LE NUOVE FRONTIERE DEL CINEMA

Le nuove frontiere del cinema

Partecipano: Salvatore Petrosino, Direttore del Dipartimento di Film e Animazione della School of Visual Arts di New York; Mauro Uzzeo, Direttore Responsabile Reparto Creativo Rainbow Cgi. Introduce Massimo Bernardini, Giornalista.

 

MASSIMO BERNARDINI:
Buonasera a tutti, continuiamo il nostro cammino. Alla mia destra, vi presento Sal Petrosino, che potrei definire una delle anime più decisive, più importanti della School of Visual Arts di New York. Vedrete come ci racconterà la sua esperienza e le sue opinioni forti, anche sul tema di stasera, che è appunto il cinema di animazione. Vi presento, accanto a me, Mauro Uzzeo, come posso definirti? Un autore che scrive per l’animation, per i cartoni, come li chiamiamo noi in Italia. In qualche modo, la sua esperienza si lega soprattutto a uno dei prodotti italiani che più ha segnato il mercato internazionale, e cioè la famose Winx, che qui in Italia i ragazzini conoscono bene ma anche i ragazzini europei, i ragazzini del mondo, insomma. E’ stata una delle sorprese più clamorose di questi anni, 180 Paesi in tutto il mondo. Parliamo dell’animazione, ma per farlo partiamo da un particolare, perché Sal ci ha portato un frammento di un film che credo in molti abbiamo amato, che è Up, per la poesia, per la particolarità, per la dolcezza, per la fantasia. C’è un punto particolare che Salvatore ha scelto di vedere insieme per aprire questo incontro: e adesso ci spiega perché.

SALVATORE PETROSINO:
Il motivo per cui ho scelto questo brano è una scena in cui il signor Fredricksen, che è vedovo di recente, sente lo spirito d’avventura e decide di andare a cercare le cascate Paradiso, facendo sollevare la sua casa e utilizzando delle mongolfiere. Nell’animazione non c’è mai un momento in cui non si crede che le cose siano vere: non si può credere che una cosa venga sollevata dalle proprie fondamenta e possa volare. Ecco, questo avviene nei cartoni, nei film non sarebbe credibile. Nell’animazione è possibile sospendere la realtà, nei film vogliamo vedere cose che riteniamo reali. E’ un esempio di come l’animazione possa sospendere la realtà utilizzando i palloni, le mongolfiere, portandoci a quello spirito d’avventura che il cinema, un film, non ci possono dare.

MASSIMO BERNARDINI:
Dopo questa finissima introduzione, vediamo la scena di Up.

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MASSIMO BERNARDINI:
Voglio subito sollecitare sia Sal che il nostro amico Mauro su un particolare che tocca in realtà uno snodo della cultura, soprattutto nelle sceneggiature relative al mondo dell’animation, dei cartoni, come li chiamiamo in Italia. Se ci pensate, questa scena potrebbe portare al solito discorso della città cattiva, crudele, urbanizzata, moderna, che schiaccia la piccola casa, la tradizione, in qualche modo, no? Potrebbe correre sulle solite strada del politicamente corretto. Invece, questo gesto, questo volar via coi palloncini, è come se rompesse l’incantesimo. Cito questo particolare per dire una delle contraddizioni che spesso portano questo tipo di prodotti, che il modello narrativo, il modello culturale che propongono è quasi sempre quello del politicamente corretto. Nelle storie di animazione, sono presenti spessissimo il tema dell’ecologia, il tema della tolleranza, il tema del buonismo. Io vedo in questo volo qualcosa che scardina tutto questo. Mi sbaglio, Sal, mi sbaglio, Mauro?

SALVATORE PETROSINO:
Nell’animazione c’è una metafora molto semplice: quella dello spirito d’avventura. Il signor Fredricksen sente che la vita è passata e in un’unica scena, nel momento in cui si alza la casa, si sente che c’è un ritorno alla vita. Nel cinema questo non sarebbe credibile, è una metafora importante per gettare luce sul personaggio, sul carattere. Quando si crea un personaggio nell’animazione, il regista non ha a che fare con un essere umano, non può trasmettergli le emozioni che vuole vengano fatte passare nel film. Nell’animazione bisogna partire dal disegno, usare il computer, ma non è sufficiente, bisogna dare un’anima, uno spirito, credere che il personaggio esista. Nell’animazione, dopo i primi momenti di sorpresa e meraviglia, quando uno si chiede come sono riusciti tecnicamente a farlo, si ritorna sempre alla storia, alla narrazione. Ogni decisione, ogni persona, ogni tecnico coinvolto nel film o nel cartone è collegato al resto dal filo della storia, della narrazione.

MASSIMO BERNARDINI:
Non so se noi in Italia abbiamo questo tipo di cultura, questa forza dell’idea, della storia. Siamo abituati a pensare: guarda che meraviglia, che effetti!

