SPIRTO GENTIL – MANDULINATA A NAPULE

Guida all’ascolto con Gianni Aversano

 

PIERPAOLO BELLINI:
Buonasera, benvenuti al primo appuntamento di Spirto gentil. Se prendiamo posto possiamo cominciare. Come avete visto, immagino, dal programma, quest’anno sono previsti solo due incontri, due guide all’ascolto, quindi cercheremo di rendere il percorso il più efficace possibile, come al solito, per affrontare con i nostri strumenti, con il nostro linguaggio, che è quello musicale, un percorso, un minipercorso di aiuto all’approfondimento di questo titolo. Quando l’anno scorso abbiamo cominciato a ragionare intorno a questa bellissima provocazione, “Tu sei un bene per me”, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata una canzone di Domenico Modugno che si intitola Tu si’ ‘na cosa grande pe’ mme e ho detto: potremmo partire con questo. Potremmo partire con l’impressione immediata e non sempre scontata che l’altro è una cosa grande e nel dire questo ho cercato di riprendere tanti spunti, tante provocazioni che hanno segnato la mia percezione dell’altro come cosa grande. Sicuramente quello che mi ha insegnato di più a percepire questa grandezza è stata la grande tradizione del canto napoletano. Che poi ho voluto in qualche modo collegare, per chi ci sarà giovedì, a un altro autore totalmente diverso ma che gira attorno a Napoli lui stesso, che è Giovanni Battista Pergolesi, con una creazione molto diversa dai canti napoletani che è lo Stabat mater, ma che ha a che fare con la grandezza dell’uomo, a quali condizioni. Oggi partiamo da questo primo repertorio e la domanda che mi è venuta nell’ascoltare certe canzoni napoletane che don Giussani, che è il fondatore della collana, amava tanto è la domanda quanto grande, e perché grande, visto che di piccolezza umana siamo circondati, perché la televisione ci riempie gli occhi di piccolezza umana. Che cos’ è la grandezza, dove sta la grandezza? Questi canti che ascolteremo hanno un’intuizione e una affermazione, a mio parere, anche travolgente. Mi riferisco in particolare a una canzone che arriva a dire una cosa, magari lo ascoltiamo astrattamente e il napoletano non tutti lo capiamo, a un certo punto c’è una canzone che ascolteremo che dice: “Stanotte amore e Dio sono una cosa”. A me questa affermazione ha veramente colpito in maniera indelebile, perché arrivare a dire una cosa del genere o è semplicemente un sogno oppure è un’affermazione travolgente. Questa notte l’amore, l’amore per te e Dio, sono una cosa unica: la coincidenza, o la possibile, sognata, desiderata, auspicata coincidenza dell’amore per la donna con il cammino per il tramite a Dio, al destino, è una cosa travolgente. Mi permetto di fare una citazione, anche qui forse potrà sembrare un po’ azzardato come accostamento: a un certo punto Leopardi, guarda caso anche lui morto a Napoli, parlando della donna arriva a dire una cosa simile, una donna non troppo fortunata per lui, che si chiamava Aspasia arriva a dire: “Pur ne’ tuoi contemplando i suoi begli occhi”, e parla della bellezza con la B maiuscola. Io ero sicuro che tu mi stavi tirando un tranello, eppure, contemplando nei tuoi occhi i suoi, “della Bellezza, ingannato dal piacere di quella dolce somiglianza”: è un verso straordinario. Questa dolce somiglianza della bellezza femminile, della bellezza del creato, con la bellezza di Dio, è quello che caratterizza quella bellezza straordinaria, quella tensione straordinaria che troviamo in tutti i canti napoletani. Concludo prima di passare la parola e la voce ai nostri amici, con quella sottolineatura che don Giussani fece, proprio riguardo a questi canti, stupito proprio dal fatto che i monaci, i bonzi conosciuti in quegli anni conoscessero i canti napoletani, in particolare Torna a Surriento. E don Giussani chiese: “Perché?, perché conoscete questi canti?”. E il bonzo, sorridendo, aprì le braccia dicendo: “Malinconia”. Ecco, questa nostalgia, questa malinconia, questa attesa che il volto del mistero possa coincidere o attraversare il volto della bellezza che ci sta intorno. Ho chiesto, per introdurci in questo patrimonio straordinario di intuizione e passione amorosa, l’intervento di un amico, che ha fondato un piccolo ensemble di musicisti: è qui con noi Gianni Aversano con Napolincanto. Solo due parole di presentazione: Gianni è cantante, musicista, insegnante di musica e maestro di infanzia. Ha avuto anche una bellissima esperienza politica, oltre a quella artistica, e nel ’97 ha fondato il trio Napolincanto che oggi propone una serie di canzoni napoletane, quasi tutte comprese nel Cd di Spirto gentil. E’ stato premiato, questo trio, come un grande progetto per la riscoperta della canzone napoletana. Questo patrimonio musicale è stato portato in giro per il mondo da questi amici, anche in Rai, ultimamente. L’ultima cosa che vi dico, è che è disponibile la loro ultima fatica, l’ultimo Cd, in libreria. Grazie e buon ascolto.

