CRESCERE SI DEVE… E SI PUÒ

Workshop. In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Vincenzo Novari, CEO H3G; Dario Rinero, Presidente Coca-Cola HBC Italia; Francesco Valli, Presidente BAT Italia; Renzo Vanetti, Amministratore Delegato SIA-SSB. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.

 

MODERATORE:
Crescere si deve, crescere si può, bisogna capire cosa intendiamo per crescere; evidentemente non si tratta solo della dimensione di un’azienda, di un impresa, di una cooperativa. Si tratta soprattutto del fatto che un’azienda oggi deve crescere soprattutto in termini di professionalità, in termini innovativi perché altrimenti non può più competere, non può più concorrere, viene espulsa dal mercato; quindi da questo punto di vista abbiamo l’obbligo della crescita. Abbiamo con noi oggi rappresentanti di aziende grandi:
Vincenzo Novari, CEO dell’H3G (telefonini della 3 che voi conoscete); Dario Rinero, presidente della Coca-Cola Italia che per dir la verità si espande su tutta l’Europa, ma questo ve lo spiegherà anche lui brevemente; Francesco Valli, presidente di BAT Italia e Renzo Vanetti, amministratore delegato della SIA-SSB, ve lo spiegherà bene lui cos’è, comunque c’entra col fatto che voi sul bancomat avete dei soldi, ve lo spiegherà lui, non mi voglio dilungare.
Quello che però intuitivamente voglio farvi notare è che questi rappresentanti delle grandi aziende non sono qua per darvi istruzioni per l’uso su come crescere ma per dare la possibilità di un confronto con esperienze interessanti, perché la domanda che pongo loro come introduttiva è la seguente: cosa fate voi, nelle vostre imprese, per fare in modo che le persone che ci lavorano crescano professionalmente, diano il meglio di sé o, detto in termini scientifici, come investite in capitali umani, come valorizzate le persone che lavorano con voi. Questo, ripeto, non perché chi di voi fa parte di una piccola o media impresa lo ripeta o lo imiti, ma per avere un confronto, per capire come fanno altri. Questo è il senso di questo incontro di questo pomeriggio.
Sappiamo bene che le grandi aziende sono diverse dalla piccola e media impresa, però fanno anche delle esperienze molto significative, è su queste vogliamo confrontarci.
Cominciamo con Renzo Vanetti che ci spiegherà come la sua azienda affronta questo problema della crescita.

RENZO VANETTI:
Grazie Bernhard, dico solo due parole su che cosa fa SIA-SSB. E’ una struttura di 1800 persone che gestisce informaticamente tutte le attività di tipo interbancario dei mercati finanziari, ovvero tutte le operazioni bancarie che voi fate e che partono da una banca e finiscono su un’altra banca, passano attraverso di noi per essere compensate. Quest’attività la facciamo a livello europeo, perché operiamo in 27 paesi europei oltre che in Africa, gestiamo anche il famoso bancomat e le carte di credito, non per darvi i soldi, par per darvi l’autorizzazione affinché vi vengano dati i soldi. Gestiamo inoltre il mercato dei titoli di stato, BOT, CCT che conoscete tutti benissimo, mercato dove la tecnologia è fondamentale perché si possano ottenere i risultati che poi tutti si aspettano, quello di avere un mercato a forte liquidità con grandi possibilità di operatività, un mercato posso dire quello dei titoli di stato dove gestiamo tecnologicamente, tanto per darvi un’indicazione delle dimensione, 3500-3800 operazioni al secondo, mercato delle autorizzazioni delle carte di credito e carte bancomat etc. dove gestiamo mediamente intorno alle 700-800 operazioni al secondo.
Allora voi direte, come facciamo noi a crescere? In primo luogo noi cresciamo in un mercato europeo, dove l’utilizzo di mezzi tecnologici per questa tipologia di attività, è un utilizzo in continua crescita. Ma quello che non bisogna assolutamente dimenticare è che noi utilizziamo molta tecnologia, ma la tecnologia è ormai un bene che possono avere tutti, l’unica differenza sta nelle persone, persone capaci di far funzionare la tecnologia meglio di altri. Questo è stato il primo principio al quale ci siamo ispirati per costruire la nostra crescita oltre i confini nazionali, una crescita a livello europeo e a livello extra-europeo, soprattutto nei paesi africani che sono considerati paesi ad alto livello di crescita nei prossimi 5 anni.
Noi abbiamo considerato che la conoscenza e la reputazione fossero i fattori fondamentali per poter garantire la crescita, e fossero i fatti fondamentali per costruire insieme all’innovazione quella che noi abbiamo chiamato l’impresa intelligente. Che cosa significa impresa intelligente? Impresa intelligente significa costruire un’impresa tenendo conto di 4 pilastri che sorreggono l’impresa stessa, visti però in un modo un po’ diverso, cioè soltanto attraverso la caratteristica delle persone che operano all’interno di questi pilastri. In fin dei conti la crescita di un’azienda viene normalmente garantita da una serie di fenomeni, alcuni esogeni alcuni endogeni all’impresa stessa. Questi fenomeni sono l’attrattività paese dove, non voglio dilungarmi, lo sappiamo tutti, oggi il nostro paese non è particolarmente attrattivo, speriamo che con tutto quello che si sta cercando di fare possa diventare attrattivo e si possa costruire una base di attrattività tale che possa essere una delle condizioni primarie perché le imprese possano crescere.
Il secondo tema è la leadership manageriale, il terzo è il tema della capacità di innovazione, il quarto tema è la capacità di costruire competitività e il quinto tema è la capacità di utilizzare al meglio le nuove tecnologie.
