L’ITALIA AL CUORE DELL’EUROPA

Partecipa Renato Schifani, Presidente del Senato. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.

Il testo dell’incontro è pubblicato nel libro “La conoscenza è sempre un avvenimento”, edizioni Mondadori Università.

 

BERNHARD SCHOLZ:
La ringrazio a nome di tutti per averci fatto questo invito e la ringrazio anche per aver scelto il tema “L’Italia al cuore dell’Europa”, così vicino alla vocazione del Meeting stesso, che infatti si chiama Meeting per l’amicizia fra i popoli. I trent’anni di questo Meeting hanno mostrato in una maniera a noi stessi sorprendente che la tradizione europea, che ha dato l’origine all’identità di questo continente, non è un archivio storico, è una linfa vitale che riesce ancora oggi a creare una cultura più umana, più vera e più bella. È un identità che parte da una storia lunga: la sete di conoscenza e di partecipazione politica di Atene, la ricerca del diritto e la capacità costruttiva di Roma sono state abbracciate e trasformate, potenziate da quel grande avvenimento che è partito dalla Galilea e dalla Giudea, che ha spalancato la ragione e il cuore alla verità e alla carità, come ci ricorda con insistenza e paternità Benedetto XVI. Anche quest’anno, attraverso gli incontri, le testimonianze, le mostre, il Meeting ha dimostrato che la conoscenza, quel grande desiderio di conoscere che è nato in ognuno di noi, non è un processo meccanico ma è proprio un avvenimento. Questa tradizione europea è stata spesso tradita, ma mai dimenticata; spesso ferita ma sempre rinnovata. E dopo le ferite delle due grandi guerre, l’Italia è diventata protagonista di un rinnovamento europeo, firmando il 25 marzo 1957 i Trattati di Roma. Ma questa firma è l’espressione della lunga storia di questo paese che, come nessun altro, ha contribuito con i suoi artisti, i suoi santi, il suo popolo a creare questa caratteristica europea, questa curiosità, questa intraprendenza che caratterizza l’uomo europeo. Di fronte agli attuali tentativi di mettere a rischio questa grande tradizione che vive tra di noi, lei, Presidente, ha detto con determinazione e coraggio, nel suo discorso di insediamento come Presidente del Senato, che l’occidente, l’Europa, l’Italia, o tornano alle loro radici o sono destinati ad un irreversibile tramonto. Siamo chiamati dunque a tenere alto il nome dell’Europa e dell’Italia, sia nel contesto dell’Europa unita sia nel contesto internazionale. L’Italia, quindi, al cuore dell’Europa. A lei, Presidente, la parola.

RENATO SCHIFANI:
Ringrazio tutti voi giovani che mi avete accolto con quello spirito di amicizia e simpatia che contraddistingue da sempre il vostro impegno e la vostra testimonianza. È proprio da voi giovani che noi impariamo il valore del restare uniti anche nei momenti difficili. Voi giovani sapete gettare lo sguardo in avanti, andando oltre le incertezze. Guardandovi negli occhi, ci si sente come in debito perché per voi il dono è veramente gratuito e senza doppi fini. Ringrazio anche i responsabili del Meeting e, in particolare, Giorgio Vittadini, Emilia Guarnieri e Bernard Scholz. Stare qui con voi è come percepire in modo concreto e diretto
quel significato di amicizia che don Giussani ha definito con parole che qui mi piace ripetere: “Questo vuol dire amico, che abbiamo lo stesso destino, abbiamo la stessa via, tu sei parte di me e io di te. La tua felicità è la mia, la mia felicità è la tua, tu sei me”. Ebbene, di questa amicizia, di questa fraternità che oggi mi riservate, vi ringrazio di cuore. L’Italia e l’Europa sono individualità storiche e morali. Non possiamo leggere il destino dell’Italia in modo separato dal destino dell’Europa, sono destini intrecciati che rinviano a un’identità, a un’idea di umanità e di cittadinanza che fanno parte di una tradizione comune di civiltà. La persona viene prima delle istituzioni, le istituzioni vengono prima degli interessi, i valori non sono scambiabili con le convenienze del momento. Eppure, il rapporto tra l’Italia e l’Europa ha conosciuto, e conosce anche nell’attualità, nel presente, momenti di difficoltà e anche crisi profonde. Crisi nella percezione che i cittadini hanno dei valori europei, crisi nei meccanismi istituzionali, che dovrebbero garantire la realizzazione di questi valori. Come ha detto Sua Santità Benedetto XVI: “Cercare di superare la crisi affermando una diversa filosofia, la filosofia