pace; il Likud ha preso un seggio di meno. Il problema dove è stato? Il partito di Lieberman ha preso 14 seggi, che sono tutti degli ebrei russi, arrivati dalla Russia, che, secondo me, non vorrei dire una brutta parola, sono la rovina del paese. In un certo senso tutti questi, possiamo dire, stranieri, arrivati in Israele, hanno preso possesso di tutto e sono l’ago della bilancia in tutte le questioni delle coalizioni governative.

GIAN MICALESSIN:
Non sono i russi, il problema è il fanatismo di alcune…

SOBHY MAKHOUL:
Ecco, questi qui che arrivano da una realtà, da un sistema, da un regime dittatoriale, arrivano in oriente e hanno un po’ il complesso di superiorità verso tutti quanti, hanno cercato di controllare tutto e vedono nel mondo arabo il nemico assoluto. Lieberman mi ha dichiarato che lui vuole caricare tutti gli arabi e mandarli dall’altra parte.

GIAN MICALESSIN:
Ci sono anche molti russi che arrivano dal Caucaso, quindi c’è una problematica…

SOBHY MAKHOUL:
Perché anche loro vengono da un fondo, diciamo, da un background di conflitti nazionalistici. Allora abbiamo questo problema, se il governo avesse ceduto il territorio palestinese non avrebbe preso questi voti. Il problema è che oggi deve essere fatta una scelta, cioè il popolo oggi deve scegliere, perché non puoi tenere un popolo tutta la vita sotto controllo palestinese, non puoi tenerlo sotto controllo, non puoi limitare la libertà e fargli subire quello che decide il governo israeliano, è impossibile. La scelta che è stata fatta da Rabin è stata una scelta intelligente, va bene, è stato tra i fondatori dello stato di Israele e lui ha incominciato tutto il processo di pace e ha detto: non possiamo tenere un popolo sotto occupazione tutta la vita, anzi, meglio per noi se diamo loro un territorio dove possono fare quello che vogliono, e noi rimaniamo sul nostro territorio. Perché c’è anche un altro problema: se i palestinesi rimangono in Israele, fra 20 anni saranno il doppio degli ebrei e allora cosa faranno come agiranno con questa maggioranza assoluta nello stato di Israele? Secondo me il problema di scelta deve essere fatto. Oggi come oggi le condizioni ci hanno fatto vedere che tutto va verso destra, che non hanno scelto il processo di pace, ma vedremo in futuro chi pagherà questo. Sicuramente siamo in una situazione, come si dice, appesi nell’aria, se andrà avanti questo governo, se resisterà questa coalizione rimarremo così qualche anno; se cadrà questa coalizione vuol dire che andremo all’elezioni e forse cambierà un po’ la situazione. Per la questione della donna, come mai il venerdì va a vedere suo marito? Il venerdì è una giornata di vacanza, cioè giornata di riposo. Siccome lei ha la carta di identità israeliana blu di Gerusalemme, non è cittadina ma è residente a Gerusalemme, suo marito invece ha la carta di identità di titolo palestinese, lui non ha il diritto di vivere nel territorio di Gerusalemme, nessun diritto; lei se va a vivere in territorio palestinese perde tutti i suoi diritti come residente in Gerusalemme…

GIAN MICALESSIN:
E anche la casa rischi di perdere

SOBHY MAKHOUL:
Anche la casa, i diritti all’assistenza sociale, i diritti alla mutua, tutti i diritti, e se rimane in territorio Palestinese per un certo periodo, perde il diritto di tornare a casa sua. Allora cosa fa, per mantenere la casa e i suoi diritti come cittadina di Gerusalemme e per tenere il marito, deve passare di qua e di là. Sono molte le famiglie che vivono questa situazione, un vero dramma.

GIAN MICALESSIN:
Grazie Sobhy per questa spiegazione, che è complessissima anche per noi che andiamo tanto spesso da quelle parti, ed è difficilissima da capire questa questione dei documenti.