MAURO UZZEO:
In questo spezzone che abbiamo visto ci sono 2, 3 minuti di film e tantissimi livelli di lavoro, dietro, di cura e attenzione, che sono quasi impossibili da notare se non siete malati come il sottoscritto che ha visto questo film 12 volte. Ve li elenco molto velocemente, per farvi capire anche con quale mentalità approcciano le sequenze questi geni della Pixar. C’è un primo motivo che è narrativo, cioè, non basta la cosiddetta suspension of disbelief, la sospensione della credibilità, per credere che una casa possa volare. Loro utilizzano questo metodo: un’unica inquadratura in cui gli infermieri che vanno via mostrano tutte le bombole del gas nel giardino. Questa cosa dice allo spettatore: “Quest’uomo ha passato la notte a gonfiare i palloncini”. Ancora non sappiamo dei palloncini, ma già ci hanno fatto vedere le bombole. E’ una motivazione narrativa per cui, nel momento in cui vediamo i palloncini, giustifichiamo anche le bombole. A questo motivo prettamente narrativo se ne aggiunge un altro, che è emotivo: nella storia, lui, l’uomo, conosce quella che diventerà la moglie grazie a un palloncino perso da uno dei due. Dopo la perdita della moglie, lui tenderà a identificare quella casa con sua moglie. Quindi, cosa sta facendo lui in questo momento? Sta facendo volare la moglie tramite dei palloncini, che sono il mezzo con cui loro si sono conosciuti. E lui nella vita ha anche venduto palloncini. Quindi ora, visivamente, sta facendo volare una casa, metaforicamente sta portando la moglie nel viaggio che non ha mai potuto fare, quello promesso. E a questo secondo, se ne aggiunge un terzo, che la Pixar mette sempre, che è autoreferenziale: nella scena del palazzo, noi vediamo l’interno della cameretta di una bambina, e fuori la casa passare. E’ una motivazione narrativa, dice lo stupore delle persone che vedono una casa che vola. Ecco, la bambina sta giocando con la palla del primo corto della Pixar, Luxo Junior, e nascosto dietro il letto c’è l’orsacchiotto che sarà il cattivo di Toy Story 3: in ogni film, la Pixar nasconde un elemento del film successivo.

MASSIMO BERNARDINI:
Attenzione, faccio una domanda, la giro a Sal, poi torni tu. Questo è marketing o è scrittura?

SALVATORE PETROSINO:
Da produttore cinematografico non si pensa a quanto denaro si guadagnerà. Il regista Brad Bird, di recente ha dichiarato che per poter essere se stessi non si può seguire un modello, bisogna credere in quello che si vuole dire senza farsi motivare dal denaro. Ed è verissimo, questo: c’è chi scrive una storia pensando al botteghino, alcuni lo fanno, però la Pixar Animation ha una strategia completamente diversa, ha la forza delle proprie convinzioni e racconta storie alle quali noi tutti possiamo rapportarci. La cosa affascinante in quello che Pixar Studio fa, è che, a differenza di altre aziende, non assume le persone per tre mesi e alla fine: “grazie, ottimo lavoro, arrivederci”. Sono riusciti a creare una comunità di persone in cui tutti svolgono un ruolo importante per raggiungere un obiettivo più elevato. Questo lo si vede, e da un punto di vista emotivo noi lo sentiamo, lo viviamo. Ecco, abbiamo scelto di non misurare il successo in base a quanto si incassa al botteghino. La Pixar è incredibile, in questo senso, comunque guadagna molto, per cui non è necessario sacrificare una cosa a beneficio dell’altra. Io ammiro molto l’umanità che Pixar Studio ha, noi crediamo fortemente in tutti i personaggi perché sono molto umani e possiamo riferirci a loro, capire le loro crisi e i loro conflitti.

MASSIMO BERNARDINI:
Sal ci dice che praticamente la Pixar ragiona col cuore, questo ci sta dicendo, no? Mi pare che tu abbia incontrato qualcuno di loro, noi siamo naturalmente più scettici, da italiani. In fondo, Sal è molto americano nel credere a questo sogno. Noi che siamo scettici, europei, un po’ cinici, ci possiamo credere, secondo te, Mauro?

MAURO UZZEO:
La Pixar è veramente un’anomalia inspiegabile, meravigliosa, magica. Io ho avuto l’opportunità di incontrare tutti i registi Pixar in un workshop fatto durante l’ultimo Festival del Cinema di Venezia, dove veniva dato il Leone d’Oro alla Carriera alla Pixar, a Lasseter, che è attualmente il Direttore Creativo di tutta la Disney, però è fondatore della Pixar: un genio assoluto, dando il premio a lui in realtà lo davano a tutta la sua crew. E la storia di Lasseter è interessante, perché è la storia di un uomo che lavorava alla Disney: in realtà, ha cominciato facendo il tipo pazzo in un parco a tema, faceva Pippo. Quando gli hanno fatto il contratto per diventare Direttore Creativo della Disney, ha preteso di essere Direttore dei parchi a temi: quindi ora controlla personalmente le attrazioni della Disney. Detto questo, lui comincia come animatore tradizionale, poi resta folgorato da Tron, questo film del 1982 in cui, per la prima volta, viene utilizzata quella cosa che poi diventerà la computer grafica, l’animazione generata al computer, impazzisce e decide, insieme al suo collega Glen Keane, storico disegnatore Disney, di realizzare un primo corto con la computer grafica. Era un adattamento di Nel Paese delle Creature Selvagge, questo corto, e aveva la particolarità dei fondali realizzati completamente in 3D, su un’animazione tradizionale in 2D.
Il corto andò benissimo, al punto da fargli pensare di realizzare un film in 3D che presenta alla Disney: lui racconta di non aver dormito per settimane per finire il progetto, convinto di aver visto il futuro. Nel momento in cui Disney verifica che i costi per realizzare questa nuova tecnica sono alti rispetto alla maniera tradizionale, lo licenzia in tronco. Lui perde il posto, va via, licenziato, perde tutto. Viene fortunatamente raccolto da Lucas, che nella Industrial Light & Magic gli dice: “Ti faccio continuare a sperimentare, basta che tu usi queste tue tecniche per i miei film”. E quindi lui fa Piramide di paura, le avventure del giovane Sherlock Holmes, dove da un rosone si stacca un guerriero di vetro che combatte e diventa il primo personaggio nella storia in computer animation, fino ad arrivare a Jurassic Park, con i dinosauri animati da Lasseter. Intanto porta avanti la sua carriera come animatore, fino a Toy Story e alla nascita della Pixar. E non solo: mentre realizzano Toy Story, a metà produzione finiscono i soldi e falliscono. Arriva la Disney e gli dice: “Mi piace, noi ti diamo i soldi per finire Toy Story e voi diventate nostri per dieci anni”. Così, Disney distribuirà Pixar per dieci anni. Scaduto il contratto dopo Cars, la Pixar sarebbe stata libera, ma la Disney decide di acquisirla lasciando a lui il ruolo di Direttore di tutto. Per cui, vent’anni dopo ritorna in Disney e diventa praticamente il Direttore. Più che sogno americano, direi apoteosi!

