DALL’UNIVERSO ALLA VITA: PERCORSO INEVITABILE O EVENTO SINGOLARE?

Dall’universo alla vita: percorso inevitabile o evento singolare?

Antonio Lazcano: dall'universo alla vita

Partecipano: Antonio Lazcano, Biologo e Professore alla School of Sciences dell’Università del Messico; Giuseppe Tanzella-Nitti, Professore di Teologia Fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce. Introduce Tommaso Bellini, Professore Ordinario di Fisica Applicata all’Università degli Studi di Milano.

 

Ore: 11.30 Salone Intesa Sanpaolo A3
DALL’UNIVERSO ALLA VITA: PERCORSO INEVITABILE O EVENTO SINGOLARE?

Partecipano: Antonio Lazcano, Biologo e Professore alla School of Sciences dell’Università del Messico; Giuseppe Tanzella-Nitti, Professore di Teologia Fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce. Introduce Tommaso Bellini, Professore Ordinario di Fisica Applicata all’Università degli Studi di Milano.

TOMMASO BELLINI:
Buongiorno a tutti, benvenuti a questo incontro su tematiche scientifiche che ha per titolo: “Dall’universo alla vita: percorso inevitabile o evento singolare?”. Vogliamo approfondire alcuni aspetti legati all’origine della vita, che già sono stati sollevati in questa edizione del Meeting nello spazio Exoplanets, che è stato realizzato dall’associazione Euresis per lo sviluppo della cultura scientifica e dalla Fondazione Ceur. Chi ha visitato quello spazio, ha potuto apprezzare che diverse recenti scoperte hanno messo in luce nuovi nessi tra la nostra esistenza e il cosmo, in un certo senso riducendo la distanza tra noi e il cosmo. Da una parte si sono raccolte in pochi anni evidenze di migliaia di pianeti extrasolari, portandoci alla consapevolezza che l’esistenza di sistemi planetari sia un normale corredo della maggioranza delle stelle. E che, quindi, di pianeti ce ne siano veramente molti.
Allo stesso tempo si sono raccolte evidenze sulla presenza di molecole basate sul carbonio (quindi quelle che appartengono alla cosiddetta chimica organica) su asteroidi, su comete e nel gas interstellare. Quindi, il pianeta che abitiamo e le molecole di cui siamo fatti ci appaiono oggi in una maggiore continuità con la struttura del cosmo di quanto ci apparissero solo pochi anni fa. In un certo senso, il cosmo, nella sua evoluzione, sembra proprio manifestare un’intrinseca tendenza alla complessità, con la formazione dei pianeti e con la sintesi di molecole di una certa complessità. Certamente, il nostro è un pianeta particolare ma il cosmo ospita un grandissimo numero di pianeti e le biomolecole sono veramente molto complesse: però, possono essere viste come combinazioni di frammenti molecolari più semplici, disponibili a livello cosmico. Queste evidenze hanno dato l’idea e il titolo di quest’incontro. Le nuove conoscenze ci mettono infatti di fronte a una domanda che esiste da sempre, «Da dove veniamo e cosa c’è di speciale in noi?», con una consapevolezza nuova. Come suggerito dal titolo, ci muoviamo tra due paradigmi opposti, estremi. Può essere ancora vero che la specificità della terra, la complessità delle molecole di cui siamo fatti siano tali da essersi realizzati nel cosmo una sola volta. Questo può essere un fatto. E così, tutto l’immenso numero di pianeti, che adesso sappiamo che ci sono, e tutta la disponibilità di molecole basate sul carbonio possono essere visti come un grandissimo numero di tentativi in cui c’è stato, magari, un solo successo. Questa che è una della visioni, certamente genera stupore, un po’ di spavento e un po’ di gratitudine, forse. C’è una visione all’estremo opposto: potremmo finire con lo scoprire che la vita è un esito naturale del cosmo, che quindi il nostro cosmo, partendo da una struttura, da un ammasso con poca struttura, si è sviluppato seguendo le leggi fondamentali della fisica per questi 14 miliardi di anni, aumentando costantemente la sua complessità fino ad arrivare alla vita, cioè è un cosmo che per sua natura tende alla vita. Anche questa visione è decisamente stupefacente, al livello delle migliori fantasie fantascientifiche, un cosmo il cui esito naturale è la vita. E anche se un po’ spaventosa, ed è difficile in effetti che queste visioni non generino, comunque, un po’ di vertigine, c’è una citazione interessante di Arthur Clarke, che è stato citato da Stanley Kubrick: i due hanno collaborato strettamente alla realizzazione di 2001 Odissea nello spazio. Dice: «Ci sono due possibilità, o siamo soli nel cosmo o non lo siamo». Entrambe sono ugualmente spaventose, o forse potremmo dire che entrambe sono ugualmente affascinanti. Ecco, per approfondire alcuni aspetti di questo tema abbiamo qui con noi due ospiti eccezionali, che affronteranno alcuni di questi aspetti con approcci e punti di vista molto diversi. Antonio Lazcano, professore alla School of Sciences dell’università del Messico, biologo: lo ringraziamo di essere qui con noi oggi. Nato e cresciuto in Messico, Antonio Lazcano ha studiato all’università Nazionale Autonoma del Messico, a Messico City, dove attualmente dirige un gruppo di ricerca che si dedica proprio allo studio dell’origine e prima evoluzione della vita. Antonio è un punto di riferimento mondiale sui temi dell’origine della vita, è autore di numerosissimi articoli, anche di vari libri, alcuni di taglio divulgativo, tra cui il testo L’origine della vita che è stato un best seller mondiale, avendo venduto circa 800 mila copie. Essendosi coinvolto, come mi raccontava, sul tema dell’origine della vita sin dagli inizi della sua attività scientifica, Antonio ha avuto importanti collaborazioni e amicizie con i grandi padri fondatori di questo settore, in particolare con il mitico scienziato russo Aleksandr Oparin, che lui dice di ricordare come una specie di nonno russo; con lo scienziato americano Stanley Miller, famoso per il suo esperimento che abbiamo studiato sui banchi di scuola, sulla sintesi spontanea dei composti basati sul carbonio. Con lui Antonio ha avuto una lunga collaborazione, hanno pubblicato insieme numerosissimi lavori. E anche con Francis Crick, che per un certo periodo della sua vita si occupò effettivamente dell’origine della vita. I contributi di Antonio Lazcano riguardano la chimica sulla terra primordiale e lo studio della condizioni che permettono il formarsi spontaneo dei componenti principali delle biomolecole. Antonio è stato due volte presidente della Società internazionale per lo studio dell’origine della vita e consulente in diversi advisory board per diverse organizzazioni internazionali, tra cui la NATO e la NASA. Ha ricevuto numerose lauree “honoris causa” anche in Italia, all’università di Milano. Nel 2014 è stato eletto membro del Collegio Nacional, il consesso accademico più prestigioso del Messico. E quindi lo ringraziamo di avere accettato l’invito a venire con noi. Abbiamo qui anche il professore Giuseppe Tanzella-Nitti, professore di Teologia fondamentale alla Pontificia università della Santa Croce. Don Giuseppe Tanzella-Nitti si è laureto in Astronomia presso l’università di Bologna e si è dedicato per alcuni anni alla ricerca scientifica nel campo della Radioastronomia e della Cosmologia, come ricercatore CNR presso l’Istituto di Radioastronomia di Bologna e poi presso l’Osservatorio astronomico di Torino. È stato co-autore del primo Catalogo generale di velocità di radiali di galassie, poi nel 1987 è diventato sacerdote e nel 1991 dottore in Teologia. Attualmente, è professore ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia università della Santa Croce, a Roma e presso il Vatican Observatory. Da teologo, rivolge ora il suo interesse alla Teologia della rivelazione e ai rapporti tra rivelazione cristiana e cultura contemporanea. Ha pubblicato numerosi saggi e trattati sul rapporto tra Teologia e Filosofia e sulla conoscenza naturale di Dio e sull’unità del sapere nella ricerca scientifica. È curatore del Dizionario interdisciplinare di scienza e fede e autore del trattato in quattro volumi Teologia fondamentale in contesto scientifico, parte del quale è stato pubblicato e parte è ancora in corso di completamento. Dirige il Centro di ricerca documentazione interdisciplinare di scienza e fede presso la Pontifica università della Santa Croce a Roma e dirige la Scuola internazionale superiore per le ricerche interdisciplinari che organizza, fra l’altro, un seminario permanente diretto ai giovani ricercatori italiani e stranieri per completare la loro formazione scientifica in un quadro umanistico-filosofico, che mi sembra molto interessante. Ringraziamo anche don Giuseppe di essere con noi qui oggi. Nel dialogare per preparare quest’incontro, ci siamo accordati così: farò una domanda a ciascuno di carattere generale e poi una domanda a ciascuno di carattere un po’ più personale.
Comincio con una domanda per Antonio a cui chiedo: quali sono le conoscenze attuali circa l’origine della vita sulla terra? Quali sono i dati su cui si può fare affidamento e quali invece le ipotesi?