della speranza, non significa seguire la strada di un’illusione o di un’astratta utopia. È invece richiesta un’analisi obiettiva, forte ed equilibrata, per impedire il conflitto tra sogno e realtà, tra politica e diritto”. La crisi attuale nel rapporto tra Italia ed Europa è anche la conseguenza del non semplice funzionamento del nostro sistema istituzionale. In Italia si sono succeduti negli ultimi quindici anni tre tentativi di revisione della parte seconda della Costituzione, tutti infruttuosi. Più volte ho sostenuto, da un lato, la necessità di modernizzare in alcune sue parti la Costituzione, dall’altro, l’opportunità di ristabilire quel clima di dialogo e reciproco rispetto che sta alla base di ogni processo costitutivo. E’ dannoso e pericoloso per l’Italia impedire il riavvicinamento e il dialogo tra forze politiche diverse, esasperando un clima di scontro che anche l’opinione pubblica ormai riconosce come del tutto strumentale per altri fini. Pianificare e attuare in modo scientifico tentativi fini a se stessi di delegittimazione e di indebolimento dell’immagine dei propri avversari politici è un prezzo troppo alto, che il paese non merita di pagare. Riaprire oggi una stagione costituente è una risposta che le istituzioni devono al paese e alle future generazioni. Per ripartire, serve innanzitutto abbandonare una serie di tentazioni che, talvolta sotto traccia, pregiudicano ogni occasione di dialogo e di confronto positivo. La prima tentazione è quella di disegnare progetti di riforma contro qualcuno, ovvero in modo simmetrico, seguendo la logica facile e allo stesso tempo ingannevole del proprio tornaconto più immediato. Una seconda tentazione è quella di rallentare il percorso rifondatore con pregiudiziali invalicabili o con rivendicazioni gelose di proprie competenze. La terza tentazione è quella di innamorarsi di disegni o teorie che non conoscono altra logica che quella della perfezione e ripudiano energicamente qualsiasi proposta con atteggiamenti di netta chiusura ad ogni suggerimento alternativo o migliorativo. Vorrei adesso limitarmi a tracciare alcuni aspetti che ritengo interessanti: il bicameralismo perfetto va innanzitutto riformato nella consapevolezza che il Senato non è morente e non è decadente, né sarà destinato a divenire un domani una Camera. Finora l’equilibrio fra i poteri ha portato alla duplicazione di identiche procedure. In questo frangente storico, siamo di fronte a due straordinarie opportunità: la prima è la crescente valorizzazione delle istanze provenienti dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle autonomie locali; la seconda è rappresentata dal Trattato di Lisbona, che rafforza il Parlamento Europeo e contemporaneamente richiede una maggiore partecipazione dei parlamenti nazionali. All’interno dell’arco tracciato in una riforma in senso federale dello stato dei meccanismi di controllo, rafforzato dalla sussidiarietà, un Senato dell’Europa e delle regioni rappresenterebbe un salto di qualità senza precedenti. Anzi, proprio perché punto di saldatura fra solidarietà e sussidiarietà, tra centro e periferia, tra Europa e regioni, questo Senato diventerebbe la leva per permettere alle diverse realtà del paese di sentirsi concretamente, efficacemente rappresentate all’interno delle istituzioni. Certo, ci sono materie che rimarrebbero nella disponibilità di entrambi i rami del parlamento: penso alle modifiche alla costituzione nella legge elettorale. Il futuro Senato però non soffrirebbe della perdita di una parte significativa della sua competenza legislativa, qualora gli venissero attribuite nuove responsabilità e funzioni in via esclusiva. Penso ad esempio al potere di nomina dei componenti della Corte, degli organi di garanzia e delle autorità indipendenti, al potere di esprimersi sulle relazioni presentate dagli organismi di vigilanza, ai poteri di inchiesta rispetto all’attività. Penso infine alla stessa possibilità di censurare l’operare del governo ed obbligare la Camera ad esprimersi nuovamente sulla fiducia all’esecutivo. Gli effetti positivi di una riforma così concepita sarebbero molteplici: innanzitutto, lo snellimento della dinamica dei rapporti tra governo e parlamento. Infatti, i tempi di approvazione di un disegno di legge governativo sarebbero inevitabilmente più rapidi, con il conseguente venir meno del frequente ricorso alla decretazione d’urgenza. Il Senato