HELP, IL GRIDO DEL ROCK

Performance dal libro Help, il grido del rock di Walter Gatti.

 

STEFANO RIZZA:
Non sono Walter Gatti era solo per salutarvi e ringraziarvi di essere venuti. Quella di oggi non è solo la presentazione di un libro ma è un vero percorso sulla storia del rock, per cui visto che quello che lo ha ideato è qui presente, lo faccio salire sul palco Walter Gatti.

WALTER GATTI:
Grazie di essere venuti a fare questa sauna. Io insieme ad una serie di amici, che dopo vi presenterò e di cui vi racconterò vita morte e miracoli, abbiamo fatto questi due libri: il primo è in giro da un anno e si intitola Help il grido del rock ed è dedicato interamente alla musica anglo-americana; sono 133 canzoni raccontate da noi. Il secondo è uscito in questi giorni in libreria. Help aveva un titolo evidentemente tratto dai Beatles, “cosa sarà” è invece un libro dedicato esclusivamente alla canzone italiana e prende a prestito il titolo di una canzone famosissima di Lucio Dalla. La sfida, la scommessa che abbiamo messa insieme in questi due libri che trovate in libreria, quindi comprateli, comprateli, comprateli, la sfida che abbiamo messo insieme in questi due libri è questa: il rock o la canzone pop ha voluto dire qualcosa di bello, di vero, di profondo, di utile, di importante riguardo all’uomo, a ciò che l’uomo vive ed ama? La nostra risposta è sì. E abbiamo cercato di testimoniarla scegliendo 133 canzoni rock e 129 canzoni italiane. Abbiamo tirato fuori tutta una serie di cose famose, raccontate in modo nuovo, o cose poco famose che ci piaceva ri-raccontare e presentare alle persone che compravano questi libri. Ma visto che la musica è sempre meglio ascoltarla piuttosto che parlarci sopra, abbiamo messo insieme uno spettacolo, quest’anno ne abbiamo fatto 10 o 12 edizioni, qui portiamo la somma non teologica ma rock di questi due libri. Però per partire io vi presento subito un pezzo che probabilmente il 90% di voi non conosce, un pezzo di cui abbiamo preso un piccolo pezzo del ritornello e lo abbiamo utilizzato come presentazione del primo libro, del libro Help. La canzone è una canzone di una band irlandese cui io sono molto legato, sia alla band che alla canzone, la band si chiama Hothouse flower i ossia i fiori della serra, il pezzo si intitola Isn’t amazing, Non è meraviglioso? È una canzone che dice che ogni canto è una preghiera, chiedo scusa, ogni pianto è una preghiera ed una preghiera è una canzone, le nostre preghiere saranno ascoltate. Su questa canzone, che ha un orientamento molto gospel, ho chiesto ad un amico regista di creare un video, lui ci ha lavorato sopra mettendo insieme cose a noi note e meno note, e ha costruito quello che è una traccia di percorso visivo. Questa canzone è quella con cui vorremmo cominciare, il resto viene dopo.. il video è degli….

musica e video

WALTER GATTI:
Siamo partiti con questa canzone perché nel ritornello dice “ogni preghiera sarà ascoltata”, allora io prego i compagni di viaggio di questo pomeriggio di venire qui.. … una serie di pezzi di questa giornata. Ecco qua: I versus. I versus sono una band che un po’ più avanti Daniele presenterà meglio, ma con loro noi vogliamo ascoltare quattro pezzi che marcheranno questo pomeriggio. Il primo pezzo è una delle canzoni più grandi della storia della musica rock, scritta dal bassista di una delle band più importanti del rock, stiamo parlando dei PinkFloyd, ed il bassista dei Pink Floyd si chiama Roger Waters. A un certo punto il bassista dei Pink Floyd scrive quasi da solo un disco all’interno del quale c’è questa canzone, la canzone di cui stiamo parlando è Wish You were Here. La storia di Wish You Were Here è una storia molto particolare, perché Roger Waters è amico da sempre di Syd Barrett che con lui ha fondato questa storica band a Cambridge negli anni ’60, sono tutti studenti di università, amano la musica, amano anche sostanze stupefacenti, Syd Barrett è schizofrenico già dalla nascita, una serie di sostanze stupefacenti fanno esplodere questa sua schizofrenia a dei livelli insostenibili. Syd Barrett incide con i Pink Floyd un disco, dopo di che se ne va dalla band. A metà degli anni sessanta Roger Waters scrive questa canzone Wish You Were Here, che secondo me, io ho avuto sempre la percezione che fosse una grande canzone sull’amicizia e sull’attesa. Anche perché il titolo dice proprio questo, Se tu fossi qui, e Roger Waters dedica questa canzone all’amico dicendogli “come vorrei che tu fossi qui, siamo solo due anime che nuotano in una palla di vetro, anno dopo anno corriamo sullo stesso vecchio terreno. Ma cosa abbiamo trovato? Solo le stesse vecchie paure. Come vorrei che tu fossi qui”. È una canzone che Rogers Waters dedica all’amico, ho sempre pensato però che fosse una canzone che ognuno di noi potrebbe dedicare al grande amico, e la richiesta è proprio “se tu fossi qui”.