ANTONIO LAZCANO:
La prima cosa che devo dire è che io non parlo veramente italiano, parlo una miscela di spagnolo e italiano, l’itagnolo. E la seconda cosa è che mi sembra che negli ultimi cinque anni gli italiano si siano abituati ad un accento come il mio. La terza cosa che devo dire è che non sappiamo come si è originata la vita sulla terra. E non lo sappiamo perché nessuno è stato là nel momento della transizione dall’inerte al vivo. In questo senso, è importante dire che a scuola, nei libri, si parla sempre del metodo scientifico, ma sono molti, i metodi scientifici. La maniera in cui lavora un chimico sintetico è diversa da come lavora un paleontologo, è diversa da come lavora un cosmologo, è diversa da qualcuno che fa la linguistica evolutiva. La biologia evoluzionistica è una disciplina storica, in questo senso noi cerchiamo di accumulare le evidenze della possibile composizione chimica della terra primitiva, le possibili reazioni per costruire una narrativa storica. In questo senso, lo studio dell’origine della vita dipende molto dalla disciplina scientifica. Cerchiamo di costruire un’area di ricerca multi e interdisciplinare. Sappiamo che è molto facile la formazione di un pianeta, sappiamo che l’idrogeno è l’elemento più abbondante nell’universo, che ha il principio del sistema solare: la terra primitiva aveva un’atmosfera senza ossigeno libero con molto, molto idrogeno. Sappiamo il tipo di reazione chimica sintetica che poi occorre a questa atmosfera. Cerchiamo di analizzare oggetti extraterrestri come i meteoriti, la chimica di altri pianeti, per capire la composizione chimica del brodo primordiale, del minestrone primordiale. In più, abbiamo capito che la vita non dipende da una sola molecola ma dall’interazione di molte molecole. Riconosciamo oggi l’importanza del Rna, che è un cugino chimico del Dna, nell’evoluzione primordiale e dopo possiamo fare la comparazione informatica per capire gli sviluppi delle prime reazioni metaboliche. Ma tutto questo è sempre un’ipotesi: cerchiamo di affinare la nostra proposta in un senso più rigido, più stretto. Il problema dell’origine della vita sarà sempre aperto a tutti e dobbiamo speculare. Si deve ricordare che la parola speculazione ha molti significati: c’è il significato dal latino, significa che ci si guarda in uno specchio. E c’è il significato per cui una persona che lavora in banca specula con il denaro di una vedova povera. E c’è anche la speculazione scientifica che è sempre un arco di riferimento e dove la chimica, la fisica, l’astronomia danno un insieme di regole, di proprietà. E mano a mano, sempre di più, la nostra narrazione diventa più precisa ma sempre aperta. Grazie.

