INVITO ALLA LETTURA. LA FORZA DEL FASCINO CRISTIANO. Il contributo di un testimone della Conferenza di Aparecida

Invito alla lettura: LA FORZA DEL FASCINO CRISTIANO. Il contributo di un testimone della Conferenza di Aparecida

Presentazione del libro di S. Ecc. Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto (Ed. Itaca). Partecipano: l’Autore; Stefano Alberto, Docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

 

CAMILLO FORNASIERI:
Iniziamo subito per rendere utili e fertili i minuti a disposizione. Il libro che proponiamo qui al meeting è una coedizione della Libreria Editrice Vaticana e di Itaca, il libro è di Filippo Santoro, La forza del fascino cristiano. Saluto Sua Ecc. Mons. Santoro, un caro amico, siamo lieti di trovarlo e di ascoltare la sua parola e soprattutto di intuire, in questo incontro, la preziosità di questo libro. Con noi a parlarne Don Stefano Alberto, da tutti conosciuto. Solo due brevissimi cenni: la grande esperienza in missione di Filippo Santoro in Brasile, nell’ America Latina; il suo contributo a tutte le conferenze nazionali del continente latino-americano, fino a questa ultima di Aparecida del 2007, a cui lui dedica questo libro come una sua testimonianza precisa, una rilettura dei documenti e di quello che è accaduto in quel raduno così importante. Io credo che, ma lo ascolteremo, ci siano delle tracce utilissime e decisive per capire, da una parte, che cosa è accaduto e accade in quella coscienza cristiana del continente latino-americano nelle sue varie forme e dall’ altra un suggerimento interessantissimo sulla pastorale e sulla vita del cristiano. Ma non voglio rubare loro le parole. Don Pino.

STEFANO ALBERTO:
Se avete letto non distrattamente il programma, vi renderete conto che tutto questo Meeting che vuole decisamente mettersi dietro all’ insegnamento, soprattutto alla vita, alla vita cristiana, di Papa Francesco, offre con la presentazione di libri e il grande incontro di domani con Sua Eminenza il Card. Bassetti e Guzmàn Carriquiry, alcuni strumenti per approfondire che cosa veramente Dio, il Signore, il Mistero chiede attraverso la presenza di Papa Francesco alla nostra vita. L’ incontro di oggi con Padre Spadaro è stato decisivo in questo senso, se l’ avete perso recuperatelo, andate su streaming, rivedetelo, non lo dico perché è qui ma per la potenza che è stato oggi. La presentazione di questo libro si inserisce in questo tentativo di renderci conto dei grandi disegni che poi si dipanano attraverso le vicende delle persone, di questo Pontificato. Io uso il giudizio sintetico del Cardinal Ouellet, prefetto della Congregazione dei vescovi, che ha voluto firmare una breve e densa prefazione per darvi la ragione per cui vale la pena, subito, acquistare, leggere le prossime settimane questo libro. “Vedo una felice mediazione che permette di comprendere meglio il Pontificato di Papa Francesco, di partecipare al risveglio missionario sempre più diffuso in America latina, affinché possa stimolare la ricerca europea per la nuova evangelizzazione.
C’è un’altra ragione con la quale il Cardinale Ouellet ci introduce, proprio all’inizio, mettendo in luce che don Filippo, faccio fatica chiedo scusa, a chiamarlo sua Eccellenza, è un esempio clamoroso di che cosa vuol dire che essere figli di un padre preciso, in questo caso don Giussani, è la circostanza che apre a donare tutta la vita a tutta la Chiesa; e qui permettetemi un episodio che ha segnato la mia vita. Io ho in mente quell’estate, esattamente trenta anni fa, eravamo a Corvara, in val Badia, l’equipe, l’incontro estivo degli universitari e improvvisamente il programma della giornata che prevedeva un intervento di don Giussani in tarda mattinata, è stata rivoluzionata, non ricordo più se siamo andati a fare una gita o un gioco; ma ricordo bene che cosa ci disse don Giussani, tornando alla sera: sapete, don Filippo, siamo stati oggi a pranzo a Bressanone nel Seminario dove il Cardinal Ratzinger passava, un posto caldissimo, le sue vacanze semplicissime, umilissime, siamo stati a pranzo col Cardinal Ratzinger e don Filippo, dietro sua richiesta, ha accettato di partire, di lasciare tutto e andare, seguendo la richiesta del grandissimo Cardinale, a di Rio de Janeiro, di andare a insegnare. Erano gli anni in cui sembrava che la teologia della liberazione dominasse in lungo e in largo, erano anni di fortissime tensioni ideologiche; da dove ricominciare? Dalla presenza, dal dire: eccomi. Ecco il punto in cui l’esperienza ci aiuta a capire il metodo designato dal titolo del libro La forza del fascino cristiano, dalla bellezza, da una attrattiva e non da una contrapposizione ideologica. Io ricordo l’effetto che ha fatto su tutti noi, uno di noi che vedevamo come uno dei più brillanti, dinamici, alla guida della vita degli universitari, molla tutto e va in Brasile. Poi venne dopo appena un mese, quel 29 settembre, l’udienza del trentennale dove Giovanni Paolo II, senza tanti complimenti, ci chiese: andate in tutto il mondo a portare la bellezza e la verità che nascono dall’incontro di Gesù Cristo. Il primo a partire è stato, in senso cronologico, l’attuale arcivescovo di Taranto, l’attuale don Filippo Santoro.