musica

WALTER GATTI:
La canzone dell’amicizia, la canzone dell’attesa, però nei nostri libri come dicevo prima ci sono anche grandi scoperte, una di queste è quella che vi proponiamo adesso attraverso un video. Facciamo un salto da Cambridge, l’Inghilterra importante al sud degli Stati Uniti, nel mondo del country e del western. Ad un certo punto, all’inizio degli anni novanta, quattro, i più grandi cantanti country d’America si mettono insieme, fanno una sorta di supergruppo, sono: Johnny Cash, morto qualche anno fa, famosissimo per Ring of fire, sono Waylon Jennings, anche lui morto, purtroppo, quando parliamo di morte questi sono morti di vecchiaia, non sono morti di altre cose, poi Willie Nelson, cantante dai capelli lunghissimi, settantacinque anni ancora vivo, e l’ultimo Bill Christofferson, famoso cantante e famoso attore. Bill Christofferson scrive una canzone che tra poco andremo a vedere, una canzone piccolissima, brevissima, che si intitola Here comes that rainbow again, “qui arriva di nuovo l’arcobaleno”. Una piccola storia, vale la pena di raccontarla, siamo in un bar, in un pub lungo una strada, niente di bello, c’è una cameriera che sta pulendo per terra e ci sono due camionisti che stano finendo di mangiare seduti ai loro tavoli, entrano due ragazzini dell’Oklahoma (in America considerata come la terronia di casa nostra, senza offesa per chi ci abita) e dicono alla cameriera: “scusa quanto costano due dolcetti?”, e la cameriera: “quanto avete?”. I bambini dicono: “abbiamo cinque centesimi” e la cameriera dice esattamente: “i due dolcetti vengono cinque centesimi”, prendono i dolcetti vengono via. I camionisti dicono alla cameriera: “non l’hai detta giusta non erano cinque centesimi per due dolcetti”, e lei dice “e a voi che ve ne frega?”. La storia va avanti, i due camionisti finiscono di mangiare, vanno a pagare e lasciano due dollari in più e la cameriera dice: “avete lasciato più soldi” e loro dicono “e a te cosa te ne frega?” ed escono. E il ritornello dice “e fuori c’è tempesta, c’è odore di pioggia sull’asfalto, non c’è niente come un gesto umano e qui viene di nuovo l’arcobaleno”, riferendosi a questo gesto di gratuità, semplice ma magnifico dei camionisti. La canzone è un capolavoro di due minuti e dieci e quindici secondi. Il supergruppo si chiamava The Highwaymen, cioè gli uomini dell’autostrada, nel più classico stile country americano

musica

WALTER GATTI:
Non v’è niente come l’umano e qui viene di nuovo l’arcobaleno. Da una canzone probabilmente non molto nota ad una canzone famosissima. Stefano Rizza ve la racconta insieme a Walter Muto. So che l’applauso è perché sono belli, siccome sono belli avete applaudito. Allora Stefano Rizza e Walter Muto, solo una parola poi me ne vado, sono due miei compagni di viaggio nella realizzazione di questi libri. Dico solo una cosa, è stato bello per noi fare questi libri, perché il punto di partenza per noi è stata quella della costruzione di un libro tra amici, tra colleghi, per cui non tanto il tentativo di dilettarci di critica musicale, quanto mettere insieme un libro che fosse condiviso da amici. Siamo riusciti l’anno scorso, siamo riusciti quest’anno, forse riusciremo l’anno prossimo se ci saremo ancora. Nel frattempo vi lascio a Stefano Rizza che vi racconta una canzone che conoscete benissimo Father and Son di Cat Stevens.