SALVATORE PETROSINO:
Lasseter disse che alla Disney avevano un tesoro ma non sapevano che farne: utilizzarono le stesse formule, senza accettare cambiamenti, fino a che il prodotto si mummificò. Fino a quando Lasseter non tornò alla Disney, non si resero conto che la cosa importante era esplorare, provare, usare il cuore, non solamente calcolare il successo sulla base del denaro guadagnato. Credo sia stato un atto coraggioso e molto umano.

MASSIMO BERNARDINI:
Allora, adesso ti chiedo se brevemente ci introduci il frammento che hai scelto da un altro famosissimo film di animazione di questi anni. Poi però vi voglio chiedere una cosa diversa sull’uso nella nostra cultura di questo tipo di prodotti.

MAURO UZZEO:
Ok, il prossimo segmento che vedrete è stato scelto perché utilizza in un modo molto particolare la computer grafica. Quello che mi affascina della computer grafica è che segna una linea di confine strana tra l’animazione tradizionale e il cinema in live action, perché la definizione, la differenza tra un cartone animato al cinema e un film tradizionale al cinema è che il cartone animato non utilizza attori reali ma personaggi finti, inventati, pupazzi, mentre il cinema tradizionale utilizza attori. Questo era abbastanza chiaro fino a qualche anno fa, perché era proprio visibile la differenza, no? Senza considerare le meccaniche produttive per cui, in realtà, anche film come Biancaneve hanno dietro l’appoggio di attori che recitano nei ruoli dei personaggi principali e che poi sono stati ripresi per i disegni. Però la computer grafica taglia tutti questi discorsi: finora ha tentato di riprodurre il vero. Vediamo in un film come Il signore degli anelli la computer grafica che, tirata alle estreme conseguenze, ci porta a credere che un personaggio come Gollum possa esistere, che quegli ambienti possano esistere. A un certo punto si è arrivati a capire che se la computer grafica viene usata solo per riprodurre la realtà o per far credere che possa esistere l’inesistente, perderemmo un linguaggio che potrebbe essere importante: per cui, si inizia a usare la computer grafica come elemento finto. Non vorrei fare paragoni eccessivi, però, come nella pittura, dall’arte figurativa si è passati a un’arte più astratta o comunque più emotiva, così qua. Il pezzo che vedrete è tratto da Speed Racer, un film dei fratelli Wachowski, famosi per Matrix, che non ha fatto una lira. E’ stato una catastrofe, perché è un film troppo d’essai rispetto a come è stato venduto. In realtà, sembra un film di corse di macchine, di bambini che urlano, c’è anche una scimmia che non fa altro che tirare le sue feci addosso al cattivo, ma in realtà nasconde un approccio all’arte e al mezzo visivo che è veramente unico.

Video

MAURO UZZEO:
Vedete questo delirio di colori? C’è un’attenzione verso tutti i tipi possibili di animazione, dal bambino che parte con il flip book, con i suoi fogli, per ricreare la primissima forma d’animazione esistente, fino a un indirizzo realistico, quando vediamo la corsa che fa col fratello, passando per un’animazione basata sui suoi disegni di quando era bambino, quando immagina di correre e quindi torna a quel gusto dei colori tipico dell’infanzia: sono elementi rari in un film e mostrano per la prima volta un utilizzo della CGI che possa essere comunque emotivo.

MASSIMO BERNARDINI:
Devi spiegarci che cosa vuol dire quella sigla.