dell’Europa e delle regioni andrebbe anche nella giusta direzione del superamento del divario tra Nord e Sud, tra aree ricche e aree svantaggiate; servirebbe a rinsaldare lo spirito di autentica unità nazionale che è l’anima nobile del paese e a riconoscere allo stesso tempo le specificità, le necessità, le emergenze dei singoli territori. Perché ciò si realizzi è assolutamente indispensabile abbandonare ogni logica di muro contro muro e accettare il dialogo, che non deve rappresentare soltanto un obiettivo ma anche un dovere della politica. Ci si può confrontare e anche scontrare, ma il riuscire a cogliere a volte elementi di positività nelle idee altrui, costituisce un valore che alla politica dà ricchezza ed alta responsabilità. Il Senato dell’Europa e delle regioni, tra l’altro, è il giusto modello parlamentare che si addice alla riforma federale dello stato, in corso di avvio. Il federalismo è l’assetto condiviso da quasi tutte le democrazie, e porrà fine a un’Italia a due velocità. Questa grande opportunità non deve essere dispersa. E non giovano certamente all’effetto unitario del federalismo idee di separatismo e di regionalismo, o qualche solitaria ed originale presa di posizione, come quelle di cui abbiamo sentito parlare in questo periodo estivo. Oggi, a centocinquant’anni dall’unità nazionale così faticosamente conquistata, che ha significato per tutti noi l’inizio di un processo che ci ha portato nel dopoguerra libertà, democrazia, benessere, non possiamo permetterci di tornare indietro. Così come non possiamo indulgere a idee calate dall’alto, relative ad ipotesi di nascita di nuovi partiti senza un radicamento reale nel territorio. Si andrebbe contro la spinta alla semplificazione politica indicata chiaramente dagli italiani con le elezioni del 2008: sono tentativi antistorici e dannosi per le esigenze unitarie nazionali. Se l’Italia è oggi al cuore dell’Europa, lo si deve all’impegno e alla tenacia dei nostri cittadini che hanno creduto nel valore fondante della sua unità. Entro questa cornice di sistema, la sussidiarietà non è uno slogan, è un bene per l’Italia e per l’Europa. Sussidiarietà e solidarietà sono valori che esprimono il grado più alto di civiltà di un paese. Senza il riconoscimento delle realtà più vicine e a stretto contatto con i bisogni reali delle persone, si cade nel centralismo e nell’assistenzialismo. Senza la consapevolezza dei bisogni degli altri e la volontà di sentirsi parte di un’unica storia, si cade nella logica delle contrapposizioni e delle rivalità fine a se stesse. Dentro il doppio binario della sussidiarietà e della solidarietà, si può guardare tutti insieme al proprio futuro. Nella sussidiarietà verticale, le istituzioni debbono riconoscere il loro limite naturale contro ogni tentazione di prevaricazione, di egemonia, che mortifichi le esperienze e le potenzialità delle singole realtà legate al territorio. Stato, regioni, autonomie locali non devono ispirare le loro scelte a criteri legati all’appartenenza o meno alla stessa maggioranza che sostiene il governo. Gli unici criteri da seguire devono essere la promozione e lo sviluppo della comunità che esse rappresentano. Serve allora riconoscere che gli interessi della loro nazione sono strettamente collegati con quelli dei territori. Non c’è grandezza e non c’è prospettiva di crescita al di fuori di un patto di solidarietà e di un vincolo di fiducia tra stato e realtà locali, che prescinda dal rispettivo colore politico. Servono lealtà, correttezza, collaborazione istituzionale. Nella sussidiarietà orizzontale, lo stato, le regioni, le autonomie locali devono ricercare il senso profondo della loro stessa missione originaria. Il volontariato, l’associazionismo, le organizzazioni non profit rappresentano una risorsa da valorizzare per uno stato che si proponga come equilibrio tra autorità e libertà per tutti i suoi cittadini. Tutti devono sentirsi parte di un progetto comune, di una appartenenza concreta e ideale, di una storia dove non si resta spettatori ma si è protagonisti. Nella responsabilità verso l’altro, anche sconosciuto, lontano, avversario, si vince ogni pregiudizio e si fa della libertà la leva e lo slancio che rende ciascuno di noi uomo di speranza per il proprio tempo. Anche il superamento della attuale crisi economica e finanziaria passa attraverso un recupero pieno della dimensione etica del comportamento