Bene, l’unico denominatore comune in tutto questo sono le persone che operano in azienda, cioè l’uomo e i talenti che operano in azienda, che fanno veramente la differenza. Ora, cercando di leggere i quattro pilastri che sorreggono l’azienda attraverso la logica delle persone e dei talenti, il primo pilastro che abbiamo analizzato è il pilastro della conoscenza. Le imprese tutte sono piene di sapere, tutte: il problema è un problema di tipo manageriale, cioè il problema è ancora un problema di uomini, di uomini che guidano essendo capaci di estrarre queste conoscenze in azienda e sapendo metterle a fattor comune. In tal modo la conoscenza diventa un primo motore per portare innovazione, diventa una prima disciplina aziendale e diventa una prima arma competitiva. Ecco, il tema della conoscenza nei confronti delle persone che lavorano in azienda deve essere una cultura, deve essere una forma mentis e il management dell’azienda deve essere in grado di costruire nelle persone la capacità di mettere a fattor comune la conoscenza che è all’interno dell’azienda. Questo è il primo punto fondamentale, il primo pilastro sul quale abbiamo iniziato ad operare con le persone in azienda e questo, devo dire, ci ha dato grossissimi ritorni, grossissimi ritorni perché abbiamo iniziato a modificare il management aziendale, il management aziendale come cultura. Il management aziendale degli anni 2000 non è il management degli anni ’80, il management degli anni 2000 deve essere un management in grado di gestire una leadership di insieme, deve essere un management in grado di gestire la diversità di persone nell’azienda, perché tutti possano concorrere ad ottenere un risultato. Il secondo punto che abbiamo analizzato dei quattro pilastri dell’impresa intelligente, così come viene chiamata, è la fabbrica. La fabbrica, qualsiasi essa sia, sia una fabbrica di software, sia una fabbrica di produzione di servizi eccetera, l’abbiamo considerata non come fosse un’officina, così come era nel passato, ma come un centro ideativo e produttivo. Cioè abbiamo considerato la fabbrica una identità competitiva ed un centro ideativo attraverso il quale si potesse portare direttamente dall’interno l’evoluzione sul prodotto. Guardate che da lì, dalla ottimizzazione della fabbrica e dalla capacità delle persone di guardare all’intorno come funziona la fabbrica, escono le più grandi innovazioni che si possono avere nell’azienda, perché innovazione non significa fare cose rivoluzionarie, significa avere la capacità di guardare le cose che si fanno tutti i giorni con occhi un pochettino diversi e da lì nasce la vera novità e la vera innovazione.
Il terzo pilastro: abbiamo guardato con un occhio diverso il lavoro in termini di professioni e professionalità. Oggi c’è il rischio di internazionalizzazione, ci sono i rischi di globalizzazione eccetera, per cui abbiamo cercato di rilanciare all’interno dell’azienda il lavoro puntando su soddisfazione e pienezza nei confronti dell’individuo, del soggetto individuale. Abbiamo voluta dare ad ognuno un ruolo all’interno dell’azienda, un ruolo che fosse significativo per la crescita dell’azienda. Attraverso una operazione manageriale, abbiamo cercato di far capire alle persone quanto importante fosse il loro ruolo per la crescita dell’azienda. Per noi il tema dell’impresa intelligente ha significato formazione manageriale, per poter affrontare in un modo diverso le tematiche degli anni 2000 rispetto a quelle degli anni ’90 e degli anni ’80. Seconda cosa: capacità di far crescere i talenti e i talenti sono una cosa che oggi manca in Italia. Io ho preso una dichiarazione di Attali, che è una persona che in Francia sta seguendo tutto il gruppo di persone che devono dare una indicazione su come può essere lo sviluppo della Francia negli anni futuri. Ecco Attali ha detto che l’Italia avrà probabilmente nel prossimo futuro dei problemi, per un motivo molto semplice: perché ha un tasso di natalità tra i più bassi dei paesi europei, perché ha una assenza di una classe creativa, perché non siamo capaci di investire in tecnologie nuove e continuiamo ad investire in tecnologie vecchie, ma soprattutto non siamo capaci di costruire talenti, siamo solo capaci di lasciarli scappare. Ecco, quello che noi abbiamo cercato di fare in tutto questo processo, è quello di mettere a punto un meccanismo, all’interno dell’azienda, in grado di valorizzare le persone e fare di queste persone dei talenti. I talenti per noi sono le persone che sono in grado di far funzione meglio i servizi rispetto ad altre entità nostre concorrenti. L’unica differenza è lì: noi usiamo solo la tecnologia e la tecnologia c’è per tutti, basta avere i soldi e la si compra da IBM dalla Microsoft, da tutti coloro che la possono fornire. Però la vera differenza sta nelle persone che sono in grado di farla funzionare. Ecco, abbiamo cercato di costruire un meccanismo che consentisse alle persone di avere passione, di avere riconoscimenti, ovvero di essere premiati in modo meritocratico per quello che hanno fatto e per quello che stanno facendo, per cui abbiamo innescato un meccanismo tale che ha portato la nostra azienda ad essere una delle aziende con una tra le più alte reputazioni in Europa, ovviamente tra le aziende che operano nel nostro settore. Per cui conoscenza e reputazione, costruite esclusivamente attraverso metodi di revisione manageriale e attraverso un processo di valorizzazione dei talenti. Se poi ci sarà un secondo giro, allora vi parlerò della tecnologia, perché quello è l’altro elemento chiave per la crescita e il successo di una azienda.