STEFANO RIZZA:
Solo una parola per questa canzone del ’70. Cat Stevens, origine greca, londinese. Beh il contenuto forse è noto a tutti, per quel che mi ricordo l’ho sempre saputa, mi è sempre piaciuta. Il contenuto è il rapporto conflittuale tra un padre ed un figlio, un figlio che sostanzialmente dichiara di volersi allontanare, il più classico dei figliol prodigo, e che vuole allontanarsi da casa, il padre prova a trattenerlo, ma le ragioni che gli mette di fronte sono troppo deboli per il suo cuore traboccante di desiderio, infatti gli prospetta una vita tutto sommato normale, piatta: “stai qui, stai calmo, dici così solo perché sei giovane”, e forse è proprio a questo il punto che il ragazzo non riesce ad accettare perché rinunciare ai propri desideri. Ringrazio sempre Walter Gatti perché mi ha dato la possibilità, anzi mi ha provocato in questa canzone e in tutto il lavoro del libro, a far sì che una emozione, che tutti possono provare e cioè che mi piace una canzone, è diventata come un lavoro, come un’avventura di conoscenza e di giudizio, spingendomi a domandare, ti piace, ma perché ti piace? Allora io rispondo proprio con questo che vi ho detto, questa canzone lascia aperta una situazione, non si sa se il ragazzo partirà, è sull’uscio della porta per andare via, non si sa come finirà, però è una canzone che con pochi accordi, una voce tutto sommato normale, ha dentro tutto lo strazio di due persone che non riescono a capirsi fino in fondo ma anche tutto il desiderio ardente che ha questo ragazzo, ve la faccio sentire.

WALTER GATTI:
Allora Walter Muto lo conoscono tutti, perché è grosso e perché è bello, è stato coinvolto per raccontare alcune canzoni, soprattutto alcune canzoni in cui l’acusticità della condizione non è casuale. E allora io le lascio raccontare a lui, però cercate di seguire il suo racconto anche dopo, mentre suona, perché l’acustico è qualcosa di estremamente definito nella musica, è una cosa particolare.

WALTER MUTO:
Ringrazio per i complimenti anche se comincio ad essere preoccupato, soprattutto per la bellezza. Non vorrei che avesse cambiato parrocchia. Allora preferisco adesso, poi eseguirò un’altra canzone, ma preferisco leggere la scheda che è andata su Help a riguardo della canzone che vado ad eseguire, perché è puntuale, è veloce, si fa in fretta, non sto a dilungarmi. La storia è quella di una canzone, come capita a volte con le canzoni, che ti si attacca addosso e che non si stacca più, capita spesso, a me è capitato con questa canzone e con altre. Potremmo anche non sapere niente rispetto a questa canzone, potremmo non sapere che è la canzone dei Jethro Tull, che è uscita su disco la bellezza di 38 anni fa, potremmo non sapere che Ian Anderson introduceva questa canzone dal vivo come una canzone d’amore, che la canzone in questione era contenuta in un album Aqualung che consacrò gli Jethro Tull come una delle realtà più importanti del folk rock mondiale, insomma potremmo non sapere nulla ma poi la canzone comincia. La tipica chitarra acustica col capotasto al terzo, un accordo e via, la canzone inizia inaspettatamente come quando dopo aver pensato a lungo si inizia a parlare come continuando il pensiero e si comincia ad intravedere che nella situazione chi racconta non è solo: “la notte scorsa ho assaporato il tramonto con le mie mani fra i suoi capelli”, il quadro di riferimento si precisa, “siamo i salvatori di noi stessi quando i nostri cuori incominciano a battere infondendo vita uno nell’altro”. 49 secondi, seconda strofa, musicalmente uguale alla prima: “mi chiedo pensando a voce alta: gli anni ci tratteranno bene?”. Vogliamo solo dire che Ian Anderson scrive ed incide questa canzone a 24 anni, poco più che ragazzo, ma la prospettiva con cui vede la vita insieme alla persona amata è per sempre. Il quadretto diventa leggermente sentimentale ed illustra particolari concreti della vita: “mentre lei fluttua in cucina assaporo il profumo dei toast mentre il burro va”. Un minuto e trentotto, tutto sembrerebbe compiuto, ma improvvisamente un accordo minore annuncia che la parte importante deve ancora venire. Ci vogliono ancora due frasi ed una manciata di secondi: “è solo il donare che ti rende quello che sei”. Un minuto e cinquantacinque secondi, il gioiello è finito. So che a nessuno desterà la stessa emozione, ma ci dovevo provare e l’ho fatto.

