2020, ODISSEA SU MARTE

Interviene Mauro Prina, Director of Thermal Dynamics, SpaceX.

 

Ore: 21.00 MeshAREA TALK Intesa Sanpaolo B1
2020, ODISSEA SU MARTE

Interviene Mauro Prina, Director of Thermal Dynamics, SpaceX.

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MODERATORE:
Buonasera a tutti, questa sera abbiamo la fortuna di avere con noi Mauro Prina che lavora presso SpaceX. Ho conosciuto SpaceX all’inizio di quest’anno, quando hanno lanciato un razzo con una Tesla in direzione di Marte. Lui si presenterà sicuramente meglio di così, non rubo altro tempo, prego.

MAURO PRINA:
Innanzitutto, grazie. Quando sono partito 21 anni fa per andare negli Stati Uniti a cominciare un’avventura che mi ha portato oggi a costruire un razzo che porterà persone su Marte, prima o poi, non avrei mai immaginato tutto questo percorso. Vorrei cominciare con una cosa che è successa a me nel 2001, molto simile a quello che avete visto. Lavoravo alla NASA a Pasadena, è venuto uno e ha raccontato: «Quanti di voi andrebbero in un viaggio di sola andata su Marte?». Voi che cosa rispondereste, alzereste la mano? Uno, ok. Quando nella platea dove c’ero io, su cinquecento persone più di duecento hanno alzato la mano, ho avuto paura. Per questo ho voluto proporvi all’inizio la canzone Itaca di Lucio Dalla. Quando uno esprime un desiderio che è quasi dell’altro mondo: «Mi aiuti ad andare a visitare Marte?», un po’ ti spaventa. Io sono cresciuto in un paese abbastanza piccolo, novecento persone. Qua ci sono i miei genitori: l’ultima cosa che pensi crescendo è di andare a visitare Marte. Come dire, il desiderio di un’altra persona che porta così fuori sembra quasi assurdo. Infatti, penso che qualcuno tra noi avrà pensato: «È matto». Quando si parla con la persona con cui lavoro adesso, che si chiama Elon Musk, quello che sembra matto perché non vuole andare su Marte sei tu, io che ho paura, non lui. Perché lui dice: «Di fronte alla possibilità che la vita esista su un secondo pianeta, non vale la pena che ce ne stiamo su due pianeti invece che su uno solo?». Io mi sento tirato però avverto anche il gusto dell’avventura. Per dirvi un po’ del tipo, devo aggiungere questa cosa: sto parlando a titolo personale e a titolo della compagnia per cui lavoro, giusto per essere chiari: all’inizio degli anni 2000, lui vende Paypal a eBay e decide di andare dalla compagnia militare russa che a quel tempo si stava disgregando. Dice loro: «Potrei comprare un vostro razzo per metterci su delle sementi e mandarlo su Marte a vedere se cresce qualcosa». Immaginatevi la reazione, vedo che giustamente qualcuno ride. Invece lui era serio, e non ha portato a casa quello ma una cosa che mi ha sorpreso, quando l’ho scoperta: un aereo russo, per imparare a pilotare i jet supersonici. Non essendo riuscito a portare a casa il razzo, ha portato a casa quello. Immaginate la scena, questi generali russi e lui che si porta a casa l’aereo. Torna e va nella zona intorno a Los Angeles dove ci sono gruppi che spediscono razzi amatoriali, inizia a cercare persone che lo possano aiutare e nel 2002 dà vita alla compagnia dove lavoro. Era il 2002, cominciano in sette, eccoli: quanto avreste scommesso sulla possibilità che questi che vedete nella foto sarebbero riusciti a fare qualcosa? Qualcuno alza la mano? Qualcuno alza la mano. Bene, di questi che vedete, a lavorare ancora ne sono rimasti tre, a parte i Mariachi che costituiscono la band dei messicani che viene a fare festa a casa tua. Nel tempo sono cresciuti: nel 2007, quando sono arrivato in questa compagnia, c’erano 300 persone. Adesso siamo in settemila: lo scorso anno abbiamo lanciato più razzi di tutta la Russia, una compagnia privata cominciata così. Vi racconto questo per descrivervi che possibilità di avverarsi abbia un desiderio perseguito con capacità, quando tu, nel momento di assumere le persone con cui lavorerai, chiedi: «Mi puoi aiutare a fare questo?». Stavo raccontando ad alcuni di voi, durante la cena, che ho assunto due persone che fino a quattro anni prima facevano i rimpiazzi delle piastrelle sullo Space Shuttle. Adesso non lo fanno più ma io li ho presi per piastrellare il razzo che andrà su Marte. Vedere come si sono sentiti presi sul serio – uno ha circa sessant’anni, l’altro ne ha un po’ meno -, vedere come in uno nasce il desiderio, la curiosità di fare qualcosa e nell’altro la paura, mi ha descritto nel percorso che ho fatto. Nel 1998, ho studiato con alcune persone che sono qua, uno è lì, Emmanuel, e dopo che sono tornato da avere fatto la tesi a Chicago, loro due mi hanno detto: «Visto che sei bravo a studiare, perché non provi a rimanere in Università». Più volte mio padre, durante il percorso scolastico, mi ha chiesto: «Ma perché non cominci a lavorare?». Lo diceva già quando ho finito le superiori, anzi, quando ho finito le medie: come l’altra, si trattava di una proposta che ti sposta da dove vorresti andare. Però ho sentito iniziare un’attrattiva e ho cominciato a studiare con un po’ più di decisione. Alcuni esami che mi piacevano li preparavo molto bene, altri che non mi piacevano li davo giusto per passare, come penso molti avranno fatto. Ho iniziato a fare il dottorato, studiavo i forni inceneritori. Poi ho conosciuto Bersanelli, che penso molti di voi conosceranno. Mi ha suggerito di andare ad aiutarlo a fare un frigorifero per un satellite: dopo un paio di dialoghi, ho convinto un professore con cui lavoravo all’epoca, che mi ha seguito e incoraggiato, sapendo che mi avrebbe portato su una strada probabilmente lontano da lui. Infatti, sono andato a lavorare al Call Tech, che è a Pasadena, ho studiato due anni, poi ho fatto due anni di post dottorato. Infine, JPL, una sezione della NASA, mi ha assunto, ho finito di fare questo frigorifero e dopo ho lavorato ad un Rover che forse