MAURO UZZEO:
Sta per Computer Generated Imagery e s’intende tutto ciò che viene creato in computer grafica. Una storia come Speed Racer permette di fare questo, perché in realtà è il remake di una serie famosissima di cartoni animati della fine degli anni ’70, inizio ’80, ed è una scusa per citare varie cose d’animazione. Quando il piccolo Speed esce dalla scuola e vede il fratello, l’ambiente è completamente finto. Come nei cartoni animati giapponesi dell’epoca, c’è un unico fondale bloccato per tutta la sequenza, dove non succede niente e davanti al quale i personaggi si muovono. Loro prendono quel linguaggio e lo mettono in un film, per vedere cosa succede. E’ successo che nessuno lo è andato a vedere al cinema, per cui non sono stati spinti a continuare per questa strada. Però il mercato attualmente dice il contrario. Ci sono due film che adesso stanno andando benissimo Scott Pilgrim, che è appena uscito in America dal regista di Juno, e Sucker Punch, il prossimo film di Zack Sneider, l’autore di 300 e Watchman.

MASSIMO BERNARDINI:
Credo che Sal avesse qualche cosa da dirci, rispetto al linguaggio che questo frammento ci ha introdotto.

SALVATORE PETROSINO:
Con questo video oggi parliamo delle frontiere del film e dell’animazione, due mezzi diversi, che usano strumenti artistici diversi, e che però condividono lo stesso linguaggio. Ad esempio, ogni scelta sostiene il significato di quella scena, il tema del film. Perché un film esiste? Di cosa parla questa storia? E’ come si diceva con i colori: tutte le abilità concorrono al lavoro per sostenere questa storia, tutti lavorano insieme, cercano di esplorare il da farsi. Si potrebbero spendere milioni di dollari in un film, ma se non c’è collaborazione, fallisce.

MASSIMO BERNARDINI:
Voglio introdurre un elemento che sembra laterale all’interno di questo lavoro di scavo del linguaggio: in quello che Sal aveva preparato e ci aveva mandato, a un certo punto si parla di una cosa che credo tutti noi conosciamo benissimo: la Saturday Morning Television, la televisione del sabato mattina. Lo so benissimo io, che vado in onda il sabato mattina e che ho fra i miei competitor diretti, per esempio, un intero canale come Italia 1, che è sulla tv generalista e fa ascolti altissimi proprio attraverso questo tipo di prodotti, attraverso i cartoni. Questo mi spinge a chiedermi qualcosa sul modo con cui in tutto il mondo gestiamo questi prodotti nelle nostre case. Cosa succede? Che il sabato mattina, in tutto il mondo, si sta creando questo meccanismo: ho fatto l’esempio della tv generalista, ma è un esempio ormai del passato. Il presente è che in tutto il mondo ci sono canali omai costruiti solo su questi prodotti d’animazione. E il meccanismo del sabato mattina è quello in cui la famiglia normalmente sceglie, magari con un po’ di apprensione, di attenzione, il canale, e poi abbandona i figli davanti a questo canale. E c’è chi riesce a dormire, per esempio, oppure si fanno gli affari di famiglia del sabato mattina in tutto il mondo, no? In realtà c’è sotto un problema: parliamo di storie, parliamo di modelli, parliamo di disegni, parliamo di uomini, donne, bambini, di un’immaginazione a cui stiamo abbandonando i nostri figli, a cui magari con sicurezza, dopo aver fatto una scelta ragionata, lasciamo i nostri figli. Secondo voi, chi crea questi prodotti ha fatto proprio il problema? Se ne accorgono? Questa responsabilità, la sentono? E qui, Mauro, ti voglio anche come autore italiano di prodotti, non solo come grande descrittore di prodotti altrui!

SALVATORE PETROSINO:
Credo sia un grosso problema, non è solo la questione dei cartoni del sabato mattina. Mi ricordo che comunque, quando ero bambino negli anni ’60, guardavo i Flinstones o Topolino: erano cartoni animati incentrati sui personaggi e praticamente avevano lo scopo di intrattenere i bambini e lasciare dormire i genitori il sabato mattina. Ecco, che questo sia positivo o negativo, pensiamo allora ai videogame, quante ore trascorrono i bambini a giocare coi videogame? Forse sprecano il loro tempo, quante ore, giorni, settimane, mesi, noi ci preoccupiamo dei videogame? E non è solo una questione di Stati Uniti, ormai è una questione di tutto il mondo: vogliamo sempre essere divertiti, vogliamo essere coinvolti, magari anche in modo superficiale, ma forse questo è l’argomento di un altro incontro. Tornando alla domanda relativa ai cartoni del sabato mattina, sì, sono basati sul personaggio: era divertente guardare Fred Flinstones che lanciava la clava. Tornando alla Pixar, ancora una volta, le storie sono storie umane, non più basate solo sul personaggio. L’animazione come mezzo ci consente di guardare a degli animali come personaggi senza giudicarli, di essere più aperti, cercando di capire magari cosa scopre quel personaggio nel suo mondo. E’ un approccio completamente diverso per quanto riguarda il pubblico, certo, ci sono cose che collegano i due mondi ma ci sono cose che li dividono.

MASSIMO BERNARDINI:
Le fatine, ci accontentiamo delle fatine? Ci bastano le meravigliose fatine italiane, anzi marchigiane, ormai diffuse in 180 Paesi?