CANZONE: Torna a Surriento
Ho cominciato con questa canzone perché Tito Schipa, che è un po’ quello che ha scelto queste canzoni, la cantò per la prima volta a Napoli e venne conosciuta proprio grazie alla sua voce. Un fenomeno insolito, perché Tito Schipa non era napoletano, era leccese, eppure la sua voce, il suo amore per Napoli gli diedero questo primato. Per dire che la canzone napoletana è un patrimonio così universale, che tutto possono farlo proprio, così i tenori nel loro modo, così alcuni altri interpreti che più mi corrispondono come stile. Perché le canzoni napoletane, pur non capendo fino in fondo i testi, portano questa malinconia che è un desiderio di felicità. Senza la malinconia, diceva don Giussani presentando questo Cd, senza la malinconia c’è la banalità, senza la tristezza c’è la banalità e in tutte queste canzoni c’è sempre questa tristezza, eppure si dice la cosa più bella, si desidera la cosa più bella. Questa canzone l’ho scoperta perché don Giussani mi ha detto di guardarle fino in fondo, queste canzoni, e allora, quando si dice O sole mio, sta’ in fronte a te, un altro sole più bello è il tuo volto. E così ho capito che questa canzone non andava gridata perché non parlava del sole, di una bella giornata, magari di mare: quando uno ti guida di fronte alle cose, te le fa amare e ti cantare pure meglio.

CANZONE: O sole mio
Don Giussani non conosceva tutte le canzoni napoletane, eppure per quello che ha detto me le ha fatte afferrare fin nella loro radice. E fu un’esperienza incredibile quando lessi il commento alla poesia di Ada Negri: ami il fiore perché c’è, non perché lo annusi o lo strappi: si può penetrare fin nella radice restando a una spanna dalle labbra. Io questa immagine già ce l’avevo. Era questa canzone che descrive questa possibilità di amare venerando. C’è una donna, Rosa, che dorme, e allora l’istinto, male pensiero, vorrebbero afferrarla, baciarla, eppure la strapperebbero dalla sua pace. Quindi, io vorrei baciarti ma il cuore mi dice che adesso non è giusto, e starò qui a guardarti, possedendo più di quanto farebbe con un bacio.

CANZONE: I’ te vurria vasà
C’è nelle canzoni che ho scelto dal Cd questa traccia che possiamo seguire. C’è la capacità di amare in una venerazione, di riconoscere qualcosa di più grande ma non si ferma qui, poi l’amore ti richiede quell’inevitabile sacrificio, magari della non corrispondenza. Infatti, questa canzone appassionata ripete: ti voglio bene e tu mi fai morire! Ti voglio bene, nonostante tu mi faccia soffrire, eppure c’è una bellezza che subito questo amore produce, che è quella rosa che sboccia, innaffiata dalla lacrime d’amore e questa è quella inaspettata dolcezza, quel premio inaspettato che sboccia sulla dura pietra di un dolore.
Abbiamo poco tempo. Diceva l’ultimo verso di questa canzone, “fai bene e scorda”. Ama e non pretendere nulla in contraccambio. C’è un’altra canzone che continua questa dinamica del sacrificio come condizione. Ma c’è un passo in più. Questo sacrificio richiama chiaramente al sacrificio supremo di Cristo. Già nel titolo, Passione. Dice a un certo punto: non mi pesa ‘sta croce che trascino pe te. Questa cosa sembra così strana che i grandi interpreti della canzone napoletana, non tutti, dicono: come pesa ‘sta croce che trascino per te. Magari avrei sbagliato pure io, perché imparare che il sacrificio è una cosa interessante dopo che c’è stata la croce di Cristo, questa cosa è veramente un miracolo, tanto è vero che hanno fatto un film, Passione, con John Turturro. E chi canta questa canzone ripete ahimè questo errore. Ma che grande fortuna, non ho la voce di Tito Schipa però ho la fortuna di avere la capacità di immedesimazione con quello che è detto in questa canzone, e nemmeno per merito mio, sempre perché questa cosa qui me l’ha suggerita chi era il genio dell’umano e quindi ha illuminato anche una tradizione a lui lontana.