conoscete, quello che c’è adesso su Marte, con le ruote grandi, che si chiama Curiosity. Se la regia può ingrandire l’immagine, vi spiego due cose di quel Rover. La parte dietro un po’ inclinata, con quelle strisce arancioni e con i tubi che girano intorno, abbraccia una pillola di plutonio di 5 kg che permette al Rover di rimanere caldo durante l’inverno e durante la notte, e genera energia elettrica perché funzioni. Ho lavorato al sistema di raffreddamento di questo Rover, più o meno per tre anni. Sotto quel box grande che vedete, ci sono tutti gli strumenti scientifici per capire, quando tiri su un po’ di terra, ad esempio, se c’era dentro acqua, che tipo di storia ha avuto la terra, le rocce che tiri fuori. Dopo tre anni, mi sono reso conto che lo sviluppo di crescita era un po’ lento: così ho deciso di mettere il curriculum su Internet. Mi hanno chiamato da SpaceX e sono andato, ho cominciato a lavorare lì. Un aneddoto, per dirvi la velocità con cui opera questa compagnia: quando lavoravo in JPL, per ottenere i tubi che vedete là in fondo, da una compagnia che me li dava da testare, ci ho messo 29 giorni. Quando sono andato a lavorare a SpaceX, ho fatto la mattina il colloquio, alla sera ho incontrato il capo e alle 9 di sera avevo l’offerta di lavoro. Quando si sa dove si vuole andare, le cose camminano. Le difficoltà nascono quando non si sa dove si vuole andare come compagnia. Quindi, ho cominciato a lavorare lì nel 2007, abbiamo fatto un primo lancio che andò male e mi sono un po’ spaventato. Poi abbiamo fatto una serie di lanci che sono andati bene. Ma la cosa che ci ha distinto dalle altre Compagnie che fanno razzi, è stata la capacità di fare ritornare il primo stadio. Adesso c’è una diapositiva, vorrei descrivervi come funziona questa cosa e poi farvi vedere dei video. In generale, un razzo è un enorme serbatoio di benzina e di ossigeno liquido, perché ti devi portare il combustibile che brucia il più veloce possibile senza spaccarsi e ha come obiettivo portare un satellite o delle cose in una certa orbita. Funziona come il Fedex, UPS! Per darvi un’idea, questo razzo ha nove motori, ogni motore usa 5 mila litri di benzina al minuto. Praticamente, tu svuoti il serbatoio principale in tre minuti e a quel punto sei fuori dall’atmosfera. Quando vedete un razzo partire e quell’enorme nuvola bianca, praticamente vedete un lago evaporare, perché sotto il razzo c’è un buco, come fosse un camino inverso in cui sotto metti l’acqua che assorbe una parte del rumore dei motori che altrimenti farebbe disintegrare il razzo. Quindi, accendi questi nove motori e tieni tutto fermo, come se volessi saltare ma ci fosse qualcuno che ti tiene le caviglie. Fino a che hai controllato che tutto sia pronto per partire: allora rilasci le quattro ganasce e questo parte e inizia a salire. Va, va, va, consuma tutta la benzina, si separa e il secondo stadio continua ad andare secondo la traiettoria che vedete sopra. Il primo stadio si gira, c’è un piccolo razzetto all’inizio che lo fa girare, accende un motore che lo fa rallentare e quindi inizia a cadere. La cosa più impressionante, secondo me, è quando vedete quella parabola con il razzo in mezzo, la vedete? Cosa succede in quel momento? Accendi il motore e ti butti dentro le tue fiamme, è il concetto di quando ti tuffi da molto in alto e butti le mani davanti per non spaccarti la testa: le mani sono le fiamme del motore centrale. Immaginate il casino, hai un getto supersonico che si incontra con un altro getto, sono i fumi dell’ugello del motore principale: l’aria che ti viene addosso che è un altro getto supersonico. La NASA ha studiato questo fenomeno numericamente per più o meno quarant’anni. Noi ci abbiamo provato e abbiamo preso un tot di legnate, anche perché il nostro obiettivo è sempre stato portare i piloti dove devono andare, portare i satelliti dove devono stare. Però Elon ha sempre detto: «Se vogliamo andare su Marte, dobbiamo imparare a riutilizzare le cose. Non è che quando vai in barca arrivi e distruggi la barca: non funzionerà mai un sistema di trasporto in cui butti via la barca, devi usarla, invece». Quindi ci ha sempre spinto a provare. Una volta si spacca una cosa e tu la aggiusti e la rendi un po’ più robusta, un’altra volta un nuovo pezzo: e alla fine, piano piano, siamo arrivati ad imparare. Per darvi l’idea della complicazione di questa cosa, immaginate di essere alla base dell’Empire State Building a New York, 430 metri di altezza, prendete una matita, la lanciate, questa arriva sopra l’Empire State Building e atterra dall’altra parte in piedi, senza rompersi su un francobollo: è quello che sta succedendo quando vedete atterrare un razzo. Con tutti i venti che, quando lanci, ti portano un po’ di qua, un po’ di là, come quando sei in aereo e ti becchi la turbolenza. Ci sono venti dovunque ci sia l’atmosfera, per cui devi ricorreggere, ricalibrare dove stai andando: non so se si capisce la difficoltà del problema. Vi vorrei fare vedere un video di tutte le volte che abbiamo sbagliato, perché così abbiamo imparato ed è simpatico vedere che non bisogna avere paura di sbagliare. Questa è un’altra cosa che forse vale la pena dire, una cosa su cui siamo molto attenti e molto spinti: se non arrivi a sbagliare, non hai rischiato a sufficienza. Fare dieci anni di lavoro senza avere mai sbagliato, vuole dire che sei andato un po’ meno di quanto potevi fare e sei addirittura invogliato a sbagliare perché, se vuoi fare tutte quelle cose pensando di avere fatto tutto per bene prima di provare, fai come la NASA che ci ha messo quarant’ anni a fare l’analisi numerica e non ha ancora provato. Devi provare, ad un certo punto devi rischiare. Vi faccio vedere il video e intanto vi racconto due o tre cose di quello che vedete, magari teniamo il volume della musica basso.