MAURO UZZEO:
Non so se bastano le fatine, però penso ci sia un discorso da fare sulla responsabilità. La responsabilità degli autori che realizzano il prodotto, e dei genitori che realizzano il figlio. Lavorando in prima persona sulle Winx, affiancando Straffi sulla produzione di questo cartone animato, credo che sentiamo addosso il peso di 2000 punti di vista diversi a proposito del fatto che, quando un prodotto diventa fenomeno di costume, comunque si attira tanto i complimenti quanto le critiche: c’è stato un momento in cui le Winx erano diventate il male. Vi racconto un aneddoto legato al primo film. Nel primo film delle Winx, Stella, una delle Winx, che per quanto mi riguarda è la più divertente da approcciare perché nelle nostre teste è un incrocio tra Paris Hilton e Paperino, dice questa battuta, prima di partire in battaglia: “Vabbè, cosa volete che sia, dobbiamo salvare l’universo, la gioia di tutti gli abitanti. Come dico sempre, da un grande potere deriva una grande popolarità”. Questa frase era una mia voglia nerd di inserire un omaggio a Spiderman, una frase di Stan Lee in chiave “Stella”.
Una settimana dopo uscirono tre pagine di articolo sul Venerdì di Repubblica sul fatto che questa frase era dannosa per i ragazzini, perché inneggiava alla popolarità e non alla responsabilità, quando invece, di partenza, non c’era assolutamente quella intenzione. Anche perché il primo elemento, che sono le Winx, ne genera due, messaggi che devono arrivare da due direzioni, famiglia e amicizia. Le Winx non sconfiggeranno mai un nemico da sole ma soltanto unendosi tutte e sei, e non arriveranno mai a una vittoria se non avranno un appoggio dai genitori. Per arrivare a famiglia e amicizia, loro devono passare attraverso tre macro elementi che sono: la collaborazione con le amiche, l’armonia coi genitori e la fiducia che li lega tutti e tre, perché è la fiducia che lega la collaborazione con le amiche e l’armonia con i genitori. Questo è l’unico messaggio che inseriamo in ogni episodio perché inserire una morale così sottolineata non ci piace, però questo è il valore che deve passare, è l’unica direzione che abbiamo da un punto di vista autoriale. I valori legati alle Winx sono di famiglia e di amicizia.
Io sono cresciuto con prodotti televisivi che di questi valori non ne avevano neanche uno. Il mio cartone animato preferito era Ken il guerriero e il motivo per cui lo guardavo era vedere quanti cervelli faceva esplodere in quella puntata. Ma allo stesso tempo mia madre, come adesso si lamenta per le Winx, si lamentava per Ken il guerriero. Io vedo miei coetanei che dicono: “Dove andremo a finire con questi cartoni animati?”, quando i loro genitori dicevano: “Dove andremo a finire con questi cartoni animati?”, parlando di Ken il guerriero. Negli anni ’80 i nemici erano i giapponesi, ma mia nonna diceva a mia madre: “Perché compri Barbie, dove andremo a finire con quei personaggi?”. Quindi, penso che anch’io dirò ai miei figli: “Dove andremo a finire?”. Fatto sta, che la generazione precedente odia quello che vede la generazione successiva. E va bene così.

MASSIMO BERNARDINI:
Interessanti, queste osservazioni di Mauro. Adesso Sal ci ha preparato uno stranissimo paragone, una scelta abbastanza inspiegabile.

SALVATORE PETROSINO:
Per poter trasmettere un testo in traccia, per farvi capire qual è il linguaggio narrativo, il significato di una scena, ho pensato che potesse essere interessante mostrare l’analogia tra una scena d’animazione che riguarda l’amicizia e una scena di film che riguarda sempre l’amicizia. Anche se si tratta di due mezzi diversi, sono comunque storie che riguardano l’amicizia. Vedremo due scene, la prima viene da E.T. di Steve Spielberg, dove Eliot si taglia un dito… Lo vediamo, poi ne parliamo.

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MASSIMO BERNARDINI:
Il secondo, invece? Vediamo se lo trovano. Però, nell’attesa, c’è un piccolo particolare molto carino. Quando abbiamo preparato quest’incontro, ci siamo accorti che tutti e due, pur non parlandosi, hanno scelto una stessa scena di Wally-E. È interessante, perché per parlare di amicizia avete scelto tutti e due la stessa scena? Le sue ragioni e le tue, mi interessa. Mettiamole a confronto, poi riusciremo a vederla.

SALVATORE PETROSINO:
Penso perché, ancora una volta, è una storia pulita, umana. Entrambi abbiamo scelto la stessa scena perché siamo due esseri umani. È una scena che ci ha colpito e ci piace usare come esempio. C’è un altro motivo, per quanto mi riguarda. In E.T., si vede che E.T. illumina il dito. C’è una luce e Elliott, pur non sapendo cosa fa, si fida di lui. Vengono da due pianeti diversi, però si fidano, e la ferita guarisce. Alla fine, Elliott abbraccia E.T., gli mette il braccio intorno alle spalle. In Wally-E c’è sempre la luce, un legame tra due persone. Anche in questo caso, c’è l’elemento fiducia. Effettivamente, Wally assomiglia molto ad E.T., non me ne ero mai reso conto. Questo ci riporta a dei principi di base, continuo a ribadirlo. È così evidente, riguarda proprio la storia, i legami umani. Anche nei film di animazione c’è questo elemento.

MASSIMO BERNARDINI:
Mauro, dicci le tue ragioni.