SLIDE

Devo ringraziare specialmente i miei amici Tommaso Bellini, Tommaso Fraccia e Giuseppe Tanzella-Nitti per la possibilità di parlare oggi con voi. La prima cosa che devo dire è che quando si parla dell’origine della vita, parliamo di un problema evoluzionistico. E parlando di evoluzione, la prima immagine, il primo referente storico è Darwin con il suo capolavoro L’origine della specie. L’idea dell’evoluzionismo è una delle idee più potenti dell’Ottocento. In generale, una delle eredità più belle dell’illuminismo, che tutti abbiamo dimenticato, è che il primo che ha parlato di evoluzione non è un biologo, non è un astronomo ma è Immanuel Kant, un filosofo. Alla fine del Settecento, ha proposto un’idea veramente radicale. Oggi sappiamo che Newton ha lasciato nella sua opera l’idea del sistema solare, dell’universo come una sorta di orologio cosmico dove con le equazioni, che sono simmetriche rispetto al tempo, si può conoscere la posizione di un pianeta, della luna, senza nessun problema. E ogni giorno possiamo guardare l’esito di questo approccio, quando si guarda come un satellite che è lanciato su un altro pianeta arrivi senza nessun problema, in generale, senza nessun problema. Questo dimostra il potere della fisica newtoniana ma Newton non parla dell’origine di questa visione meccanica dell’orologio cosmico, Newton parla di un universo dove non c’è un’origine e un fine. Kant ha fatto una cosa veramente straordinaria, veramente radicale, perché ha parlato per la prima volta dell’origine del sistema solare come il risultato di un collasso della condensazione di una nube di gas interstellare che, per effetto della gravità, ha dato origine al sole e anche a tutti i pianeti. Per la prima volta nella storia del pensiero scientifico, del pensiero filosofico, l’idea del tempo è introdotta dalla descrizione di un sistema naturale. Poco tempo dopo, il marchese Laplace ha matematizzato questa idea. C’è un aneddoto che mi sembra importante ricordare, il marchese Laplace ha scritto un libro, La meccanica celeste, dove con tutte le equazioni dell’epoca ha formulato una visione matematica dell’idea di Kant, dell’idea della condensazione di una nebulosa, e lo ha dato in dono a Napoleone. Napoleone, che era veramente intelligente e un pochino sarcastico, ha guardato l’indice del libro e ha detto al marchese Laplace: «Signore, nel suo libro non vedo la parola Dio». E poi ha parlato della meccanica del cielo. Laplace ha detto: «Sua maestà, Dio è un’ipotesi di cui non ho bisogno per scrivere il mio libro». Questo è importante perché marca il processo di secolarizzazione della nostra descrizione dell’universo e al tempo stesso mostra due possibilità che non sono in contraddizione ma sono diverse. La possibilità di una riflessione mistica, religiosa sull’universo e la visione scientifica. Dopo Kant, dopo Laplace, ci sono molti pensatori che hanno parlato dell’evoluzione dell’essere vivente, Jean-Baptiste de Lamarck nel 1809 ha scritto il suo libro, La filosofia zoologica, giusto l’anno in cui è nato Darwin. In questo modo il libro diventa il latte che nutre Darwin, in un certo senso. Lyell, che è diventato maestro di Darwin parla dell’evoluzione, della superficie celeste, anche Carnot e Thomson, hanno parlato dell’incremento del disordine in un sistema adiabatico, dell’incremento dell’entropia, e questo da un senso temporale a un sistema fisico. Spercer parla dell’evoluzione delle lingue, Marx ed Engels han parlato dell’evoluzione di un sistema di produzione economica e l’impatto sull’evoluzione sociale. Renan parla dell’evoluzione delle religioni. E si può guardare che infatti Darwin non è quello che ha cominciato l’idea dell’evoluzione ma, in un senso forte, è la culminazione del pensiero evolutivo dell’Ottocento. Darwin non ha parlato in pubblico dell’origine della vita, il suo lavoro ha due aspetti fondamentali:
1) L’idea che tutta la diversità biologica passata e presente è il risultato dell’evoluzione e ha proposto l’idea della selezione naturale come il meccanismo che esplica la diversità biologica. È vero che non ha parlato dell’origine della vita in pubblico, lui era un po’ timido ma ha lasciato un contesto, dove si può analizzare l’origine della vita. E un seguace di Darwin, Ernst Haeckel, che è stato qui in Italia e ha scritto con molto entusiasmo di Garibaldi e dell’unificazione dell’Italia, ha guardato l’opera di Darwin e ha deciso di costruire per la prima volta l’idea che oggi chiamiamo evoluzione cosmica. Haeckel, da buon tedesco, ha letto con molta attenzione Kant, ha cominciato il suo libro della storia naturale della creazione dicendo che il sistema solare è il risultato della condensazione di una nebulosa solare, che anche la terra si è originata così, quando la terra era fredda, infatti, si è accumulata l’acqua liquida sulla superficie della terra e dopo, siccome Haeckel non capiva molto di chimica, dice che si sarebbe originata la vita per generazione spontanea. Haeckel, come tutti i ricercatori tedeschi, ha avuto una grandissima influenza nello sviluppo del pensiero della ricerca nella Russia imperiale. Prima e dopo la Russia sovietica, Aleksandr Ivanovič Oparin, che da giovane aveva studiato chimica, la biochimica, insieme a un pochino di fisiologia vegetale, all’università imperiale di Mosca, ha proposto che quello che viene chiamato “generazione spontanea” avviene in varie tappe:
La formazione di un’atmosfera riducente, senza ossigeno libero. Perché se non ha vita non ha fotosintesi, se non ha fotosintesi non ha ossigeno, se non ha ossigeno l’atmosfera è chiaramente riducente. Questo è buono perché l’ossigeno è molto tossico per i composti organici. Questa mattina, se lei ha tagliato un pezzo di mela, ha visto come la mela diventa scura, è una reazione di ossidazione. Oparin ha detto no, la terra primitiva non aveva ossigeno libero. Questo ha permesso la sintesi dei composti organici. Aveva fatto sua una lunga tradizione tedesca della formazione dei composti organici. Ha approfittato di questa conoscenza per proporre l’idea della formazione di un minestrone primordiale, di un brodo primordiale, perché Oparin aveva una visione pre-mendelliana della genetica, non pensava che la vita dipendesse da una molecola viva, da una molecola vivente. La vita, infatti, è il risultato dell’interazione dei diversi composti. All’epoca il miglior modello fisico-chimico che c’era, era quello del protoplasma, una sostanza della quale nessuno oggi parla più ma si trova nei vecchi libri di storia della biologia, e lui ha proposto come gli antenati delle cellule primordiali. Però per Oparin le prime cellule erano batteri, anaerobi, eterotrofi perché la nutrizione, il cibo, dipendeva da tutto il composto organico disponibile nell’ambiente primitivo.
Se si guarda questo schema, si può vedere che non si parla di acidi nucleici, non si parla di Dna. Questo si può capire perché quando Darwin ha proposto il suo schema, Watson era al quinto anno delle scuole elementari negli Stati Uniti, ancora nessuno parlava della doppia elica del Dna, nessuno parlava di composti con la possibilità di replicazione. Oparin ha scritto il suo libro nel ‘36, all’epoca di una tremenda repressione stalinista. Il libro è stato tradotto in inglese due anni più tardi, nel ‘38, ma nel ‘38 la seconda guerra mondiale era scoppiata. Era scoppiata perché era iniziata la guerra civile in Spagna. Allora nessun ricercatore aveva la possibilità di fare il lavoro sull’origine della vita, aveva cose più importanti. Dopo la seconda guerra mondiale, giusto nell’epoca del maccartismo negli Stati Uniti, quando non era facile per nessuno lavorare sull’aspetto evolutivo, un giovane chimico, Stanley Miller, ha deciso di simulare la terra primitiva e ha creato un esperimento sotto la direzione del suo professore Harold Urey, un chimico assolutamente straordinario. In quel suo esperimento ha preso metano e ammoniaca, vapore acqueo, idrogeno e con le scariche elettriche ha dimostrato che, dopo una settimana, si può sintetizzare senza nessun problema un sacco di composti, includendo gli amminoacidi, che sono i componenti delle proteine. Era un esperimento piccolo. Se guardate a sinistra dell’immagine, c’è Stanley Miller in laboratorio, l’immagine allo stesso tempo mostra come sono cambiate le condizioni di lavoro perché il fiasco superiore è tutto coperto di amianto, che oggi nessuno utilizza perché ne conosciamo i rischi. È interessante guardare come all’epoca i giovani studenti andavano in laboratorio, camicia bianca, cravatta, gemelli, sempre molto puliti, e oggi li confronto con i miei studenti, che invece si bagnano prima di venire in laboratorio. Questo mostra come sono cambiate le cose. Ma la cosa più interessante è che, dopo cinque ore, Miller ha osservato la formazione, senza nessun problema, dei composti organici. Molti si sono dimenticati che, lo stesso anno che Stanley Miller ha pubblicato il risultato del suo esperimento, è stato pubblicato il modello della doppia elica del Dna. Infatti la “vendemmia” scientifica del ‘53 è straordinaria, perché abbiamo un esperimento chiaro che mostra l’importanza del modello eterotrofico di Oparin e allo stesso tempo un modello molecolare dell’eredità. Chiaramente la pubblicazione del modello della doppia elica ha forzato ogni biologo, ognuno che pensa all’origine della vita, a guardare, all’ombra di questa influenza della biologia molecolare, il rapporto con l’origine della vita. È così che è veramente importante guardare l’esperimento che sette anni dopo ha fatto il mio collega, il mio maestro, il mio amico Joan Oró, un chimico spagnolo, un chimico catalano. Infatti ha mostrato come senza nessun problema l’acido cianidrico soffre una autocondensazione e una reazione molto elegante che sintetizza l’adenina, sempre con una velocità, una rapidità incredibile. Qualche anno più tardi Ferris e Orgel, in California, un territorio messicano occupato, hanno mostrato che se si prende un intermediario di questa reazione e si lascia al sole, alla luce solare, questa permette la formazione dell’adenina senza problemi. Perché è importante? Perché