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Questo è il primo tentativo in mare, quando il razzo è riuscito ad atterrare ma poi è caduto. Si spacca perché non riesce a tenere la caduta. Questo è il lancio del veicolo dimostrativo in Texas, sono sempre esplosioni per cui è anche molto interessante vederle. Questo aveva finito l’ossigeno liquido, quindi il motore si è spento troppo presto e non è riuscito a spostarsi sul francobollo che è una nave. In realtà, è un robot, quella nave, quelli in cima sono i motori che cercano di tenerlo in piedi, ma si è spaccata una gamba ed è caduto. Quelle cose che vedete volare sono bottiglie di elio che sopravvivono ogni volta all’esplosione. Questo si è spaccato un’altra gamba; qua non siamo riusciti ad accendere tutti e tre i motori; con questo siamo andati troppo veloci e le gambe si sono piegate troppo in su e poi non stava dritto, come potete vedere. In questo caso, è finito il propellente e il motore è come se avesse forato la banchina, è finito sotto. Questa è stata la prima volta che ce l’abbiamo fatta: abbiamo fatto una grande festa. Questa è la prima volta sulla barca. Dovete pensare che, quando lanci un razzo, parti da zero velocità e arrivi a 10 mila km all’ora, poi lo devi rallentare. Quando lanci la matita, la velocità massima a cui arriva è 10 mila km all’ora, devi farla atterrare senza spaccarla sul francobollo. Cosa potrei dire rispetto a questo? Nessuna tra le persone che facevano questi tentativi, dopo che avevamo scoperto l’errore, è mai stata licenziata. Quelli che invece finiscono fuori dalla barca, sono quelli che non vogliono remare insieme. Se tutti stiamo cercando di fare una cosa, o tu hai una ragione per dire che sarebbe meglio andare da quella parte, e ce la spieghi e porti con te tutta la barca, oppure devi continuare a remare, perché stiamo andando tutti insieme a fare una cosa. Chi vuole andare da un’altra parte, è liberissimo di farlo, velocemente e da solo, il mondo è libero e grande, vai. Rispetto a questo, un esempio: farò vedere un video sulla dimostrazione del Falcon Heavy che abbiamo fatto alla fine dello scorso anno: ci sono tre primi stadi e li lanci insieme, poi i due laterali si separano, il principale continua ad andare e il secondo stadio parte dopo. Normalmente, quando porti un nuovo passeggero, cioè un satellite che ha certe dimensioni e certi pesi, devi fare un lancio di prova, prima di dimostrare al tuo customer che sai che cosa stai facendo: questa secondo me è una buona policy. Normalmente, lanci prima un pezzo di metallo che pesa più o meno come il satellite che devi portare. Era novembre dello scorso anno e il mio capo fa: «Dobbiamo aiutare, generare stupore, riaccendere l’attesa per l’investigazione dello spazio». E ci ha fatto lavorare per un mese e mezzo, due mesi, a sistemare la sua macchina personale, una Tesla, sopra il razzo. Poi ha messo la musica di David Bowie. Ma la cosa per cui voglio raccontare questo aneddoto è un’altra. Avevamo lavorato sodo tutto un anno e prima di Natale, a fine novembre, dicembre, arriva quest’altro lavoro. Un po’ mi ha pesato. Ma la cosa che mi ha sorpreso è stato vedere come aveva ragione lui: ha generato tantissimo stupore, tant’è che tanta gente mi ha contattato, sorpresa da quello che si poteva fare. E questo mi ha colpito perché, se io desidero partecipare di un gusto, di una vita che sia piena, devo seguire anche un altro, che magari non è immediatamente vicino alla mia storia ma che mi sta aiutando, tirandomi fuori dall’essere anche confortable nella vacanza. Faccio vedere questo video.