MAURO UZZEO:
La mia scelta riguardo a questo segmento è più diretta alla prima parte. In realtà, qua continua un discorso legato a Speed Racer. L’abbiamo visto, era chiaramente un film in live action, anche se aveva chiaramente un appeal da cartone animato. Wally è un cartone animato ma ha una resa visiva che è completamente realistica, anche perché gli animatori della Disney e gli autori del film hanno deciso di fare una cosa che nega tutti i principi dell’animazione, in questo film. L’animazione di basa su due principi caratteristici che sono il cosiddetto squashing stretch, quella cosa che permette al personaggio dei cartoni animati di deformarsi. Avete presente? Ci sono personaggi che vengono presi per il collo e improvvisamente il collo diventa sottile oppure casca, si spiaccica, e lui non si fa niente. Questo è il primo principio dell’animazione: il secondo è quello dell’anticipazione. L’anticipazione è quel principio per cui – fateci caso, da questo momento in poi – qualsiasi personaggio vedrete, ogni personaggio che sta per fare un’azione, la anticipa con un gesto del corpo. Se io adesso dovessi correre per arrivare laggiù, mi alzerei e inizierei a correre. Se io fossi un cartone animato, prima farei questo – wuuum – e poi partirei. Ok? I cartoni animati fanno questo, anticipano. Realizzando questo cartoon, loro hanno deciso di utilizzare due personaggi tecnologici, un robot e un altro robot, che non possono piegare, sui quali non possono impiegare il principio dello squashing stretch, perché non si possono strizzare, sono di ferro, sono di metallo. Il secondo principio è che non anticipano, quindi tutti i movimenti che fa Wally sono esattamente i movimenti che può fare quell’attrezzo, una volta costruito. Loro riescono a mettere l’anima – perché Wally ha un’anima, quando lo guardi negli occhi, ti emozioni – in un oggetto di ferro, non in un cartone animato. Per di più, questo raggiunge un corto circuito totale nel momento in cui loro guardano in televisione, come una volta, nei film in live action, due innamorati guardavano un cartone animato in televisione. Questo film ci insegna che due cartoni animati possono innamorarsi guardando gli umani in televisione.

MASSIMO BERNARDINI:
Ecco, vi voglio provocare su questo, prima di passare al prossimo passo che ci porta alla fine del nostro incontro. Anch’io mi sono intenerito guardando questa scena. Tra l’altro, mi colpisce il fatto di ricorrere al passato. No? Loro guardano un classico, in certi modi e la musica evoca nostalgia, la malinconia di quant’era bello fruire in quel modo così ingenuo di quei prodotti. Penso al pubblico che guarda questa storia, pensavo a me che mi intenerivo, guardando questo frammento. Però non è anche troppo poco? Come potenza narrativa? Non è anche, e qui faccio l’europeo cinico, un’idea falsa di cuore? Insomma, si arriva a un passo tra sentimentalismo e banalità? È una provocazione.

SALVATORE PETROSINO:
No, penso che a volte abbiamo così paura di essere sentimentali che questo ci blocca un po’ le emozioni, ci impedisce di provare delle emozioni che ci aiutino a capire meglio noi stessi. Io odio le storie lacrimose, però avete parlato di musica… Quando si lavora con degli attori o con gli esseri umani, comunque, si può avere un’ottima performance con un bellissimo film e una pessima performance e un film bruttino. Questo è un elemento molto importante: la musica è un altro tratto della personalità. Di recente, ho scritto e diretto un film e ho scritto a un compositore che mi ha ricordato che io non possiedo tutte le risposte, a meno che non voglia essere rigido, che non devo aver paura di essere sentimentale. Credo non ci sia qui nessuno che, guardando la scena di Wall-E, non si sia sentito commosso o toccato o non abbia pensato all’importanza dell’amicizia. Non so se è la prospettiva americana, ma attenzione a fare troppe categorie, a parlare di americani, di italiani: insomma, parliamo di persone, delle nostre reazioni alle emozioni. Dobbiamo ricordarcelo.

MAURO UZZEO:
Guarda, dal mio punto di vista, nella battaglia fra il “cosa” e il “come” vince sempre il “come”. Se il cosa è una storia che può sembrare già sentita, già vista, questa storia d’amore, lui che porta a lei le cose antiche e passate, è vista in una chiave inedita. Un macinino che prova a sedurre un computer della Apple è già abbastanza originale di per sé. Però, se vogliamo puntare sul cosa stanno raccontando quelli della Pixar con Wall-E, è una storia che non solo è di una potenza mostruosa, ma molto poco per bambini. Infatti, in sala i bambini erano annoiati. Però la capiranno crescendo, perché al momento si divertono per le gag che vedono, ma in realtà Wall-E parla della fine della razza umana, che non abita più la terra ma vive in questa astronave lontana anni luce. Non si parlano più tra loro, ogni umano è come collegato a un social network per cui parla solamente tramite lo schermo che ha davanti, non c’è più il contatto fisico. C’è una scena molto bella in cui, per sbaglio, un uomo e una donna si toccano e si guardano terrorizzati. I bambini vengono fatti in laboratorio, quindi è praticamente un horror. Mandano sulla terra Eva, la prima donna, per cercare la vita, per vedere se si può tornare sulla terra. E Eva trova la vita – sentite com’è bella la metafora, no? – perché gliela fa trovare Wall-E, che ha conservato questa piantina. Quindi, Wall-E ed Eva sono gli unici due abitanti della terra, sono Adamo ed Eva: nel momento in cui lui le dà la pianta, lei se la mette sul ventre e la tiene lì per tutto il film. Per cui, il messaggio reale del film è più diretto agli uomini e alle donne, che dovrebbero spegnere il computer e la notte… volersi un po’ più bene.