WALTER GATTI:
E torniamo con I versus in un altro clima, in un altro pianeta, è per questo che sottolineavo la acusticità. Entriamo in un altro pianeta perché entriamo nel pianeta U2, si possono dire tantissime cose di questa band, probabilmente hanno inciso con The Joshua Tree uno dei 10 album più importanti della storia. Ma noi siamo voluti andare a prendere una cosa un attimo, un pochetto più difficile, perché la mettiamo insieme con la canzone che viene dopo, questa che abbiamo scelto è una canzone elettrica che fa a pugni con la acusticità che abbiamo appena ascoltato. La canzone che andiamo ad ascoltare è Love is Blindness. Del 1991 tratta da Achtung Baby, disco molto faticoso, però molto bello e molto aspro. La canzone Love is Blindness è una canzone d’amore. Il 99% delle canzoni del rock parlano o di amore o di morte, questi sono i due confini. È una canzone in cui gli U2 raccontano il lato oscuro dell’amore, l’amore è cecità, è cieco: “non voglio vedere, nona volgerai la notte intorno a me, l’amore sta annegando in un pozzo profondo, porta via tutti i segreti e non c’è nessuno a cui dirli. L’amore è cieco, non voglio vedere, non avvolgerai la notte dentro di me”. L’amore è qualcosa che chiude, è oscurità, l’amore è nella sua parte oscura qualcosa che non ti fa camminare, butta le cose giù nel pozzo. È una parte oscura degli U2 vogliamo proporvela perché la canzone dopo racconterà un altro lato…

musica

WALTER GATTI:
L’amore può essere oscurità, può essere tenebra, può gettarti in un pozzo. C’è un’altra canzone nel primo libro, in Help, che racconta in un modo fantastico questa fatica di essere dentro l’amore che è Letter to Elise dei Cure, in cui il cantante rivolgendoci all’amata le dice: “noi non possiamo fingere di essere sufficienti l’uno all’altro”. Come questa è una canzone di oscurità, l’amore può essere un’altra cosa. 1966 una famosa regista italiana che i più giovani non possono ricordare, perché è da una vita che non fa più film e che è Lina Wertmueller, scrive una canzone, la fa musicare, questa canzone diventa uno dei più grandi successi di Mina, è una canzone d’amore, ma capite che è un altro amore che qui viene raccontato. Quello che dice è questo: “Era solamente ieri sera, io parlavo con gli amici, scherzavamo fra di noi e tu sei arrivato, mi hai guardato e allora tutto è cambiato per me”. Ritornello: “mi sei scoppiato dentro al cuore all’improvviso, all’improvviso non so perché, all’improvviso sarà perché mi hai guardato all’improvviso come nessuno mi ha guardato mai. Mi sento viva all’improvviso per te”. È una canzone d’amore, la vediamo in un video, ma se qualcuno di voi fra ieri ed oggi ha letto sui giornali l’intervista che ha rilasciato Enzo Jannacci in cui dice che “la fede è un po’ come l’amore, quando ti succede cambia tutto” e lui diceva ieri: “a me è successo e quando mi è successo mi sono trovato a guidare in macchina da solo cantando”, può capire perché la fede è come un amore che ti accade all’improvviso. Questa è Mina, Studio 1, 1967, forse la canzone più bella d’amore italiana.