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Questa è la gente che c’era in Florida, c’era l’autostrada chiusa per tutti quelli che erano arrivati per vedere il lancio. Questi sono i miei colleghi. Quella è l’acqua di cui vi dicevo prima. Come quando guardate lo Space Shuttle, quello che vedete scendere come fumo è aria liquida, perché è un propellente più freddo dell’aria. Piccola nota: quando un motore parte a 100 metri di distanza, ti fa tremare le guance sulla faccia, un solo motore e questo ne ha 27. Devi stare a due km di distanza per non avere problemi agli organi interni. Questa è la tuta degli astronauti che lanceremo l’anno prossimo. Se avete delle domande, posso aiutarvi a capire questa avventura. L’idea originale di Elon è di andare ad abitare su Marte: ci aveva già pensato Von Braun nel 1960: c’è una web page, la potete trovare sulla pagina JPL con tutti i 60 anni di storia dei lanci su Marte, tutti falliti.

DOMANDA:
Sono curioso di sapere se lui è un bravo tecnico o no. Quando dice: «Facciamo atterrare il razzo», sa quello che dice o la spara grossa?

MAURO PRINA:
È molto bravo, è uno che costantemente impara, da te e da tutti, ha una capacità di apprendimento bestiale, come anche altri come lui, quello che ha fondato la Microsoft, ad esempio: una capacità di assorbire informazioni e processarle che fa impressione.

