Pubblica amministrazione: vecchi problemi, nuove soluzioni

Redazione Web

SOLO IL CORAGGIO DI INTRAPRENDERE NUOVE STRADE NEL SISTEMA ATTUALE PUò SALVARE un comparto decisivo per il paese

 

Rimini, 22 agosto – «I tagli del personale nella pubblica amministrazione e l’età media avanzata pongono problemi la cui soluzione non è più rimandabile per gli effetti sul paese reale». Salvatore Taormina, coordinatore del dipartimento pubblica amministrazione della Fondazione per la Sussidiarietà e dirigente regionale, ha aperto con queste parola in Arena Polis il dibattito con Carla Barbati, professore di diritto amministrativo, Gilberto Corbellini, direttore del Cnr, Alberto Gambescia, amministratore di Studiare Sviluppo del Mef, Massimo Garavaglia, vice ministro dell’Economia e delle Finanze, Bernardo Mattarella, docente alla Luiss, Ettore Rosato, vice presidente della Camera dei Deputati.

Gambescia ha ricordato che «la pubblica amministrazione viene da un duro periodo di riduzione costi che ha portato a vari problemi, tra cui una incapacità a rispondere alle sfide culturali della società italiana». Taormina ha letto qualche dato comparativo tra Stati europei: «L’età media dei dipendenti pubblici in Italia è di 50,6 anni e in particolare 54 anni nei ministeri e 53 nelle amministrazioni regionali. Inoltre l’Ocse riporta che il numero di dipendenti pubblici con meno di 35 anni è 2 per cento sul totale in Italia, il 21 per cento in Francia e il 30 per cento in Germania. Anche per questo l’opinione pubblica ha una pessima concezione della pubblica amministrazione che vede come lenta, farraginosa, sovradimensionata nelle sue risorse e in definitiva nociva al Paese. È vero?» ha chiesto Taormina a Mattarella che ha risposto con considerazioni dirette: «Bisogna fare meno leggi ed applicare le esistenti. Il sistema amministrativo è debole perché il personale è debole e iper-regolato nelle sue mansioni. Il taglio spesa ha prodotto una sostanziale insufficienza del numero dei dipendenti  e una distribuzione fatta male delle competenze  tra le funzioni e sul territorio. Si fanno assunzioni non in base ai profili necessari ma ricalcando i vecchi modelli delle piante organiche. Altro tema è l’assenza delle élites a cui invece altri Paesi hanno già pensato, e invece abbiamo una cultura nella pubblica amministrazione per cui si fugge la responsabilità e non viene premiata l’efficienza e il merito. Ma in questo contesto tragico abbiamo un’opportunità: il numero minimo possibile di dipendenti pubblici l’abbiamo già raggiunto e a causa della età avanzata di quelli rimasti siamo vicini ad una loro fuoriuscita con futura integrazione di nuovi. Come fare la selezione in futuro? Non ci sono formule, basta applicare le leggi esistenti e invece di stabilizzare i precari occorre fare concorsi annuali invece che ogni cinque anni. Quali profili? Non solo giuristi ma esperti in diritto amministrativo».

Taormina ha aggiunto: «Abbiamo tante e forse troppe leggi che lasciano poco spazio all’azione autorevole mentre ce ne sarebbe bisogno, come uscirne?» Barbati: «Bisogna restituire spazio alla discrezionalità ma è complesso. Manca per questo un fiducia nella pubblica amministrazione che significa confidare nella sua azione e nelle sue decisioni, sia da parte dei cittadini sia del legislatore. Un aiuto importante potrà essere nel potenziare e differenziare le competenze e questo potrà venire non solo dalla scuola della pubblica amministrazione ma anche e soprattutto dalle università che in Italia sono state ferme nell’indicare percorsi nuovi, forse a causa di persone che vogliono difendere la posizione raggiunta, e in questo c’è una precisa responsabilità, anche nostra di professori di diritto amministrativo che dobbiamo quindi interrogarci. C’è bisogno di contaminazione culturale, di formazione diversificata e mirata, di formazione su competenze trasversali, di fiducia e di rischio. E bisogna farlo subito per consentire ai giovani di entrare nella pubblica amministrazione da giovani».

Per Corbellini «uno studio negli Usa ha evidenziato che la percezione negativa che la popolazione aveva della pubblica amministrazione era dovuta alla associazione di questa con la classe politica corrotta. Queste erano proiezioni e investivano dipendenti pubblici onesti. Un meccanismo analogo di associazione forse è presente anche da noi ed è difficile combatterlo. Si è quindi pensato che molto potesse dipendere dalla modalità di prendere decisioni nella pubblica amministrazione. Ci sono stati due sviluppi derivanti da due esperimenti distinti: il progetto behavioral public administration che lavorando sulla psicologia cognitiva ha prodotto comportamenti virtuosi che hanno migliorato la percezione del cittadino, progetto di analisi di impatto della intelligenza artificiale nel lavoro della pubblica amministrazione. Siamo all’inizio di un cambiamento radicale del modo di lavorare e nel fare i concorsi e riorganizzare il lavoro e dobbiamo evitare di partire già obsoleti coi concorsi».

Da parte sua, Rosato ha spiegato che «i tempi della soluzione delle complessità sono molto più lunghi di quelli della politica che invece viene periodicamente misurata, e quindi come fare? Oggi c’è crisi di vocazione politica, una speranza poteva venire dall’impegno sociale ma ben pochi di loro si impegna poi in politica. La colpa è anche di aver demonizzato tutti indistintamente i politici avendoli per anni etichettati come appartenenti ad una casta. C’è stato poi di conseguenza un riflesso sulla pubblica amministrazione. Però dobbiamo riconoscere che è interesse generale ricostruire una buona sua reputazione. Se guardiamo poi ai numeri possiamo verificare facilmente che in alcuni ambiti della pubblica amministrazione la Germania ha molti più dipendenti dell’Italia per stesse funzioni. Perché? Perché quel Paese da tempo ha prima fatto una razionalizzazione delle risorse e poi ha spinto sulla ricerca di efficienza. In quel Paese c’è maggiore consapevolezza della necessità di avere un’amministrazione efficiente. Questo ha comportato nuovi percorsi e nuovi investimenti. Dunque bisogna spendere bene, non di più».

Ha concluso il giro di interventi Garavaglia: «Cento anni fa Giolitti a Dronero in campagna elettorale lamentava gli stessi esatti problemi che abbiamo sentito oggi. Non è cambiato niente. Come andare avanti? Ci sono tre ordini di problemi: stipendi non commisurati alle responsabilità, il personale è distribuito male per competenza nelle funzioni, la formazione del personale è ferma e ormai vecchia e sorpassata. Ne soffre la performance che però va comunque misurata se vogliamo essere seri ma mentre nel privato si fa subito, nel pubblico ci si scontra con leggi complicate di tutela e valutazione. Abbiamo bisogno di velocità e regole semplici. In Lombardia abbiamo avuto coraggio: la Regione ha meno dipendenti per abitante, meno costi e più qualità del servizio offerto se tutto questo è confrontato con le altre regioni italiane. Il sistema Lombardia è oggi il migliore d’Italia ».

 

(A.L.)

 

Responsabile Comunicazione Eugenio Andreatta tel. 329 9540695 eugenio.andreatta@meetingrimini.org

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