Dalla parte dell’uomo. una paternità che cura

Agosto 2022
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In collaborazione con Askanews

Rimini, 22 agosto 2022 - Dalla parte dell’uomo. una paternità che cura

Curare la mente proprio come si cura il corpo, con attenzione e rispetto per il dolore degli altri. Il riconoscimento delle malattie mentali per quello che sono è fondamentale per dare sostegno alle persone che ne sono affette, in Africa come in Europa.

È proprio questo l’obiettivo che ha mosso fin dall’inizio Grégoire Ahongbonon, fondatore dell’associazione San Camillo de Lellis, dedicata alla cura delle persone con disturbo mentale nel continente africano, e attorno al quale ha ruotato l’incontro presentato da Marco Bertoli, direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale, dal titolo ‘Dalla parte dell’uomo: una paternità che cura’, che si è tenuto al Meeting di Rimini.

“Tutto quello che faccio, tutto quello che vivo, è grazie a Dio, che è il padre di tutti noi”, ha spiegato Ahongbonon. “Anch’io avrei potuto essere tra i malati che sono abbandonati incatenati sulle strade africane, ma ho incontrato qualcuno che mi ha riconosciuto e ha creduto in me”. Così il filantropo beninese ha voluto raccontare l’origine del suo impegno che l’ha portato a occuparsi, assieme a sua moglie, di persone con disturbi mentali in Africa. “Vedevo i malati mentali, ma non li riconoscevo. Un giorno, non so perché, mi sono fermato e ho visto Gesù in quell’uomo che frugava nella spazzatura”. Ora “nei nostri centri tutti mi chiamano papà – ha raccontato –. Queste persone hanno bisogno di essere amate. Hanno bisogno che sia ridata loro la propria dignità”.

La visione di Ahongbonon per il futuro dell’Africa è chiara: servono più centri come quelli creati dalla sua associazione, spazi dedicati alla cura di persone che altrimenti rimarrebbero abbandonate a un sistema che non li vede e li emargina. Mai più catene per chi soffre.

Su questo tema è intervenuto anche lo psichiatra e professore associato di Medicina fisica e riabilitativa all’Università degli studi di Milano-Bicocca, Cesare Maria Cornaggia. “Il primo passaggio di qualsiasi cura non può essere altro che il riconoscimento dell’altro in ogni sua parte: anche le più brutte e meschine, senza pregiudizio, senza la smania di risolvere ogni cosa prima ancora di comprenderla”. “C’è sempre del positivo di cui l’altro è portatore, ma nessuno gli ha mai insegnato a vederlo in sé stesso”, per questo è essenziale imparare a riconoscersi. Solo “quando si sperimenta l’incontro con l’altro e la messa in gioco delle proprie parti fragili, è possibile aprirsi a quella relazione di vero dialogo” e ci si può avviare verso il cambiamento.

La comunicazione può fallire, ma il bisogno di esprimersi e farsi comprendere rimane. Laddove le parole non riescono a veicolare il messaggio, “si manifesta un sintomo, che è espresso sotto forma di disagio. E noi dovremmo essere grati a quel sintomo, perché è un segnale che il paziente vuole comunicare qualcosa”, ha sostenuto Cornaggia. “Dobbiamo passare dal mettersi nella posizione di fare le cose per essere amati, al fare le cose perché si è stati amati”.

(CV)