Questo per dire che ci vuole poi tanto tempo ma niente capita a caso. Quel giorno, tra l’altro, fu il primo giorno del mio seminario, l’inizio: 29 settembre dell’’84. C’è anche un episodio: una volta Filippo venne a Roma e provò a convincermi: ma vieni anche tu. Per qualche ora sono stato in Brasile con lui e poi Giussani mi disse: no, ci sono altre faccende. Questo se volete è l’antefatto ma l’antefatto che ad un certo punto possiamo sintetizzare così: il cristianesimo, anche in circostanze molto dure, anche quando prevale l’ideologia, non si diffonde mai per proselitismo, per una contro ideologia, ma per una attrazione. Allora io mi limito a segnalarvi alcune questioni molto interessanti, che passano attraverso la persona di Monsignor Santoro e che ci aiutano a vedere come è vero che Dio ci sorprenda sempre. In particolare c’è una sua frase sintetica dell’importanza che ha avuto Aparecida, quelle giornate straordinarie dal 13 al 31 maggio del 2007, con la presenza, un bagno di popolo, di Benedetto XVI. “Aparecida”, scrive monsignor Santoro, “in una fase non più eurocentrica, abbiamo il vescovo di Roma che viene”. Io lascio aperta questa frase che è la più misteriosa in quella bellissima serata di pioggia romana, “quasi alla fine del mondo”, la lascio aperta perché questa frase che i testi scrivono “dalla”, chiudendola a una prospettiva geografica, ma lui, risento sempre il testo originale, ha detto “alla”. Lasciamola aperta, spazio e tempo; comunque, “in una fase non più eurocentrica, Aparecida si pone oggi come un magistero non solo regionale ma offerto a tutta la Chiesa nelle sue scelte specifiche che sono lo sviluppo del Vaticano II”. Questo è un fenomeno veramente interessante, perché noi pensiamo ancora che la teologia sia fatta in Europa, che tutto il pensiero che poi diventa insegnamento autorevole, magistero, diventa rinvigorirsi della tradizione, tutto venga prodotto in Europa, nelle università; ecco, noi abbiamo, e vale la pena di affrontarlo, un esempio clamoroso che ha preceduto di pochissimo la straordinaria novità di Papa Francesco. Monsignor Santoro ci dice: guardate che lui l’ha vissuto in prima persona da grande protagonista, guardate che ad Aparecida è successo qualcosa di veramente straordinario, è stata ribaltata, non so se lui vorrà approfondirlo ma non è essenziale, comunque un’impostazione un po’ sociologica, un po’ troppo tradizionale ed è accaduta una grande novità. Non dimentichiamoci che Aparecida, a dirigere i lavori, era il Cardinal Bergoglio. C’è un segnale molto interessante, storico: l’anno scorso, in occasione della sua prima GMG, bellissima, in Brasile, lui riunendo l’episcopato latino-americano ha fatto precisissimi, puntualissimi riferimenti ad Aparecida. Tutto questo è messo non solo a disposizione dei vescovi, di chi ha la responsabilità di guidare il gregge in queste circostanze entusiasmanti della vita della Chiesa, ma è messo a disposizione di ciascuno di noi.
Senza rubare troppo tempo a monsignor Santoro, io vorrei sottolineare così alcune novità fondamentali, novità di contenuto, di metodo e alcune dinamiche che poi ritroviamo, vi rimando all’incontro di domani per un successivo approfondimento, in quello che è il documento programmatico del Pontificato di Papa Francesco: Evangelium vitae. Innanzitutto già nel titolo, “discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché in lui abbiano vita”. La prima cosa che ci colpisce è che, a differenza, perdonate la franchezza, di tanti documenti anche attuali, penso soprattutto a documenti di certe Commissioni della Conferenza Episcopale Italiana, non viene dato per scontato il soggetto. Qui mi viene in mente una frase, che c’è nel libro di Savorana, detta da Giussani che non a caso colpì, Luciano Violante che parlerà tra un’ora: “Se tu ti trovi ad affrontare qualsiasi problema, la prima cosa da guardare non è il problema, la prima attenzione da avere non è al problema ma al soggetto che deve affrontarlo”. Non è da poco partire non dando per scontato il soggetto e poi il metodo classico, l’abbiamo trovato già nelle conferenze precedenti: vedere, giudicare, agire. Qui c’è una continuità con le precedenti Conferenze generali, ma c’è anche una profonda novità. Leggo dal documento finale: “Questo metodo, vedere, giudicare, agire, implica la contemplazione di Dio con gli occhi della fede attraverso la sua parola rivelata, il contatto vivificante con i sacramenti, cosicché nella vita quotidiana possiamo vedere la realtà che ci circonda alla luce della sua Provvidenza. Giudicarla secondo Gesù Cristo, Via, Verità e Vita e agire nella Chiesa, corpo mistico di Cristo e sacramento universale di salvezza per la diffusione del Regno di Dio su questa terra”. Potremmo dire, usando un’espressione di Giussani: “E’ l’intelligenza della fede che diventa intelligenza della realtà”.