CANZONE: Te voglio, te penso, te chiammo.
Il sacrificio più grande è riconoscere una presenza, magari uno può pure titanicamente fare una fatica, ma dove fatichiamo di più è nel riconoscere che c’è qualcuno prima del mio amore. Come ci diceva prima: stanotte amore e Dio sono una cosa. Questo riconoscimento è proprio l’apice della canzone. Stanotte, io sto guardando nei tuoi occhi e i tuoi occhi sono come le stelle del firmamento e il firmamento è Dio. C’è questo amare le cose più vicine e non fermarsi, accorgersi che questa armonia che vedo sul mare di Napoli, è solo guardandola che la mia voce si fa tenera. Riconosco questa armonia, ci sto di fronte e il mio essere prende la forma di ciò che fissa e così di fronte alla bellezza si diventa più belli.

CANZONE: Mandulinata a Napule
“Passa lu tiempo, lu munno s’avota”, ma l’amore vero non cambia strada. Questa canzone è la più bella, a parer mio, perché mette insieme finalmente la gioia di un amore che si rinnova sempre. Come maggio che torna, ti ricordi? Ci incontrammo vicino a quella fontana dove l’acqua non si secca, il desiderio d’amore non si sana e non si è sanato perché dopo tutte le vicende sto qui, son tornato, avevi paura, ma ti ho promesso che sarei tornato. la dinamica è bellissima, non dice: adesso ti abbraccio ma sto qui a venerarti in quest’aria profumata e ti dico: fa’ di me quello che vuoi.

CANZONE: Era de maggio
La prossima è un’altra canzone che raramente eseguo, questa è la prima volta che la facciamo insieme. Però c’è stata l’occasione, nello scorrere la lista del Cd, di andare a guardare un po’ questa canzone. L’origine è interessante, la storia dell’autore. Perché è la serenata di un uomo ad un’altra donna sposata. Fai finta che non stai lì, che non capisci che sono io lì sotto… Una canzone non ortodossa: però la storia dietro invece è bella, la rende umana. Chi ha scritto le parole di questa canzone è un povero giornalista del tempo, Nicolardi, amava questa bella ragazza ed era corrisposto. Solo che questa era promessa sposa ad un ricco possidente e quindi lui scrive questa canzone addolorato per questa situazione. Si immagina questa serenata che non andrà a fare perché rischiava. La cosa bella è che il ricco possidente dopo poco morì. Quindi, non ci stanno problemi di violazione: lui se la sposa e ci fa 8 figli. Un passaggio bello di questa canzone è tutto l’amore di un tormento antico, io ti canto qui tutto l’amore di un tormento antico, di questo desiderio che è da sempre nel mio cuore.

CANZONE: Torna a Surriento
E’ la famosa canzone dei bonzi, Torna a Surriento, fu scritta per un Ministro, poi è stata cambiata. Il testo è interessantissimo, perché ripete sette volte, in due sole strofe, Guarda, guarda, con i suoi sinonimi. Guarda e vide, addirittura guarda le sirene che ti guardano, è chiara l’indicazione di questa canzone. Ad un certo punto, dice: Vide che tesoro che c’è in fondo. E’ bellissimo, perché l’amore è concepito così, questa capacità di sguardo nel profondo e c’è un altro che te lo dice: come fai a lasciare la terra dell’amore? Come fai a lasciare il tuo cuore? Questa canzone dice proprio: Ricordati del tuo cuore e ricordati che la bellezza è nel fondo.
Queste due canzoni non sono contenute nel disco di Tito Schipa, era impossibile perché sono due canzoni che sono state scritte negli ultimi 30 anni, una 6 anni fa. Perché ho scelto queste due canzoni? Perché, come don Giussani, sono arrivato oggi al cuore della produzione attuale delle canzoni napoletane. Ossia, io ho avuto la fortuna, grazie a questo patrimonio che mi è stato tramandato e a tutta la capacità di starci di fronte, di incontrare e diventare amico, tanto amico del più grande poeta contemporaneo, un napoletano che ha 80 anni e ha scritto grandissime canzoni che appartengono alla storia della canzone napoletana: Enzo Avitabile, che è il più grande musicista napoletano. Jonathan Demme ha fatto un documentario su di lui, per dirvi quanto è grande, come espressione della Napoli contemporanea. Incontrando questi grandi artisti, io ho parlato loro di don Giussani e ho fatto vedere come don Giussani mi ha messo di fronte alle canzoni napoletane, e loro si sono meravigliati di come un prete milanese scoprisse così a fondo quella umanità che loro ancora vogliono comunicare. Molte volte ancora loro si struggono perché, mi disse Salvatore Palomba: “Ma guarda nu poco, un prete di Milano doveva capire la mia canzone!”. Perché lui canta e scrive delle canzoni bellissime. Ora ve ne canto una che dice: che miracolo stamattina, io mi sveglio e come con gli occhi di un bambino vedo il mondo per la prima volta. Vi ricorda qualcosa? E quando io gli ho fatto leggere il passo, lui ha detto: “Ma guarda!”. E si è letto tutto il percorso di don Giussani. Due anni fa è stato qui al Meeting, per dirvi che quello che è vero non muore. Io sono contentissimo di avere avuto questo strumento, e non è merito mio, che mi ha permesso di incontrare quella che è la più grande tradizione, che ancora vive con i suoi principali protagonisti. E lui mi ha raccontato che era così stanco che ormai non guardava più niente. E un giorno un amico gli disse: “Salvato’, guarda il mare!”. E lui: “E io l’ho riguardato come se fosse stato la prima volta” e così, in quel momento, tutto il male che vedeva intorno a Napoli si è allontanato. La realtà è positiva, la realtà guardata così, con questa semplicità, diventa positiva.