MASSIMO BERNARDINI:
Fermiamoci perché parliamo di animation. Però, devo dire che mi avete convinto. Adesso tu ci proponi un frammento di un blockbuster, di quelli proprio clamorosi, no?

MAURO UZZEO:
Il film che ha visto persino mia nonna, in 3D: Avatar che rientra, come ultima analisi di un percorso portato avanti con Speed Racer e Wall-E. Chiunque qui dentro ha visto Avatar, no? Io l’ho visto sette volte. Avatar fa un qualcosa di nuovo, al di là dell’approccio della stereoscopia che è completamente inedito ed è anche interessante. Io sto lavorando con Rainbow, la casa di produzione delle Winx, per due film in stereoscopia, per la prima volta anche in Italia si lavora ad alti livelli, realizziamo due lungometraggi di cui uno esce a ottobre, è il seguito del primo Winx e sarà in stereoscopia, in 3D, e un altro film che uscirà fra un anno, scritto dall’autore di L’era glaciale, Michael Wilson, insieme a Straffi: anche quello sarà in 3D. Io sono partito odiando il 3D perché è qualcosa che ritengo un’aberrazione del linguaggio cinematografico e che dovrebbe stare solamente nei parchi a tema. In realtà, studiandolo, lavorandoci sopra in maniera anche pionieristica, sicuramente per l’Italia ma anche all’estero, noi abbiamo avuto riscontri pazzeschi da gente che ha lavorato su Avatar, su Coraline, su L’era glaciale, sui film della Pixar. C’è una grossa comunità online dei ragazzi che hanno lavorato a questi film che, come novelli pittori o scultori, hanno stilato i loro manifesti. Per cui, c’è la corrente di Avatar che dice che tutto può uscire in negativo, le quinte non vanno tagliate – tralascio il discorso esageratamente tecnico -, ed altri che dicono l’opposto. Per esempio, Pixar anche qui fa un discorso originale rispetto a tutti gli altri. Diciamo che l’effetto che più si nota del 3D è il cosiddetto Wow Effect, quando qualcosa dà l’illusione di uscire dallo schermo ed entrare nella sala, è il motivo per cui la gente dice: “Che bello, quel film!”.
La Pixar dice no, hanno fatto proprio un comunicato ufficiale: “In qualsiasi film Pixar non vedrete mai qualcosa che esce dallo schermo”. Si dice “in negativo”, perché è un’aberrazione del linguaggio cinematografico, nel cinema non esce niente verso di te, mentre invece va bene la profondità di campo in 3D, perché la profondità di campo è già un linguaggio utilizzato nel cinema, questo è semplicemente un modo per renderla più efficace. Invece in Avatar questo accade all’ennesima potenza. Ma al di là della stereoscopia, in Avatar succede qualcosa di particolare: Avatar ti porta in un mondo nuovo, sia a livello di marketing, quello del 3D, visto come non s’era mai visto fino a quel momento, sia quello dell’esplorazione di un pianeta che non esiste. Però, guardando Avatar, sembra di guardare, a un certo punto, Linea Blu. Ti aspetti di vedere, da un momento all’altro, il presentatore sul pianeta Pandora che illustra le dune, i mari.

MASSIMO BERNARDINI:
Linea Blu è un settimanale della televisione italiana – lo dico per i nostri amici americani – dedicato al mare, una specie di magazine-cartolina in cui si vedono le spiagge, le barche, il mare, i viaggi sul mare.

MAURO UZZEO:
Sì, posti meravigliosi. Guardando Avatar, ti scordi che quello che stai guardando è completamente finto, è in 3D, quindi è molto più simile a un cartone animato che a un documentario, mentre guardandolo sembra di trovarsi davanti un documentario: cioè, quel posto c’è e noi lo stiamo vedendo.

MASSIMO BERNARDINI:
Allora, soprattutto per quei pochi che non hanno visto Avatar, un frammento da Avatar.

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MASSIMO BERNARDINI:
Siamo all’ultimo passaggio, però vedendo questo pezzo non posso trattenermi dal lanciare ai nostri ospiti, in particolare a Salvatore, una provocazione. Mi colpisce che stiamo finendo su questa scena che effettivamente, ha ragione Mauro, è un cartone: questo evidentemente è proprio “animation”, ma a me colpisce che sia dentro un contesto che sta fra la New Age e il neo-paganesimo. Tra l’altro, un mio amico di sinistra sostiene che in realtà è un film antimperialista, anche, ma questa è un’altra sottolineatura. Però mi colpisce molto un particolare: a me pare più realistico parlare di una casa che vola per un amore vero, però quella casa vola e non è vero che una casa voli, no?. Poi, grazie a dei palloncini, è impossibile. Però quella casa vola perché c’è una storia, perché quell’uomo ha amato una persona e con quella persona ha fatto un progetto concreto di vita che non si è potuto realizzare. E quei palloncini che la fanno volare, in qualche modo, sono il compimento di una storia vera di amore fra due persone, no? E quella casa volava, insomma, no? Questo invece, caro Sal, a me pare totalmente, completamente diverso. O no?