Poi qualche cosa che troveremo direttamente nella Evangelium vitae, cioè questa insistenza a partire dall’esperienza, dalla vita del popolo, non letta sociologicamente ma letta come il luogo in cui la vita stessa di Dio, la comunione della Trinità, diventa storia, diventa comunione attraverso l’avvenimento dell’incontro con Gesù Cristo. C’è una frase impressionante che dice come il rischio, sempre presente, del discorso, della ideologia, sia purificato attraverso la lealtà di riconoscere la novità che Cristo porta: “Ciò che ci identifica non sono le circostanze drammatiche della vita né le sfide della società e nemmeno le attività che dobbiamo intraprendere, quanto piuttosto l’amore ricevuto dal Padre grazie a Gesù Cristo per l’unzione dello Spirito Santo”. Questa è una affermazione sorprendente, commenta Filippo, perché normalmente consideriamo le situazioni drammatiche, le ingiustizie, i problemi, le preoccupazioni, i nostri compiti essenziali e determinanti per la nostra vita e per l’esistenza dei nostri popoli. Aparecida ci dice che non è questo che ci definisce, queste cose fanno parte della nostra vita, sono molto importanti, ma non sono la nostra caratteristica, la quale nasce dallo sguardo di Dio sulla nostra persona e sulla nostra storia. Lasciarsi guardare, afferrare da questo sguardo. Da qui nascono due cose: se io colgo nella mia vita, nella vita della Chiesa, nella vita della comunità cristiana questo sguardo, posso ricominciare.
Ancora Aparecida, poi lo troveremo in Evangelium Vitae, tocca a noi tutti ricominciare da Cristo; e qui c’è una citazione fortemente voluta dell’inizio della prima Enciclica di Benedetto, Deus caritas est: “Tocca a noi tutti ricominciare da Cristo, riconoscendo che all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica, una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. Ricominciare da Cristo e comunicarlo, la gioia di essere discepoli, missionari di Cristo. Di questa gioia è tutto pervaso il libro perché io, dopo aver letto, ho detto: la differenza grande è tra chi vive pensando di dover difendere qualcosa, di dover trattenere qualcosa che continua a scivolarti tra le dita e chi si accorge come è bello iniziare, ma non come un volontarismo, per la scoperta di una cosa grande, per la scoperta di una bellezza; la gioia di comunicare Cristo che diventa impeto, passione; uscire incontro all’altro per dire questo nasce non come progetto, meno che mai come ideologia, ma come gratitudine per la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo, morto e risorto. Quello che Papa Francesco chiama, descrive suggestivamente Filippo, “il profumo del Vangelo”. Non gli porto via altro tempo, bisogna leggerlo con attenzione, vi garantisco che, come piccolo contributo, Filippo è sempre molto essenziale ma è veramente sorprendente vedere attraverso la vicenda di un uomo, attraverso la vicenda di un continente, la fantasia di Dio, la creatività di Dio. Questa novità continua che ci stupisce e, grazie a Dio, e grazie a Papa Francesco, ci costringe a uscire da quello che pensavamo già di sapere e che invece ci conviene immensamente imparare di nuovo e sempre. Molte grazie a monsignor Santoro.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie don Pino. Don Filippo Santoro.

S. ECC. MONS. FILIPPO SANTORO:
Buona sera a tutti. Vi ringrazio per la presenza, padre Spataro, Guzmán Carriquiry, tutti gli altri amici qui presenti che saluto volentieri. Don Pino ha fatto una presentazione acuta e generosa del mio testo.