individuale: il mercato non è l’arena della spregiudicatezza ma deve ritornare ad essere una occasione di sviluppo e crescita per chi è debole e svantaggiato, per chi è ai margini della società e va riportato al centro dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Importante é non cadere nell’abbaglio di ritenere ogni questione superabile solo con una ricchezza di segno materiale. Non è il denaro la misura della nostra umanità, ma è la nostra umanità la misura di ogni vero successo. La ricchezza di umanità – come ha affermato Sua Santità Benedetto XVI – è indispensabile per una buona società e un vero sviluppo integrale e si realizza anche nella disponibilità a condividere il nostro tempo con chi ci sta accanto, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, dolore, malattie. Nel vincere la solitudine degli altri anche noi siamo meno soli. Il completamento del processo formativo dell’Unione europea non è ancora concluso, vi sono ancora elementi critici di carattere istituzionale e politici. Il Trattato di Lisbona rafforza la presenza parlamentare, innanzitutto in una materia di grande delicatezza quale lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, alla quale tanto sono sensibili i singoli paesi, quanto appaiono urgenti ed ormai indilazionabili le risposte da parte di tutta l’Europa. Fenomeni come l’immigrazione, il diritto di asilo, la sicurezza impongono un impegno maggiore e diretto delle istituzioni europee. Qualcosa si sta muovendo, ma bisogna fare presto e bene. Gli stati non possono essere lasciati soli e nemmeno risultare gli unici destinatari di critiche o imputazioni di responsabilità che vanno condivisi con altri. Gli stati vanno aiutati prima della emergenza, e quando intervengono per affrontarle devono poter contare su uno spirito leale di cooperazione internazionale, perché le emergenze degli ultimi decenni, quali ad esempio il terrorismo e l’immigrazione, travalicano i confini di ogni singolo paese. In particolare, un problema di estrema attualità quale l’immigrazione ha richiesto e continua a richiedere scelte rigorose a tutela della legalità e di corrette regole di convivenza. E’ doveroso, infatti, che chi viene in un paese diverso dal proprio debba assolutamente rispettare le leggi del territorio che lo ospita. E ciò, sia al momento del suo ingresso che durante la sua permanenza. Ma esistono principi sacrali irrinunciabili, esiste un principio etico naturale di fronte al quale a nessuno è consentito ignorare l’uomo e volgere lo sguardo dall’altra parte: mi riferisco al diritto di soccorso di chi si trova in estremo stato di bisogno e di necessità, col rischio della vita, sia perché in situazioni fisiche o ambientali disperate sia perché provenienti da paesi dove vengono calpestati i diritti fondamentali della persona. E ben vengano i richiami al rispetto di questi principi da parte della Chiesa, che esercita il proprio diritto-dovere di intervenire sui temi etici della nostra società. Sono richiami che aiutano ogni coscienza a ritrovare nell’amore verso il prossimo il giusto percorso della propria esistenza terrena. Recentemente, tuttavia, troppe polemiche hanno interessato governo, mondo della politica e mondo della Chiesa, polemiche che non determinano un approccio costruttivo al tema. Occorre infatti raggiungere un punto di equilibrio fra legalità e solidarietà, fra tutela della sicurezza e rispetto della dignità umana. Ecco perché mi auguro che si abbassino i toni, consapevoli del fatto che nel nostro paese è profondamente radicato il rispetto della vita umana di qualunque colore e razza: e le tantissime accoglienze e salvataggi in mare che i nostri mezzi navali hanno effettuato in questi anni e continuano incessantemente ad effettuare stanno a dimostrarlo. Questa basilare umanità che significa solidarietà in situazioni sociali e politiche complesse, per essere efficace deve però trovare un supporto in una equivalente azione di tutta la comunità europea. Accanto a questi fenomeni transnazionali, esistono altri temi squisitamente nazionali, quali la lotta alla criminalità organizzata e il problema della giustizia civile e penale. Sulla lotta alla criminalità organizzata, l’Italia sta facendo bene la propria parte e non a nulla da invidiare agli altri stati europei. La legislazione sempre più restrittiva introdotta dal Senato con l’inasprimento del carcere duro e le incisive forme di