SALVATORE PETROSINO:
Ma completamente diverso in che senso? La risposta è no, comunque. Come ha detto Chris, giusto? Noi portiamo la nostra esperienza al cinema e siamo più o meno colpiti per una serie di motivi. Prima di poter fare questo, e cioè creare delle belle immagini alla Scuola di Arti Visive, prima di imparare a fare questo bisogna sapere cos’è il recitare o lo scrivere delle storie. Dopo di che si può usare tutto questo per raccontare le proprie storie. Prima avevamo due persone favolose sedute qui, Chris Newman, che è un collega alla Scuola di Visual Arts, e Alessandro D’Alatri, due persone creative, due categorie diverse di persone che lavorano insieme per raccontare delle storie. Perché bisognerebbe categorizzare tutto prima di giudicare? Non è giusto. Secondo me, ecco, queste due sessioni riflettono una cosa molto importante: quando si lavora insieme, si uniscono i propri talenti e si possono fare delle cose meravigliose.

MASSIMO BERNARDINI:
L’ultimo passaggio, facciamo una riflessione. Tutto il mondo in questo momento sta vedendo un cartone, se ci pensate, questa è stata l’estate di Toy Story 3, no? Provate a pensare la potenza incredibile di una storia di animazione che tutto il mondo, tutti i bambini del mondo, tutte le famiglie, sono andate a vedere proprio in queste ultime settimane. E sono esattamente 100 anni dall’inizio di tutto questo, poco più, poco meno, secondo quale sia il primo punto di riferimento. Chiedo a Mauro, da giovane autore e da giovane maker di cartoni, dove sta il segreto della vitalità per cui da 100 anni nell’arte visiva si continua a usare questo strumento?

MAURO UZZEO:
Questo sembra quasi un loop con l’inizio del nostro discorso, perché ovviamente la chiave di volta è sempre la storia dietro al mezzo. Quello che ho provato a dire durante questa conferenza è che il mezzo è completamente secondario e che diventa sempre più difficile fare distinzioni fra cartone animato, film live action, film in CGI, e diventerà sempre meno importante. Stiamo andando verso un ibrido visivo che attualmente forse necessita di nuova definizione, perché al momento non c’è niente che lo identifichi al 100%. Però penso che alla base ci sia sempre la necessità di raccontare storie e sentirle. Centinaia di anni fa, il cinema era il più bravo del villaggio che raccontava la storia intorno al fuoco. Oggi invece il cinema sono i più bravi del villaggio globale che raccontano le loro storie. Penso che l’enorme successo di Toy Story 3 sia dato dal fatto che ormai sono diventati dei personaggi veri a tutti gli effetti, e conosciuti da tutti. Non so se sia proprio un bene che questo sia il loro film di maggior successo, perché innanzitutto è stato un film dalla gestazione molto complicata e perché si basa su questo elemento, la droga delle soap opera. Io ti presento un personaggio, te lo ripropongo e tu ne vuoi sempre di più. Però, tra uno Shrek 4 e un Toy Story 3, diciamo che è talmente palese la differenza qualitativa di scrittura, di regia, di emotività che, finché i sequel sono questi, nel senso di Toy Story 3, ben vengano. Mi spaventa il fatto che ho letto l’altro ieri che ora stanno lavorando a Monster & Co. 2, che è una cosa che un po’ interiormente mi deprime, perché spero di vedere un nuovo Wall-E, un nuovo Up, piuttosto che l’ennesimo Toy Story. Però, che la gente premi un cinema di qualità, è ottimo.

MASSIMO BERNARDINI:
Ma tu hai trovato un’immagine che è l’inizio di tutto questo.

MAURO UZZEO:
Diciamo di sì, si ricollegherà all’ultimo film che vedremo. Leggevo l’altro giorno di questa distinzione tra cinema zootropio e cinema d’animazione. Questo zootropio è stato inventato nel 1834: consisteva in uno strumento per cui ti mettevi davanti a una di queste fessure a guardare, veniva fatta girare una ruota e ti dava l’illusione dell’animazione: era uno dei mille esperimenti per cercare di inventare l’animazione. Oggi, in questo discorso di collasso dei generi e delle invenzioni, vorrei farvi vedere un ultimo, velocissimo pezzetto di Speed Racer, un minuto che si ricollega a questo, inchinandosi alle origini dell’animazione e rendendo palese tutto il discorso.

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MAURO UZZEO:
Il tunnel che facevano loro, prima della fine della gara, era uno zootropio gigantesco, per cui mentre la macchina corre tu vedi l’animazione del cavallo completamente analogica: sembra quasi un passaggio di consegne tra le origini e il gradino evolutivo più alto raggiunto da un mezzo.

MASSIMO BERNARDINI:
Bene, siamo arrivati alla fine di questo incontro; non so voi, ma io personalmente ho capito molte più cose sull’animazione e vado a letto contento. Grazie a tutti, grazie a Sal Petrosino, grazie a Mauro. Domani ci aspetta una lunga, importante giornata di Meeting. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

24 Agosto 2010

Ora

21:45

Edizione

2010

Luogo

Sala Neri
Categoria
Testi & Contesti