MODERATORE:
Il secondo giro è previsto.

FRANCESCO VALLI:
Grazie. Ho pensato come posso in qualche modo tradurre, rispetto alla realtà che molti di voi rappresentano, quelle che sono le esperienze che io faccio in multinazionale nel vero senso della parola. Rappresento un gruppo che nel mondo ha circa 200 filiali, 80.000 persone che ci lavorano, un indotto probabilmente che è 5 volte 80.000, una capitalizzazione di borsa di cui a volte mi sfuggono gli zeri.
Però io credo, e questo l’ho sempre pensato anche quando nell’azienda ricoprivo responsabilità inferiori, che le aziende, che vengono spesso nel nostro paese definite multinazionali, l’accezione non è propriamente positiva. Le aziende sono fatte solo di persone, le aziende hanno delle facce, chi le gestisce è una persona, sono delle persone e quindi se le vediamo rispetto a questo punto di vista, il fatto dimensionale tra una multinazionale e una piccola / media impresa viene parecchio diluito. Ed è proprio qui il segreto di tutto: il segreto di tutto non sta nelle dimensioni, nella capacità di investire di più rispetto ad altri, il segreto di tutto sta nelle persone che stanno all’interno dell’azienda. E rispetto all’invito alla discussione che il nostro moderatore ci faceva, io ho due temi da affrontare.
Uno è quello che per altro il Meeting ci suggerisce con il suo titolo, quello di essere protagonisti e quindi avere senso di responsabilità e l’altro è quello della capacità di operare coerentemente all’interno dell’ambiente in cui la propria attività, il proprio business opera.
Per quanto riguarda il primo punto, io credo che questo sia il problema dei problemi che non riguarda solo l’azienda, che non riguarda solo l’impresa ma riguarda la politica, riguarda la società: è la capacità di saper prendere le responsabilità. Sembra una cosa di per sé semplice da dire, ma l’origine di ogni male, di ogni guaio in azienda, purtroppo l’origine di ogni problema a livello generale, a livello politico, a livello sociale, è la incapacità o il non volere prendersi delle responsabilità. Si cresce se e solo se qualcuno, un gruppo di persone, ha la capacità, la volontà di prendersi la responsabilità, di prendersi delle responsabilità.
Ed è il motivo per il quale, dal punto di vista di operatori di mercato, operatori di business, noi ci troviamo ad operare in una realtà, la nostra italiana, dove sono più i paletti, sono più le viscosità che i motivi per andare avanti e per crescere. Perché per fare un ponte ci mettiamo 20 anni, per decide di diminuire il numero di leggi ce ne mettiamo altrettanti, ma non voglio parla di questo oggi, voglio parlare di cosa vuol dire prendersi la responsabilità all’interno dell’azienda. Ecco, per me significa ingenerare all’interno della propria organizzazione la capacità, la voglia e la passione di dare un valore aggiunto, qualunque sia la posizione che ciascuno ricopre all’interno dell’azienda, a partire dall’assistente fino a chi ha la responsabilità diretta del profitto. Ecco, se nelle nostre aziende, senza pensare alla dimensione di esse o a quanto profitto dobbiamo fare alla fine di questo anno, non siamo capaci di ingenerare nelle nostre persone tutti quanti, in noi stessi in primis, la voglia quotidiana di creare valore, di lasciare un segno di quella che è la nostra esperienza quotidiana di lavoro, ecco io credo che questo è il passo fondamentale e iniziale e imprescindibile per crescere. Perché è giusto quello che si dice che sono le persone, ma le persone devono in qualche modo sentirsi libere in azienda, libere di pensare, libere di proporre e libere di incidere. La vera libertà in ciascuno di noi, non solo di individuo che opera in azienda ma proprio come individuo che è in una società, è quella della possibilità di incidere. Se ciascun elemento dell’organizzazione si sveglia la mattina e arriva in ufficio con la volontà di incidere nella propria vita e nel lavoro, quello è il primo passo per crescere, perché da lì nasce la curiosità per innovare, nasce lo spirito imprenditoriale per rischiare, nasce la volontà di lavorare in gruppo per poter incidere ancora di più. Quindi il senso di responsabilità è il senso che ingenera passione, che ingenera fiducia all’interno dell’organizzazione, che ingenera volontà di andare oltre. Questo è il punto fondamentale, credo, dal quale non si può assolutamente derogare.
Cosa bisogna fare? Lo vedremo poi magari andando più nello specifico, ma quello che bisogna fare è in qualche modo una organizzazione che veda dove si vuole andare e che lo condivida. Quindi sono una sommatoria di valori condivisi, l’organizzazione e gli obiettivi aziendali. Gli obiettivi aziendali sono sì il fatturato, il profitto, quanto vogliamo investire nei prossimi 5 anni o 10, ma l’obiettivo è e deve essere soprattutto quella somma di valori condivisi che l’organizzazione sposa e vuole portare avanti.
L’altra parte era la parte che volevo dedicare, invece, a come operare nel nostro micro/macro ambiente come rappresentanti dell’impresa. Abbiamo già detto, e non lo affronteremo oggi, quanto difficile sia operare in ambienti che non ti consentono una libertà di impresa a livelli per lo meno europei, come spesso e volentieri abbiamo nel nostro paese. Ma io credo che non bisogna, come operatori del settore, fermarsi ogni anno e lagnarsi di questo, perché poi noi dobbiamo crescere e vogliamo crescere, vogliamo creare valore e vogliamo creare benessere per la nostra organizzazione e per i nostri azionisti. Quindi bisogna farlo per conto proprio.
Noi in Italia abbiamo, credo, il più fulgido esempio di capacità di crescita, infischiandosene dell’ambiente circostante e delle regole e sopraregole, che sono distretti industriali, che sono una realtà mai rappresentata in nessun tavolo di concertazione. Sono una realtà della quale non si sente mai parlare ma è la realtà che cresce pure in un periodo difficile come questo. Pur in un periodo difficile come questo, le esportazioni in Italia, negli ultimi 12 mesi, sono cresciute del 12% e la responsabilità dell’85% di questa crescita è riconducibile ad aziende appartenenti a distretti industriali. Quale è, a mio parere, il segreto di questo successo? Prima di tutto la capacità di prendersi le responsabilità che hanno questi piccoli e medi imprenditori, la volontà di crescere, di alzarsi ogni mattina per fare di più. Ma soprattutto, ormai, in questa realtà si è compreso che il piccolo, preso per sé, non aiuta più e quindi sono riusciti, stanno riuscendo a fare comunità. Comunità cosa vuol dire? Vuol dire integrarsi tecnicamente, operativamente ma anche come valore di business all’interno di realtà locali e operare insieme. È una specie di autosussidiarietà, magari non cercata, ma sicuramente necessaria per sopravvivere. Ovviamente questo non basta. Io credo che, per le piccole e medie imprese che hanno questo tipo di realtà, sarebbe necessario anche cominciare a pensare dal punto di vista, che qualcuno cominciasse a pensarci, di creare delle condizioni migliori: penso ai laboratori di distretto, penso alla possibilità di accedere più facilmente al credito mettendosi insieme. Però vedete, io penso che questa sia la scelta vincente: da un lato sentirsi ogni giorno responsabili trasmette a chi lavora per te la possibilità di poter incidere e dall’altro dimensionare, conformare l’ambiente che sta intorno a te, l’ambiente del tuo business, a seconda di quelle che sole le necessità di crescere. E il distretto industriale, lo sta dimostrando da anni, credo siano la scelta vincente. Ecco, come vedete, per crescere le dimensioni non sono importanti. Sono importanti i valori che chi gestisce l’azienda vuole trasmettere e la capacità di creare le condizioni per crescere. Grazie.