CANZONE: Che miracolo, stammattina
Enzo Avitabile, che vi invito a cercare su Youtube, ha avuto un percorso di vita… Non sto qui a dire, ma ad un certo punto lui ha scoperto sant’ Alfonso, lo ha scoperto perché era nato nel paese dove era nato sant’Alfonso e nessuno gliene aveva mai parlato. Da quel momento, dopo una tragedia, nella sua vita ha fatto un po’ i conti con questo personaggio e quindi ha scritto delle canzoni. Però si è sorpreso di come io valorizzassi queste canzoni e diceva: “Ma questa non è una preghiera, questo qui è un lamento, è una bestemmia, io grido”. E io: “Ma guarda, la preghiera è proprio questo grido, questa domanda”. Gli ho fatto leggere alcune cose di don Giussani e allora lui si è profondamente convinto che anche la sua domanda così forte, sentirete, che quasi fa male, porta dentro tutta quella speranza, quel desiderio di bene. Così mi ha invitato spesse volte con lui a fare dei dialoghi sulla fede. Facciamo degli spettacoli, questo ve lo sto dicendo proprio perché è incredibile come tutto il cammino di una uomo che ha fatto sul serio con la propria vita arriva a una grandezza di tradizione così lontana, la legge e la guida, addirittura. E questa canzone si intitola Don Salvatore ma si rivolge al Padre Eterno e dice: “Ma a che ci serve la fede, la speranza, se tutto muore, se tutto si fa vecchio”. E poi, ad un certo punto, dice: “Perdonaci se non abbiamo capito niente però in questa vita che è tutta morte, fame, sete, questa è la canzone, questa è la domanda”. Ma alla fine, non so quanto consapevolmente, ci mette l’Ave Verum di Mozart, cioè la preghiera che noi conosciamo nella versione di Mozart, che è il sacrificio di Gesù. Quasi a dire, e infatti lui poi ha detto: “Sì, volevo dire quello, io non so, però è così”. Il genio, magari fa certe cose che nemmeno lui sa, perché dico: “Guarda, la risposta ce l’hai perché stai dicendo che tutto questo dolore ha un senso, perché tutto questo dolore è sanato da quel sangue dissetato, da quel sangue di Cristo sulla croce”.
Grazie.

PIER PAOLO BELLINI:
Intanto ringrazio il trio “svizzero” per la puntualità: solo due avvisi e poi vediamo cosa si può fare. Soprattutto l’ultima canzone che è stata eseguita ci introduce dentro il prossimo appuntamento, quel tema affasciante e anche un po’ pauroso che è il sacrifico, senza il quale la grandezza dell’uomo diventa solo meschinità, lo Stabat mater di Pergolesi ci dirà in maniera cruda e stupenda questo paradosso. Quindi, ringrazio il trio Napolincanto, Gianni Aversano, Michele De Martino, Paolo Propoli, e se volete salutarci tolgo il disturbo. Ci vediamo giovedì alle sette, sempre qui.

GIANNI AVERSANO:
Volevo dire che queste ultime due canzoni le trovate nel nostro Cd alla libreria. Proprio cogliendo lo spunto che ci ha dato lui all’inizio, proprio cogliendo il titolo del Meeting, mi è venuta in mente questa canzone, Tu si ‘na cosa grande pe me. Dice: “Un bene accussì grande”, incredibile, potrebbe essere la colonna sonora del Meeting.

CANZONE: Tu si’ ‘na cosa grande pe’ mme

PIER PAOLO BELLINI:
Arrivederci a giovedì, grazie a Napolincanto.

Data

22 Agosto 2016

Ora

19:00

Edizione

2016

Luogo

Sala Neri CONAI
Categoria
Spettacoli