sequestro di patrimoni mafiosi da me fortemente auspicate, sono strumenti efficaci dai quali non si può né si deve tornare indietro. Sarebbe un errore gravissimo che non possiamo commettere, attenzione a non abbassare mai la guardia. Fenomeni come la mafia sono un cancro da combattere senza quartiere, con fermezza e coraggio: ce lo impone anche il sacrificio delle vittime innocenti e dei servitori dello stato morti per mano mafiosa, e allora dico: tolleranza zero contro la mafia. La piena sintonia con gli altri paesi europei e la sempre più incisiva cooperazione internazionale sono risultati positivi che rendono il nostro paese al centro dell’Europa. Esiste tuttavia un’altra emergenza, per la quale il nostro stato è in difetto rispetto ai parametri europei. Parlo della lentezza della giustizia italiana, perché è dalla celerità dei tempi di risposta alla domanda di giustizia di un popolo che si misura l’efficienza di uno stato. Oggi l’Italia è il paese europeo che più degli altri ha subito condanne da parte della Corte di giustizia europea, proprio per l’eccessiva durata dei processi. Se l’Italia vuole essere al centro dell’Europa è tempo di allinearsi agli standard europei. La riforma sulla giustizia non è più rinviabile, ci deve essere un’autentica priorità condivisa per consentire al nostro paese di essere alla pari degli altri. Una legge che sveltisca i tempi di attesa ma che conservi le necessarie garanzie di difesa, è quello che chiedono da più parti i cittadini. Le nuove norme del processo civile sono state già approvate recentemente dal parlamento: occorre che la riforma del processo penale, oggi già all’esame del Senato, si faccia presto in un clima di confronto costruttivo fra le parti. E’ tempo che su questo tema maggioranza ed opposizione assumano una posizione costruttiva e lungimirante e abbandonino qualunque posizione preconcetta, ponendo l’esclusivo interesse del cittadino quale unico obiettivo da perseguire. L’attuale contesto del Trattato di Lisbona dovrebbe consentire quel dialogo diretto fra istituzioni dell’Unione e parlamenti nazionali in grado di incalzare l’attività dei governi. Eppure, le ultime elezioni europee del 2009 che si sono tenute, mentre il Trattato di Lisbona deve entrare ancora in vigore, attestano una disaffezione preoccupante di un ampio raggio, proprio nei confronti dell’Unione europea. Anzi, vecchi spettri sembrano nascondersi, innanzitutto il razzismo, la xenofobia, un atteggiamento di indifferenza verso il destino dell’Europa. Sono fenomeni rispetto ai quali va tenuto alto il livello di guardia, sempre e comunque. L’Italia deve proporsi all’interno delle istituzione europee come fattore di rinnovamento, perché esse non appaiano come apparati autoreferenziali, burocrazie e sistemi lontani da persone, dai popoli, dagli stati. Serve nuovo smalto, una nuova immagine degli organismi europei e di una maggiore efficienza. E questo recupero non può che partire proprio dall’interno delle singole realtà nazionali. Talvolta le decisioni europee sono apparse inefficaci, in ritardo rispetto alle emergenze, insensibili ai legittimi interessi dei cittadini: non va tuttavia confusa la malattia con la cura. Non possiamo dimenticare il grave e fondato rischio di fare apparire l’Europa la causa del male: sarebbe un errore fatale. Anche la voce dell’Europa deve essere calibrata su una tonalità nuova. Sono i singoli cittadini e le famiglie a rappresentare la vera priorità, anche per la politica della Unione europea. La famiglia rappresenta una istituzione sociale di grande interesse pubblico, che i nostri padri costituenti vollero fosse supportata con misure economiche per la sua formazione, ma anche per lo svolgimento dei compiti cui essa è destinata. La Costituzione le ha attribuito dignità giuridica e centralità che restano immutate anche di fronte alle trasformazioni e all’evolversi della società civile. Anzi, la coesione sociale che racchiude la famiglia è divenuta e continua ad essere una insostituibile garanzia. La famiglia è il cardine della società e dello stato, punto nevralgico nel sostegno dei più deboli, ammalati, disabili, e segnata dal succedersi della cooperazione di giovani, adulti, anziani. La famiglia è l’ammortizzatore sociale per i giovani prima che raggiungano l’indipendenza economica, e per gli anziani non più idonei a badare a se stessi. Nel nostro paese, spesso, la famiglia assolve