DARIO RINERO:
Grazie. Allora non presento l’azienda, spero tutti la conosciate, però a chi mi chiede che cosa facciamo dico: se guardiamo dai nostri stabilimenti verso il mercato, produciamo bevande e le distribuiamo in tutto il mondo. Se invece guardo cosa succede sul mercato, ogni giorno un miliardo e duecento milioni di consumatori beve uno dei nostri prodotti.
Allora mi piace pensare che siamo nel business delle relazioni cioè ogni giorno incontriamo un miliardo e duecento mila volte i nostri clienti, i nostri consumatori. E mi piace pensarlo perché questo sposta il modo di pensare dell’azienda, il modo di lavorare fuori, perché noi siamo nel mondo del largo consumo, quindi di prodotti come l’acqua , come la Coca cola come la Fanta, dove ogni giorno queste persone, i nostri clienti, bevono i nostri prodotti e dobbiamo convincerli a risceglierci il giorno dopo. E qui è il primo pezzo del mio intervento, cioè, lascio stare le cose classiche (che cosa fare per andare avanti: innovazione, comunicazione, esecuzione) perché penso che magari possano non essere così interessanti nel contesto di oggi.
Invece cerco di parlarvi di come cerchiamo di fare queste tre cose, che credo sia un po’ il tema assegnatomi per questo intervento.
Io credo che qualsiasi dei nostri prodotti sia replicabile. Siamo un bene di largo consumo quindi abbiamo prodotti molto semplici. La vera differenza la fanno le nostre persone. Le nostre persone sono il vero vantaggio competitivo per noi, perché se ci concentriamo sui prodotti, qualcuno riuscirà a fare i prodotti come i nostri e noi non riusciremmo più a essere competitivi rispetto a loro. Ma se ci concentriamo sulle persone, quando qualcuno sarà arrivato ai nostri prodotti, noi saremmo già su altri prodotti e quindi riusciremmo ad andare avanti. Quindi vi parlo di tre cose fondamentali che noi facciamo nella gestione delle nostre persone in Italia e più in generale nel mondo. La prima cosa si chiama competizione in meritocrazia. È questo un tema che, soprattutto in Italia, noi andiamo presentando e discutendo moltissimo. Competizione e meritocrazia sono alla base del nostro lavoro giornaliero, di tutte le 3000 persone che lavorano nel nostro gruppo in Italia. Noi pensiamo che competizione sia un valore positivo: parliamo bene della competizione perché crediamo che non si debba avere paura della competizione, perché dalla competizione si impara, nella competizione si migliora e nella competizione ognuno di noi riesce a trovare il meglio che ha dentro. Quindi facciamo parte di aziende, di persone che credono che la competizione sia un lavoro positivo. Pensate che noi in Italia vendiamo circa 2 miliardi di litri di bevande ogni anno. Pensate 2 miliardi di litri, dividetelo, ogni bevanda mediamente 30-40 centilitri in media vuol dire 6 miliardi di consumazioni all’anno. Il problema non è produrli. Il problema è essere dove voi vi aspettate di trovare i nostri prodotti, di avere i nostri prodotti e di avervi convinto che sono i prodotti giusti. Questa è la competizione: ogni giorno noi ci alziamo e competiamo per vendere 2 miliardi di litri all’anno, magari l’anno prossimo di venderne 2 miliardi e 100. Quindi la prima cosa che facciamo è lavorare e insegnare alle nostre persone che della competizione non bisogna avere paura, perché dalla competizione si può imparare e migliorare.
Il secondo punto è la meritocrazia. La meritocrazia è un bene che manca in Italia. Ne sentiamo in questi anni parlare moltissimo. Noi crediamo, invece, moltissimo nella meritocrazia. Per me la meritocrazia è stata riassunta molto bene in una frase dal governatore Draghi, lo scorso anno, quando parlando del sistema universitario disse: “il dovere della scuola non è assicurare a tutti di arrivare insieme sulla linea del traguardo, ma è assicurare a tutti di essere allineati insieme sulla linea di partenza”. Io credo che questa sia una frase bellissima. Meritocrazia vuol dire dare a ognuno la possibilità di raggiungere il meglio che ha dentro ma non necessariamente garantirgli dove arriverà, ma dargli l’opportunità è il vero punto. Quindi per me il primo punto che volevo toccare sarà questo, poi se ci sarà tempo nel secondo giro elaborerò su questo. Quindi competizione, non aver paura di competere con gli altri, e meritocrazia, saper che chi è migliore va avanti e deve andare avanti e chi rimane indietro deve essere aiutato per raggiungere il massimo punto che può raggiungere.
Il secondo punto è la valutazione, sul quale spenderò poco tempo, ma per noi è molto importante. Noi crediamo che le risorse le puoi far crescere quando le valuti e quando insegni alle persone e dici alle persone quali sono i loro punti di miglioramento ma soprattutto i punti di forza. Molti aziende non applicano questo sistema. Molte lo applicano dicendo: parliamo dei gap cioè parliamo di quello che devi migliorare. Noi da alcuni anni parliamo invece secondo questo schema: parlo dei punti di miglioramenti che hai ma intanto parlo anche dei punti di forza che hai, sui quali noi possiamo farti crescere, perché tu queste qualità le hai in misura superiore ad altre persone. Allora abbiamo un sistema di valutazione molto articolato: tutti i nostri impiegati, almeno due volte all’anno (dico impiegato per spiegare che sono sia le persone negli uffici che le persone che stanno in vendita) vengono valutate con un sistema articolato che parla di cose che alcuni anni fa non ci dicevamo: una di queste è il coraggio, una di queste è il teamwork (di cui abbiamo già sentito parlare prima), una di queste è l’approccio etico al proprio lavoro. Una cosa bellissima, che secondo me troveremo sempre di più nel mondo e anche in Italia, è l’approccio alle diversità. Per noi è molto importante che tipo di attitudine ha una persona nella gestione delle diversità, perché ancora una volta noi crediamo che la diversità sia ricchezza. Pensate nel tessuto Italiano, con tutti gli emigrati che stanno arrivando e arriveranno, cosa vuol dire in una azienda come la nostra, essere pronta a dialogare con clienti che non sono italiani e consumatori che non sono italiani. Quindi valutiamo una persona sulla flessibilità, il coraggio, come dicevo prima, e la capacità di imparare dagli errori. E due volte l’anno diciamo loro o quali sono le cose che vanno bene, sulle quali continuare a spingere e quali sono le cose da cercare di migliorare e cerchiamo di mettere in piedi dei piani.
Questo è quello che facciamo per cercare di far crescere queste persone.
Un terzo punto che volevo delineare brevemente, invece, è il tema anagrafico: io ho 47 anni, le persone che si riferiscono a me o nel mio board, hanno una età media intorno ai 42-43 anni. Io non credo che una azienda come la nostra, e comunque in generale, debba essere gestita da giovani, però credo che sia ora, in Italia soprattutto, di smetter di pensare che le persone possano veramente prendersi delle responsabilità soltanto quando hanno 50 o 60 anni. Io credo che noi dobbiamo creare un sistema nel quale si dà fiducia alle persone che hanno più da investire nella loro carriera perché hanno più da rischiare e hanno più aspettative per il futuro e queste, normalmente, sono i giovani. Non bisogna, secondo me, dare fiducia ai giovani a occhi chiusi ma bisogna, con i punti che ho detto prima, con dei sistemi articolati di guida e di valutazione, quando si incontrano delle persone che hanno capacità, dare la possibilità a loro di crescere, indipendentemente dall’età. Questo credo sia un fatto importante, e qua probabilmente concludo questo primo intervento. Noi arriviamo da secoli di storia nella quale una generazione non vedeva un cambiamento tecnologico e se ne vedeva al massimo ne vedeva uno (l’introduzione della stampa, per farvi un esempio). Ora invece siamo entrati in un’era in cui vediamo in una vita più di una rivoluzione tecnologica. Io penso soltanto a una cosa banale, come raccogliere un ordine da un cliente: io lavoro da 20 anni e mi ricordo che prima si prendeva su copia commissione, su carta, poi c’è stato il fax, poi c’è stato il telex, poi c’è stato internet che adesso collega i calcolatori. Sono stati 4 livelli di sviluppo tecnologico su una attività. Allora noi dobbiamo capire, e noi ne parliamo in Coca Cola moltissimo, che le ragioni che ci hanno portato fino qua oggi non ci garantiranno purtroppo il successo futuro, e che sempre di più nelle persone non dobbiamo valutare la loro esperienza, perché probabilmente della loro esperienza non ce ne faremo più nulla. Dobbiamo valutare le capacità che le persone hanno a cambiare, ad essere flessibili, a integrarsi, ad essere diversi, a capire che cosa succede e modificare il modello, perché queste sono le cose che veramente conteranno per il futuro. Una volta vi ricordate, 20 anni fa, si facevano gli annunci che dicevano: cercasi persona con comprovata esperienza. Noi cerchiamo di rompere questo sistema e dire che se una persona è in gamba e non ha una esperienza, probabilmente è un vantaggio, perché non è vittima di schemi e di modelli che tanto probabilmente oggi non ci sono più e non ci serviranno più. E quindi finisco per dire che abbiamo anche la fortuna di lavorare in ambienti multinazionali, che ci consentono la possibilità di fare leva su persone di paesi diversi. Io ho 8 persone che mi riportano: il direttore finanziario è un australiano, in questo momento, il direttore della strategia è uno spagnolo, il direttore della divisione acqua è un belga. Questo per dirvi che molte persone sono anche transitate in Italia, e gli ultimi due direttori vendite italiane erano un rumeno che ora è tornato in Romania ed è direttore generale della nostra filiale in Romania ed uno è un turco che adesso è direttore generale dell’Irlanda.
Quindi è vero, abbiamo la possibilità di fare leva su questo bacino ma soprattutto un atteggiamento di grande apertura verso la diversità e di grande attenzione al merito e alla capacità di competere della persona. Spero che questo possa essere stato utile.

MODERATORE:
Vincenzo Novari.