Dico semplicemente che cosa mi ha spinto a scrivere questo testo che riprende l’esperienza fatta in 28 anni di missione in Brasile e poi dopo l’esperienza specifica di Aparecida. Innanzitutto far conoscere in Italia, in particolare, che cosa è stata questa Conferenza dell’Episcopato latino-americano di Aparecida e secondo di riprendere il magistero di Papa Francesco che rilancia a livello mondiale delle indicazioni che per noi in Italia sono preziosissime, non solo per noi in Italia, ma per il mondo intero. Nel libro cito varie Conferenze, la Conferenza è la riunione di tutti i rappresentanti delle varie Conferenze episcopali dell’America latina, che è cominciata prima del Concilio con la Conferenza di Rio de Janeiro, ma dopo, nel ’68, c’è stata la Conferenza di Medellin, in cui l’intento era di applicare la novità del concilio all’America latina. Dopo c’è stata la Conferenza di Puebla, la Conferenza di Santo Domingo, nel 2007 la Conferenza di Aparecida, con la presenza di 250 vescovi che venivano da tutta l’America latina e i Caraibi. Don Pino ha ricordato questo incontro di Bressanone che io ogni tanto ricordo per spiegare l’entusiasmo della fede, l’entusiasmo della missione. Evidentemente in quell’incontro si è consumato l’invito che don Giussani mi aveva fatto delicatamente – tu andresti volentieri in Brasile? – di fronte a Sua Eminenza il Cardinal Ratzinger, che era il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Allora don Giussani mi dice: Filippo sto andando a Bressanone a trovare il Cardinal Ratzinger, verresti con me? Viene anche don Scola e don Barbetta. Noi quattro andiamo, lo salutiamo, e poi ci fermiamo insieme a pranzo al ristorante Felice, che a Bressanone è un ristorante in cui si mangia alla grande, la migliore carne di tutte le Dolomiti e invitiamo il Cardinale. Allora andiamo a trovare il Cardinale nel monastero benedettino e nel monastero benedettino don Giussani saluta e c’erano 200 metri per arrivare dal monastero a questo ristorante Felice, non faccio la propaganda del ristorante, non lo frequento da 20 anni, anzi da 30 anni, e in questi 200 metri don Giussani era salutato costantemente: “Io sono una giornalista della Repubblica”, “io sono dell’Espresso”, tutti da provenienze strane, e poi due passi e arrivava un altro che in tedesco salutava il Cardinale. Poi arrivati a tavola, prima cominciano, lanciano una tattica, diciamo così, distensiva e poi mi viene fatto l’invito che chiudeva la missione in Brasile su richiesta del Cardinal Sales. Ma anche l’antipasto è stato simpatico, non so se l’ho raccontato a qualcuno ma ad alcuni amici l’ho raccontato in Puglia: arriviamo lì e Scola, soprattutto, dice al Cardinal Ratzinger “Eminenza, qui si mangia della carne splendida, benissimo, cacciagione di prima qualità, quindi possiamo scegliere, è una cosa fatta con cura, molto bene”. E tutti quanti entusiasti perché dovevamo assaporare questa carne. E allora il Cardinal Ratzinger dice “no io mangio solo una fettina ai ferri”. E noi rimaniamo muti e senza espressione. Don Giussani, visto lo smarrimento di tutti noi, dice: “Anche noi la fettina ai ferri”. E rimaniamo tutti bloccati in contropiede, per sintonia. Dopodiché continua “Eminenza, c’è anche del buon vino”. Allora viene il sommelier e Ratzinger si butta avanti e dice “ma io bevo acqua, oppure birra, ma voi potete chiedere il vino”. E quindi ci siamo messi a nostro agio e dopo è venuto l’invito.
Ma dimenticavo la storia dei succhi brasiliani. Lì ci sono in Brasile dei succhi che, se sei depresso, ti tirano su, se sei abbattuto, ti rianimano e quello che non è purgante va giù, tutte queste cose qui. Poi dopo il momento straordinario è stata l’udienza nella sala Paolo VI con Giovanni Paolo II, San Giovanni Paolo II. E lì don Giussani mi presenta e mi dice: “Ecco, noi abbiamo accolto, Santità, il suo invito ad andare nel mondo a portare la bellezza, la verità che si trovano nell’incontro con Cristo Redentore. E don Filippo parte subito in missione”. Mi ha messo la mano sul capo, mi ha benedetto: “Vai, vai in missione con la benedizione del Signore”. Quindi una partenza come questa e arrivo in Brasile. Ora non racconto tutti i particolari del viaggio. Don Giuliano Renzi, qui di Rimini, ha viaggiato con me, e quindi una cosa di questo tipo. E sono partito. Sono partito in missione sia per insegnare in Università Cattolica a Rio, sia anche per la pastorale giovanile e la pastorale con i Meninos de Roua e i senza fissa dimora. E l’esperienza fondamentale, l’esperienza per cui voglio, ho voluto presentare e riprendere questo tema di Aparecida è per farlo conoscere qui, perché è di una ricchezza straordinaria, perché ripropone tutto il cammino fatto dalla Chiesa latino-americana dalla Conferenza di Medellin fino ad Aparecida. Ed era quello che padre Spadaro diceva: nella situazione latino-americana problemi ce ne sono tantissimi, ma questi sono stati assunti come sfide, come sfide alla verità della fede, come noi facciamo i conti con una situazione drammatica.