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L’amore, l’amicizia. Amore e amicizia sono i nostri temi, metà dei nostri libri prendono canzoni che comunque raccontano come l’uomo può essere vero o falso di fronte a queste tematiche. L’ultima delle canzoni dei Beatles, l’ultima canzone incisa dai Beatles, che poi l’ha incisa praticamente soltanto Paul McCarthy, è praticamente una delle più grandi canzoni che io abbia mai sentito sull’amicizia. Però al di là del fatto che sia bella lei, piace a me. Nel senso che la passione o l’interpretazione che ognuno di noi ha messo dentro nel raccontare queste canzoni è quello che rende bello questi libri. Bene, ultima canzone dei Beatles si intitola The Long And Winding Road e secondo me è una delle più belle canzoni su quella tema: sul tema del io vengo da te però tu fatti trovare, non andare via. La canzone che cosa dice? Paul McCartney e Jonh Lennon ormai hanno litigato, sono due anni che non si parlano più. Uno vive da una parte e l’altro da un’altra, Paul McCarthy ha cercato più volte di ricucire il rapporto con Lennon che pensa ormai soltanto a Yoko Ono e a problemi esoterici, mistici dell’universo. Allora Paul McCarthy, che vive in questo stupendo, in questa stupenda casa di campagna nel Kent, scrive questa canzone e dice: “ho percorso tante volte la strada che porta verso te, mi sono perso, non ti ho trovato, ho perso la strada, sono arrivato alla tua casa e non c’eri, non ti ho trovato, ho perso la strada sono arrivato alla tua casa e non c’eri”. Ed ad un certo punto dice: “ma ancora la mia strada mi riporta qui, ancora una volta mi riporta alla strada dove tu mi hai lasciato tanto tempo fa solo davanti alla tua casa, non lasciarmi qui ad attendere per lungo tempo, conducimi alla tua porta. La mia strada è lunga e tortuosa ma tu fatti trovare” The Long And Winding Road è una canzone di amicizia, una canzone di amicizia che spera che ad un certo punto quando io busserò alla porta qualcuno mi dirà, benvenuto, vieni, entra. Daniele

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È la storia di una strada, di una strada che si percorre per andare da un amico, nella speranza che questo amico apra la porta. Ancora con I Versus, però dall’Inghilterra dei Beatles passiamo all’Italia di Franco Battiato. Siamo nel 1988 quando Battiato incide un disco che non è sicuramente il più famoso e il più venduto ma che è sicuramente il più bello, si intitola Fisiognomica all’interno di questo disco c’è una canzone che si intitola E ti vengo a cercare. Lui in più di un’occasione ha detto che è la sua preghiera, è la sua preghiera laica. Voi sapete che Battiato è un personaggio vicino a filosofie orientali. La canzone secondo me dice qualcosa di grandissimo, quando racconta “dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole gioie quotidiane, emanciparmi dall’incubo delle passioni, cercare l’uno al di sopra del bene e del male e ti vengo a cercare, perché sto bene con te e perché ho bisogno della tua presenza”. Ancora una volta è la presenza di un amico, a maiuscola o a minuscola ognuno può scegliere, Versus, Battiato: E ti vengo a cercare.

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Elettrico, acustico, ancora Walter Muto con una canzone, forse la più bella canzone di uno dei chitarristi ed autori britannici meno conosciuti, più grandi, scomparso l’anno scorso per disfunzioni al fegato, avete già capito che tipo di vita, di vizi ha fatto. John Martyn. Walter ve la presenta e ve la racconta.

