Più asili e meno mattoni: la coesione riparte da Sud

Redazione Web

Più asili e meno mattoni: la coesione riparte da Sud
Concepire il lavoro in relazione alla famiglia e al luogo in cui viviamo per un “benessere in-terno” dato dall’equilibrio della nostra complessità sociale e personale. Al Sud, questa nuova forma di “capitale relazionale e territoriale” sta diventando una preziosa forma di investi-mento contro i morsi dello spopolamento e delle aree interne a rischio abbandono: il PNRR, dunque, costruisca più asili e meno mattoni.

Rimini, 22 agosto 2022 – Durante la pandemia ci hanno fatto un pizzico di sana invidia le foto social di officier e manager al lavoro trasferiti – scrivania, computer e smartphone – su colline dolcissime o su coste superbe. Abbiamo, dunque, aperto gli occhi su un nuovo modo di con-cepire il lavoro in relazione alla famiglia, al luogo in cui viviamo, e abbiamo dato valore al “benessere interno” che deriva dall’equilibrio della nostra complessità sociale e personale. Soprattutto al Sud, questa nuova forma di “capitale relazionale e territoriale” generata dallo smart working sta diventando una preziosa forma di investimento, perché i morsi dello spo-polamento e delle aree interne stanno lasciando segni dolorosi sulla pelle di chi resta o perlo-meno prova a resistere.
Al Meeting di Rimini 2022, Randstad e Fondazione per la Sussidiarietà hanno presentato “South working per lo sviluppo responsabile e sostenibile del Paese”, una ricerca frutto anche di una collaborazione con l’associazione South Working che studia e promuove il lavoro agile svolto in luoghi distanti dall’azienda, in particolare nel Sud Italia e nelle aree marginalizzate.
Introdotto da Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà, l’incontro ha af-frontato il “south smart working” trattando dati, numeri, differenziale dei redditi da lavoro, la crisi del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, il dramma dei Neet, la specializzazione territoriale, il divario sempre più rilevante tra Nord e Sud dove il saldo migratorio è sempre negativo.
Mario Mezzanzanica, professore di Computer Science and Engineering all’Università Milano Bicocca, apre con i dati Istat: «Nel 2030, confrontandolo con il 2020, ci troveremo di fronte a una riduzione di circa 2 milioni e 200 mila persone nella fascia di età tra i 20 e i 64 anni, inter-vallo di età che contiene la maggior parte della vita lavorativa di una persona». Le aree in crescita demografica, infatti, sono perlopiù al Centro-Nord, mentre al Sud e nelle Isole il tasso di crescita si mantiene quasi sempre negativo o intorno allo zero ed è proprio qui che si con-centra la gran parte della diminuzione prevista per il 2030, con un calo dell’11,1%, rispetto alla media totale del Paese (-6.7%).
Con la pandemia, dunque, abbiamo aperto le finestre e guardato dai balconi un’altra Italia. Mezzanzanica racconta: «Persone sono tornate nei luoghi che avevano lasciato per andare a lavorare al nord del Paese, son tornati nei propri insediamenti. Lì hanno cercato spazi e co-struito spazi, ritrovando momenti relazionali importanti, perché il lavoro non è solo svolgere il proprio compito, ma svolgere il proprio compito al meglio e dare il proprio contributo all’im-presa affinché questo benessere diventi al contempo incubatore di nuove idee imprenditoriali.
Qualcosa dunque è successo realmente in luoghi forse dimenticati dal lavoro e queste inizia-tive sono tese da una parte a contrastare lo spopolamento, dall’altra parte ad agevolare l’in-serimento lavorativo delle persone e, perché no, a far sì che le imprese sviluppino sempre di più il tema della responsabilità sociale».
I luoghi del south working hanno reagito positivamente a questi stimoli, racconta Elena Mili-tello, presidente Associazione Southworking, che ha cercato di «creare una rete tra tutte que-ste realtà che sono nate e dare voce ai rappresentanti di questa comunità ai diversi livelli isti-tuzionali. Nel nostro piccolo abbiamo quindi puntato a migliorare il grado di coesione sociale tra i vari territori di cui parla la nostra Costituzione».
Veniamo a qualche dato. Il 61% delle aziende italiane guarda con interesse agli “hub di lavoro” nel Sud Italia, a spazi di co-working o veri e propri uffici con team aziendali dislocati in aree lontane dalle grandi città del Centro-Nord. Due su tre sarebbero disposte ad aprire soprattutto per contribuire alla crescita, ma anche per accedere a figure professionali difficili da reperire (48%) e a ridurre i costi (35,5%). Il 61% delle imprese ritiene che l’hub possa essere gestito in modo diretto, come una filiale, piuttosto che tramite società di servizi esterne. Il 77% delle aziende ha adottato lo smart working e il 46% è disponibile a progetti di remote working da 2 a 5 giorni settimanali.
«Fare scelte sostenibili e responsabili è una priorità per Randstad ma non solo», ha detto Marco Ceresa, group chief executive officer di Randstad, che precisa: «Sempre più imprese iniziano a considerare di favorire lo sviluppo nelle aree più fragili del Paese, cercando di tro-vare anche quelle competenze e quelle risorse preziose che sempre più si fa fatica a trovare nel Nord del Paese. La creazione di un hub di lavoro può davvero essere il volano per il south working, potendo reclutare competenze altrimenti non accessibili, garantire il bilanciamento vita-lavoro alle persone e sostenere di un indotto locale. Ma i presupposti fondamentali per esperienze di south working di successo sono la creazione di un’adeguata infrastruttura digi-tale, spazi adeguati e uno sforzo multilaterale tra aziende, agenzie per il lavoro, Comuni di riferimento e atenei universitari».
«Lo smart working e la creazione di hub nel Sud sono un’occasione straordinaria per favorire la crescita del Paese e abbattere storiche diseguaglianze», ha osservato Vittadini, precisando che «molti lavoratori qualificati del Mezzogiorno potrebbero così mantenere un legame con il proprio territorio, senza rinunciare a preziose opportunità. È una strada che potrebbe coin-volgere anche la pubblica amministrazione. Un percorso sussidiario che parte dal basso e po-trebbe davvero cambiare il mondo del lavoro e dare un nuovo impulso all’iniziativa imprendi-toriale al Sud».
Sud, giovani e donne: queste le competenze trasversali del PNRR secondo Gilberto Pichetto Fratin, viceministro dello Sviluppo economico, che precisa: «Noi dobbiamo porre un’atten-zione forte sul capitale umano, sulle persone, sulla crescita, sulla formazione, perché se siamo in fondo alla classifica è perché non abbiamo né soggetti formati né formatori ed è questa la vera sfida: se dobbiamo prestare attenzione al PNRR reale, forse è il caso di progettare meno mattoni e più asili».
(G.D.G.)

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