Come si può entrare nella realtà con una proposta che utilizza aspetti della sociologia ma non si riduce ad elementi sociologici, porta dentro l’irruzione, il fascino, la forza del fascino? Perché tutta questa azione non è stata programmata, la forza del fascino è l’azione dello Spirito che ci lancia in missione, ci fa affezionare a Cristo Signore, ragione e senso della nostra vita e ci fa andare in missione dove lui vuole. E don Giussani, quando mi ha mandato in Brasile, quel giorno, ha detto a Sua Eminenza, a Ratzinger: “Guardi, noi non abbiamo un piano di espansione, andiamo di qua, andiamo di là, rispondiamo alla richiesta della Chiesa, perché sia al servizio della Chiesa. E se è necessario, svuotiamo lo stivale, cioè andiamo tutti in missione”. E approfondendo il tema di Aparecida, il Santo Padre, l’anno scorso, nella Giornata Mondiale della Gioventù, ha spiegato di che si tratta. Dico brevemente perché anche Papa Francesco lo cita. Aparecida è questa cittadina che si trova ai bordi di un fiume, di un Rio, tra San Paolo e Rio de Janeiro. C’erano alcuni poveri pescatori che pescavano e non avevano pescato nulla. Ad un certo punto nella rete appare il corpo della santa, della Madonna, e dall’altro lato la testa. Messi insieme i due pezzi, scoprono che è una bellissima immagine della Madonna: Aparecida, perché è apparsa nelle acque del fiume. Cosa succede? Subito dopo quella che era stata una pesca sterile senza pescar niente diventa una grande pesca. Allora loro prendono la Madonna, la mettono in un manto, dice Papa Francesco ai vescovi brasiliani, ha detto la parola portoghese “agasaliar la Madonna”, gli hanno messo un giubbotto, qualcosa per riparare. E poi hanno cominciato a venerarla, a venerare l’immagine, e di lì è nato un flusso di fede, un flusso di vita, attratti dalla bellezza della madre di Dio che è stata fonte di rigenerazione della fede e della vita del popolo. Quindi un luogo che ha determinato persino la liberazione degli schiavi, tanto che la principessa Isabel, in Brasile, ha dato, quando ha fatto il decreto per l’abolizione della schiavitù, alla Madonna Aparecida la rosa d’oro, proprio per dire: questo è dovuto a ciò che la Madonna ha fatto, spaccare i vincoli delle catene. La liberazione che nasce dalla grazia, che nasce dalla grazia, che nasce dall’annuncio, che nasce dalla bellezza della missione e quindi lì è diventato il luogo, il cuore pulsante della fede del Brasile. Nel 2007 lì c’è stata la quinta Conferenza dell’Episcopato latino-americano per indicazione esplicita di Papa Benedetto ed è stato straordinario, perché quel luogo non era una sala di convegni, non era il centro studi, ma era il centro vivo della fede. Migliaia di pellegrini che vanno in pellegrinaggio, tutta la settimana, ma il venerdì diventano 60.000, il sabato 90.000, la domenica 120.000. Quando noi facevamo i gruppi di studio, non avevamo le carte da tavolino, le chiacchiere o cose anche serie, però dei documenti scritti, avevamo di fronte le facce delle persone, questo popolo semplice, povero e pieno di fede; questo popolo che quando i vescovi passavano li applaudivano. Aparecida è stata la fine dell’opposizione tra la Chiesa popolare e la Chiesa istituzionale, perché la gioia straripante di questa gente ci accoglieva, dopo la bella liturgia. La presenza del popolo, la presenza della Madre di Dio, la presenza dei vescovi che tutte le mattine facevano liturgie bellissime in spagnolo, in portoghese, qualcuna in inglese perché c’erano anche i Caraibi, e quindi negli occhi avevamo i volti della gente, i loro problemi e le loro domande. La sfida diventava preghiera e diventava accoglienza. Allora in questo clima si determina l’ inizio dei lavori.