a quei compiti che, soprattutto nel nord Europa, sono di esclusiva competenza della stato. Di fronte al grande valore, al ruolo e al significato di questa fondamentale istituzione, la politica è chiamata a dare risposte concrete. Non va quindi disperso o relativizzato il valore tradizionale famigliare. Per le giovani generazioni la famiglia non può apparire un retaggio del passato rispetto a nuovi modelli ma una prospettiva autentica per il proprio avvenire. I temi della precarietà lavorativa, la tutela delle madri, della promozione della famiglia quale fattore di coesione sociale ed equilibrio intergenerazionale, devono avere una importanza pari ai temi della concorrenza e del mercato. Il tema della Costituzione europea apre anche uno squarcio sulla crisi che attraversa la società e la cultura del nostro continente. Si è detto che sarebbe secondario chiedersi di quale popolo e di quale territorio la Costituzione europea avrebbe dovuto rappresentare la Carta fondamentale. Si è anche cercato di ridimensionare fortemente il tema della radici e della eredità culturali, religiose ed umanistiche dell’Europa, che oggi compaiono per la prima volta nel Preambolo del Trattato di Lisbona, seppure in una versione minimalista. Ma è pur vero che l’Italia e l’Europa non possono prescindere dalle loro radici cristiane, che caratterizzano da 2000 anni il nostro continente, la nostra civiltà, la nostra storia, la nostra identità. Radici delle quali voi, giovani di Comunione e Liberazione, siete preziosi custodi e testimoni. Talvolta, di fronte alla questione dei confini dell’Europa, si è ritenuto vincente il paradigma dello spazio aperto, in realtà per evitare di affrontare in modo risolutivo i problemi connessi all’allargamento dell’Unione, senza per altro chiarire che, se l’Europa è uno spazio aperto, non può diventare uno spazio vuoto, dalle sembianze irriconoscibili. Il tema della identità e delle radici comuni dell’Europa non può essere facilmente accantonato o eluso. Non si tratta infatti di rincorrere facili immagini che oscurano la complessità del fenomeno dell’integrazione europea: si tratta invece di chiedersi se i cittadini dell’Europa del nuovo millennio e le istituzioni saranno capaci di unirsi intorno a quella idea di identità arricchita che li porterà ad avere nei confronti dell’altro, non semplice sentimento di tolleranza ma autentico rispetto, senza per questo rinunciare ai propri valori ed ideali. Confondere il tema delle radici spirituali dell’Europa con quello della separazione della sfera pubblica da quella religiosa, è di per sé ingannevole. La separazione non è messa in alcun modo in discussione, nella levata di scudi ideologici contro il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane. L’Europa appare talvolta malata di strabismo: da un lato, si fa portatrice di una cultura aperta alla tolleranza e al rispetto di culture diverse dalla propria, alla tutela di tutte le religioni. D’altro lato, sembra come debole e fiacca nel chiedere pari rispetto per chi testimonia la fede cristiana in altri luoghi, a costo anche del proprio martirio, come se il cristiano perseguitato fosse meno degno di attenzione degli altri. Una Europa così incline a girarsi dall’altra parte, a chiudere gli occhi sulla propria identità, rischia di restare immobile, seduta su se stessa, priva di vitalità. Ci sono stati troppi silenzi, condividendo il pensiero di Sarkozy sui modelli di laicità ostile, di laicità indifferente, serve proporre un senso di laicità rispettosa, per la quale la religione non è soltanto un fenomeno di culto ma anche l’evento di identità culturale. E a proposito di questo, voglio qui ribadire che il tentativo in atto di negare valore all’insegnamento religioso mi lascia fortemente critico e perplesso. Si invoca la teoria dello stato etico, quando invece si vuol fare proprio dell’etica di stato lo strumento per mettere in clandestinità perfino le coscienze. Ci si propone di non discriminare, discriminando invece i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti che riconoscono importanza alla cultura religiosa. Si dimentica che ogni insegnamento di qualsiasi materia non è solo informazione ma formazione della persona, veicolo di valori ideali e di convivenza civile. Si vorrebbe addirittura affidare in esclusiva alla scienza e alla tecnica l’ultima parola su quello che si può o non si può fare, e magari si