DOMANDA:
Io ho due domande. Nel video si vedeva una famiglia mussulmana, una famiglia ebrea e un frate, la famiglia cristiana non c’era. Io sono stato a Gerusalemme alcuni mesi l’anno scorso per la mia tesi di laurea e ho in mente, diciamo, la situazione di particolare difficoltà delle famiglie cristiane, che diminuiscono sempre più e vivono in difficoltà. E volevo chiederle come sta andando questa situazione. E la seconda domanda è questa: lei prima citava il problema demografico. Penso che, se prima o poi la cosa si risolverà, si risolverà per quello e nel giorno in cui gli arabi davvero saranno più degli israeliani, gli israeliani decideranno o di non essere più uno stato ebraico, e non penso, o di lasciare quelle terre. E chiedo però questa cosa, che toccavo con mano l’anno scorso: il coinvolgimento della popolazione. Mi sembra che tutto il processo di Oslo e degli anni ’90 sia fallito, perché, mentre i capi decidevano su una eventuale pace, i popoli si conoscevano sempre meno e si odiavano sempre più. Lei prima parlava di germi di conoscenza, di accettazione reciproca. C’è davvero una possibilità di crescita su questo? Io l’anno scorso sono tornato tastando sfiducia su questa cosa.

GIAN MICALESSIN:
Bene, Grazie. Domanda intelligentissima.

SOBHY MAKHOUL:
Risposta precisa. Secondo me e qui ci vuole un processo di educazione alla pace che non è stato fatto mai. Già nel 1991, quando è stato fatto il processo, nessuno si è interessato veramente tra i due popoli a portare avanti un processo di educazione alla pace. Non vorrei essere troppo antieuropeo, ma è anche colpa dell’Europa, per un semplice motivo: ai testi di insegnamento della religione nelle scuole, che sono stati presentati alle autorità palestinesi, abbiamo fatto una critica, cui è seguita la richiesta che venissero cambiati, perché abbiamo detto che non si può insegnare religione nelle scuole palestinesi o ebraiche, parlando male dell’altro. Abbiamo fatto anche uno studio comparato su i testi degli ebrei, dei musulmani e dei cristiani è uscito fuori che i musulmani parlano male dei cristiani, citano tutte le “cavolate” della storia, i problemi della storia, lo stesso fanno gli ebrei. Allora se noi vogliamo veramente imboccare un processo di pace, devono incominciare anche i bambini delle scuole a fare un processo di educazione. Quando ci siamo rivolti alla comunità europea che finanziava tutti i testi del curriculum delle scuole, abbiamo detto: voi cosa venite a fare qui in Palestina? Noi veniamo perché vogliamo aiutare questi popoli a trovare la pace. Va bene. Allora questi testi che voi stampate e pagate milioni, guardateli, possono portare a un processo di educazione alla pace? Sai qual era la risposta intelligente degli europei? A noi non ci interessa il contenuto. Nel 2000 quando è fallito tutto, siamo tornati alla violenza peggio che nel 1991, perché? Perché tra la gente l’odio è rimasto odio, la violenza è rimasta violenza. Perché è fallito il processo di pace? Perché i capi non sono riusciti a firmare gli accordi, la gente si è scoperta quella che è ed è scoppiata tutta la violenza peggio di prima.

GIAN MICALESSIN:
So che c’era un’altra domanda interessante, lui diceva: “per fare questo documentario hanno preso un sacerdote, non hanno preso una famiglia cristiana; dove sono finiti i cristiani? I cristiani che c’erano, che facevano la birra?

SOBHY MAKHOUL:
I cristiani non so dove sono finiti, ma non so perché hanno preso il prete, forse perché ha avuto il fratello che è stato ucciso

GIAN MICALESSIN:
C’è effettivamente una grande fuga dei cristiani.

SOBHY MAKHOUL:
Si, veramente. Forse qui non si è parlato nemmeno della situazione della comunità cristiana in modo concreto. Ciò che vivono i musulmani, ciò che vive la signora musulmana lo vivono anche le famiglie cristiane. Non è stato messo in evidenza, in nessuno modo, la questione dell’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa, che, grazie a Dio, attualmente si è ridotta moltissimo, ma fino al 2005 era molta. Molti cristiani partivano, per tanti motivi, non solo per la questione del lavoro, degli studi ma anche a causa di un certo tipo di politica del governo israeliano, soprattutto per i cittadini di Gerusalemme, secondo la quale a chi va all’estero per due anni per studiare e non torna, viene tolta la carta di identità e non può più tornare a casa. C’è, in un certo senso, un’azione mirata a ridurre il più possibile la presenza cristiana a Gerusalemme, più che in territorio palestinese. I cristiani oggi a Gerusalemme non sono più di 6000/7000, quando nel passato arrivavano anche a 20.000.