C’è tutto un primo tema sull’evangelizzazione dell’America latina e poi specificamente il tema della Conferenza di Aparecida. Nella Conferenza di Aparecida chi era il Presidente della Commissione che preparava il documento finale? Era il Cardinal Bergoglio, Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires. E quindi cominciamo a lavorare e si profila uno schema abbastanza sociologico: lo schema vedere, giudicare, agire, in cui però il vedere era in una forma calcatamente sociologica. Vado a parlare con sua Eminenza il Cardinal Bergoglio e gli dico: “Eminenza, sta andando avanti così, come facciamo?” E lui mi dice: “Filippo, è meglio fare il nostro lavoro, fare i nostri testi”. Eravamo divisi in gruppo, nel mio gruppo avevano designato me e un Arcivescovo della Colombia per preparare il capitolo sesto, cose del genere; allora, “fate il vostro testo nei vari gruppi, dopo li rimettiamo insieme”. Arriva il momento, il Cardinal Bergoglio fa un intervento e dice: “Va benissimo il vedere, giudicare, agire, ma questo non può essere qualcosa di asettico. Non esiste un vedere asettico, dobbiamo mettere qual è la prospettiva da cui noi viviamo. La realtà sì, ma la realtà è molto dura, dobbiamo partire dall’adorazione della Trinità e dalla lode al Signore perché ci ha visitati”. E quindi pone un capitolo di premessa che dice “partire dagli occhi e dal cuore dei discepoli missionari”, lasciando intatta, con piccoli rifacimenti, la situazione del vedere, del giudicare e dell’agire. In una forma straordinaria viene fuori un documento in cui la grandezza del Cardinal Bergoglio è stata sintetizzare alcuni elementi contrastanti, alcuni aspetti della galassia delle Teologia della Liberazione, perché ci sono tante tendenze; poi la questione delle sette, delle nuove denominazioni religiose, come si chiamano, che ogni anno in Brasile catturano un milione di persone e quindi è una cosa violentissima. E poi anche la sfida della modernità, diciamo la secolarizzazione avanzata, e poi ancora la sfida della povertà nel senso stretto del termine, della corruzione. Tante cose, un documento pieno di speranza, e quindi il documento va avanti ed è approvato. Perciò l’aspetto bello è l’evento di Aparecida come evento dello Spirito, un evento dello Spirito. E, passo dopo passo, questo tema della Conferenza di Aparecida si sviluppa toccando tutti i vari aspetti della realtà.
Come si diceva stamattina, nella conferenza di questa mattina: non esiste una fede che non fa i conti con la realtà. E perciò, vi devo dire, faccio un aggancio alla situazione che sto vivendo ora a Taranto, è evidente che con questa esperienza fatta sia ad Aparecida, sia nel Ministero a Rio de Janeiro come a Petropolis, dove sono stato vescovo, non era possibile che arrivassi a Taranto, vedessi la situazione, la questione dell’Ilva, della salute, la questione dell’ambiente e poi dopo la questione della città vecchia e poi dopo la situazione delle carceri e quindi degli ospedali e quindi ora dei profughi e dei migranti – ne abbiamo accolti 7.000 a Taranto – e non mi sentissi provocato da queste sfide, provocato e toccato nel cuore, perché è un dramma umano. Allora, quello che già nell’esperienza dell’incontro con don Giussani era stato vissuto, l’esperienza dell’America latina lo ha approfondito, lo ha dilatato. E’ condividendo un cammino di Chiesa che, tornato in Italia, dico che è normale che uno si deve immediatamente schierare e deve fare i conti con queste sfide, ma con il cuore. Dopo che era scoppiato tutto questo, sono stato con Carrón a trovarlo. C’è stato il Convegno mondiale della famiglia e lui mi ha detto: “E’ questa la questione del soggetto, del cuore, dell’io, che di fronte alla realtà si gioca lui”. Nessuno mi ha detto devi fare, non devi fare, ma è proprio la posizione nostra di un rapporto, di una vicinanza alla gente, di portare, come dice sempre Papa Francesco, l’essenziale, l’amore del Signore morto e risorto che scalda il cuore, che cura le ferite. Scalda il cuore e cura le ferite non è una frase bella appena, ma è un metodo. Questa è la ricchezza, questo è il cambiamento a cui è chiamata la Chiesa in Italia e tutta la realtà. La questione non si risolve, se posso dare il mio contributo, utilizzando intellettualisticamente i temi di Aparecida, né con nuove analisi, si risolve rivivendo l’esperienza che ha generato questo itinerario e questo percorso, rivivendo l’esperienza della condivisione, l’esperienza dello spirito che suscita la fede e che ci lancia nell’avventura della solidarietà, della comunione e quindi della opzione preferenziale per i poveri. In questa esperienza si trova la chiave di volta e questa esperienza è latino-americana ma è condivisibile in ogni parte del mondo. Il fattore esperienza che Papa Francesco mette in evidenza è il fattore determinante, perché se si ripetono solo categorie nuove non avviene. Non è la ripetizione di un discorso ma il partecipare ora ad una vita che vedo che mi allarga il cuore, mi arricchisce, mi attrae.