prospetta una pregiudiziale scientifica per impedire anche la sola discussione pubblica sui temi più sensibili, come quello dei rischi connessi alla pillola RU 486. Rischi innanzitutto per la stessa salute della donna, per la possibilità di insinuare e nascondere pratiche abortive clandestine per vie legali. Dall’altra parte, la tutela della vita nascente e la tutela della vita che si spegne sono gli assi portanti della storia di civiltà di un paese. Tanto più flebile è il rispetto della vita, tanto più a rischio il futuro di una comunità civile. Anche sul testamento biologico le soluzioni approvate in parlamento andranno rispettate, perché frutto di un libero dibattito e di un libero voto senza condizionamenti esterni di carattere etico. La laicità, infatti, comporta assunzione di responsabilità dinnanzi alle proprie coscienze, alle proprie sensibilità, alla propria cultura ed anche, per chi crede, alla propria fede. Quando è all’esame del Senato una qualunque proposta di legge, mi astengo rigorosamente dall’esprimere giudizi di merito sul suo conto. Taccio. Il mio ruolo super partes mi impone il silenzio, dopo che da capogruppo del mio partito, per molti anni, quasi quotidianamente, ho rilasciato dichiarazioni sui temi politici del paese. Ecco perché, quando il Senato discuteva il disegno di legge relativo al testamento biologico, non mi sono mai espresso sul merito della proposta. Ho soltanto sostenuto che fossero maturi i tempi perché il parlamento legiferasse sul confine tra tutela della vita e fine della vita. Oggi l’argomento è alla carica, il Senato si è pronunciato. E’ stato affermato un principio che ritiene che idratazione ed alimentazione non costituiscano accanimento terapeutico. E’ stato ritenuto prevalente l’interesse a tutelare malati non più in grado di esprimere la propria volontà. L’inviolabilità della vita, se sostenuta esclusivamente attraverso l’irrinunciabile elemento della nutrizione, non può essere un bene soggetto a restrizioni o affidato a chi si fa interprete di volontà altrui. Nel voto della legge, hanno prevalso non le indicazioni di partito ma le singole coscienze dei senatori che più volte, anche segretamente, hanno confermato con una maggioranza superiore a quella elettorale la necessità di introdurre questi confini e questi limiti. Lo hanno fatto liberamente, con coscienza e senza ingerenze di alcun tipo, né religiose, né politiche, né tanto meno istituzionali. Da parte mia non ci sono, né mai ci potranno essere, tentativi di correzione nel merito di singoli disegni di legge. Né si può ritenere che la libertà di coscienza possa valere solo per qualcuno e non per chi si ispira liberamente a valori che possano ricondursi ad una sensibilità anche religiosa. E’ un errore ritenere e affermare anche indirettamente che essere cattolici equivalga ad essere clericali. Ed è un errore volere riconoscere a tutti, tranne che ai cattolici, la libertà di coscienza che è un diritto che ciascuno di noi deve potere esercitare senza ostacoli restrizioni o pregiudizi. Sono certo che anche i singoli deputati opereranno con altrettanta libertà di coscienza. Sarebbe un errore condizionarli attraverso interventi, sia pure autorevoli, di qualunque provenienza. Rivendico il carattere pubblico di dibattiti tanto delicati, dove ciascuno possa offrire liberamente il proprio contributo e chiedere rispetto per le proprie opinioni su temi di grande rilevanza etica e sociale. La libertà di parola su temi come il testamento biologico e la recente legalizzazione della nuova pillola abortiva va garantita nelle aule parlamentari. A questa libertà di parola non si può imporre il silenzio, e noi non lo imporremo. Il recupero di una memoria condivisa è l’unica risposta alle insidie presenti nel nostro tempo, che tendono a sminuire persino la verità di evidenze storiche e inconfutabili. Oggi, forme più o meno mascherate di antisemitismo compaiono anche nel continente europeo, e devono trovare risposte forti, senza possibilità di equivoco. Alludo all’antisionismo, al riduzionismo, al revisionismo, agli atti di inaccettabile intolleranza e ostilità verso lo stato di Israele. L’Europa si deve sentire in debito permanente, non colmabile. La Shoah resta il monito rivolto alle future generazioni del tradimento della vita della persona, del suo valore, della pace, del rispetto dell’umanità tutta. Un’Europa fragile o indifferente nell’affermare