VINCENZO NOVARI:
Buona sera a tutti, io mi concentrerei sulla secondo parte del titolo di questo nostro incontro e cioè non tanto sul “si deve”, che sinceramente non so se si debba o no, anzi molte volte non vorrei crescere, però sicuramente si può.
Allora io vorrei parlarvi di questa possibilità di crescita economica, che secondo la nostra esperienza è una possibilità accesa sempre, è una possibilità dove ciascuno di noi si gioca il suo futuro ogni giorno e spesse volte delega, ad una parola semplice che è impossibilità, qualcosa che invece dipende solamente da noi.
Noi spesse volte fuggiamo, dicendo questa cosa non si può fare, semplicemente perché abbiamo paura di non essere in grado di farla e quindi non l’affrontiamo.
Allora io vi parlerò rapidissimamente dell’esperienza di quest’azienda, che è un’azienda come sapete, credo che la conosciate tutti 3, è un’azienda che si occupa di telecomunicazioni mobili. E’ un’azienda, questo probabilmente lo sapete già in meno, è un’azienda cinese, ma è un’azienda della Cina che non ti aspetti, cioè la Cina che viene in Italia ed investe 5.000.000.000 di Euro, sovvertendo il modello delle aziende capitalistiche tradizionali che tendono ad andare nei paesi in via di sviluppo: qui invece è un paese, come dire, indietro che investe in un paese, come dire, avanzato, per acquisire tutta una serie di know-how, una serie di competenze, una serie di informazioni.
La Cina che non ti aspetti ha investito 10 mila miliardi di lire nella nostra azienda, che più o meno tanto, per darvi un ordine di grandezza, corrispondono al 20% degli investimenti stranieri in Italia negli ultimi 10 anni.
Quindi negli ultimi 10 anni, il 20% di tutto quello che gli stranieri hanno investito, lo hanno investito nella nostra azienda, e sono stati i cinesi.
Azienda che nasce come sapete dall’evoluzione della telefonia mobile. La telefonia mobile parte di fatto in Italia, parte con il mondiale di calcio del ’90, e trova nell’Italia una delle sue culle naturali: il prodotto telefonino è un prodotto che in Italia incontra molto.
Subito la diffusione cresce rapidamente e soprattutto gli ingegneri italiani dimostrano di essere tra i migliori al mondo a costruire le reti.
Iniziamo a costruire le reti non solo in Italia ma in tutti i paesi del mondo. Noi siamo andati a costruire reti in Sud America, siamo andati a costruire reti in Africa, abbiamo costruito reti in Asia. Gli ingegneri italiani hanno costruito la stragrande maggioranza delle reti di telecomunicazioni mondiali.
A un certo punto il telefonino inizia a stare un po’ stretto nel suo alveo naturale, quindi anziché lavorare sul protocollo di voce e messaggi, inizia ad avere l’ambizione di trasmettere qualcosa di un pochino più grande, di un pochino più pesante, che sostanzialmente si chiama “rete”.
Il telefonino dice: perché non mi posso mettere a competere col computer per provare ad entrare nel mondo della rete? Ecco, gli scienziati che al mondo studiano questa cosa inventano la terza generazione, il cosiddetto 3GPP, che è il protocollo che consente ad un telefonino di trasmettere un quantitativo di dati maggiore, che quindi permette di veicolare un protocollo Internet o delle immagini.
Allora cosa succede? Succede che tutti i governi del mondo decidono di trovare chi può, in ogni paese, fare questo tipo di servizio, e quindi viaggiando questi attraverso un banda di frequenza, viene deciso di assegnare all’ Italia 5 pacchetti di frequenze.
E li parte nell’estate del 99, parte questo progetto, dove l’allora presidente consiglio D’Alema decide di assegnare queste 5 frequenze, perché bisognava trovare un criterio, ai 5 migliori progetti per il paese.
C’erano già degli operatori, vi ricordate, c’era TIM, c’era Vodafone, c’era Wind e c’era anche Blu, ora non lo so chi di voi si ricorda Blu, però esisteva un quarto operatore in Italia che si chiamava Blu.
Quindi di fatto c’era la possibilità di una quinta licenza da assegnare. Allora per avere il miglior progetto cosa fanno? Tutta una serie di cordate, vanno a costruire dei team che possano elaborare dei progetti. Ed io vengo contattato in quel momento, vengo contattato da due imprenditori italiani importanti, che vogliono provare a prendere questa licenza per fare questo nuovo business e mi chiedono di costruire un team di ingegneri, di persone che possano sviluppare un progetto vincente per aggiudicarsi la famosa quinta licenza.
E qui nasce questa cosa di “O Protagonisti O Nessuno”, perché io ero il numero tre di Omnitel, che era una grande azienda che era partita nel ’95, che si era fatta cinque anni di mazzo come una casa e finalmente aveva vinto la partita, la grande concorrenza con TIM in qualche modo era stata coronata da un grande successo importante, Omnitel era diventata una dei casi di studio mondiali di successo.
E quindi finalmente aveva iniziato a fare soldi e a lavorare di meno, perché dopo i primi 5 anni di apnea, poteva stare un pochino più tranquilla, avevamo 7-8 milioni di clienti, insomma la massa critica era stata raggiunta etc.
Però “O Protagonisti O Nessuno” cioè ho davanti un vita dove faccio il numero tre e guadagno un sacco di soldi etc. Provo a rimettere in gioco tutto, e quindi decido per tutta una serie di circostanze che qui non riporterò per tempi, di ricominciare quest’avventura, senonché porto questi venti colleghi insieme a me in questo progetto, e succede l’imponderabile: cade il governo, cade D’Alema, arriva Amato.
Amato dice: il progetto non conta niente, contano i soldi, si fa un’asta, base d’asta 4000 miliardi. 4000 miliardi, faccio il business plan e scopro ce ne vogliono 10000, perché 4000 per l’asta, che sarebbe andata secondo i miei disegni a 5-6000, ma poi bisognava costruire le antenne, 8000 impianti, l’azienda .. etc. Insomma ci volevano 10000 miliardi.
Gli azionisti italiani non avevano questo tipo di disponibilità e quindi la partita era chiusa, sembrava persa, il nostro consorzio destinato all’abbandono, destinato allo scioglimento di questo piccolo nucleo, dove peraltro avevo rovinato 20 famiglie, perché i 20 che avevo portato via da Omnitel chiaramente poi …
E lì nasce la follia, quella luce che si accende, quell’impossibilità che ognuno di noi ha davanti 100 volte al giorno, cioè non so se vi rendete conto del tema, il tema era trovare 10000 miliardi.
Cosa che per un genovese come me, come dire: era una missione trovare 100 lire e quindi trovare 10000 miliardi era assolutamente impossibile.
Però non dobbiamo accettare questo, se esiste il protagonista dentro di noi lo dobbiamo accendere, e anche nella situazione più difficile, anche nel lavoro più complesso c’è sempre una soluzione, siamo noi che non la troviamo e quindi ci rifugiamo nell’impossibile.
L’occasione mi fu data da un collega, un banchiere che avevo incontrato qualche giorno prima, che, con un pizzico di follia chiamai chiedendo chi mi poteva prestare 10000 miliardi e che mi rispose ovviamente in maniera abbastanza volgare.
Però poi gli spiegai la fattispecie, e questo mi disse che c’erano due persone al mondo che avevano questi soldi: uno era un tedesco, presidente di Deutsche Telecom, il più grande gruppo mondiale di telecomunicazioni e l’ altro, un signore cinese, che ad Hong Kong nell’estate precedente, attraverso tutta una serie di operazioni con Orange che era il secondo operatore inglese, aveva guadagnato, pensate, in un estate 18 miliardi di dollari, perché aveva venduto Orange che era la Omnitel inglese, l’aveva venduta a Mannesman che era un grande gruppo tedesco, si era fatto dare in soldi 5 miliardi di dollari più il 4% di Mannesman, dopo un mese Omnitel aveva lanciato un’OPA su Mannesman e lui quel 4% l’aveva rivenduto al triplo, e quindi aveva guadagnato 18 miliardi di dollari, e quindi i soldi ce li aveva.
Io ovviamente optai per il tedesco, che mi sembrava la soluzione più logica, ma ad inseguire il tedesco non ci fu verso, nel senso che mi mandò l’assistente del sostituto segretario quindi … insomma.
Al che richiamai l’amico e gli chiesi se era possibile organizzare un incontro con questo cinese, parlammo di questo cinese, questo cinese chi è, cosa fa, dove …
Gli chiesi se era possibile avere un appuntamento con questa persona. Questo qui mi richiamò, mi disse che ovviamente lui non poteva organizzare un appuntamento, però poteva chiamare un suo collega banchiere di Hong Kong e chiedere se lo conosceva.
Mi richiamò il giorno dopo e mi disse che questo cinese mi aspettava il martedì successivo alle 9 nel suo ufficio. Io presi una presentazione di 20 pagine, presi l’aereo ed andai ad Hong Kong.
Arrivai sotto il palazzo di questo qui alle 8:00, un’ora prima, vuoi mai che con tutto sto casino e con il traffico di Hong Kong arrivo tardi e mi gioco tutto questo progetto?
Gli presentai il perché era giusto investire in Italia, perché era giusto investire nelle telecomunicazioni mobili di terza generazione, perché era giusto investire su questo gruppo di 20 professionisti italiani. Questo signore, alla fine di questa presentazione, mi disse: “we can do it”, si può fare.
Mando un team di avvocati in Italia, rilevo il 51% dell’azienda, ad ottobre del 2000 ci fù l’asta e pagammo i nostri 15 MHz 6270 miliardi di lire e di lì nacque la storia di 3, che se c’è un secondo giro vediamo di ricostruire nelle sue parti. Grazie.