questo esperimento mostra che allo stesso tempo che nella Terra primitiva si formavano amminoacidi, si formavano anche i componenti degli acidi nucleici. Non penso di spiegare tutta la chimica prebiotica che ha un fascino incredibile perché non voglio rischiare che vi addormentiate, ma non abbiamo nessun pezzo della Terra primitiva. Allora come possiamo provare che realmente c’è stata una formazione di composti organici all’epoca della Terra primitiva? Abbiamo un dono del cielo, un dono del cielo non nel senso mistico ma nel senso fisico letterale, che è la caduta di meteoriti. In particolare c’è il meteorite di Murchison che è caduto in Australia dopo che siamo andati sulla Luna. Con l’infrastruttura tecnica allestita dalla Nasa, si è analizzato il meteorite del Murchison che ha la stessa età della Terra: c’è un sacco di acido carbossilico, di amminoacidi, ha la stessa composizione dell’esperimento di Miller, ha una composizione simile all’essere vivente. Questa è una indicazione, non dimostra ma è una indicazione su come possiamo immaginare la formazione di un brodo primitivo, di un brodo primordiale sulla Terra prima dell’origine della vita. Questo infatti permette di immaginare la Terra primitiva come un luogo dove l’energia geologica e vulcanica, la caduta di meteoriti e comete, la scarica elettrica hanno permesso la formazione di una diversa quantità di composti, come gli amminoacidi, come i componenti di acidi nucleici, ecc. Senza problemi abbiamo capito la formazione di un brodo primordiale, ma un brodo senza cuoco; è un brodo naturale che si è formato senza problemi. Se qualcuno suppone l’idea che Dio è un chimico organico, va bene, ma questa è una cosa di fede, non è una cosa che si può provare in laboratorio, è una cosa veramente diversa.
Il grande problema che ha preoccupato i ricercatori sull’origine della vita è: come si può formare, da un sistema come il brodo primordiale, una molecola di Dna che ha la capacità e la possibilità della replicazione e che immagazzina l’informazione genetica, ma non ha l’attività catalitica? Come è il rapporto con le proteine? Questo è diventato un problema veramente incredibile, quasi un problema ideologico. Le proteine o la chimica: questo per quindici-vent’anni è diventato un dibattito veramente molto intenso, quasi violento, tra le diverse fazioni che lavorano sull’origine della vita. Infatti è possibile che prima delle proteine, prima del Dna sia sorto l’Rna, sia apparso l’Rna, che è sempre stato il brutto anatroccolo della biologia molecolare, una molecola che pensavamo fosse solo un messaggero e che infatti è una molecola che ha una struttura tridimensionale molto complessa. Negli anni Sessanta del secolo scorso, Leslie Orgel e Francis Crick hanno visto che il Dna è una molecola veramente bella, è come una colonna salomonica, con una simmetria straordinaria, ma che le proteine sono più complesse e che questa complessità è strutturale ed è quella che spiega la sua proprietà catalitica. Infatti hanno visto anche che l’Rna è una molecola che ha questa possibilità di formare strutture molto complesse, strutture spaziali molto complesse. Han fatto una cosa straordinaria in biologia Leslie Orgel e Francis Crick, hanno proposto che il Dna sia un catalizzatore. In biologia è molto difficile fare una predizione, possiamo spiegare il passato ma spiegare il futuro in biologia è difficile, non è come la meccanica newtoniana, non è come la chimica organica, è davvero difficile fare questo. Crick e Orgel hanno fatto questa proposta e dopo venti anni, per caso, si è scoperto che l’Rna ha le proprietà catalitiche e il gruppo di Sidney Altman, il gruppo di Thomas Cech hanno dimostrato che l’Rna facilita le reazioni di rottura delle catene di Rna o la sintesi di catene di Rna. Questo è stato una grande sorpresa perché siamo educati all’idea che il grande catalizzatore biologico siano le proteine. Oggi sappiamo che non possiamo spiegare la proprietà della biologia senza capire anche le proprietà catalitiche del Rna. Con questa idea che l’Rna ha una proprietà catalitica, possiamo dire che le molecole di Rna contengono informazioni genetiche come il Dna e che catalizzano anche le reazioni chimiche come le proteine. È una molecola, in questo senso, come il dio Giano dei romani, puoi guardarla in due direzioni. Ma la cosa più importante è che nessuno pensa che l’Rna si sia originato per caso. Infatti l’Rna è anche il prodotto di un processo di evoluzione chimica. Questo non implica che pensiamo che tutta la vita si possa ridurre alle molecole del Rna. Abbiamo le prove empiriche e l’esperimento di laboratorio che dimostrano che l’interazione tra le diverse molecole permette l’emergenza di proprietà nuove. Si può vedere allo Stand Exoplanets un esperimento, che Tommaso Fraccia ha fatto con le molecole di Dna, che mostra come la molecola di Dna si possa auto-organizzare. C’è l’esperimento della mia collega e amica Irene Chen negli Stati Uniti che mostra che una molecola di Dna si può legare alla malachite verde, una sostanza che si utilizza molto in biologia molecolare. Ma se l’Rna è dentro un liposoma, può interagire con altre molecole con la sua membrana, e la proprietà di collegamento si incrementa in un senso veramente impressionante. Questo mostra la validità della proposta di Oparin che la vita non dipende da una molecola, ma dall’interazione di diversi composti. Allora, oggi possiamo dire che abbiamo cambiato idea, che abbiamo rivalorizzato l’idea di Oparin. Oparin pensava ad una atmosfera riducente, oggi pensiamo che per caso qualche composto della Terra primitiva sia arrivato su una cometa, su un meteorite e abbia permesso la formazione di un brodo primordiale. Nessuno parla oggi di coacervati, nel senso originale di Oparin, oggi parliamo di un mondo di Rna e dell’evoluzione darwinista di un essere vivente, di una popolazione di esseri viventi formati da Rna che da dato origine al Dna e anche alle proteine. Allora abbiamo la possibilità di formare un brodo primordiale, ma non sappiamo come passare da un brodo primordiale alle molecole di Dna, ma il ribosoma, che è questa macchinetta molecolare all’interno di ogni cellula, permette la formazione di proteine. Questa è una prova fortissima, perché la sintesi delle proteine si è originata nel mondo del Rna e il Dna chiaramente stabilizza l’informazione genetica, è chiaramente un prodotto dell’evoluzione biologica. Dopo abbiamo questa esplosione straordinaria della diversità biologica.
In questo schema è stato fatto un disegno molto lineare, molto semplice dell’evoluzione ma si deve dire (e questo mi sembra molto, molto importante) che non sappiamo se è così che la vita si è originata. È impossibile dimostrare il percorso evolutivo che ha portato all’origine della vita. Tuttavia, le prove disponibili che provengono dall’astronomia, dalla chimica, dalla fisica, dalla paleontologia, dalla biologia molecolare, da aree di ricerca molto diverse, sono coerenti con la possibilità che sia accaduto in questo modo, che sia successo in questo modo. La cosa importante che devo sottolineare è che c’è sempre una grande confusione: l’evoluzione come progresso. L’evoluzione non è un progresso ad una forma superiore di vita, non esiste nessuna forma superiore di vita. È vero che noi abbiamo un cervello molto sviluppato ma la nostra capacità metabolica è molto piccola. Se facciamo il confronto con un batterio, il batterio non ha seguito un cammino di sviluppo, non ha la formazione di tessuti, ma ha una capacità metabolica che ha permesso la continuità dei batteri da quattro milioni di anni a oggi. Noi non abbiamo questa possibilità.
Questa idea che l’uomo è il più evoluto non risponde alla realtà biologica, la richiesta della biodiversità mostra tutto lo spazio possibile che è possibile studiare.
Questo è importante perché c’è l’altro problema, della possibilità di vite extraterrestri. Devo raccomandare un libro che si può trovare in Internet senza problemi, di George Basalla, che è un grande ricercatore di storia, di filosofia, di tecnologia e della ricerca, che mostra come il pregiudizio che abbiamo sullo sviluppo della tecnologia oggi si è trasformato in una premessa per la ricerca di vita extraterrestre. Non è vero che la strada dello sviluppo tecnologico è la stessa in tutto il mondo, in tutte le epoche storiche. Dobbiamo stare molto attenti che il pregiudizio che abbiamo della nostra civiltà non sia estrapolato in altri pianeti. Per finire, la ricerca di vita intelligente nell’universo ha alcune serie di caratteristiche che hanno dato diversi ricercatori. della guerra fredda, è il termine L dell’equazione di Drake che parla della possibilità di una civilizzazione che non si autodistrugge per la guerra atomica; è chiaramente un riflesso di questa preoccupazione, è una soluzione utopistica, che si dimentica degli aspetti contemporanei. Il mio amico Francis Drake che ha proposto la sua equazione, una volta in un convegno ha detto: «Dobbiamo cercare vite extraterrestri perché così possiamo risolvere il problema della popolazione, dell’inquinamento del nostro pianeta, e anche trovare l’immortalità».
Sì, ma è una speranza un poco vaga, no? È chiaramente una estensione non autorizzata del principio della mediocrità che si trova nel lavoro di Copernico. È l’assunzione della universalità della tecnologia progressiva. Oggi nessuno pensa che la tecnologia sia sempre la soluzione di tutti i problemi che abbiamo, è chiaramente una visione di tipo antropomorfico dell’evoluzione cosmica. C’è molta gente che dice sì, può accadere una civilizzazione extraterrestre che viene dal cielo, ma questa è teologia da supermercato, si è perduta tutta la ricca riflessione della tradizione teologica delle diverse religioni per supporre che basta che una entità extraterrestre appaia sulla Terra per risolvere il problema. Il messaggio finale per me è molto chiaro: quando si guarda una questione come l’origine della vita sulla Terra, nell’universo, è importante sviluppare sempre un senso di umiltà intellettuale, ma questa umiltà non deve finire con la nostra curiosità scientifica. Grazie.