DOMANDA:
Essendoci ormai la possibilità di far tornare sulla terra una parte di razzo, verranno fatte delle missioni con persone a bordo e riuscirete a far ritornare le persone? Che tempi ci sono per una missione di questo tipo?

MAURO PRINA:
Lo stiamo costruendo. Non ti saprei dire, anche perché, come dice sempre Elon, «ci mettiamo sempre di più di quello che pensavamo di metterci». Per cui non darei delle date.

DOMANDA:
Ho una domanda sull’attività giornaliera, volevo sapere quanto sentite la pressione degli investitori, perché tutti questi razzi avranno un costo non indifferente. Quanto Elon Musk vi fa sentire la pressione degli investitori e qual è l’obiettivo che vi viene posto giornalmente, la vision a cui dovete puntare? Nel lavoro che si fa per mandare l’uomo su Marte nel 2033, ci sono obiettivi che di anno in anno, o di mese in mese, bisogna raggiungere?

MAURO PRINA:
Ti risponderei descrivendo come lavoriamo. Il prodotto continua ad evolversi giorno per giorno. Da un certo punto di vista, tutto è sempre in discussione. Mettiamo che abbiamo quasi finito di fare un prodotto. Ci sono quattro team: uno è molto indietro, un altro ha già finito. Il modo migliore per arrivare tutti e quattro insieme alla fine è che chi ha finito ne rifà un pezzo, e magari diventa lui quello che arriverà ultimo. Questo succede quattro giorni su cinque, ogni settimana, per cui è sempre tutto in movimento, non c’è una evoluzione. L’obiettivo è uno: arrivare là. Ognuno dice: per fare questo, devo contribuire in questo modo, ma se tu fai questo… È un dialogo costante, non c’è mai qualcosa di assodato completamente fino a che si lancia. Anche quando si lancia, si può cambiare qualcosa. Quando ho fatto il primo lancio sulla stazione spaziale, nel maggio 2012, siamo arrivati a circa 100 metri dalla stazione spaziale e c’erano gli occhi, i sensori, che guardavano la stazione spaziale e dovevano capire come navigavano i due oggetti che stavano andando a 20 mila chilometri all’ora, più o meno. Se sbagli un po’, si capisce cosa succede, no? Devi arrivare lì, praticamente danzare. Uno sta fermo, l’altro ci danza attorno fino a che ci arriva. Gli occhi, i sensori, vedevano, per la posizione del Sole, troppa luce in un posto. Abbiamo testato il software su una brainboard che avevamo lì, in quattro ore circa, e poi abbiamo riprovato. Abbiamo rifatto tutti i test in quattro ore, mentre tutto accadeva. Abbiamo cambiato dei parametri e l’abbiamo fatta arrivare: per dire che tutto è sempre in movimento.

DOMANDA:
Come è nel quotidiano, per un dipendente medio, lavorare in SpaceX e in particolare come funziona il rapporto con Elon Musk?

MAURO PRINA:
Rispondo sulla prima, non rispondo sulla seconda. Come è lavorare lì? È una bella sfida perché tutto sembra in movimento, ogni giorno c’è da ascoltare quello che succede intorno a te e continuamente cambiare direzione, aggiustare la traiettoria. Il baricentro del tuo peso è sempre spostato sulla parte davanti del piede e mai sul tallone.

DOMANDA:
Ho due domande: una scientifica e una scherzosa. La prima. Volevo sapere, quando parliamo di terraformare, si pensa di prendere un pianeta e renderlo simile alla Terra. Come sulla pagina di SpaceX, dove c’è l’immagine di Marte che arriva alla fine ad essere simile alla Terra. Dal punto di vista ingegneristico scientifico, come avete pensato di affrontare il problema dell’assenza di campo magnetico?

MAURO PRINA:
Non ci abbiamo pensato.

DOMANDA:
Uno dei motivi, almeno per le mie conoscenze, è che questo spazza via l’atmosfera di Marte.

MAURO PRINA:
L’idea è: facciamo il sistema di trasporto e poi pian piano ci andiamo dietro. Al momento, è un problema più grosso della nostra capacità, e comunque lo dico io, a nome mio, non di SpaceX. È al di là di quello che dobbiamo affrontare adesso. Oggi dobbiamo affrontare come costruire una barca che ti porta là e ha la capacità di portarti indietro. Come dire: una volta che hai fatto la barca, arriveremo anche a capire come proteggerla. Non ci sono ragioni sufficienti per dire: «non è possibile».