MODERATORE:
Io penso che ognuno di noi ha potuto cogliere attraverso la descrizione delle leve aziendali, o attraverso una testimonianza personale come quest’ultima, quali sono le possibilità che abbiamo noi come persona per far si che venga fuori il meglio di noi stessi o dei nostri collaboratori.
Adesso, nel secondo round che abbiamo concordato, volevo semplicemente chiedere ad ognuno di voi di dire qual è la cosa che in questo momento, per quanto riguarda la situazione nella quale si trova la vostra azienda, la cosa che più vi sta a cuore, proprio per rendere ciò che avete detto il più operativo possibile.
Ricominciamo nello stesso ordine che abbiamo fatto prima.

RENZO VANETTI:
Diciamo che prima abbiamo detto che cosa abbiamo fatto in azienda, cioè abbiamo fatto un discorso di tipo culturale e di impostazione aziendale, cioè innovazione come cultura. Ed attenzione che innovazione non è ricerca, innovazione è il processo di trasformazione di una nuova idea in un concreto valore aggiunto per l’azienda e per il cliente, per cui l’innovazione è completamente diversa dalla ricerca, lo dico perché poi ci torno sul tema della tecnologia.
Abbiamo fatto con la produttività un credo aziendale, abbiamo fatto con la redditività un obbiettivo a tutti i livelli dell’azienda.
Visto che abbiamo creato questo strato di persone che sono dei protagonisti, perché sono delle persone che riescono a mostrare agli altri la possibilità di una vita, di un progetto, di un’idea che si realizza ed in mezzo a questo sono in grado di costruire degli altri protagonisti; tenendo presente questo, tenendo presente che protagonista dal greco significa agire per primo, la cosa che più ci sta a cuore in questo momento è l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Siamo in un momento di grande discontinuità, sicuramente la probabilità che il presente ed il futuro siano una replica anche minima del passato, direi che è completamente nulla, per cui questa discontinuità non può far altro che portarci ad una innovazione continua, in un’ottica di visione strategica, di crescita strategica.
Il substrato delle persone e dei protagonisti in grado di gestire, e dei talenti in grado di gestire questo, l’abbiamo costruito. Cosa stiamo facendo oggi? Stiamo cercando di utilizzare una tecnologia alternativa per poter fare attraverso la tecnologia quello che non è possibile fare localmente. Utilizziamo la tecnologia Web 2.0, che è l’internet del futuro, sarà il futuro di internet per i prossimi 20 anni. E’ una nuova piattaforma Internet dove non c’è più la condivisione del dato; è finita l’era del .com così come era fino ad oggi, si tratta di una nuova piattaforma attraverso la quale si vanno a condividere i servizi e si vanno a condividere in modo collaborativo i contributi.
Per cui su questa nuova piattaforma che cosa facciamo? Facciamo della ricerca distribuita, cioè i talenti che non abbiamo disponibili in Italia, attraverso questa infrastruttura li utilizziamo per fare della ricerca e per fare delle innovazioni in modo distribuito per l’Europa. Anziché avere tutte le persone a Milano, abbiamo dei centri di competenza a Budapest, abbiamo dei centri di competenza a Varsavia, abbiamo dei centri di competenza a Bruxelles, abbiamo due aziende in sud Africa, abbiamo dei centri di competenza in Russia, abbiamo dei centri di competenza in Romania e attraverso la tecnologia facciamo operare tutti come se fossero in un unico ufficio.
Per cui ricerca distribuita, di più, progettazione distribuita: non progettiamo i nostri servizi, le nostre attività unicamente da Milano, ma le progettiamo utilizzando la tecnologia ed i talenti dove sono, in giro per l’Europa, in giro per il mondo.
La terza cosa che facciamo attraverso questa tecnologia internet è la co-innovation, cioè facciamo un’innovazione diversa, facciamo un’innovazione con i clienti. Come ho detto prima, l’innovazione non significa fare ricerca, l’innovazione significa trasformare un’idea in un valore aggiunto; ecco noi attraverso questi strumenti diciamo ai clienti, ecco la nostra nuova idea, aiutateci in un processo di innovazione, in modo tale che si possa trarre da questa nuova idea un concreto vantaggio per voi.
Questa è la co-innovation, così come c’è la collaboration, così come c’è la co-ricerca. Non siamo gli unici che lo fanno, tenete presente che Procter & Gamble, utilizza 1500 ricercatori interni all’azienda e un milione e mezzo di ricercatori sparsi per i mondo, in India, in Cina, in America, in Sud America etc. senza neanche conoscerli, e fa tutto un processo di ricerca attraverso questo strumento tecnologico. Per cui il punto chiave del nostro futuro sarà questa nuova piattaforma tecnologica, anche perché questa nuova piattaforma tecnologica è la piattaforma tecnologica che usano i giovani. Ed io sono completamente d’accordo con chi mi ha preceduto che ha detto che noi dobbiamo puntare sui giovani, perché attraverso questa tecnologia i giovani hanno un atteggiamento non passivo ma un atteggiamento attivo. Ecco, la stessa logica di Wikipedia, che voi trovate in Internet, è proprio la logica del contributo e i giovani sono le persone che danno questo contributo in Internet, perché sono la digital-generation. Non sono io la digital-generation, anche molti che sono qui ad ascoltare in questa sala non sono la digital-generation, sono i giovani ventenni la digital-generation, quelli che sono nati con Internet e sono quelli che realmente potranno dare un contributo perché le aziende crescano in un modo diverso, utilizzando le tecnologie, utilizzando i talenti e le capacità delle persone. La conclusione sul tema di oggi è che si deve crescere per garantire un futuro ai nostri giovani, un futuro alle future generazioni, si deve crescere utilizzando persone e tecnologie, tenendo ben presente che poi alla base di tutto c’è sempre la grande volontà della persona di voler trasformare il sogno di un’azienda in una realtà, per cui passione, volontà, persone e tecnologie. Grazie.