TOMMASO BELLINI:
Grazie ancora a Antonio di questo bellissimo percorso, sintetico e molto chiaro, pieno di stimoli.
Facciamo una domanda a don Giuseppe Tanzella-Nitti, anche questa di carattere molto generale. Viste le sue competenze di scienziato e di teologo, la domanda che veramente mi sentirei di fargli è: come si pone o si può porre il pensiero teologico cristiano di fronte a all’idea di una vita che nasce da fenomeni molecolari e quindi magari può svilupparsi su altri pianeti? Può un cristiano credente serenamente accettare un’ipotesi di un universo brulicante di vita?

GIUSEPPE TANZELLA-NITTI:
Un cristiano credente su queste cose deve seguire e capire quello che la scienza ci dice con fondatezza. La prima cosa che mi viene in mente è che la teologia cristiana parla di Dio come il Vivente, come Colui che dà la vita e Colui che vive; si differenzia dagli idoli e i Salmi e i profeti sono molto chiari in questo, proprio perché gli idoli non vivono. Il Dio di Israele vive, dunque come si pone la teologia di fronte alla possibilità della vita nell’universo? Può porsi soltanto avendo come riferimento il fatto che la vita lì dove si è sviluppata, e non sappiamo ancora se solo sulla Terra o anche in altri scenari diversi dalla Terra, non può che essere riflesso di Colui che è il Vivente per eccellenza.
Secondo aspetto, che cercherò di mostrare in un breve itinerario di una mezz’oretta, come è stato fatto da chi mi ha preceduto: mi pare che la teologia e la Rivelazione ebraico-cristiana si occupino prima di tutto dell’origine della vita, nel senso più forte del termine, nel senso intenzionale, nel senso finalistico, perché c’è la vita nel cosmo, perché c’è la vita sulla Terra e la domanda non è molto diversa da un’altra domanda radicale, perché c’è l’universo? Perché esistiamo noi? Perché esiste qualcuno di noi, ognuno di noi? Quando userò il termine “origine”, lo userò in questo senso forte. Questa origine della vita in Dio come colui che l’ha voluta e ha voluto l’universo con la vita, è compatibile con i diversi scenari di inizio della vita. Possiamo partire dal Rna, possiamo partire dal brodo primordiale, questi scenari di inizio possono essere i più diversi, in ambito fisico, chimico, biologico, ma sono scenari di inizio. Quando parliamo di origine, parliamo di una intenzionalità, di qualcuno che ha voluto tutto questo e per volerlo, prima di tutto, ha dovuto donare l’essere del mondo, un essere del mondo che è riflesso di Dio come vita e vivente. Questo itinerario, se mi consentite, proviamo a farlo insieme con alcune diapositive che volevo mostrarvi.

