Alla ricerca dell’infinitamente piccolo

Ha partecipato: Carlo Rubbia, docente presso l’Università di Harvard, premio Nobel 1984 per la fisica. Moderatore: Pier Alberto Bertazzi.


Carlo Rubbia

Nel mio breve intervento io non voglio farvi una lezione sui dettagli della ricerca scientifica, vorrei piuttosto concentrarmi sulla visione globale della realtà che ne risulta e sulle sue conseguenze, che da puramente tecniche diventano filosofiche e toccano persino talvolta soggetti che si potrebbero chiamare etici.

Vi parlerò dunque di come oggi appare nelle sue grandi linee, agli occhi dello scienziato agguerrito da complicatissimi strumenti, la natura, e mi soffermerà nei suoi due aspetti più diversi, “l’infinitamente grande e lontano” e “l’infinitamente piccolo e recondito”, cercando di farvi vedere come questi due estremi in un certo senso si avvicinano in una comprensione unitaria della natura.

La ricerca e la comprensione dell’infinitamente grande risale agli albori della civilizzazione: gli antichi avevano scoperto con timore riverenziale il cielo, le stelle, la struttura dell’astronomia, in cui religione e scienza si mescolavano in maniera estremamente ravvicinata. Lo studio del piccolo, dell’infinitamente piccolo, è più recente: il primo desiderio organizzato dell’uomo di capire l’interno della materia risale ai Greci ed in particolare a Democrito. In ambedue i campi in questi ultimi decenni si sono fatti dei progressi enormi. In questa brevissima carrellata che vi porterà dalle dimensioni cosmiche fino ai più reconditi componenti della materia la dimensione di riferimento è sempre quella umana, e questo si può visualizzare in maniera facilissima pensando ad esempio al metro, che rappresenta nella sua unità di misura la nostra dimensione. Di fatto le unità più antiche di lunghezza si chiamavano piede, pollice, e mettevano ancora più esplicitamente in evidenza le dimensioni umane come dimensione di riferimento di lunghezza. Spinto dal desiderio di vedere, di conoscere e dominare il mondo che lo circonda, l’uomo ha saputo confrontare questa unità dimensionale che è la sua con cose ben più grandi e ben più piccole in una serie che affascinanti scoperte. Muovendosi nella direzione d’oggetti sempre più grandi e più lontani l’uomo è arrivato a scrutare i limiti dell’universo: apparentemente distinti, spazio e tempo sono legati fra di loro dal concetto di velocità, che è lo spazio percorso nell’unità di tempo. La costanza della velocità della luce in ogni sistema di riferimento, che fu una delle più grandi e fondamentali scoperte sperimentali del secolo scorso, ci ha infine forzato ad abbandonare il rigido sistema di riferimento assoluto che ci proveniva da Galileo Galilei per i ben più elusivi concetti della relatività, in cui spazio e tempo si fondono in un unica cosa.

Poiché la luce è il veicolo di comunicazione fra noi e questi oggetti immensi lontani nel cielo, il viaggiare lontano nello spazio corrisponde a recedere nel tempo fino eventualmente al momento dei Big Bang iniziale, l’enorme esplosione avvenuta 15 miliardi d’anni fa e da cui crediamo oggi che tutta la materia dell’universo, e quindi noi stessi, si sia condensata a partire dall’energia primordiale.

E’ stato questo certamente il momento più affascinante e più fondamentale della storia dell’universo – vedremo nel seguito come l’uomo è oggi capace di riprodurre alcune delle fasi essenziali di questo evento su piccola scala in laboratorio. Quello che fu la materia prima dell’istante del Big Bang sfugge e credo sempre sfuggirà alla nostra conoscenza; il Big Bang fu in un certo senso una vera rimessa a zero di tutta la memoria della materia, il vero inizio di tutte le cose che costituiscono il nostro universo. Per capire l’evoluzione dell’universo su questa scala immensa di dimensioni che ci porta indietro di miliardi d’anni, bisogna tener conto che anche la traiettoria della luce, o meglio la natura stessa dello spazio – tempo, è incurvata dalla presenza di potentissimo campi gravitazionali; la forza di gravità senza contare che sulla scala galattica è così potente da catturare, un po’ come avviene sulla terra per un sasso lanciato verso l’alto, persino la luce.

E oggi siamo di fronte ad una domanda fondamentale alla quale crediamo forse di aver trovato una risposta, domanda che si può porre in termini tecnici nel modo seguente: l’universo è aperto o è chiuso? Cioè il nostro universo è una scatola racchiusa dalla forza di gravità che esso stesso ha generato o è aperto verso l’esterno? Se la risposta è che l’universo è chiuso allora l’universo si espanderà trattenuto da questa molla invisibile che è la forza gravitazionale fino ad “un’allungazione” massima per poi rovesciare il movimento e convergere su se stesso, rifacendo tutto il cammino percorso, fino ad un altro – chiamiamolo così – mezzogiorno di fuoco, in cui tutto si rimetterà a zero, inclusa la memoria delle cose passate, per ricominciare un ennesimo cielo.