FRANCESCO VALLI:
Si io ho due punti per dirvi un po’ cosa mi piacerebbe che accadesse nella mia azienda per crescere più facilmente nei prossimi anni.
La prima riprende un po’ alcuni spunti che mi ha proceduto mi ha già dato. Io vorrei per esempio che i ragazzi giovani che assumiamo in azienda, appena usciti dall’università o con pochi anni di lavoro sulle spalle, mi dicessero quando entrano: no, io non voglio essere assunto a tempo indeterminato, io voglio stare in un periodo di prova. Sembra paradossale questo, quanti discorsi ci siamo fatti negli ultimi anni, su queste cose, sul precariato, ma il fattore critico di successo per la crescita è la capacità di affrontare il cambiamento, la curiosità e la volontà di incidere. Perché continuiamo ad illudere i nostri giovani, i giovani manager, i neolaureati, che un posto deve essere per sempre? Questo è il più grande sogno che io ho per veder crescere la mia organizzazione, è il capitale umano che ho a disposizione, cioè la volontà da parte di chi opera con te, di dire: voglio dimostrarlo, voglio incidere, voglio essere io il protagonista della mia vita professionale quotidiana.
Certamente si deve fare poi i confronto quotidiano, con la vita personale, con le aspirazioni personali, con la compagna che cresce e quant’altro.
Però è un questione di testa, se si ha questo tipo di approccio, tutto il resto viene, è questo il primo sogno che vorrei all’interno della mia organizzazione.
L’altro è un pochino più complesso, riguarda nella fattispecie la categoria merceologica della quale mi trovo ad occuparmi, ma in generale penso che possa riguardarle tutte: è incominciare anche a pensare sempre di più come si raggiungono gli obbiettivi aziendali.
Voi direte: per voi, per una multinazionale del tabacco che è un danno per la salute, l’accettabilità sociale ha una valenza determinante. Questo è vero ma io credo che se l’ambiente circostante è caratteristica fondamentale per la crescita, l’accettabilità sociale di quello che noi in azienda facciamo, qualunque tipo di azienda stiamo gestendo, è importante.
Cominciare a pensare più dettagliatamente, più in maniera strategica come fare le cose, non solo come fare a raggiungere l’obbiettivo se vogliamo quantitativo, numerico, ma cosa c’è tra l’idea di business ed il suo risultato e come la filiera di opere che vengono messe una dietro l’altra per raggiungerlo si avviluppano. Questo a mio parere sta diventando sempre più importante, per compenetrarsi in un ambiente competitivo, per compenetrarsi nel territorio in cui si opera.
Noi come azienda questo lo abbiamo dovuto affrontare, per fare un esempio pratico, in relazione ad un processo molto forte, molto complesso di ristrutturazione industriale, che ha previsto negli ultimi 4-5 anni la chiusura di qualche stabilimento produttivo, che avevamo ereditato dai vecchi Monopoli di stato che abbiamo acquistato qualche anno fa.
Ecco, diciamo, parlare di ristrutturazione industriale in una sessione per la crescita può sembrare paradossale, però se inseriamo nel discorso della ristrutturazione industriale il come questa, dal nostro punto di vista, per quanto riguarda la nostra esperienza, è stata raggiunta, io credo che possa servire.
Noi abbiamo chiuso 4-5, 5 stabilimenti negli ultimi 4 anni. Potevamo fare in parecchi modi. Il modo più veloce, dichiarane la chiusura, dichiararne la mobilità: avremmo sopportato qualche sciopero, poi le cose sarebbero per il verso in cui sarebbero dovute andare. Non l’abbiamo fatto, abbiamo fatto in maniera diversa, perché pensiamo che dire che le persone contano all’interno dell’azienda abbia un significato, comporti rispetto per le persone, per le loro aspettative.
E quindi ciascuna delle persone che ha lasciato il nostro gruppo negli ultimi 4-5 anni, sono state tante a seguito di questa ristrutturazione, ecco ciascuna di esse ha un posto di lavoro.
Ecco, io questo credo che siano elementi che danno al raggiungimento dell’obbiettivo della crescita quel grado qualitativo che poi porta l’intera organizzazione a condividerne i valori. Il come fare diventa sempre più importante ed è un elemento che a mio parere giocherà un ruolo determinante, per far sì che i nostri business, qualunque essi siano, siano sostenibili in futuro.

DARIO RINERO:
Dunque io penso che la parola chiave sia la parola cambiamento. Credo che la quantità di cambiamenti che affronteremo nei prossimi anni sia straordinariamente più grande di quella che ha caratterizzato gli anni passati, e credo quindi che questa sia la principale caratteristica che vorrei ci fosse nelle nostre persone: il coraggio di cambiare.
Quante cose sono cambiate già in questi anni e cambieranno ancora, è incredibile pensarci. Noi arriviamo da un modello di pianificazione strategica che era quello, ad esempio, di Benetton, che cercava di capire due stagioni prima che cosa la gente voleva, preparava i prodotti, tingeva i capi, li portava nei punti di vendita. Ora ci troviamo nel modello di Zara, invece, che prenota capacità produttiva e stoffe e, quando comincia la stagione, capisce che cosa il consumatore vuole e in 15 giorni, 3 settimane, porta i capi sul mercato. È un modo di lavorare completamente diverso. Abbiamo costruito fabbriche che venivano dall’esperienza di Ford e della General Motor, con strutture verticistiche, innovazione che veniva dall’alto, macchine che facevano pezzi a un costo per metà sempre più basso, a condizione di fare sempre gli stessi pezzi. Abbiamo cercato di unificare la domanda e ora ci troviamo un bacino di consumatori che vuole invece la diversificazione. La Fiat ha fatto, ha dato ai clienti la possibilità di personalizzare i tettucci delle macchine con delle personalizzazioni e ora ha 800 variabili possibili di una auto. E potremmo continuare per delle ore. Siamo figli di un modello di turismo che diceva: se prenoti 6 mesi prima, il prezzo del biglietto è più basso. Ma ora siamo in un modello che dice che se prenoti il giorno prima il last minute ti costa meno. E tutti stanno spingendo il modello della decisione, il metodo della decisione il più tardi possibile. Allora questo continuerà e noi dovremo cambiare. Quindi io credo che, se avessi la bacchetta magica, direi: c’è solo una cosa che posso chiedere alle nostre 3000 persone, è quella di avere il coraggio del cambiamento cioè di sapere ogni giorno andare in azienda o andare dai nostri clienti pensando a cambiare almeno una cosa; una cosa ogni giorno è sufficiente, perché soprattutto ci mantiene flessibili, producendo un prodotto che è un paradosso, se voi volete, perché la bottiglia di CocaCola che voi prendete oggi in mano è del 1915 e il prodotto è esattamente lo stesso dal 1905, quindi noi tra poco faremo un secolo di prodotto che è esattamente lo stesso, nello stesso contenitore. Eppure, probabilmente per voi oggi, una bottiglia di CocaCola è un prodotto estremamente moderno come lo era un secolo fa. Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo cercato, continuiamo a cercare tutto quello che c’è attorno al prodotto. E per finire, che cosa facciamo noi per far sì che questo succeda? Due cose chiave, oltre a quelle che vi ho già detto prima, sono: la prima, cercare di attrarre i migliori cervelli possibili, le migliori persone che noi possiamo. Lavoriamo con le università, cogliamo ogni possibilità che abbiamo per presentarci, come questa e siamo grati al Meeting, per raccontare quali sono i nostri valori, le cose che facciamo e cerchiamo, quindi, di attrarci le migliori persone. L’anno prossimo creeremo in Italia una Corporate University della Bocconi che si chiamerà “CocaCola at Bocconi” e sarà la prima Corporate University che faremo come CocaCola in Europa. Manderemo lì le nostre persone più valorose e poi col tempo vorremmo integrarla con i nostri fornitori e con i nostri clienti, perché crediamo che se ci formiamo insieme sia poi più facile dialogare quando abbiamo dei modelli di relazione. Quindi, la prima cosa è attrarre le persone più giuste, la seconda è chiedere sempre una valutazione, perché come noi abbiamo diritto di giudicare le persone che lavorano con noi, le persone che lavorano con noi hanno il dovere di giudicarci e di aiutarci a capire dove stiamo portando l’azienda. Allora di tutte le cose delle quali sono fiero per il nostro gruppo in Italia, sicuramente non sono i risultati economici più importanti, ma sono che negli ultimi cinque anni CocaCola è sempre stata nelle prime 10 aziende in Italia, secondo la statistica che produce l’istituto, “Great Place to Work”, che in 28 paesi del mondo valuta il valore del posto di lavoro giudicato dai dipendenti e particolarmente l’anno scorso eravamo la seconda azienda in Italia. Questo vuole dire che 3000 del nostro gruppo ritengono che questo sia uno dei migliori di lavoro in Italia. Io credo che questo sia un indicatore di lavoro straordinario, sul quale noi ci dobbiamo basare per chiedere delle cose, ma anche per poter essere in sintonia con le nostre persone e per cercare di andare dalla stessa parte insieme.