WALTER MUTO:
Più che presentare la canzone, o meglio presenterò anche la canzone, due parole solo per dire che questo lavoro, di cui Walter è stato promotore, si incastra in ciò che un po’ di tutti noi, io, Riro, che adesso fra un po’ verrà a cantare, Stefano nonostante sia il più giovane fra di noi, da molti anni portiamo avanti. Per quanto mi riguarda sono tantissimi anni che lavoro nel campo musicale, non solo purtroppo, ma è senz’altro il mio primo lavoro come tensione, anche se in questo momento a livello di tempo non è. Ma concerti per ragazzi, nelle scuole, recensioni e altre cose simili, è la nuova avventura di cui anch’io ringrazio Walter, perché ha trovato un modo efficace per provocare, per suscitare curiosità, per andarsi poi a scoprire certe canzoni, magari su Internet. Questa canzone non c’è né su un libro né sull’altro, si intitola May you never, è una di quelle canzoni augurio che si vanno ad incastrare nel may you inglese, che tu possa, una delle più famose è Forever young ed anche questa augura che tu possa essere felice, detta alla sua maniera, da un ubriacone scozzese, finito male un anno fa, ma che nel 1971 in realtà, il video che trovate su Youtube è del 1973, raccontava proprio questo augurio: “che tu possa essere felice, che tu possa andare in un club e incoccare una discussione, che tu possa non prendere un pugno troppo forte, che tu possa non perdere la tua donna durante la notte, che tu non debba mai dormire all’aperto, che tu possa essere felice”, detto alla sua maniera, una bellissima canzone.

WALTER GATTI:
Grande Walter, anche John Martyn ti ringrazia, ci sono tante persone che sarebbero da ringraziare per i libri, per il lavoro che abbiamo fatto, le nostre famiglie che ci hanno sopportato, ma soprattutto quell’uomo seduto là che è l’editore di Itaca Eugenio, Eugenio alzati in piedi, sei già in piedi? Uno dei pochi editori che ha creduto che libri sulle canzoni rock potessero avere un senso, quindi l’umanità ti ringrazia, e l’umanità ringrazia anche la presenza di Riro Maniscalco fra di noi, l’unico italiano che è andato ad avere successo facendo blues negli Stati Uniti, che è una cosa che nemmeno uno che va a Lourdes a fare i miracoli potrebbe fare altrettanto. Riro è un cantante, nonché chitarrista di Blues, e quindi gli chiediamo di raccontarci una delle canzoni più intense di quell’autore che è il più grande autore della storia della musica rock, il signor Robert Zimmerman, vale a dire Bob Dylan.

RIRO MANISCALCO:
Siccome sono il più vecchio, mi hanno dato l’autore più vecchio. Bob Dylan ha scritto tantissime cose ma soprattutto attraverso tutto quello che ha scritto ha vissuto la sua vita. Immagino sia molto difficile tirare una riga fra quello che ha scritto e quello che è stato, fra le tantissime cose che ha scritto, perché dopo succede come nella vita, certe cose faresti meglio a non scriverle, quindi anche Dylan ha certe cose di quelle che avrebbe fatto meglio a non scrivere. Fra le tantissime cose che ha scritto, io ho un amore molto particolare per questa qui, che è una canzone lenta in un certo senso meditativa Tomorrow is a long time. Ma il concetto è molto semplice, ed è un concetto che per forza ad un certo punto è stato o sarà esperienza di ciascuno di noi, che c’è tutto la fuori (la realtà) e so anche che tante delle cose che sono là fuori sono belle, certe bellissime, certo che c’è la bellezza in quel ruscello d’argento che scorre, certo che c’è la bellezza che sorge, ma se non c’è lei, se non c’è un altro nella mia vita, tutte quelle cose lì non hanno sapore, non hanno colore, non so nemmeno il mio nome, non sento neanche il suono dei miei passi. È come alzarsi al mattino e guardare fuori dalla finestra e le cose che si vedono sono le stesse tutti i giorni ma, a seconda di quello che vibra nel cuore, non sono le stesse cose, sono profondamente diverse, soprattutto se la tua vita è stata abbracciata dalla vita di un altro. Questa è Tomorrow is a long time.

musica

WALTER MUTO:
A riprova del fatto che quella del libro è una provocazione ed un lavoro che ognuno di noi è chiamato a fare, questa è una scoperta che viene dopo l’edizione del libro e quindi potremmo stare dentro una ipotizzabile seconda edizione. È una canzone vecchia, del ’86, ma appena scoperta, una vera e propria preghiera che scrive Eric Clapton nell’album August. ho anche cercato di capire biograficamente se stesse in un momento particolare della sua vita, per esempio in relazione alla morte del figlioletto, e invece viene qualche anno prima. Questa che viene fuori, Holy mother, è una preghiera molto accorata ed appassionata alla Madonna: “Santa madre dove sei? Questa notte mi sento spezzato in due. Ho visto le stelle cadere dal cielo. Santa madre non ho potuto trattenere le lacrime. Ho bisogno del tuo aiuto questa volta, per attraversare questa notte solitaria. Dimmi per favore che strada devo percorrere per ritrovare me stesso ancora, non posso aspettare, non posso più aspettare per te”.