Allora la chiave di Aparecida è questa: la missione non accade per proselitismo ma accade per attrazione. E’ l’omelia iniziale della Conferenza di Aparecida fatta da Papa Benedetto, poi messa nel corpo della Conferenza di Aparecida, nel testo del documento finale, ripresa costantemente da Papa Francesco; l’attrazione, l’esperienza, il cedere a un fascino e vedere che questo cedere illumina la realtà concreta e ti fa vivere con verità e con intensità cento volte di più. Questo è il cammino, perciò è importante vedere al fondo l’esperienza di Aparecida. E’ il motivo per cui ho voluto fare una riproposizione ma tenendo conto del Magistero di Papa Francesco, perché se non è un fatto che mi contagia e che diventa incontro con la gente, continuerò a sviluppare interventi, gruppi di studio, gruppetti, sottogruppi, eccetera, eccetera, eccetera, mentre Papa Francesco sembra molto essenziale, mette mano alla riforma della Chiesa ma non con un metodo discorsivo-accademico, ma proprio facendo valere le ragioni dell’esperienza. Ed è il motivo per cui, arrivato come Vescovo a Taranto, mi trovo tanta gente che viene a incontrarmi, viene a trovarmi. Vedo per esempio, l’ho citato altre volte, che gli operai dell’Ilva stanno facendo sciopero a 60 metri di altezza e nessuno delle autorità è andato a visitarli, nessuno gli ha detto nulla, non so per quale motivo. E io dico al mio segretario “io vado a trovarli”, e lui “ma è interdetta la fabbrica, ci sono i vincoli”. Allora ho detto: “Io vado lo stesso”. Ho parlato col questore, ho parlato col prefetto, e sono arrivato sotto. Arrivo sotto l’alto forno 5 e quello della polizia, della Digos, mi dice: “Eccellenza, lì non può andare, è pericoloso”. E mi blocca là sotto. Però loro scendono e mi dicono: “Grazie Eccellenza perché è con noi”. E io: “Porto la solidarietà, l’abbraccio di Cristo e della Chiesa per le vostre famiglie. Fate lo sciopero ma non mettete a rischio la vostra vita. Andate avanti perché il bene prezioso è proprio quello della vita”. Da dove viene? Da un’esperienza. Non è né un merito né altro, ma è un metodo per cui le sfide sono raccolte e non sono fatte cadere.
E’ questo che don Giussani ci ha insegnato e Carrón ci sta insegnando. Una cosa è accogliere le sfide, un’altra cosa è inventarsi strategie o altri affari. E quindi questa è stata l’esperienza. Ma anche altri esempi potrei portare. Gli operai dell’indotto della marina rischiano di perdere il posto di lavoro, sono 300 famiglie, e fanno un gazebo e stanno sulla strada che mi conduce alla Cattedrale per celebrare la giornata diocesana della gioventù. Mi hanno invitato, che faccio? Vado dai giovani, ignorandoli? Passo, li saluto, sto insieme con loro, mi ringraziano, mi dicono che sono proprio contenti e poi mi dicono: “Eccellenza, visto che lei ha fatto venire a Taranto due Ministri, il Ministro della Salute e il Ministro dell’Ambiente, perché non fa una telefonata anche al Ministro della Difesa?” Allora ho detto: “Non la conosco, però l’ho solo vista una volta”. E allora faccio il numero e riesco a parlare con lei. E lei mi dice: “Eccellenza, la situazione è complicata, però le faccio sapere domani mattina”. L’indomani, domenica, mi telefona e mi dice: “Prenderemo provvedimenti. Non è stato licenziato o dimesso nessuno. C’è stata una forma di trattamento ma la cosa è andata avanti”. Per dire, l’esperienza! Un altro fatto che mi ha toccato moltissimo in questo mese, nel mese di Agosto, agli inizi. Una signora viene e mi dice: “Guardi Eccellenza, mia figlia si doveva sposare proprio oggi, ha avuto un incidente automobilistico e sta in coma irreversibile”. Mi fa vedere la fotografia, una bella ragazza, proprio già vestita da sposa, e allora: “Eccellenza, noi vogliamo solo pregare con lei e vogliamo la sua benedizione. Siamo venuti qui per questo”. Allora li ho portati nella cappellina dell’Episcopio e ci siamo messi in ginocchio come ci si mette dinanzi al Santissimo Sacramento, come ci si mette nei santuari mariani più famosi quando uno vuole una grazia, quando uno chiede, quando domanda col cuore che quel dramma, quel problema, quella sfida venga accolta, venga abbracciata, venga risolta dal Signore. Abbiamo pregato, ho dato loro la benedizione, abbiamo invocato la potenza dello Spirito e della Madre di Dio e sono andati sereni a casa. “Grazie Eccellenza, questo ci dà una pace grande. Continui a pregare per mia figlia”. Allora la grazia di Dio ha i suoi cammini, la medicina, la grazia di Dio. Quindici giorni dopo una telefonata: “Luna, così si chiamava, è uscita dal coma. Era irreversibile ed è venuta fuori dal coma”. Per dire, il vescovo è colui che accoglie; è la bellezza, la bellezza della vicinanza, il destino non è rimasto lontano.