DOMANDA:
La domanda scherzosa: sei mai stato a pranzo con Elon Musk? Sono veri i cinque minuti che impiega per mangiare?

MAURO PRINA:
Ti posso rispondere che anche io mangio veloce.

DOMANDA:
Ma cinque minuti sono cinque minuti!

MAURO PRINA:
Ho i testimoni. Comunque sì, ho mangiato con lui.
DOMANDA:
Una domanda sugli sbagli. Immagino che comunque non facciate le cose a caso.

MAURO PRINA:
Assolutamente no.

DOMANDA:
Volevo chiederti: quando capita di sbagliare e dici: a quella cosa avrei potuto pensare prima, dove sta il limite tra il non farsi opprimere da questa cosa ma allo stesso tempo vivere con responsabilità e serietà il proprio lavoro?

MAURO PRINA:
Capisco su di me quello che dici: è facile dire che a quella cosa potevo pensare prima. Cosa posso imparare? Quello che mi aiuta, come mi è successo facendo il passo dell’Università o anche quando ho cambiato azienda, è una cosa che non ho detto. Quando sono passato da JPL a SpaceX, questa era una compagnia abbastanza piccola, 300 persone e non avevano mai fatto un lancio positivo. Facendo il cambio, avevo un po’ di timore. Ho sentito due miei amici che mi hanno detto: «Hai ragione ad avere paura, però dai credito al fatto che senti una attrattiva che poi ti può portare in qualche altro posto. Potrai sbagliare, però prova. Se non provi, non lo scoprirai mai». «Magari puoi anche sbagliare»: vuole dire che dovrò cambiare direzione. Da un certo punto di vista, questo atteggiamento richiede una povertà: chi sono io? Io sono le capacità che ho, che scopro essere sempre più limitate. Scopro più errori che faccio ora di dieci anni fa. Sono in cammino e sto seguendo la strada che mi accompagna verso una cosa sempre più luminosa. Mi accorgo di questa seconda cosa, sia per la letizia, la gioia che trovo in me, che per il costante feedback che ricevo da chi mi sta a fianco e mi aiuta. Da solo, non penso che ce la farei. Ho chi mi aiuta a non fermarmi e mi dice: «Guarda che stai mettendo il piede sul tallone, dai, riprova!». Io ho bisogno di questo.

DOMANDA:
Una domanda sulla motivazione rispetto al tuo capo. Da dove nasce questo desiderio di raggiungere Marte, di raggiungere lo spazio? Mi viene da dire: può essere la fissazione di una persona o il fatto che uno vuole raggiungere un obiettivo perché si sente di fare qualcosa di grande. Oppure sente qualcosa con cui porta tutta l’umanità? In tanta fantascienza c’è questa questione dell’uomo che ha desiderio delle stelle o che non ha più desideri. Mi viene in mente La fine dell’eternità di Asimov, dove ad un certo punto gli uomini non desiderano più le stelle perché questa cosa è legata alla visione del destino. Tu come la vedi?

MAURO PRINA:
La vedo che il desiderio che trovi in un’altra persona ti sposta, ti spalanca ad una dimensione che non ti aspettavi e che forse anche questa persona non si aspettava. Se tu pensi ai due fratelli Wright, non so se sei mai stato in Ohio, una terra piatta con delle colline. Adesso noi viaggiamo in tutto il mondo con gli aerei. Come avrebbero potuto pensare che quei campi dove facevano volare sarebbero stati il luogo di un museo che contiene tutta la storia dell’aviazione? Al momento, non sai dove ti porta il desiderio che ti nasce. Non avrei mai immaginato che, finendo le medie inferiori, seguendo l’attrattiva per una macchina da scrivere Olivetti e pensando di andare ad Informatica, che era l’evoluzione della macchina da scrivere a quel tempo, la mia vita si sarebbe svolta secondo il percorso che c’è stato. Non me lo sarei mai immaginato. Per cui, c’è un aspetto misterioso dentro un desiderio che ti fa camminare. Rispetto a quello che dicevi, in una intervista Elon ha detto che al momento noi non conosciamo una cosa nell’universo che abbia un valore più grande della coscienza dell’uomo. Che ci sia una seconda possibilità di esistenza, è una ragione sufficiente per investirci. Per me è ragione sufficiente per partecipare.

DOMANDA:
Come si fa a vivere su Marte? Cosa si mangia?

MAURO PRINA:
Devi portarti dietro tutto perché al momento non c’è niente.

DOMANDA:
Come fai a sapere per quanto ci vivi?