WALTER GATTI:
Ci hanno chiesto quanto manca ancora, tre pezzi. Only mother di Eric Clapton è una preghiera, proviamo a stare su questo terreno, sul terreno all’interno del quale ad un certo punto nella vita di grandi musicisti qualcosa accade e qualcosa spinge a pregare senza teorie o senza affettazioni. Qualcosa accade. Allora, fine anni ’80 inizio anni ’90, band scozzese Waterboys grandissima, una delle band che io amo di più. Nel ’89 vado ad un festival, a Glastonbury, questo megafestival di tre giorni, serata finale Waterboys,160.000 persone per sentire loro in una valletta, per dire che livello di fama avevano raggiunto, tournee in Inghilterra e in America, famosissimo, 200 concerti all’anno, vita on the road: ad un certo punto il capo banda dice, fermiamoci. Torna nella sua fattoria in Scozia dove ha uno studio di registrazione, sta fermo due anni e poi esce con un disco totalmente acustico. In questo disco c’è una canzone che si intitola What do you want me to do “cosa vuoi che io faccia” ed è un’altra preghiera, esattamente come Only Mother, e dice: “ho cercato di fare le cose a modo mio. Ho cercato di fare ciò che dice la gente. Sono andato velocemente verso il nulla e ora alla fine mi volto verso di te, posso vedere le luci di casa ma non riesco a raggiungerla da sola (e qui c’è un evidente collegamento con la canzone dei Beatles di poco fa). Posso vedere le luci di casa ma non riesco a raggiungerla da solo, riesco a vedere il profilo della riva ma ho bisogno che tu guidi la mia nave. Sono stato uno stupido e sono stato un clown, ho lasciato che il nemico mi prendesse in giro, ho sprecato l’amore e il tempo, sono stato orgoglioso e cieco. E ora cosa vuoi che faccia, cosa vuoi che faccia signore? Sto ascoltando. Questo è Mike Scott.

video

WALTER GATTI:
Abbiamo parlato di canzoni che sono preghiere, scritte da inglesi, americani, ecc. alcuni italiani hanno scritto cose di questa intensità, ad esempio uno che viene considerato pochissimo, dimenticato praticamente da tutti, Sergio Endrigo, che negli anni ’70 ha inciso un disco intitolato: “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”. Varrebbe la pena magari soltanto ricordarsi questa cosa e per questo andarselo a cercare. Ma non è questo ciò che voglio farvi sentire, questo è uno spunto che voglio darvi in maniera tale da incuriosirvi su ciò che c’è in questo libro, quello che voglio farvi ascoltare adesso è una canzone che lascia senza fiato, che fa venire i brividi, fa pensare, fa ragionare su di sé e su gli altri. È una canzone di Vinicio Capossela, pianista, i primi suoi due dischi sembravano una sorta di Paolo Conte, dopo di che si è un po’ differenziato da quel tipo di magnifico cliché contiano ed ad un certo punto è arrivato, tre anni fa, ad incidere un disco intitolato Ovunque proteggi, all’interno del quale c’è una canzone per voce e pianoforte, che è appunto quella che dà il titolo al disco e dice: “mi spiace se ho peccato, mi spiace se ho sbagliato, se non ci sono stato, se non sono tornato. Ma ancora proteggi la grazia del mio cuore. Adesso e per quando tornerà nel tempo, il tempo per partire e il tempo di restare, il tempo di lasciare ed il tempo di abbracciare. Ovunque proteggi la grazia del mio cuore, ovunque proteggi la grazia del tuo cuore. Proteggimi nel male, proteggimi dal male. Ovunque mi protegga la grazia del tuo cuore. Vinicio Capossela. Questo è un video tratto da uno special che era andato in onda live su Raitre.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

27 Agosto 2009

Ora

15:00

Edizione

2009

Luogo

Sala A4
Categoria
Testi & Contesti