DOMANDA:
Sembra quasi che questa questione israelo-palestinese si porti dietro come una maledizione, come qualcosa di irrisolvibile, perché non ci sono solo due popoli che vivono quella terra, ma mezzo mondo dietro a un popolo e mezzo mondo dietro a quell’altro, perché gli israeliani sono diffusi in tutto il mondo e gli islamici sono diffusi in tutto il mondo, per cui non bisogna soltanto mettere d’accordo quei due popoli che vivono in quella terra, ma anche tutto il resto del mondo che parteggia per l’uno e per l’altro. Il punto cruciale sembra quasi che non sia soltanto la questione dei territori, perché magari il territorio si trova anche, ma il tempio? La spianata del tempio, chi la prende?

SOBHY MAKHOUL:
Questo è un problema serio, perché, è logico, il tempio stava in quella spianata lì. Ma una domanda: è giusto adesso distruggere le moschee per mettere il tempio? Guardate, quelli che avete visto, quel gruppo di fedeli del tempio, vuole farlo; loro sono intenzionati, nel momento in cui potessero farlo, a distruggere le moschee per ricostruire il tempio. Sicuramente un problema molto delicato.

GIAN MICALESSIN:
C’è una vecchia soluzione proposta dal Vaticano tantissimi anni fa, che poi è riemersa varie volte, quella di fare della città antica di Gerusalemme una sorta di cittadella protetta.

SOBHY MAKHOUL:
E’ una proposta del Vaticano del ’23, che è stata ripresa dalle Nazioni Unite nel ’47, di fare di Gerusalemme una città a statuto speciale, per poter offrire un accesso libero a tutte le religioni. Il problema specifico delle moschee, non so come si può risolverlo. Se arriverà il giorno in cui i nostri fratelli ebrei riscopriranno Gesù Cristo, non avranno più bisogno di ricostruire il tempio. Perché noi sappiamo che tutta la questione del tempio, che è stata detta nel video, ma non è stata detta in modo corretto, è che l’ebreo nel giudaismo ha visto nell’Arca dell’alleanza la presenza tangibile di Dio tra il suo popolo. Cioè per loro la presenza di Dio era attraverso le Tavole della Legge, quindi quando sono state portate le Tavole della Legge nel tempio, lì era la presenza di Dio. Per loro attualmente quel muro che vedete è il resto del recinto che era stato costruito da Erode e per loro ha questa importanza. Questo problema delle moschee e del tempio è molto complicato. La questione del conflitto palestinese-israeliano è vero che non è solo locale, ma i popoli stessi quando devono decidere quale strada scegliere devono essere aiutati dagli altri. Noi siamo gli scacchi mondiali, dove tutto dipende dalla politica mondiale che influisce moltissimo sulla nostra situazione. Adesso Obama ha scelto di fare questo, poi l’hanno bloccato; Bush ha fatto altre cose, tutto dipende anche dalla politica mondiale. Se ci fosse stato il petrolio lì, lo risolvevano subito, ma siccome non c’è il petrolio, ci lasciano lì.

GIAN MICALESSIN:
Purtroppo devo chiedervi l’ultima domanda, perché siccome di questa questione si discute dal ’48, noi andremmo avanti fino a mezzanotte e otto! Quindi un’ultima domanda.

DOMANDA:
Una settimana fa ero in Terra Santa per la prima volta e questa prima visita, questo primo pellegrinaggio, è stato guidato dalle parole del Papa dell’ultimo anno, il quale, quando si parlava di dialogo interreligioso, di popoli che si incontrano, invitava a non porre l’attenzione su fatti storici, su dogmi ecc, ma che l’unico modo di parlarsi e di incontrarsi è la cultura, per cui io ho detto: in questo viaggio guardo tutto, cercando di non farmi fuorviare dai preconcetti, guardo questa cosa qui, la cultura. E devo dire che la cosa che mi è rimasta più impressa sia a Gerusalemme, sia nei territori palestinesi, siamo stati a Gerico ospiti nella parrocchia del Buon Pastore, è come le culture diverse presenti nel posto, in questa ristretta zona geografica, portano in sé il segno molto diverso di quello che le ha generate. Lì ho visto tanta distanza, il rispetto della persona che ho visto magari semplicemente nella cura della propria casa …

GIAN MICALESSIN:
Domanda!