La bellezza della vicinanza, la bellezza della prossimità, della misericordia, della condivisione, è per questo che la lezione di Aparecida diventa attrazione della bellezza e poi si traduce in condivisione e si traduce anche in opzione preferenziale per i poveri. C’è come un flusso che dalla fede si declina in abbraccio, in cammino comune, un cammino che si fa con tutta la Chiesa. A Taranto con tutti i problemi che conoscete, dell’Ilva, della salute, era la festa del Corpus Domini e dico: “Il corpo di Cristo è l’Ostia, l’Eucarestia, Lui è vivo, risorto, ma il corpo di Cristo sono questi profughi che stanno venendo dalla Siria, dall’Africa, eccetera, eccetera; con tutti i nostri problemi dobbiamo aprire il cuore ad accoglierli”. Mi aveva frattanto telefonato il prefetto dicendo: “Sta arrivando un’onda, mi aiuti Eccellenza”. Allora le parrocchie, i movimenti, si sono messi a disposizione per l’ accoglienza di chi veniva. Dopo i primi momenti di sospetto – perché la gente vede gli ausiliari con le mascherine, eccetera, eccetera – c’è stata un’accoglienza straordinaria. E’ proprio per dire il metodo dell’accoglienza, dell’opzione, che comunica il cuore di Dio a coloro che ci raggiungono. Accogliere le sfide e non farle cadere e questo con il cuore e con lo sguardo di Cristo. Il tema fondamentale proprio di Aparecida e anche del messaggio del Magistero di Papa Francesco è il tema della gioia: Evangelii Gaudium. Una gioia non superficiale, una gioia profonda, non un estetismo. Il cuore della faccenda è proprio l’esperienza di una gioia contagiante che nasce dal rapporto col Mistero, dal rapporto con l’affidarsi a qualcuno, perché l’esperienza la fai nell’incontro con Gesù, ma l’incontro con Gesù ha un nome e un volto preciso, ha un nome e un cuore preciso. Nella nostra storia ha avuto il volto di don Luigi Giussani, adesso ha il volto di Carrón, il volto di Francesco, il volto del vostro Vescovo; ricordate che siamo tutti dentro le Chiese locali. Il volto di colui che conduce la Chiesa è la circostanza che ci fa dire di sì a lui in carne e ossa. Stiamo seguendo il Signore e quindi lo viviamo nelle nostre piccole e grandi comunità. Una Chiesa che vive dell’essenziale, che accoglie l’abbraccio della misericordia di Cristo e che quindi si lancia nella missione, pieni di gioia e pieni di certezza. Quello che voglio dirvi concludendo è proprio che questa esperienza bisogna farla e si può fare; si può fare in America latina, si può fare in Italia, in tutte le parti del mondo, si può fare sempre. E’ proprio l’abbraccio del Signore che ci viene dato. Termino raccontando la visita ai carcerati, che ora vedo spesso, spessissimo: anche questi sono i poveri. La prima volta che sono andato a celebrare, uno di loro in semi-libertà, ha detto: “Eccellenza, qui c’era una stanza bruttissima, oscura, fetente e ci hanno detto qui celebriamo la messa col vescovo. Allora con altri detenuti ci siamo messi, l’abbiamo pitturata tutta, gli abbiamo messo i colori del vaticano, verde e giallo. Abbiamo trovato dei quadri, li abbiamo appesi ed è venuta una cosa molto bella. “Grazie – io l’ho ringraziato – ma tu l’hai fatto proprio per Gesù questo”. “Certo, Eccellenza, per Lei e per Lei, attraverso Lei, a Gesù. Sono un po’ lontano – mi dice questo – però vedo che Lei è vicino e mi dà il suo sostegno”. Dopo sono tornato per Natale, poi per Pasqua, poi torno sempre, ultimamente sono tornato ancora e lui ha fatto una testimonianza pubblica in cui ha detto: “Guardi, Eccellenza, da quando è venuto Lei, ha preso la mia mano e me l’ha stretta e non me la lascia più”. E io: “Questo è quello che Gesù fa con la sua misericordia e con la sua bellezza con ciascuno di noi, prende la sua mano, non ce la lascia più, ci abbraccia per sempre”. Grazie a tutti quanti voi.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie a Mons. Santoro, don Filippo. Anche noi non possiamo vivere senza accogliere quello che sta accadendo sotto i nostri occhi, in questo momento, nella sua esperienza, in quello che sentiamo. E quindi il gesto più intelligente è quello di stare vicino, capire e far diventare proprio. L’invito alla lettura è questo ed è il motivo anche di una fatica che Santoro ha fatto, è un desiderio di felicità, di gioia nel comunicare questa scoperta di nascita di un Io nuovo. Infatti tutta Aparecida parte proprio dagli occhi di qualcuno che ha visto. Nessuna azione può partire da altro che da questo. Grazie ancora a lui, della visita al Meeting, e di questa preziosa offerta di libro e grazie a don Stefano Alberto.

Data

28 Agosto 2014

Ora

16:00

Edizione

2014

Luogo

eni Caffè Letterario A3
Categoria
Testi & Contesti