VINCENZO NOVARI:
Un minuto per raccontarvi la fine della storia. La fine della storia è che nell’autunno del 2000 l’azienda parte con la sua licenza. Dopo due anni e mezzo H3G Italia è la prima al mondo a lanciare una rete UMTS commerciale. Gli italiani fanno ancora una volta questo piccolo miracolo di mettere insieme tecnologia svedese, tecnologia americane, tecnologia giapponese, coreana e di essere tra i primi 364 assegnatari al mondo a partire. Oggi H3G Italia è la prima azienda d’Europa con 8 milioni e mezzo di clienti di terza generazione e l’anno scorso è stato raggiunto il pareggio a livello di budget e quindi nei prossimi due anni cercheremo di portare anche i primi utili ai nostri azionisti. Quindi, come vedete, si può, basta accendere la luce dentro di noi.
Chiuderei con tre consigli pratici, operativi, concreti per chi, tra di voi, voglia crescere nel suo lavoro con la sua azienda. La prima cosa, cercate di mettervi sempre con, se siete voi datori di lavoro, o dentro l’azienda, non solo persone brave, ma anche brave persone. Cioè la componente knowhow e la componente competenza non è sempre la soluzione di tutto, perché molte volte le qualità di un individuo, le qualità umane, le qualità personali prevalgono anche sulle qualità tecnico-professionali. E quindi noi abbiamo cercato di fare quella che abbiamo chiamato un’azienda di “brave persone brave” ove il primo “brave persone” valeva quasi più del secondo. Il secondo suggerimento molto pratico, concreto: guardatevi sempre la foto, cioè guardate la realtà. Molti di noi, io sono subissato di mail, telefonate che dicono: “ho l’idea del secolo”. C’è anche un signore che mi ha mandato una lettera dicendo: guardi le vendo un brevetto unico eccetera ….che era il telefonino per i morti da mettere dentro la bara…. Lui ne era convinto che questa fosse l’idea del secolo, quindi non guardava la foto. La foto noi spesso non la guardiamo, non la guardiamo nemmeno di noi stessi, cioè siamo convinti di essere quello che non siamo, siamo convinti di essere un grande genio, siamo convinti di essere una persona integerrima, ….. Se prendete coscienza di voi stessi è infinitamente molto più semplice andare ad operare sul mercato, perché, attenzione, non c’è nulla che distrugga di più una azienda che non è leader che fare la strategia di un leader, o di una azienda che non è leader che fa la strategia di un Challenger o di un Alzheimer.
Quindi la consapevolezza di chi siamo è fondamentale per crescere e per svilupparsi. Il terzo ed ultimo punto è assumersi i rischi: decidere. Il coraggio del rischio è una dimensione che nel nostro paese si sta perdendo in maniera crescente, cioè non c’è più nessuno che vuole rischiare, non ci sono più imprenditori che investono. Appena fanno 2 lire prendono una partecipazione in una banca, prendono una partecipazione in una finanziaria, cioè in strutture che diminuiscano profilo e rischio. Se gli imprenditori italiani non ricominciano a rischiare sulle loro idee, se i dipendenti italiani non ricominciano a rischiare su di loro, a rimettersi in gioco, noi non possiamo andare da nessuna parte. Tenete presente che la più grande società attualmente al mondo per capitalizzazione e per utile mette ogni hanno anno in conto economico l’ipotesi dell’80% di insuccesso dei prodotti che lancia. Cioè una fonte economica mette a budget che un 80% dei progetti per l’anno successivo sono del flop e lo preventivano nel budget. Non è sbagliare il problema, il problema è non fare. Grazie. Grazie a tutti.

MODERATORE:
Io spero che questo ricco panorama di esperienze che abbiamo visto sia stato di aiuto per ognuno perché sono state veramente delle esperienze molto importanti. Abbiamo visto che per crescere aziendalmente bisogna soprattutto far crescere le persone a livello umano e professionale. Brave persone brave, come è stato detto. Questo sicuramente ha delle condizioni, io non voglio dirvi quali sono le priorità in questo perché se le farà ognuno. Mi permetto solo di sottolineare, anche per la mia esperienza, che assolutamente indispensabile, per far crescere le persone, è risvegliare nella persona il senso di responsabilità perché altrimenti la persona difficilmente tira fuori se stessa. Quando Novari ha raccontato che è andato in Cina a trovare questa marea di soldi, uno dei punti più importanti è stata anche la responsabilità, suppongo, di fronte a 20 famiglie. Cioè, ogni volta che una persona si sente una responsabilità, si sente spronata a incidere, tira anche fuori il meglio di sé. Un’altra cosa molto importante è stata detta: la valutazione deve sempre essere una valorizzazione, questo non toglie assolutamente quello che è stato detto sulla meritocrazia, cioè che ognuno abbia lo stesso punto di partenza, anzi la enfatizza così che ognuno corra al meglio. Un’altra cosa che ritengo sia stata molto, come dire, implicita, ma che ritengo di una importanza strategica per le piccole e medie imprese in futuro: tutto deve partire da uno sguardo sul cliente, sul mercato, sulla società. E questa apertura di sguardo verso il fuori, in tutti i vari modi che avete sentito, deve essere curata, perché io mi assuma la responsabilità di fronte agli obiettivi aziendali. Non posso responsabilizzare le persone se non dico loro a che cosa e per che cosa e in quale modo devono poi rispondere. Poi ci sarebbero tante altre cose da dire. ma l’importante è che ci vuole la fiducia nelle persone, la fiducia che ci sono delle persone che possono veramente fare la differenza, come è stato detto. Con questo vi ringrazio tantissimo. Ringrazio soprattutto i quattro nostri testimoni e vi auguro che se ci vediamo l’anno prossimo, la vostra azienda, i vostri collaboratori abbiano fatto un salto in più.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2008

Ora

15:00

Edizione

2008

Luogo

Sala B7
Categoria
Incontri