Quindi la domanda è la seguente.- quale sarà il nostro fato, perdersi a non finire nell’immensità dello spazio o ricominciare perennemente? La risposta dipende evidentemente dall’intensità della forza gravitazionale (cioè se la forza è sufficientemente grande da trattenere la materia oppure lasciarla partire) che a sua volta dipende della quantità totale di materia che costituisce l’universo. Se si fa, per così dire, l’inventario di tutta la materia visibile dei miliardi e miliardi di galassie dell’universo, si arriva alla conclusione che la materia visibile è largamente insufficiente per chiudere l’universo; quindi l’universo sarebbe aperto e noi disperderemmo a non finire nello spazio vuoto. Tuttavia le cose non sono così semplici. Se studiamo il movimento a spirale di una galassia come ad esempio la nostra, ci rendiamo conto che la materia visibile è anche largamente insufficiente per spiegare la forza attrattiva che è responsabile del movimento rotatorio dalla galassia stessa; se quindi noi vogliamo spiegare in termini di meccanica newtoniana il movimento di una galassia, dobbiamo postulare che la materia visibile sia solo una piccola percentuale della materia effettivamente contenuta in ciascuna galassia. Vivremmo dunque in un mondo dominato da oggetti a noi invisibili, un po’ a guisa del famoso uomo invisibile tutto fasciato di garze di hollywoodiana memoria; è come se nella società planetaria per ogni uomo visibile ci fossero 99 uomini invisibili, e tutto quello che vediamo intorno a noi – basta una volta guardare il cielo stellato per renderci conto che non è poco – sarebbe soltanto una piccolissima frazione, dell’ordine dell’1%, della materia che costituisce l’universo. E allora oggi il mistero è totale, anche se ci sono molte ipotesi per spiegare questa materia mancante: buchi neri, nuove forme di materia, non lo sappiamo. Vedremo tra poco come si pensa di risolvere anche questo grandissimo mistero che ci riguarda tutti; ma è certo che se la materia nera esiste – e sembra che la sua esistenza sia necessaria a spiegare cose fondamentali come il movimento di una galassia – l’universo allora è chiuso e l’estremo limite dell’universo diviene speculare. Perciò i limiti estremi dell’universo rifletteranno l’immagine di noi stessi, evidentemente con ritardo di decine di miliardi d’anni: anche la luce non ce la fa ad uscire dall’universo, viene riflessa indietro sotto l’azione dell’onda gravitazionale.

Esiste dunque in questo caso un limite alla massima grandezza delle cose e alla dimensione dell’universo tutto intero; questo per quanto riguarda il viaggio verso l’infinitamente grande.

L’uomo ha studiato con uguale fervore anche l’infinitamente piccolo e si può dire che l’infinitamente piccolo è molto più rilevante per la vita dell’uomo, perché con esso è la costituzione della materia che ci circonda e di cui noi stessi siamo fatti che diviene l’obiettivo della ricerca.1 primi tentativi di scrutare l’interno della materia seguendo il sogno di Democrito iniziarono circa duecento anni fa con l’applicazione del microscopio. E’ grazie a questi studi, ad esempio, che ci si è resi conto dell’esistenza di microbi e della struttura complessa della materia vivente. Già con un microscopio cominciano a vedere i primi passi di questa nuova situazione; anche le esperienze più semplici, qualora le dimensioni siano radicalmente ridotte, possono dare origini a fenomeni ed effetti inaspettati. Ma la vera rivoluzione nella realtà della natura che ci circonda avviene intorno ai dieci alla meno otto centimetri, alle soglie dell’atomo, con il passaggio dal regime così detto classico, che più o meno è una rappresentazione del mondo che è il nostro, a questo nuovo regime dell’infinitamente piccolo che è il regime quantistico. Questa è una rivoluzione totale nel mondo di concepire il mondo che ci circonda: finita l’osservabilità completa, finito il semplice determiniamo della meccanica classica, la rivoluzione della meccanica quantistica della scuola di Bohr degli anni ’20 ha spazzato via molte idee preconcette, al punto che persino un rivoluzionario d’idee come Albert Einstein rifiutò di seguirne le conseguenze. I due grandi uomini si separarono senza aver mai trovato un accordo sulla validità e sul significato della meccanica quantistica, ed eravamo solo agli inizi. Le più moderne teorie, cosiddette di nuova realizzazione, sono a loro volta rigettate perché insoddisfacenti da alcuni dei padri di quella meccanica quantistica.