DOMANDA:
A questo livello, a livello culturale che cosa si riesce a fare? Che si può fare per permettere a questi popoli di incontrarsi? Perché anche prima lei diceva che lo stato palestinese non è nato per volontà ebraica. L’impressione che ho avuto è che da una parte c’è uno stato che comunque ha cura dei propri cittadini, dall’altra mi sembra che sia un po’ latitante.

SOBHY MAKHOUL:
Alcune parti del mondo arabo, del mondo musulmano, stanno vivendo il medioevo che avete vissuto voi in Europa 700 anni fa. C’è bisogno di tempo perché anche questo popolo vada avanti. Quello che era l’Europa nel Medioevo, lo stiamo vivendo ora in alcune parti del Medio-Oriente, perciò prima o poi dovranno arrivare. Il legame stretto tra cultura e religione è una cosa molto importante e nessuno lo può negare. Non puoi non dire che anche la cultura porta segni dell’ appartenenza religiosa. Quando il cristianesimo ti educa alla disciplina, alla bellezza, all’ordine, tu lo senti e lo vivi anche nella tua vita. Quando la tua religione non ti dà questa possibilità, non l’avrai mai. Potrai acquisirlo attraverso il contatto con gli altri, attraverso il dialogo con gli altri. Perciò quello che dicevi tu è vero. Noi dobbiamo dare questa possibilità anche ai popoli arabi; poi se tu prendi il popolo arabo-palestinese è diverso da quello giordano, è diverso da quello egiziano, finché arriva il momento in cui comincia a crescere. Il problema è che sono sempre prigionieri della religione la quale li lega lì. Guardate, solo il cristianesimo libera l’uomo, con tutto il rispetto. Le altre religioni li fanno di nuovo diventare schiavi: il formalismo, l’osservanza della legge dei miei fratelli ebrei, dei miei fratelli musulmani. Gli ebrei hanno potuto oltrepassare questo aspetto perché hanno fatto una trasformazione attraverso il laicismo; il processo di laicità ha permesso di oltrepassare i limiti che imponeva il formalismo religioso. I miei fratelli musulmani non sono stati capaci ancora di farlo. Qui è il nostro ruolo, come aiutarli ad uscire da tutto ciò. Poi sul dialogo, non voglio più sentir parlare di dialogo interreligioso, perché non esiste dialogo interreligioso. Specialmente tra cristiani e musulmani, perché sono due mondi diversi, a livello teologico. Poi, alcuni che vogliono fare tutto facile, cominciano a dire: “credono nella Madonna”, lasciamo perdere, noi siamo il popolo del Verbo Incarnato, loro sono il popolo del Libro. Sono due cose diverse, ragazzi, non fate sincretismo, soprattutto qui, perché qui tanta gente fa sincretismo per far vedere “vi vogliamo bene”, ma loro sono loro e io sono io. Solo se noi partiamo dalla nostra identità, con coscienza chiara, può venire il dialogo o l’incontro culturale, nel quale si può anche aiutarli a salvarsi alla fine. Grazie.

GIAN MICALESSIN:
Un grazie di cuore a Sobhy, che vi ha veramente conquistato stasera. Io penso che veramente saremmo potuti arrivare a mezzanotte con le domande. È stata una bellissima ultima serata, ma io vi ringrazio anche per la vostra partecipazione nelle serate precedenti. Grazie a voi negli anni, perché sono 3 anni che va avanti questa rassegna di documentari, siamo sempre più spronati ad andare avanti e a proporvi documentari sempre più belli. SKY che quest’anno ha sponsorizzato, per la prima volta, questa manifestazione, era stupita dell’attenzione e si è congratulata con noi e noi, io e Roberto, abbiamo detto: “noi non abbiamo fatto niente, noi dal primo giorno in cui abbiamo aperto questa sala l’abbiamo sempre avuta piena”. Quindi grazie a voi per essere sempre stati con noi così presenti, grazie per la vostra attenzione, grazie per le vostre domande e ci rivediamo il prossimo anno. Grazie mille.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

28 Agosto 2009

Ora

19:00

Edizione

2009

Luogo

Sala A4
Categoria
Testi & Contesti