“La vita nel cosmo fra ricerca scientifica e fede cristiana”.
Non intendo parlarvi del cuoco in senso metaforico, intendo parlarvi di chi dall’origine ha pensato alla vita e cercherò di farlo in tre brevi passi più una conclusione, tre passi che sono delle domande che ci poniamo.
La vita biologica ha origine da Dio?
La seconda domanda: la comparsa della vita risponde a un progetto?
Terza domanda: è il nostro universo un universo brulicante di vita?
Il quadro biblico della confessione ebraico-cristiana ci parla in modo direi abbastanza esplicito della causalità radicale di Dio sulla vita. Dio viene presentato come fonte e origine della vita, Dio è il Vivente e Amante della vita. Dalla Rivelazione ebraico-cristiana appare anche con sufficiente chiarezza che la vita sia frutto della volontà esplicita di Dio, non è qualcosa che accade per caso, non è qualcosa che sia sfuggita dalle Sue previsioni, ma è ciò che Lui vuole. Dio presiede intenzionalmente i dinamismi che ne causano l’inizio. L’uomo e la donna vengono creati come esseri personali di fronte a Dio, sebbene nel suo inizio la loro vita dipenda, come quella degli altri viventi, da elementi materiali – e in questo la Scrittura è abbastanza esplicita -, i loro rapporti di origine con il Creatore si collocano su un piano nuovo. Sono essere personali di fronte a Dio. Dio, dicevamo, è la causa e l’origine della vita, mentre il resto del Creato con la materia e le sue forme concorrono a dare inizio alla vita: è questa proprio la differenza che vorrei cercare di sottolineare in questo mio intervento. Origine intenzionale e inizio dovuto alle cause fisiche, chimiche e biologiche che nel corso dell’evoluzione cosmica si sono espletate; questi sono passi della Scrittura troppo noti per leggerli. Volevo fermare l’attenzione su espressioni che chi ha familiarità con il testo biblico già conosce, come: «la terra produca, le acque brulichino», si vede come c’è una causalità che in qualche modo sembra essere affidata agli elementi materiali. Nella creazione dell’uomo e della donna accade qualche cosa di nuovo. Il Signore plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. È un po’ come se le cause materiali non bastassero più, Dio ha bisogno di guardare l’uomo negli occhi, ha bisogno di dargli il Suo stesso Spirito. Parlare dell’origine della vita, dunque, come prospettiva teologica, significa dire qualcosa di più dell’inizio dei primi viventi rispetto alla prospettiva scientifica. Ora noi abbiamo nella Sacra Scrittura due narrazioni sostanzialmente. Ne abbiamo varie, ma le principali, come sappiamo, sono due: Genesi 1 e Genesi 2. Nel capitolo primo della Genesi noi abbiamo addirittura le due prospettive, sia la prospettiva teologica che la prospettiva scientifica, abbiamo un discorso sull’origine e abbiamo un discorso sull’inizio. L’autore di Genesi 1 impiega le conoscenze scientifiche presenti nel suo tempo. Qui forse dobbiamo anche chiarire un equivoco: a volte si pensa che il linguaggio di Genesi 1 sia un linguaggio mitologico, debitore sostanzialmente dei miti arcaici dei popoli confinanti in Israele; in realtà, se seguiamo bene quel testo, quel testo testimonia uno sforzo enorme di sintesi da parte del suo redattore, per cercare di mettere insieme le conoscenze scientifiche disponibili al suo tempo con la fede, lasciatemi dire, chiara e tonda, che Dio era all’origine di tutte queste cose. «In principio Dio creò il cielo e la terra». Genesi 2 invece, sappiamo che usa un linguaggio più allegorico e una prospettiva principalmente teologica. La vita, dicevo, è un attributo proprio di Dio; non è qualche cosa che Dio ha, Dio è vita, si distingue dagli idoli perché è vivo. Dio è vivente non perché partecipe della vita, ma la vita Gli appartiene come qualcosa di proprio, sta dalla parte della vita, addirittura il giusto è legato a Dio con un legame che è più forte della sua stessa morte. Dio dà la vita a tutte le cose. Nel Nuovo Testamento vediamo che la dà per mezzo di Suo Figlio, venuto nel mondo perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. L’immagine trinitaria di Dio ci fa comprendere come il Padre, dal quale tutto ha origine, fa sì che Dio-Figlio dia la vita in abbondanza e lo Spirito sia Spirito vivificante. Vedete, anche le tre persone trinitarie in qualche modo, ciascuna di esse è segnata da questo rapporto privilegiato con la vita. Tra i tre verbi di azione più frequenti nei Vangeli, soprattutto nei Sinottici, che hanno per soggetto Gesù di Nazareth, c’è il verbo “guarire” (terapein). Gesù guarisce e guarisce non come un bravo medico, ma guarisce con la forza, la radicalità e la signoria di chi è vita. Che implicazioni teologiche ci sono in un contesto scientifico? La prima implicazione mi sembra è che l’azione creatrice di Dio tenda ad avere esseri personali di fronte a Sé. Il fine dell’atto creativo di Dio è avere interlocutori, esseri personali che partecipino della sua stessa vita nel senso più alto, come Dio è vivo. La radicale onnipotenza e trascendenza del Creatore risolve ogni possibile articolazione fra causalità di Dio e causalità a livello creato, cioè la causalità delle cause seconde della fisica, della chimica, della biologia o della storia. Il fine intenzionale del Creatore, che vuole l’universo per la vita, questo fine attualizza qualsiasi altra causa seconda. Se vogliamo usare la metafora di prima, la ricetta precede il lavoro del cuoco e precede tutti gli ingredienti. Sostenere che Dio è vita, allora, equivale a confrontarci con una promessa. Riflettiamo un momento su questo: la vita si manifesta come una promessa. Dio è vita, è il Vivente, oppure la nostra esperienza fenomenica è che la vita, come la conosciamo, è un ciclo termodinamico finito e perché ci sia vita c’è bisogno di morte. Allora vuol dire che la vita è depositaria di qualcosa che trascende in qualche modo se stessa. Se è immagine di Dio, la vita è sede di un promessa. L’intero universo partecipa di un’ontologia trinitaria della vita. Dio è vivo perché è una comunione di persone. Ogni cosa è stata fatta nel Verbo, per mezzo del Verbo e in vista del Verbo Incarnato. Ogni cosa è fatta per amore e tende all’amore. Ora, se la natura relazionale precede l’ontologia della vita in Dio, allora anche nella vita biologica, che è riflesso di questa immagine di Dio, la relazione deve essere qualcosa di importante. La vita è relazione, infatti noi parliamo di organismi, non di meccanismi, la vita è una rete di relazioni. Gli uomini di scienza sanno anche che questo ha poi un’applicazione in quello che oggi si chiama system biology, cioè approcciarci al vivente non come un meccanismo ma come, appunto, un organismo. Ma in Dio vita e amore coincidono. L’immagine divina trinitaria come comunione di vita e amore, mantiene intatto il suo significato anche entro un orizzonte cosmico. Se abbiamo detto prima che la teologia afferma che ovunque ci sia vita, se ce ne sia, se ce ne fosse al di là della Terra, sarebbe in qualche modo sempre effetto del vivente, di Dio come vita. Qualcuno potrebbe avere il dubbio: ma la nostra immagine del Dio trinitario non è forse troppo antropomorfa? L’idea di una paternità, di una figliazione, di uno spirito… Riflettiamoci un momento: dove c’è vita c’è generazione, dove c’è vita c’è comunione e dove c’è vita c’è possibilità di alterità non solo nella linea della generazione, ma anche nella linea di chi è di fronte a me non generato da me, quindi l’immagine trinitaria di un Dio che sia soggetto di generazione e di ispirazione, quindi di comunione, se ci riflettiamo un momento, è un’immagine tutt’altro che antropomorfa, è un’immagine che laddove c’è vita è significativa, mantiene inalterato il suo significato.
Il secondo passo che volevo fare con voi è cercare di rispondere ad una domanda, se la comparsa della vita risponde ad un progetto o meno. Il titolo di questo nostro incontro, è stato ricordato all’inizio, è: “Percorso inevitabile oppure evento singolare?”. Ora, agli aspetti di questa domanda la ricerca scientifica può rispondere in modo quantitativo, con le sue equazioni, con le sue probabilità e con i suoi conti, importantissimi, che devono essere fatti; ma la vita possiede anche relazioni qualitative, non soltanto relazioni quantitative. Pensate alla scelta di una persona al momento del matrimonio o pensate all’amore della madre per il proprio figlio. Queste sono relazioni qualitative, certamente hanno una base fisiologica e biochimica, ma qui non parliamo soltanto di quantità. Quando parliamo di vita, possiamo parlare anche di relazioni esistenziali: qual è il senso della mia esistenza? È di queste relazioni esistenziali che la teologia in primo luogo si occupa.
È questo terzo aspetto quello che ci interessa di più. A noi umani interessa questo, cioè le risposte sulla nostra esistenza, per cui, se volessimo rispondere al titolo: “Percorso inevitabile oppure evento singolare?” in un modo realmente significativo per noi, mi sembra che in fin dei conti noi ci chiederemmo questo: dietro il mondo, nel fondamento del mondo, c’è qualcuno – non qualcosa – qualcuno? E questo qualcuno ha qualcosa da dirmi? Di più, io per questo qualcuno valgo qualcosa? Questa è una relazione esistenziale, ed è quella che ci interessa di più. La risposta che la teologia fornisce a questa domanda, posta in termini personalisti-esistenziali, non dipende evidentemente dalla formulazione scientifica del quesito, cioè da tutti gli scenari possibili che possono aver dato inizio alla vita sul nostro pianeta, per quello che ne sappiamo e forse domani, se avremo dati in proposito, anche su pianeti diverso dal nostro. Un universo creato che tende alla vita, perché questo è il progetto finalistico, intenzionale di un Creatore, è compatibile sia con un cosmo fisico, dove la vita sia risultato assolutamente unico e non ripetibile, sia con un cosmo brulicante di vita, perché così voluto da Chi l’ha creato e l’ha posto in essere. Prima con un collega parlavamo del fatto che ambedue le ipotesi, le uniche due ipotesi possibili, la prima che siamo soli e la seconda che non siamo soli, sembrerebbero ambedue inquietanti, ma io direi che sono ambedue affascinanti. Non sappiamo quale delle due corrisponda alla realtà, non lo sappiamo ancora, anzi, forse non lo sapremo mai, perché non riusciremo mai a scandagliare il nostro universo in un modo sufficientemente profondo da poter dare una risposta definitiva al fatto se siamo soli o meno. Possiamo soltanto incontrare segni di vita, ma il fatto di non incontrarli non può a priori giustificare il fatto che non ce siano. La volontà di un Creatore che sia origine della vita – ontogenesi – è compatibile con qualsiasi descrizione scientifica evolutiva della vita – morfogenesi, compreso il suo inizio abiogenesi. Fra l’altro nella teologia medioevale, quando non c’erano ancora le conoscenze scientifiche che abbiano noi, non c’era nessuna difficoltà ad ammettere quello che si chiamava “generazione spontanea”. Ci sono articoli della Somma Teologica di San Tommaso, dove San Tommaso parla di generazione spontanea come cosa quasi assodata. L’energia veniva dal sole, la Terra aveva le potenzialità, per cui la vita nelle sue, diciamo, manifestazioni più elementari, era il risultato di una generazione spontanea. Non era, diciamo, un’ipotesi che inquietava teologi del calibro di Tommaso o Bonaventura. L’essere personale, ecco questo è un punto sul quale vorrei catturare la vostra attenzione, l’essere personale possiede delle manifestazioni: libertà, razionalità, che non sembrano risultare da meccanismi evolutivi darwiniani, tipicamente darwiniani, cioè quelli che operano soltanto su mutazione genetica e selezione naturale, anzi, la contemporanea antropologia evolutiva ci dice che l’affettività, la coscienza di sé, il sacrificio per amore sono comportamenti legati alla nostra evoluzione culturale, la quale non solo non dipende dall’evoluzione genetica, ma addirittura la determina in certa parte. Una slide ho pensato di dedicarla al principio antropico, questa espressione risulterà familiare a qualcuno di voi. È quell’insieme di risultati scientifici che sottolineano come le condizioni perché sul nostro pianeta si originasse la vita sono molto delicate e sono in perfetta sintonia con tutta una serie di parametri fisici, di costanti fisico-chimiche che son le stesse presenti nel nostro universo. Allora qualche volta si parla del principio antropico come quasi una dimostrazione di un progetto, oppure altri ne parlano come qualcosa di immanente, di deterministico, di materialista. Vorrei chiarire con voi semplicemente alcuni concetti, perché credo ci sia un po’ di confusione su questo aspetto. Il primo concetto è che il principio antropico, cioè l’esistenza di queste condizioni molto delicate di sintonia fra l’universo cosmico e la vita biologica, riguardano condizioni necessarie ma non sufficienti ad avere la vita.