MAURO PRINA:
Si fanno tutti i conti. Non so se avete mai visto il video Seven Minutes of Terra, lo potete trovare su Youtube. C’è la descrizione di come si entra, come JPL ha fatto atterrare quel Rover che avete visto. È una roba che se guardi dici: «Siete tutti pazzi». Quelli che lo hanno fatto dicevano di se stessi che erano pazzi. Fai tutti i calcoli, tutte le analisi, la costruzione del tuo lavoro, dell’esperimento, del lavoro che stai facendo e che poi ti porta a dire che ti serve questo, ti serve quello.

DOMANDA:
Ti serve un cuscino per dormire, un sacco a pelo…

MAURO PRINA:
O magari non ti serve. Tu immagineresti che sulla stazione spaziale si purifica la pipì e la si beve? Questo sta succedendo oggi. Devi pensare così. Ti porta a fare cose che se lo dici qua, dici no, vado in bagno. Oggi gli astronauti che vedete fanno così. Questo è il video, magari lo vedete voi. Spiega come è nato quell’atterraggio. Quando è venuto fuori, nel 2002, pensavamo fosse una pazzia eppure ha funzionato.

DOMANDA:
Dal frigorifero che facevi prima, di che cosa ti stai occupando adesso?

MAURO PRINA:
Lo abbiamo appena visto: tutta la parte termica di protezione, quando sali e quando rientri, sia sul razzo che sulla capsula. Ma insieme alle persone con le quali lavoro.

DOMANDA:
Hai qualcuno da cui imparare o tiri tu?

MAURO PRINA:
Quello che monta le piastrelle è uno che faceva il piastrellista nei bagni, quello che fa le guarnizioni, riparava o costruiva i sedili delle macchine da corsa. Devi pensare questa operazione come a un assemblaggio di artigiani, di materiali un po’ esotici, di ingegneri che spingono. Così tutto evolve. Quello che fa la parti in compositi faceva il falegname e sapeva tagliare bene il legno. Adesso fa le parti in carbonio, è un materiale diverso. Gli si insegna e poi gli si dice: «Potresti farlo un poco più fine?». Lui risponde: «Sei pazzo». Provi, si sgomita un po’ di qua e di là, finché lui impara qualcosa da me e io imparo qualcosa da lui. E tutto evolve così. Questo internamente e anche esternamente, perché, ad esempio, io le piastrelle non le ho mai sapute fare.

DOMANDA:
Avevo una domanda anche un pelo più pratica: lei avrebbe qualche consiglio da dare a degli studenti italiani che sperano di essere futuri ingegneri e lavorare in quell’ambito per arrivare a far parte di aziende americane come possono essere JPL o SpaceX? Grazie.

MAURO PRINA:
Linee generali, non te ne saprei dare. Ti do un esempio. 12 anni fa uno di Lodi, si chiama Marco, faceva le superiori e mi chiama. Io ero in ufficio, una mattina mi chiama e fa: «Ho avuto il tuo nome da questo, sono Marco di Lodi, faccio la quarta superiore, voglio fare l’astronauta». Io ho detto: «Piacere, io mi chiamo Mauro, non faccio l’astronauta però, per quello che capisco, se vuoi fare questa cosa, prova a farla. Quelli che conosco io, che fanno l’astronauta, hanno fatto questo, provaci». Lui l’ha fatto. In questi dodici anni ci siamo sentiti, ha fatto i suoi passi, adesso lavora alla NASA e sta continuando il percorso. Per arrivare lì, però, ci sono cose, passaggi che sono tuoi.

DOMANDA:
Quando penserete di lanciare per la prima volta il razzo che dovrà portare delle persone effettivamente su Marte?

MAURO PRINA:
Sappiamo che faremo tanti errori.

DOMANDA:
No, la domanda che volevo fare era questa: come avete pensato il fatto che questo progetto è molto più grande, sicuramente molto più costoso, e c’è la stessa possibilità di tentare più volte di lanciare questo missile? Cioè, non credo si possa lanciare la prima volta con delle persone…

MAURO PRINA:
Eh, ci saranno tanti passi. Hanno fatto prima i test sul motore, il test del serbatoio, un anno e mezzo fa. Adesso stiamo costruendone un altro e proviamo a mettere le due cose insieme e a fare il test delle due cose insieme. Poi, piano piano, ci aggiungiamo le cose. Una cosa che non ho detto: ogni cosa che va sul razzo è testata. Tu fai un motore, lo mandi, lo testi. Poi ne metti insieme nove, li testi di nuovo, tutti e nove insieme, a quel punto li mandi nella rampa di lancio. Ci sono sempre tanti test.