i rischi del ritorno di istinti deteriori contro i diritti inviolabili della persona, un’Europa debole, anche semplicemente in un linguaggio che possa suscitare o alimentare forme di antisemitismo, è un’Europa già condannata dalla storia e senza avvenire. Mi avvio a concludere. La Costituzione europea è un traguardo ancora raggiungibile. C’è bisogno di uno scatto di orgoglio, di un pensiero ispirato, di testimonianze e di modelli autorevoli, di linguaggi condivisi. Il nuovo millennio ci indica la sfida per un salto di qualità del tutto inesplorato. I popoli europei possono incontrarsi per verificare qual è stata la loro storia e proiettarla verso una ricerca di umanità in grado di riscattare e, se è il caso, esaltare quelle esistenze ferite che meritano la nostra più alta e profonda comprensione. E’ questa ricerca della verità, innanzitutto la verità della propria storia, che permette di dare un senso nuovo alla libertà di ciascuno di noi, rendendola portatrice di un messaggio autenticamente umano. Questo è il compito lungimirante che dovrebbe assegnarsi la politica: promuovere un’Europa migliore educando alla libertà. Educare all’Europa significa educare alla libertà, accettarne la sfida, assumerne il rischio. Ed educare allora significa volgere lo sguardo attento e lungimirante verso il proprio futuro e quello degli altri. Abbiamo ancora molto da fare. Su ciascuno di noi che, grazie all’investitura parlamentare, ha ricevuto incarichi e responsabilità, grava il dovere di porre le solide fondamenta per una società giusta e coesa. Una società dove il mondo, per il pensiero dei giovani, è stimolo alla conoscenza e all’arricchimento della verità. Come affermava don Giussani: “Vi auguro di non essere mai tranquilli”. Ebbene, anche queste altre sue parole non possono essere fraintese: “La politica è la forma più completa di cultura”. Queste sue parole devono essere il giusto impegno per tutti coloro che credono nella costruzione di una società migliore attraverso il confronto, l’analisi, la solidarietà. Di questo ha bisogno la politica. Forti di questi principi, ce la potrete, anzi, ce la potremo fare. E desidero concludere il mio intervento proprio rivolgendo un saluto speciale a tutti voi, giovani di Comunione e Liberazione, anzi, a voi ragazzi di don Gius. Don Luigi Giussani ha iniziato con i giovani il proprio percorso. E’ sempre rimasto tra i giovani, ha sempre vissuto uno spirito giovane. Don Giussani ha avvertito prima degli altri il rischio educativo come la nuova frontiera della testimonianza, come il confine ideale tra una comunità che si spegne e una comunità di persone che sanno riscattare le loro storie e vincere la sfida del reale, del senso vero della vita. Voi siete i custodi e gli esploratori del nostro paese e della nostra Europa. A voi tutti guardiamo con speranza e fiducia. Da voi impariamo a non farci intrappolare dal rischio diseducativo che porta a considerare tutto come relativo, mentre proprio da voi giovani vengono le domande più esigenti, alle quali dobbiamo sapere rispondere senza scorciatoie e soprattutto, dico soprattutto, mantenendo la parola data. Ed è per il vostro coraggio, per il vostro entusiasmo, per il vostro impegno che, con profondo senso di amicizia, con stima ed affetto, vi dico grazie. Grazie per quello che fate.

BERNHARD SCHOLZ:
La ringrazio di cuore, Presidente, per la stima per noi giovani e anche per noi meno giovani. Le sue parole e la sua presenza ci hanno ulteriormente responsabilizzati nel nostro tentativo di contribuire, per quanto possiamo, ad una educazione alla libertà. E ci ha inserito con questo nostro sforzo nell’orizzonte dell’Europa. Ma ci ha anche – e per questo la ringrazio veramente molto – confortato nel nostro tentativo di lavorare per una società sussidiaria al servizio del bene comune, al servizio di ognuno, al servizio delle famiglie. E mi permetto di ringraziarla anche per la sincerità e la chiarezza con la quale ci ha parlato, perché ci ha testimoniato quel tipo di politica che noi desideriamo e con il quale vogliamo dialogare e collaborare. La ringrazio quindi per l’amicizia che ci ha offerto e le auguro che il suo lavoro sia veramente, come ha dimostrato nell’ultimo anno, un contributo al bene di questo paese e dell’Europa. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

29 Agosto 2009

Ora

11:15

Edizione

2009

Luogo

Salone B7
Categoria
Incontri