Condizioni necessarie vuol dire che se non ci sono la vita non c’è; ma non sono condizioni sufficienti, potrebbero non esserci ma la vita non essere presente, perché io abbia un buon voto all’ esame è necessario che io studi, ma non è sufficiente, il professore, quel giorno può avere qualche capriccio per la testa, io posso avere il mal di testa, e l’esame va male; la condizione necessaria di avere studiato non è sufficiente a prendere un buon voto.
Lo stesso per le condizioni biotiche del principio antropico: sono necessarie, se non ci fossero la vita non ci sarebbe, ma non determinano la vita.
Il principio antropico non dimostra la vita come un fenomeno inevitabile, ma come un fenomeno in sintonia con la struttura primigenia del cosmo.
Pensate che le costanti di natura si sono fissate nei primissimi istanti di vita del nostro universo, quindi non sono un risultato di selezione; un’ interpretazione deterministica del principio antropico resterebbe un postulato scientifico a priori, il cosiddetto principio antropico forte (Strong anthropic principle), non un risultato dettato dai dati scientifici, che invece è proprio di un principio antropico debole (weak anthropic principle).
Il principio antropico non è una dimostrazione, né contro, né pro un disegno intenzionale in natura, perché è un’argomentazione svolta a livello di causa efficiente, cioè di cause materiali, e questa argomentazione non può inferire, non può causare implicazioni sul livello delle cause dell’ essere, e tantomeno sul livello delle cause intenzionali.
Terzo e ultimo passo.
È il nostro universo brulicante di vita?
Vediamo quali possono essere le prospettive teologiche, sulla diffusione della vita nel cosmo.
In primo luogo, mi pare interessante notare che la domanda sulla vita e sulla vita nel cosmo, in un certo senso, ha qualche risonanza religiosa. Leggiamo una pagina interessante di Paul Davies:
«Il potente tema di ET, che agisce da condotto, per risalire alla causa prima, tocca corde profonde della psiche umana. L’elemento di attrazione sembra essere il fatto che contattando esseri superiori, provenienti dal cielo, potremmo avere accesso ad una conoscenza privilegiata, e che, l’ampliamento dei nostri orizzonti risultante da esse, in qualche modo, ci avvicinerebbe di più a Dio».
La ricerca di ET può dunque essere vista come parte di una ricerca religiosa che è sempre esistita, oltre che parte di un progetto scientifico.
Sembra che Davies metta in luce una risonanza interessante del problema; è un po’ come, se noi umani cercassimo risposte a problemi fondativi straordinari, ed importantissimi ma purtroppo non sapessimo dare le risposte, allora aspetteremmo che qualcuno ce le desse, da un orizzonte antropologico esterno al nostro.
Guardate come è vicina questa idea all’ idea, invece propria, della teologia Ebraico-Cristiana, che è Dio che si rivela all’uomo; non evidentemente attraverso la vita intelligente extraterrestre, ma comunica lui a noi il suo disegno, addirittura facendosi uomo, venendo proprio al nostro livello. Era l’unico modo, perché comprendessimo tutti, direbbe san Tommaso, senza mescolanza di errore, in poco tempo, cose che se le raggiungesse la filosofia ci metterebbe molto tempo e con mescolanza di errori. Sul tema della vita nel cosmo, nella teologia si indirizzano una quantità enorme di domande, ce ne sono alcune di lecite, più che lecite, mi pare che la scienza debba, possa rivolgerle alla teologia; per esempio se la fede in Dio creatore e nel Verbo fatto carne è coerente con la presenza di vita, o di vita intelligente in un contesto cosmologico. Questa mi sembra una domanda ben posta, e la risposta è sì, è consistente.
Una seconda domanda può essere qual è il rapporto della vita extraterrestre, se fosse presente, con la rivelazione di Dio come vita e fonte della vita; risposta che ho cercato di dare all’ inizio, in ogni caso sarebbe suo riflesso.
Quale rapporto dovrebbe avere la vita, sottolineo, intelligente, con una rivelazione di Dio come fine ultimo spirituale della vita intelligente del cosmo: queste sono delle domande lecite che la teologia potrebbe affrontare, in qualche modo, in alcuni autori cerca di farlo.
Però ci sono delle domande che non sono consistenti, perché non sono epistemologicamente ben poste; io cercherò di portarne qualcuna di esempio.
Dover spiegare se una vita extraterrestre ha o non ha un peccato originale, è una domanda a cui semplicemente la teologia non può rispondere, ma non può rispondere perché non ha informazioni, e non si può obbligare a dare risposte se non ci sono dei dati.
Oppure dover rispondere se Dio si debba, o non si debba incarnare, morire o non morire in croce sugli altri pianeti.
La teologia semplicemente tace, perché non ha risposte, non può rispondere; dover spiegare se la presenza di vite extraterrestri, su pianeti diversi dalla terra, è confermata oppure smentita dalla Scrittura, qui c’è di tutto in letteratura, qualcuno di voi lo sa bene, alla fine sono ipotesi senza consistenza. La Scrittura è indirizzata a noi esseri umani, non andiamo a cercare cose che non ci sono.
Se la teologia rinuncia ad affrontare domande come queste che vi ho mostrato, non è per evitare dei grattacapi, siccome sono troppo difficili, non ce le facciamo, ma perché si tratta di questioni che, poste così, contengono pre-comprensioni, che condizionano il modo di rispondere all’intera difficile tematica. Quindi su alcune cose, in assenza di informazioni, non si può dire nulla.
Il Dio cristiano non è un Dio platonico dal quale tutto dedurre, il Dio cristiano è soprattutto Vita e Libertà, allora, se fosse un Dio platonico, siccome l’immagine di Dio è così deduciamo tutte queste cose, ma alcune cose non le possiamo dedurre, appartengono alla libertà di Dio, e ai suoi piani salvifici.
In alcune prospettive teologiche, sulla diffusione del cosmo, non vi sono argomenti pregiudiziali contro la presenza di vita extra terrestre, d’altra parte la soluzione classica, l’unicità dell’essere umano, non può essere classificata come ingenua o anti-scientifica, in mancanza di dati diversi è l’unica cosa che si può dire ancora.
La tradizione Ebraico-Cristiana, non dimentichiamolo, professa la fede nell’ esistenza degli angeli, ovvero il senso della creazione non si gioca tutto sul rapporto fra Uomo e Dio, ma resta aperto su altre creature, le quali, pur dipendendo da Dio, possono avere una economia di rivelazione di salvezza diversa da quella del genere umano.
Se sappiamo così poco sugli angeli, figuriamoci su eventuali altre creature di cui non abbiamo conoscenza.
Come abbiamo visto nella sezione prima, l’immagine di Dio uno e trino mantiene la sua universalità e la sua consistenza anche in un contesto cosmico ove sia presente la vita extra terrestre e anche intelligente.
Il mistero trinitario possiede caratteri certamente non locali, come l’esistenza di una paternità e di una figliolanza, la cui intelligibilità è legata al processo generativo, comune ad ogni vivente.
Lo è l’esistenza di un amore-dono, lo Spirito Santo, la cui comprensione rimanda all’ idea di comunione e donazione, certamente non estranea ad un’idea di vita libera e cosciente, di ogni vita libera e cosciente.
Cosa poter dire sulla “capitalità” cosmica di Gesù Cristo. Anche questo, per quello che possiamo dire, ha un significato certamente non locale; è “capitalità” creaturale non antropocentrica. L’incarnazione del Verbo ha valore rivelativo e salvifico di ambito universale, non solo locale. La “capitalità” di Cristo è anche sulle creature angeliche, e può essere interpretata come rivelativa della sua “capitalità” su tutte le possibili creature.
In qual modo questo avvenga non lo sappiamo, ma certamente ridurre l’importanza dell’ incarnazione del Verbo a qualcosa di locale sulla terra, non mi sembra teologicamente corretto.
Tutto è stato fatto in vista di Lui e per mezzo di Lui; si tratta di una “capitalità” Cristocentrica, non geocentrica né antropocentrica. Centro del cosmo e della storia non è l’uomo Gesù, ma il Verbo divino in quanto incarnato, in quanto assunto in una dimensione creaturale, e questa dimensione creaturale è significativa a mio avviso per ogni creatura. Dio ha assunto in Cristo una natura creata e questo ha valore al di là della creatura umana in quanto tale. Il Cristo ha assunto su di sé lo spazio e il tempo, la materia; assumendo su di sé anche la realtà della morte, ha rivelato nel suo corpo risorto la non definitività della corruzione e del degrado. Ovvero ha rivelato il compimento della promessa, come dicevo all’ inizio, un destino che riguarda l’intero universo, anch’esso destinato al degrado, e non solo l’uomo. Lì abbiamo una promessa per tutto l’universo oltre che per la nostra vita e per la vita; insieme al valore di redenzione dal peccato, che noi conosciamo dalla storia umana, la morte di Cristo sulla croce ha anche il valore dell’accettazione cosciente della creaturalità e della finitezza, luogo di un’ esperienza suprema e significativa, per ogni essere vivente.
Così come sarebbe significativo, per ogni vivente, qualsiasi vivente, la risurrezione di Gesù.
L’idea di un possibile futuro dialogo pare proibitiva, a motivo delle distanze in gioco, “detect not a dialogue”, non ce la facciamo a parlare con nessuno.
Però un credente in Dio, mi sembra, vedrebbe in tale incontro un’esperienza straordinaria, riconoscendo un’ origine comune, e la possibilità di comprendere meglio i rapporti con l’intero creato.
Su un simile incontro con un successivo dialogo ho forti dubbi, non potrebbe però non avere una dimensione religiosa, nel senso più squisito del termine, ma l’idea, è un’ idea molto diffusa, è che il contatto con una vita intelligente chiarisca in modo risolutivo la verità circa Dio Creatore, liberando l’homo sapiens da una fase religiosa infantile. È in realtà un’opinione assai ingenua, aspettiamo che qualcuno venga a darci le grandi risposte definitive, ma questa è ingenuità, la maggior parte dei temi religioso-esistenziali che caratterizzano la nostra specie, manterrebbero inalterato tutto il loro significato, il dolore, la sofferenza dell’innocente, la morte, la speranza di risurrezione, questi sono legati alla creaturalità, non sono legati all’ essere umano.
L’ultima parola sulla vita extraterrestre non spetta alla teologia, ma alla scienza; l’esistenza della vita, di vita intelligente, in pianeti diversi dalla terra, non viene né richiesta né esclusa da alcun argomento teologico.
Alla teologia, come a tutta quanta l’umanità, non resta che attendere.
Mi fermo qui e vi ringrazio.