Tuttavia nella scienza, proprio come nella vita, l’ultimo verdetto sulla validità di una teoria viene dal suo successo. Queste teorie, dalle basi un po’ traballanti, sono tuttavia in grado di descrivere e predire con una precisione straordinaria i più soddisfacenti fenomeni a piccole distanze: sono queste teorie che ci hanno dato il transistor, il laser e purtroppo la bomba termonucleare. Hanno spiegato la vera natura delle forze e ci hanno permesso di scrivere le equazioni che reggono la struttura più intima della materia. Ma quali sono le caratteristiche più salienti del mondo quantistico? Alla base di tutto sta il problema della osservabilità limitata all’infinitamente piccolo: è questa un’imitazione non tecnica ma di natura fondamentale, cioè non è permesso neppure a linee di principio arrivare ad una misura completa di tutti i parametri fìsici di uno stato microscopico.

Il presceglierne alcuni ci fa sfuggire agli altri protetti dalla cappa della non osservabilità La natura in questa situazione si permette delle libertà inconcepibili: ad esempio, anche il sacrosanto principio della conservazione della energia può essere violato purché esso avvenga su dei tempi sufficientemente brevi, in modo da sfuggire alla nostra osservazione diretta.

Si potrebbe dire che la natura abbia scelto come motto “si può peccare impunemente purché non ci si faccia cogliere”, e poiché energia e materia sono legate dalla famosa relazione E = mc2, creazione spontanea d’energia significa niente altro che creazione spontanea di materia sotto forma ad esempio di coppie di particelle – antiparticelle. Il vuoto ad esempio non è più l’assenza totale d’attività, diviene un ricchissimo brulichio d’oggetti che si formano spontaneamente dal vuoto per poi sparire immediatamente prima che li possiamo cogliere con le mani del sacco. Si può dire che il vuoto diviene la sede del tutto invece di essere il simbolo del nulla, ma le cose non si fermano lì, è possibile anche dare a tutti questi oggetti, queste particelle che vengono e vanno e si chiamano virtuali, il diritto all’esistenza permanente. Per fare ciò basta solamente pagare il riscatto, il prezzo energetico necessario per rispettare in maniera permanente il sacrosanto principio di conservazione dell’energia; ed è così che si possono “creare” tutte le forme possibili dì materia, non solo quelle della materia ordinaria ma anche tutte quelle che pur essendo possibili non esistono più o meno accidentalmente sulla terra o nell’universo.

Ma come si realizza in pratica questa trasformazione energia-materia, in cui ciò che si forma come fluttuazione nel vuoto viene assicurato in maniera permanente all’esistenza? Accelerando ad esempio a velocità ultrarelativistiche, a energie vertiginose, i costituenti la materia ordinaria, protoni ed elettroni, con le enormi macchine acceleratrici dì oggi. Il vuoto così eccitato diviene un vero corno dell’abbondanza, in cui la materia si condensa liberamente partendo da energie disponibili. Oggi crediamo che questo stato eccitato del vuoto che noi siamo in grado di produrre con le macchine corrisponde esattamente a quello che era l’universo tutto intero pochi milionesimi di secondo dopo il Big Bang, e che effettivamente tutta la materia esistente oggi sia passata di lì. E’ oggi possibile ricreare nel laboratorio una parcella di quello che fu lo spazio e l’universo immediatamente dopo l’istante iniziale e quindi studiarne con calma in dettaglio tutte le proprietà.

Ma che tipo di materia fuoriesce da questi esperimenti? Alcuni di questi frammenti nuovi prodotti allietante della collisione sono senz’altro uguali alla materia ordinaria. Sappiamo però che questo tipo di meccanismo non produce soltanto quello che esiste ma anche tutto quello che, è energicamente possibile: quindi in aggiunta alla materia normale osserviamo molto cose nuove che rappresentano altre forme diverse di realizzazione della materia. Anzitutto c’è l’antimateria, un’immagine speculare della nostra materia, in cui la destra e la sinistra sono scambiate e soprattutto le cariche elettriche sono opposte. Ma allora perché non possiamo trovare in natura dell’antimateria come troviamo in natura della materia? La risposta è semplice. E venendo a contatto, materia ed antimateria fondono, spariscono, restituendo interamente il torrente di energia che fu necessario per produrle. La materia inizialmente formata partendo da energia si ritrasforma nuovamente e interamente in energia.

Quindi per conservare l’antimateria dobbiamo evitare il contatto con la materia ordinaria: ad esempio al CERN lo facciamo con delle vere bottiglie magnetiche in cui l’antimateria è prodotta e conservata in quantità piccole ma significative. Ogni giorno produciamo un microrganismo di antimateria che viene conservata in una bottiglia le cui pareti, invece di essere fatte di materia, sono fatte di campi magnetici.