DOMANDA:
Ad esempio, facendo il confronto con il lavoro della NASA per costruire lo Space Launch System che dovrebbe essere lanciato tra qualche anno, è un processo dello stesso tipo? Molto più veloce?

MAURO PRINA:
È molto più veloce perché la capacità o la disponibilità a sbagliare è molto più contenuta. Il margine di errore che si permette la NASA è molto minore perché, se sbaglia, chissà se il programma continua. E quindi, rimane come un po’ ingessata. Se devi pensare a tutte le cose che puoi sbagliare, ti muovi molto più lentamente di come si muove un bambino piccolo che cade, sbaglia, impara: ma la capacità di sviluppo tra uno che opera così e un bambino, non c’è paragone. Come ti dicevo, penso che sbaglieremo molto e spero che impareremo.

DOMANDA:
La mia domanda è sul dopo, innanzitutto se pensi di essere nel posto giusto dove stai lavorando, visto che sembra che tu stia parlando di un posto in cui non si arriva mai. Che domande sul futuro ha uno che lavora in un posto del genere? Anche sul proprio futuro.

MAURO PRINA:
Ti rispondo con la terza strofa della canzone che ascoltiamo dopo. E poi, se non risponde, ne parliamo.

DOMANDA:
Buonasera. Un paio di ore fa abbiamo partecipato a un’assemblea sullo spazio, sull’economia dello spazio. L’argomento principale era il discorso dei piccoli satelliti a basso costo, accessibili più o meno a tutti. Questa sera, invece, si è parlato molto di un’azienda grande che negli ultimi mesi, e anni, ha archiviato un know how che praticamente nessun’altra azienda al mondo, in questo momento, ha. Citando anche la NASA, quarant’anni che fa test e non ha mai provato praticamente.

MAURO PRINA:
Analisi.

DOMANDA:
Dal suo punto di vista personale, il futuro è aperto a tante piccole realtà oppure a un monopolio di queste grandi aziende? Grazie.

MAURO PRINA:
Non so se è il fatto che siamo in un periodo di esplosione dei mercati finanziari. Jack Bezos, quello che ha fatto Amazon, ha fatto partire la sua azienda e ha già fatto dei test, anche loro andando su e giù, non sono andati in orbita però sono abbastanza avanti. Virgin, con Branson, sta provando e stanno nascendo tante piccole cose. Come si svolgeranno? Un po’ difficile da dire, secondo me è un momento in cui c’è tanto desiderio e tante avventure, tanta possibilità di crescere. Sui CubeSat, la cosa più utile è che sta aiutando tantissime persone nelle Università ad arrivare al momento del lavoro, avendo messo le mani in pasta nel costruire qualcosa. E questo aiuta le persone a svilupparsi e aiuta noi, me, quando devo andare a selezionare, a prendere queste persone, a incrociare gente che sta già correndo. Una nota su questo: ad esempio, le internship sono pagate l’80% del primo stipendio. Si vanno a prendere le persone anche due, tre anni prima che si laureino per conoscerle e farsi conoscere. Vai a prendere le persone perché hai bisogno di gente che sia anche più brava di te. Io ho bisogno di gente più brava di me perché se no il team che costruiamo, che costruisco, avrà come capacità massime le mie che, come dicevo, sono pieno di errori. Io ho bisogno di imparare. Infatti il mio capo ha dieci anni meno di me. Sono io che devo continuare a imparare, se non sono disponibile a farlo, ho spostato il baricentro indietro, inizio a sedermi e piano piano tutta la nave va avanti e io resto lì. Concludiamo, volevo farvi riascoltare la terza strofa della canzone per rispondere a lei, perché finché c’è il gusto di scoprire qualcosa di nuovo, io ci voglio stare. Grazie.

MUSICA

MODERATORE:
Ringrazio ancora Mauro per il bellissimo intervento che ha fatto. A me che sono un praticante avvocato, colpisce la passione che mostra nella conoscenza dell’ignoto. Se penso alla mia esperienza, lo invidio molto perché io conosco leggi che qualcuno ha già conosciuto, da un certo punto di vista, invece è incredibile vedere quello che raccontavi.

(trascrizione non rivista dai relatori)

Data

24 Agosto 2018

Ora

21:00

Edizione

2018
Categoria
Arene

Relatori