TOMMASO BELLINI:
Grazie don Giuseppe, vorrei spendere gli ultimi minuti di questo incontro facendo un paio di domande, a cui chiedo una risposta sintetica, di carattere un po’ più personale, nello stile proprio del Meeting.
Ad Antonio chiederei: quale importanza ritieni che abbia la ricerca sull’ origine della vita? Quale impatto pensi possa avere sul concetto che noi abbiamo della vita del cosmo e di noi stessi? Perché quando uno affronta la domanda, qual è l’origine della vita, dentro, in fondo, ha una curiosità profonda, come se questa cosa lo riguardasse? Nella tua esperienza, nella tua opinione, qual è l’impatto di questa ricerca?

ANTONIO LAZCANO:
Non è una questione facile ma credo si possa dividere in due aspetti, c’è l’aspetto filosofico e l’aspetto di riflessione sulla natura della vita, perché chiaramente questo è Aristotele che lo ha detto, per capire qualcosa, dobbiamo capire come si è originato.
In questo senso capire il fenomeno della vita, mi sembra importante perché permette se non la definizione puntuale della vita, almeno una caratterizzazione fenomenologica di quello che intendiamo come vita.
Oggi, tutte le società contemporanee sono immerse in un dibattito sull’aborto, sulla vita sintetica, sull’eutanasia, su temi che toccano il concetto di vita.
Quando si ricerca l’origine della vita, si cerca di come spiegare la transizione da quello che non è vivo a qualche cosa che possiamo riconoscere come vivo, siamo a punto dove nessun sistema legale, economico, teologico, scientifico può dare un ottima soluzione a questo problema.
Nel senso scientifico, se noi cerchiamo di capire questa straordinaria diversità, passata e anche presente, della vita, dobbiamo capire la sua origine, qual è la proprietà di un sistema più che chimico, più che fisico. Per me non c’è un componente mistico, ma un sistema biologico che ha questa straordinaria potenzialità, non nel senso aristotelico, nel senso di sviluppo per trasformare il pianeta.
La terra è molto peculiare nel sistema solare, perché è il solo pianeta con la vita, perché non credo che ci sia vita su Marte e in nessun’altra parte del sistema solare.
Ma quando si guarda la terra è impossibile capire l’evoluzione dell’ atmosfera, la composizione dell’ atmosfera, la composizione dell’acqua terrestre, la composizione dei sedimenti senza la partecipazione della biosfera.
Per questo credo che per capire tutto il sistema, manchiamo di tutta la descrizione di quello che è l’origine della vita.

TOMMASO BELLINI:
Chiedo una battuta finale a don Giuseppe, riprendendo il filo di quello che elencava adesso Antonio: in questo periodo scienza e tecnologia sembrano porre nuove sfide al concetto di vita, l’origine della vita, ma anche in molti altri contesti.
Come sacerdote e come teologo, quali preoccupazioni vivi in questo momento di sfide sul concetto stesso di vita?

GIUSEPPE TANZELLA-NITTI:
Io distinguerei un duplice aspetto di sfida, se si tratta di sfide di conoscenza, non avrei nessun timore, nel senso che la teologia e la fede, che è di più della teologia, ha bisogno di ogni forma di conoscenza, e quindi tutto ciò che accresce il nostro background di conoscenze scientifiche coopera ad un atto di fede più responsabile e ad una teologia più matura. Dal punto di vista conoscitivo non vedrei questa sfida come competizione. Mi piace ricordare una frase di Tommaso Campanella nell’ Apologia per Galileo, aveva anche lì un tono di polemica, che dice «chi vieta a noi cristiani di coltivare la scienza, ci vieta di essere cristiani».
Dal punto di vista etico, si tratta di una fida nella quale il credente non deve essere solo o sentirsi solo, ma è una sfida per l’uomo: la scienza e la tecnologia devono essere al servizio della vita umana.
Questo non perché c’è una fede trascendente che dica che l’uomo sia a immagine di Dio, ma perché per tutti, credenti o non credenti, l’essere umano è il bene più prezioso che noi abbiamo.
In questo c’è un principio di precauzione, e proprio perché la persona umana è il bene più prezioso che noi abbiamo, dal suo concepimento fino alla sua morte naturale, per quello che ragionevolmente possiamo fare, va vista come un bene che è sempre un fine, non è mai un mezzo.
In questo ci possono essere delle inquietudini in alcuni aspetti, non tanto della scienza di base, quanto di applicazioni tecnologiche, anche se, molti dei problemi che si generano a livello di bioetica, di biotecnologie, sembrano più dettati da esigenze di carattere economico o di profitto o da altre cause che non da cause di vero progresso conoscitivo e a livello di ricerca di base.

TOMMASO BELLINI:
Grazie, Il tema dell’ origine della vita e dell’ origine della vita nel cosmo sono temi che muovono qualcosa dentro di noi. Qui al Meeting abbiamo sempre cercato di toccare temi scientifici che avessero un eco emotivo di grandi questioni, e sicuramente l’origine della vita ce l’ha.
Come abbiamo potuto constatare anche in questo incontro, guardando dentro questi temi mediante l’investigazione scientifica, mediante la riflessione teologica, si guadagnano delle risposte ma non si guadagna una risposta secca, si guadagna una domanda più acuta, più focalizzata, più chiara.
La vita primordiale, è un fenomeno molecolare, è complesso, magari un’assemblea di Rna, che non capiamo bene come si sia originata ma che sicuramente ha delle radici forti nel come era fatta la terra, quindi guardare dentro l’origine della vita ci fa aumentare questo senso di continuità della nostra natura materiale con tutto il cosmo.
Ma al contempo, ci dà una forte sensazione di discontinuità, perché la vita, come la sentiamo quando ci appassioniamo alla domanda dove è nata, è il nostro sentirci vivi, e sembra così lontana dall’assemblea del Rna. Vediamo una continuità e sentiamo una discontinuità, perché, come ci ha detto don Giuseppe, parlare dell’ origine della vita vuol dire qualcosa di più che parlare dell’ inizio dei primi viventi. C’è una pluralità di livelli, per cui questa discontinuità fra la nostra esperienza di essere vivi e la vita dei primordi e la materialità biologica della vita è uno scandalo su cui continuiamo a inciampare, è una sorgente di inquietudine del vivere, ed è un’inquietudine che porta continuamente con sé una domanda pressante: «Ma nel fondamento del mondo c’è qualcuno?».

(trascrizione non rivista dai relatori)

Data

23 Agosto 2018

Ora

11:30

Edizione

2018
Categoria
Incontri