Questa antimateria può ad esempio venire accelerata a sua volta per diventare un proiettile ancora più micidiale da sparare contro la materia e produrre ancora altre e più ricche cose nuove; è in questo modo ad esempio che si spera di produrre e identificare un possibile meccanismo di produzione di quella famosa materia nera che sembra essere uno dei costituenti fondamentali dell’Universo e che oggi è irrilevabile, che fu certamente prodotta ai tempi del Big Bang e dovrebbe essere riprodotta nuovamente all’interno del laboratorio. Questi esperimenti affascinanti ci danno anche un altro messaggio: insieme ai costituenti utili che furono necessari per creare il nostro mondo esistono oggi almeno altre due repliche degli stessi oggetti, molto più pesanti, instabili e perfettamente inutili. E’ così che l’elettrone ordinario si trova confrontato con ben due altri fratelli maggiori, il mesone mu e il mesone tau, che apparentemente non servono assolutamente a nulla nella formazione dell’universo. I due quark che si chiamano quark “su” e “giù”, che servono a costruire protoni e neutroni, hanno di fatto altri quattro colleghi che sono conosciuti con i nomi poetici di bello, strano, fascino e vero. La ragione per cui la materia si ripeta tre volte in forme diverse ci sfugge però interamente. A questo punto, prima di concludere, vale la pena fare alcune osservazioni di carattere generale; l’aspetto della natura come noi la vediamo è caratterizzato da un’infinita ricchezza e varietà, eppure a livello microscopico tutta la natura intera si è costruita partendo da tre soli blocchi fondamentali: due quark ed un elettrone. L’architetto universale ha quindi saputo unire l’estrema complicazione e varietà della materia ordinaria e l’incredibile semplicità della materia a livello dell’infinitamente piccolo.

Dal metro che rappresenta le nostre dimensioni alle dimensioni più piccole fin ora esplorate ci sono ben diciotto ordini di grandezza. L’atomo, con la rivoluzione della meccanica quantistica, sì è incontrato a nove ordini di grandezza dal metro: abbiamo dunque fatto negli ultimi decenni altrettanta strada che quella che ci ha portato dalle nostre dimensioni umane dell’atomo.

Finora niente è cambiato nelle regole del gioco, dall’atomo fino alle più piccole particelle oggi prodotte.- le particelle elementari al nostro livello della conoscenza appaiono perfettamente puntiformi e lo spazio e il tempo perfettamente continui. Le più recenti teorie ci dicono che per trovare la vera struttura delle particelle elementari dovremmo scendere di ben altri 15 ordini di grandezza e quindi siamo lontani dal raggiungere il fondo.

Tuttavia molti di noi, e tra gli altri il famoso vecchio Bohr negli ultimi anni della sua vita, hanno richiamato l’attenzione sulla possibile esistenza di un’altra transizione di regime analoga a quella che ci ha portato sessant’anni fa alla meccanica quantistica. Ci potrebbe essere una minima lunghezza fondamentale al disotto della quale il nostro spazio non è più divisibile, una minima dimensione del blocco che rappresenta lo spazio – tempo. C’è un solo modo di scoprire questo, costruire strumenti sempre più potenti che ci permettano di scavare ancora più profondamente nell’interno della natura di ciò di cui noi e tutto quello che ci circonda è costruito.

P. A. Bertazzi:

Vorrei farle una domanda che ho sentito spontanea nel seguire la sua affascinante relazione: di fronte a questa immagine della materia, dei reale, dell’esistente, si può sentire nascer dentro sgomento o stupore. La sua esperienza qual è, di sgomento o di stupore?

C. Rubbia

Non è di stupore né di sgomento, ma di meraviglia e di senso di ordine e di pulizia. Molte volte ho già detto questa cosa ma mi fa molto piacere ripeterla. Quando noi guardiano un fenomeno fisico particolare, ad esempio una notte piena di stelle, ci sentiamo profondamente commossi, sentiamo dentro di noi un messaggio che ci viene dalla natura, che ci trascende e ci domina. Questa stessa sensazione di stupore, di meraviglia, di rispetto che ciascuno di noi prova di fronte ad una manifestazione naturale, lo specialista, il ricercatore che vede l’interno delle cose lo sente ancora più forte, molto più intenso. La bellezza della natura, vista dall’interno e nei suoi termini più essenziali, è ancora più perfetta di quanto appaia esternamente; l’interno delle cose è ancora più bello che l’esterno, quindi io non sento né sgomento né paura. Sento la curiosità e mi sento onorato di poter vedere queste cose, fortunato, perché la natura è effettivamente uno spettacolo che non si esaurisce mai.

 

Data

29 Agosto 1987

Ora

15:30

Edizione

1987
Categoria
Incontri